10/01/2007
Cio' che l'Occidente non sa capire
L’Europa (ma su questo anche gli Usa faticano) non capisce la natura dell’Islam contemporaneo, di quello iraniano e degli Hezbollah, come di quello salafita di al Qaida.
Non è la prima volta. Di fronte ad ogni totalitarismo, le democrazie non comprendono, faticano a cogliere perché qualcuno vuole distruggerle.
E’ la sindrome della banchina di Auschwitz. Tanti ebrei tedeschi, che pure avevano visto la notte dei cristalli, le leggi razziali, che per giorni avevano vissuto negli escrementi dei carri bestiame, lì, sulla banchina su cui erano vomitati dai vagoni, protestavano increduli con l’ufficiale Ss: “Aber… ich bin deutsch!!!”, “Mai io sono tedesco!!!”
Ancora non capivano.
Europa e America rifiutarono di comprendere che si stava consumando la strage, rifiutarono più volte persino di bombardare Auschwitz, come i prigionieri chiedevano tramite la resistenza polacca.
Ancora oggi si stenta ad accettare che quello hitleriano, nel suo orrore, era un progetto “salvifico”, che solo questo spiega perché centinaia di migliaia di tedeschi sterminarono sei milioni di ebrei per costruire un mondo migliore, per “l’Uomo Nuovo”. Ancora oggi si crede che i nazisti fossero essenzialmente mossi da pura bramosia di assassinio, belve assetate di sangue
L’utopia: le democrazie non sanno ammettere che, nella modernità, il totalitarismo altri non è che un sistema –dei sistemi- per incarnare nella storia una utopia. Per eliminare tutti quelli che l’ostacolano.
La stessa “radice dell’odio” contro l’occidente –e la cristianità, e l’ebraismo- di tanta parte della platea islamica non è “nei torti dell’occidente”, è ben altra, si è formata ben prima che Israele nascesse, in una fase in cui gli Usa erano assolutamente assenti dalla scena mediorientale.
E’ scaturita da una formidabile azione scismatica avvenuta tra il 1930 e il 1979 nel corpo dell’Islam, da scismi basati su una ideologia totalitaria e sopraffattrice sia della società musulmana che dei rapporti con le altre religioni.
E’ quell’Islam -non tutto, ma sempre più forte- che intende fare proselitismo con la spada. Come fece Maometto. Come ha denunciato Benedetto XVI.
Oggi l’utopia in marcia è l’Islam jihadista.
Un Islam “rivoluzionario” che avanza con due punti di forza spesso in conflitto tra loro. L’Islam che ha trionfato con la rivoluzione di Khomeini in Iran e l’Islam wahabita, radicato in Arabia Saudita, che si è imposto fuori dalla penisola arabica con il jihad vittorioso che ha sconfitto i sovietici in Afghanistan.
Benedetto XVI ha compreso pienamente il fenomeno, ha condannato una Guerra Santa che nasce da una concezione di un Dio che è puro arbitrio, non a immagine dell’uomo, non comprensibile con la fede e la ragione, e ha condannato un proselitismo in suo nome fatto di violenza –il Jihad- offrendo contemporaneamente, con una continua, sottintesa citazione di Averroé, una straordinaria apertura di dialogo. E’ stato insultato, vilipeso.
L’Islam si è offeso perché il Jihad che il pontefice ha rigettato è ben più della Guerra Santa. E’ fede slegata dalla ragione, è negazione della stessa autonomia della scienza dalla fede. E’ una concezione della vita prevaricante.
Il Jihad, non è come si crede, una risposta eccessiva alla prevaricazione imperialista dell’occidente. La concezione jihadista iraniana e salafita si basata sulla riproposizione, oggi, del modello maomettano del proselitismo armato, di conquista. E’ smania di egemonismo: sulle altre religioni, sulla donna, sugli stessi musulmani ossessionati dall’apostasia, sui musulmani che non si piegano a questo o a quell’Islam.
Il jihadismo è diffuso nel mondo musulmano come ambizione di egemonia su tutto e su tutti.
E’ insito nell’Islam moderno.
E’ l’avversario dell’occidente, perché, come spiega al Ghazali, “tutto è scritto nel Corano”, perché ragione e scienza non hanno spazio se non dentro le maglie strette delle sue sure.
Il terrorismo jihadista ne è solo l’estrema manifestazione.
L’occidente laico non afferra questa essenza teologica del Jihad, ancora quella guerra santa alla sua concezione della guerra, a Westfalia. Pensa che sia sempre collegata alla “terra”, ai confini, ai rapporti tra Stati.
Accecato dal falso mito della tolleranza islamica nei confronti degli ebrei, rifiuta di guardare, di accettare un antisemitismo musulmano che pure è profondamente radicato nella tradizione coranica.
Pure, lo Statuto di Hamas esplicito: “L’ultimo giorno non verrà fino a quando tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e gli uccideranno…”. E qui, l’occidente laico e laicista non comprende proprio il terribile verdetto.
Non vuole prendere atto che l’appello di Ahmadinejad a distruggere Israele ha convince, persuade, penetra profondamente nel ventre della umma. Non comprende neanche che Ahmadinejad non è un dittatore qualsiasi: è un dirigente rivoluzionario che dispone del consenso di una notevole massa critica, formatasi nella rivoluzione del 1979 e tutt’ora operante.
Ahmadinejad attende l’epifania del dodicesimo Imam e viene svillaneggiato da giornalisti approssimativi per i suoi deliranti progetti di apparecchiare un grande boulevard di Teheran per l’atterraggio. Un delirio non è capito dall’occidente laico, che non lo digerisce. Non lo afferra.
Ma Ahamadiejad sa di rappresentare un Islam in cui palpita un messianesimo vivo. Non c’è documento politico di rilievo, a partire dalla Costitituzione iraniana che non finalizzi la società dell’Islam all’apocalisse: “La Repubblica Islamica è un sistema che si basa sulla fede nel Giorno del Giudizio Finale e nel suo ruolo costruttivo nell’evoluzione perfettibile degli uomini verso Dio.Non nega, insomma, solo la separazione tra Stato e Religione, lo Stato stesso e la sua funzione sono subordinati al cammino verso l’eternità.
Lo Stato Etico sino all’Apocalisse, viene riproposto con tutta la forza, non di una ideologia anticristiana e antireligiosa, come il nazismo e il comunismo, ma con la penetrazione e la forza di una tradizione religiosa più che millenaria.
Combattere il Jihad, convertire con la forza gli infedeli è quindi una urgenza impellente, insita nella fede come nello Stato.
Lo scopo, il fine dello Stato è condurre le anime e i corpi dei cittadini verso il Giudizio Universale (che avverrà a ultimo ebreo ucciso, per inciso). Ogni strategia, ogni tattica politica dei movimenti fondamentalisti dal 1979 in poi è finalizzata all’Ultimo Giorno. Questa concezione dell’uomo nel tempo cadenza la politica, in particolare quella iraniana.
Questo senso escatologico dello Stato, non solo della vita del singolo, ha fascino.
Lega a sé un consenso crescente, Minoritario, ma attivo.Questo non viene compreso in occidente.
Il senso laico dello Stato, il relativismo, l’imporsi di una religiosità new age, fanno da velo al riconoscimento di questa dinamica musulmana. Pure, Ahmadinejad, i Fratelli Musulmani, Hezbollah e Bin Laden sono chiari, espliciti.
Qui si inserisce la grande crisi tra l’Europa e l’America di Bush.
La caratura evangelica del percorso umano di George W. Bush, la tradizione fondante gli States (i padri pellegrini), lo hanno portato a intuire “l’Asse del Male”.
Bush ha afferrato il messaggio delle Twin Towers. Vi ha subito scorto quello che gli autori volevano significasse: un presagio di Apocalisse.
Da qui la reazione, il senso etico che da quel giorno impregna i suoi discorsi.
Da qui la sordità della cultura europea che –prigioniera della dea Ragione- legge tutto con ridicoli, ripetitivi schemi: un po’ di marxismo, un po’ di terzomondismo, un po’ di antimperialismo. Da qui lo sconcertante Ralf Dharendorf che definisce il terrorismo islamico “una banda criminale”. Una Spectre.
L’equivoco più grande in cui si crogiola il mondo politically correct, si basa sull’illusione che in Iran, Libano e Palestina, il movimento islamico abbia una intrinseca natura irredentista.
Timothy Garton Ash, citato da Fassino, D’Alema, sostiene che Hezbollah può evolvere in un movimento politico come l’Ira e l’Eta, cammino che va favorito riconoscendogli le sue giuste rivendicazioni nazionaliste.
Ma Ahmadinejad, Hezbollah, Assad, Hamas e al Qaida vivono un nazionalismo che non punta alla liberazione della terra. Non sono nazionalisti. Per loro non c’è terra, non c’è nazione, se non c’è shari’a.
“Pace contro territori” è da anni la formula magica per risolvere il conflitto arabo-israeliano. E’ fallita, ma è sempre la prospettiva su cui si muove la diplomazia mondiale.
Fassino, che pure è uno dei più sinceri filosionisti della sinistra italiana, sostiene che “in Palestina non si fronteggiano due torti, ma due ragioni: Israele deve vivere nella sicurezza e i palestinesi devono avere il loro Stato”. Bell’aforisma, ma falso.
Le due ragioni esistono e hanno pesato negli 87 anni di crisi palestinese, ma sono sovrastate da un immenso torto di parte araba: il rifiuto di Israele per ragioni legate al Giudizio Universale, al rapporto dell’Islam col suo Dio, alla concezione totalitaria dei “territori” della cultura musulmana.
Lo Statuto di Hamas (movimento che incarna l’alleanza sciita-sunnita tra Iran, Siria, Hezbollah e Fratelli Musulmani) è definitivo: “La terra di Palestina è un deposito legale (waqf), terra islamica, affidata alle generazioni dell’Islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare a nessuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel suo insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e i presidenti messi assieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite, hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’Islam sino al giorno del Giudizio. Chi, dopo tutto, potrebbe arrogarsi il diritto di agire per conto delle generazioni dell’Islam sino al giorno del Giudizio? Questa è la regola nella legge islamica, la shari’a, e la stessa regola si applica ad ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con la forza, perché al tempo della conquista i musulmani l’hanno consacrata per tutte le generazioni dell’Islam sino al giorno del Giudizio”
Questa perfetta sintesi dell’egemonismo jihadista –quello contestato da Benedetto XVI- lega indissolubilmente il territorio alla applicazione della legge coranica e ne dichiara eterno il diritto al possesso, una volta conquistato con la forza. Non più solo il nazista “Blut und Erde”, ma “Blut und Heilige Gesetz und Erde”.
Il jihad racchiude in sé la sua valenza escatologica, salvifica. Compiuta la conquista, imposto con la spada il proselitismo dell’infedele, la terra èsantificata dall’applicazione della shari’a, che ne sigilla il possesso al popolo dell’Islam.
Il laicismo e il relativismo in Europa, non riescono neanche a intuire questo straordinario movimento di fede apocalittica, come ben si comprende nella vicenda del velo in Francia.
Nel 2003, Parigi decise uno straordinario sforzo di analisi della realtà multireligiosa della Francia. La commissione Stasi sviluppò così una formidabile inchiesta sul territorio e descrisse a una inquietante fotografia della Francia: l’integrazione multiculturale non ha funzionato, lo spirito d’appartenenza e di clan su qualsiasi altro collante sociale e genera episodi intollerabili di violenza, di cui le donne musulmane sono le principali vittime. La rivolta delle banlieues, è ampiamente prevista. Prova di come gli strumenti scientifici delle scienze sociali in Francia rasentino la perfezione nella descrizione dei fenomeni. Ma solo nella descrizione dei fenomeni. Non delle loro cause e quindi non dei loro rimedi.
Ancorata ad una meccanica volgare della complessità umana, tutta positivista, illuminista, laicista, la commissione propose i seguenti rimedi: istituzione di corsi per insegnanti sulla laicità, una festa della Marianna in onore della laicità (insopprimibile sogno giacobino della Festa della Dea Ragione) e infine la proibizione di ostentare nelle scuole segni religiosi (croce, kippah o velo).
Indicativa è la proibizione del velo, che è ben di più di un simbolo di appartenenza, ma consegue alla concezione della minorità della donna. Secondo la shari’a infatti, la donna non è in grado di gestire i suoi rapporti sociali, non è in grado di gestire nella società i messaggi sessuali del suo corpo e per questo deve coprirsi.
Un nodo culturale delicatissimo affrontato alla giacobina, con la proibizione, lo strumento poliziesco.
Due anni dopo i ghetti musulmani di Francia, come previsto dalla commissione Stasi sono esplosi.
Questa formidabile cecità del meglio della cultura politica francese, spiega ad libitum la parallela cecità –tutta laicista- della Francia nel comprendere le dinamiche che si muovono nei paesi musulmani, le crisi che agitano il Medio Oriente, la stessa essenza eversiva del regime iraniano.
Il tutto con uno straordinario effetto contagio sulla sinistra europea, orfana del comunismo e col marxismo, che si ancora al laicismo di scuola francese e quindi non è letteralmente in grado di riconoscere l’essenza escatologica, la dinamica rivoluzionaria, di massa, che segnano il cammino millenarista della rivoluzione iraniana e dei salafiti sunniti.
20:25 | Lien permanent | Commentaires (0)
Les commentaires sont fermés.