ROMA — La minaccia di morte è arrivata alla sua casella postale in Parlamento. Daniela Santanchè non nasconde di aver avuto paura quando ieri verso le 19, aprendo la busta proveniente da Londra, ha visto due fogli, uno in lingua araba, l'altro con un testo in inglese, attorniato dalle foto di Theo Van Gogh e Ayaan Hirsi Ali. Sopra e sotto le foto compaiono due scritte a mano in arabo: «Questa è l'ora della mia liberazione» e poi «È giunta la tua ora!». Il significato è inequivocabile, tenendo conto dell'abbinamento con la foto del regista olandese barbaramente sgozzato nel centro di Amsterdam il 2 novembre 2004 dal terrorista islamico Mohammad Bouyeri, dopo essere stato condannato come nemico dell'islam per aver diretto il cortometraggio «Submission», in cui si denuncia lo stato di violenza a cui sono sottoposte le donne nei paesi musulmani. Da quel giorno anche la deputata olandese Hirsi Ali, pure lei condannata a morte quale autrice del film, vive in clandestinità e ha finito per riparare negli Stati Uniti. Sotto le loro foto, compare una terza foto di una donna completamente velata, che riecheggia l'immagine in copertina del libro della Santanché «La donna negata. Dall'infibulazione alla liberazione». E «liberazione» è la parola che ritroviamo nel testo della minaccia di morte. Quest'insieme è a corredo di un breve testo in inglese, tratto dal sito della Bbc del 23 ottobre scorso, in cui si spiega che la Santanché «ha detto che il velo non è richiesto dal Corano» e che «è stata definita un'infedele da un imam».
In effetti la Santanché vive sotto scorta da quando, lo scorso 20 ottobre, a seguito della trasmissione Controcorrente su SkyTg24, fu pesantemente apostrofata come «un'infedele» che «semina l'odio», da parte di Ali Abu Shwaima, imam della moschea di Segrate e uno dei fondatori dell'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia). A suo avviso la Santanché è una «ignorante» per aver sostenuto che «il velo non è un simbolo religioso, non è prescritto dal Corano». Per Abu Shwaima, che sogna di islamizzare l'Italia entro un decennio e che risulta poligamo sul certificato di stato di famiglia, «il velo è una legge che Dio ha mandato. È Dio che lo dice, l'uomo non può negarlo». Quindi la Santanché rischia la morte per il semplice fatto che sostiene che il velo non è un precetto islamico e difende il diritto delle musulmane a non indossarlo. Un diritto che, stando a un sondaggio pubblicato sulla sua rubrica su Il Giornale di ieri, viene rivendicato dall'85% delle musulmane in Italia. Non stupisce che la seconda pagina in arabo della condanna a morte della Santanché è un'aberrante apologia del velo rivolto alle donne musulmane residenti in Occidente: «Ci sono stati degli appelli peccaminosi che sono riusciti a traviare le musulmane, facendole togliere il velo e lavorare in tutti i settori. Qual è stato il risultato? Sono precipitate nei più infimi livelli della dissolutezza e della prostituzione. La donna moderna, come la definiscono, è uno strumento e un gioco nelle mani dei pervertiti e dei malvagi. O giovani musulmane, l'islam ha eretto una solida barriera per proteggerti dal libertinaggio. Il tuo hijab (velo) è la tua bellezza ed esso è preposto alla tutela del tuo onore». Segue una pesante invettiva contro la promiscuità: «La separazione netta tra uomini e donne è una necessità morale. La promiscuità è la fonte di tutti i mali e la causa di tutte le depravazioni.
O giovani musulmane, siate come Allah e il suo Profeta vi hanno voluto, non come vi vogliono i fautori della sedizione e della degenerazione». A rischiare la vita è anche un italiano di origine egiziana, Mohamed Ahmed, conduttore di La9, una televisione privata di Padova, che da tempo denuncia l'estremismo e il terrorismo islamico. Ebbene la scorsa notte hanno appiccato il fuoco alla sua auto, una Saab 900, parcheggiata sotto la sua casa. «È un atto di intimidazione — ha detto Mohamed — nei mesi scorsi ho ricevuto minacce di morte telefonicamente e per strada da parte di alcuni islamisti che frequentano il quartiere di via Anelli, che è vicino alla sede della mia redazione». Ma Mohamed non ha paura. Ha denunciato tutto e ha raccolto la solidarietà di molti padovani: «Oggi sono veramente fiero di essere italiano — ci ha detto — per me è un dovere continuare a impegnarmi per il bene dell'Italia».
Magdi Allam
10 gennaio 2007
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