Come si cambia la politica di una superpotenza come gli Stati Uniti? Semplice: si compra quella vecchia e se ne vende una nuova. Dev’essere quello che si sono detti quei furboni della casa reale dell’Arabia Saudita, che non vedono l’ora di ricevere Donald Trump che, proprio come fece Barack Obama, ha scelto Ryad come destinazione del suo primo viaggio presidenziale fuori dai confini americani.
Si sa quali siano oggi i problemi dei Saud. Il ribasso del prezzo del petrolio, che li ha spinti prima a concordare con i russi un consistente taglio alla produzione e poi a prorogarlo fino al marzo 2018. Il conseguente enorme deficit pubblico (53 miiardi nel 2016) e l’inevitabile sforbiciata alla spesa con il taglio dei salari dei dipendenti pubblici, che purtroppo sono circa il 70% delle persone occupate nel regno. La guerra nello Yemen, dove due anni di mano libera e di silenzio internazionale non hanno impedito alle forze armate saudite di impantanarsi in una serie di stragi senza scopo e senza senso.
Ma il primo e vero incubo dei sauditi, almeno per qualche settimana, è stato l’arrivo sulla scena politica di Donald Trump, il candidato che per tutta la campagna elettorale aveva promesso di cambiare la politica estera degli Stati Uniti, dal 1945 imperniata, in Medio Oriente, sull’asse proprio con l’Arabia Saudita. Incubo ancor più pressante perché proprio Trump e il Partito repubblicano (oltre a una bella porzione di congressisti democratici) avevano spinto perché fosse approvato il JASTA (Justice against Sponsors of Terrorism Act), la legge che consente ai parenti di vittime di atti terroristici di far causa ai Paesi ritenuti corresponsabili di quegli atti. Una legge che pare fatta apposta per chiedere risarcimenti ai sauditi per l’11 settembre 2001, l’opportunità per una gigantesca class action che ha già trovato l’adesione di 800 parenti dei 2.996 morti di quel giorno.
Pensa e ripensa, re Salman e i suoi sembrano aver trovato le contromisure. Già ammorbidito dalle ganasce del cosiddetto Russiagate lasciatogli in eredità da Barack Obama, l’uomo d’affari Trump è stato preso all’amo con una di quelle offerte che, come diceva il Padrino Corleone di Franci Ford Coppola, non puoi proprio rifiutare.
Qualche giorno fa dalla Casa Bianca è trapelata la voce che il viaggio a Ryad servirà per siglare una colossale (l’ennesima) vendita di armi americane all’Arabia Saudita. Si parla di materiali per un valore di 100 miliardi di dollari secchi, destinati però a diventare 300 nei prossimi dieci anni grazie ai contratti di assistenza e manutenzione. Possiamo immaginare la gioia dei bambini yemeniti, regolarmente presi di mira dai caccia sauditi. E anche quella dei civili siriani e iracheni, visto che i sauditi, come peraltro fanno da anni, gireranno parte di quelle armi agli sgherri dell’Isis e di Al Nusra di cui sono grandi finanziatori e protettori.
Ma non basta. Per andare sul sicuro, i sauditi dovrebbero anche annunciare di voler investire 40 miliardi di dollari nel programma di ammodernamento delle infrastrutture Usa (porti, aeroporti, autostrade…) che è stato uno dei capisaldi del programma elettorale di Donald Trump. Anche in questo caso, i 40 miliardi sono la somma da spendere subito, perché il valore degli investimenti, diretti e indiretti, dovrebbe salire a 200 miliardi nel giro di quattro anni.
Questa seconda mossa saudita è particolarmente astuta. Donald Trump, infatti, aveva annunciato durante la campagna elettorale di voler investire un trilione di dollari nel “restauro” delle infrastrutture, aggiungendo però di volerne spendere “solo” 200 milioni di denaro pubblico, raccogliendo tutto il resto da investitori privati.
Ottimo proposito, assai più facile da annunciare sulla carta che da realizzare nella pratica. Soprattutto per un Presidente che ha avuto un esordio così discusso e travagliato e che è apertamente boicottato da una parte della struttura federale di governo del Paese. L’apertura di credito dei sauditi può servire da apripista, da esempio per altri grandi investitori istituzionali
Certo, il premio Nobel per la Pace Barack Obama fece la stessa cosa, e la sua presidenza ha il record assoluto per le vendite di armi all’Arabia Saudita. Ma questa non è una consolazione. È solo la dimostrazione che l’Occidente, per un po’ di soldi, continua a vedere l’anima a coloro dei quali la stessa Hillary Clinton scrisse (senza sapere che Wikileaks avrebbe pubblicato) che sono “i principali sostenitori del terrorismo sunnita nel mondo”.
FONTE www.ilgiornale.it