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15/12/2010

Kosovo cloaca d'Europa

Il capo del governo del Kosovo, Hashim Thaci, sarebbe il boss di un racket che ha iniziato le sue attività criminali nel corso della guerra del Kosovo proseguendole nel decennio successivo. Secondo il rapporto stilato dalla commissione d’inchiesta del Consiglio d’Europa sul crimine organizzato il premier kosovaro sarebbe a capo di un gruppo mafioso albanese responsabile del traffico di armi, di droga e di organi umani nell’Europa dell’Est. Il rapporto, che conclude due anni di indagini e cita fra le sue fonti l’Fbi e altri servizi di intelligence, scrive che Thaci ha esercitato un «controllo violento» nell’ultimo decennio sul commercio di eroina. Uomini della sua cerchia sono accusati di aver rapito uomini e donne serbe al confine con l’Albania per ucciderli e privarli dei reni, venduti poi al mercato nero. Nel suo rapporto, lo svizzero Dick Marty - deputato elvetico all'Assemblea Parlamentare del Consiglio ed ex procuratore del Canton Ticino ora relatore per i diritti umani e le questioni giuridiche del Consiglio d'Europa - afferma che gli indipendentisti kosovari dell'Uck hanno gestito alla fine degli anni Novanta un traffico di organi ai danni di prigionieri serbi. Secondo Marty, tale traffico era controllato da una formazione dell'Uck denomonata «Gruppo di Drenica», capeggiata dall'attuale primo ministro kosovaro, Hashim Thaci. E vi sarebbero «numerosi indizi» che «gli organi venissero estratti da prigionieri di una clinica in territorio albanese, nei pressi di Fushe-Kruje (20 km a nord di Tirana)».

 

RENI, EROINA E ARMI - Nel testo, disponibile su internet, si ricorda che del traffico di organi espiantati a prigionieri di guerra serbi fa menzione Carla Del Ponte, l'ex-procuratore del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia, nel suo libro pubblicato in prima battuta in Italia La caccia - Io e i criminali di guerra. Tragico dubbio che diventa protagonista di  The Empty House, documentario prodotto da PeaceReporter in cui, a partire dalla Casa Gialla (dove secondo le accuse si espiantavano gli organi), si denuncia il dramma delle persone scomparse durante la guerra in Kosovo. Una storia, raccontata in multimediale, che si concentra appunto sul dubbio che alcune persone scomparse siano state vittime di un traffico di organi. Un secondo e ultimo riferimento all'Italia fatto dal rapporto riguarda «analisti» del Sismi, il servizio segreto militare, e dell'intelligence tedesca, britannica, greca e della Nato che definirebbero «abitualmente» l'attuale premier kosovaro Hashim Thaci come «il più pericoloso tra i padrini della mala dell'Uck». I responsabili di questi traffici sarebbero i leader di etnia albanese dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck). Secondo le testimonianze raccolte dal rapporto del Consiglio d'Europa, i prigionieri di guerra serbi e altri civili venivano uccisi con un colpo di arma da fuoco alla testa. Gli affari si facevano soprattutto con reni, venduti a cliniche private straniere. Un ruolo fondamentale avrebbe avuto in tutta la vicenda Shaip Muja, anch'egli ex comandante dell'Uck e ancora oggi stretto collaboratore politico di Thaci, responsabile delle questioni sanitarie.

LO SDEGNO DI PRISTINA - A Pristina, dove Thaci con il suo Partito democratico del Kosovo ha vinto le elezioni legislative anticipate di domenica scorsa, il governo ha smentito seccamente il contenuto del rapporto di Dick Marty. Respingendo le accuse, una nota governativa lo ha definito «senza fondamento». Si tratterebbe di «invenzioni» finalizzate a coprire «di obbrobrio l'Uck e i suoi dirigenti». In una nota pubblicata nella notte si legge: «È evidente che qualcuno vuol fare del male al primo ministro Thaci dopo che i cittadini del Kosovo gli hanno dato chiaramente la loro fiducia per continuare il programma di sviluppo del Paese». Il governo ha quindi annunciato l'intenzione di adottare «tutte le misure possibili e necessarie per rispondere alle invenzioni e alle calunnie di Dick Marty, ivi comprese misure giudiziarie e politiche». In un comunicato il premier di Pristina preannuncia «tutti i passi necessari, compreso il ricorso a mezzi legali e politici» nei confronti dell'autore della relazione, Dick Marty.

NEMICI DELL'INDIPENDENZA - «Faremo squalificare le calunnie del signor Marty», ammonisce il comunicato ufficiale, in cui si addebitano le accuse contenute nel rapporto ai «nemici dell'indipendenza» dell'ex regione serba a maggioranza albanese. «I cittadini kosovari e l'opinione pubblica internazionale nel suo complesso non credono alle diffamazioni messe in circolazione da chi si oppone all'indipendenza e alla sovranità del nostro Paese», si afferma, «e non permetteranno in alcun modo che certi demagoghi macchino la limpida lotta dell'Esercito di Liberazione del Kosovo e il sacrificio di tutti i cittadini della nostra patria». L'Esercito di Liberazione o Kla, di cui Thaci era comandante, sarebbe servito da copertura per gli affari illeciti da questi portati avanti prima, durante e dopo la guerra. Il comunicato governativo si conclude con un appello a tutti i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa, ai quali mercoledì a Parigi verrà presentato il Rapporto, affinchè «si oppongano con forza a questo documento diffamatorio».

IL RICONOSCIMENTO - Il Pdk (Partito Democratico del Kosovo) guidato da Thaci, pur in calo di consensi, ha ottenuto il maggior numero di voti nelle elezioni anticipate di domenica scorsa nell'ex regione serba a maggioranza albanese. Per quanto difficile appaia la formazione di un nuovo esecutivo di coalizione a Pristina, l'incarico dovrebbe essere riconferito a Thaci e, una volta formata la compagine, si ripresenterà la questione dei negoziati con la Serbia, che continua a non riconoscere l'indipendenza kosovara, proclamata unilateralmente nel febbraio 2008.

LA SODDISFAZIONE DI BELGRADO - Dal canto suo, Belgrado ha espresso grande soddisfazione per il Rapporto del Consiglio d'Europa sul presunto traffico di organi umani ai danni di cittadini serbi. Tale rapporto, ha detto il viceprocuratore serbo per i crimini di guerra, Bruno Vekaric, «è una grande vittoria della Serbia nella lotta per la verità e la giustizia». «Grazie all'aiuto del presidente, Boris Tadic, e agli sforzi continui degli organi giudiziari serbi, abbiamo conseguito la vittoria e abbiamo restituito la speranza alle famiglie delle persone rapite o dei dispersi», ha aggiunto Vekaric auspicando che la pubblicazione del rapporto del Consiglio d'Europa, «estremamente positivo», consentirà l'apertura di numerose inchieste sui traffici di organi in Kosovo e Albania, dove le autorità giudiziarie hanno ignorato per anni gli appelli a far luce su tale problema.

I DUBBI DI MOSCA - In visita ufficiale a Mosca, il ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic ha messo in dubbio che vi sia un futuro politico per Hashim Thaci. Secondo Jeremic il documento rivelerebbe «la terribile realtà» kosovara: «È un segnale che mostra come sia ormai tempo per il mondo civilizzato di smetterla di voltarle le spalle», ha detto. «Questo rapporto svela che cosa è il Kosovo, e chi è che lo guida». Dello stesso avviso di Jeremic è l'omologo russo Serghei Lavrov, il cui Paese parimenti non riconosce il Kosovo come Stato sovrano. Lavrov ha affermato di essere «molto allarmato» per quanto emerge dal rapporto Marty che, ha sottolineato, «non può restare secretato» poiché «tutti dobbiamo assicurare che gli sia data la più ampia diffusione possibile». Il capo della diplomazia russa ha quindi ribadito la posizione di Mosca, che si rifà ancora alla risoluzione adottata nel 1999 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui si faceva del Kosovo una sorta di area neutrale sotto l'amministrazione del Palazzo di Vetro. «Noi», ha affermato ancora Lavrov, «sosteniamo la necessità di un dialogo diretto tra le autorità di Belgrado e quelle di Pristina, soltanto nel cui ambito è possibile trovare una soluzione a lungo termine per il Kosovo, fondata su un reale compromesso accettabile reciprocamente da ambedue le parti. In tale processo», ha ammonito, «qualsiasi intervento straniero va accuratamente valutato e soppesato».

 

Redazione Online corriere.it

15 dicembre 2010

09/12/2010

La gravité de la situation française, en histoire!

Aujourd'hui je vais vous raconter une histoire, absolument authentique, qui résume à elle même toute la gravité de l'état de déliquescence culturelle dans laquelle nos pseudo-élites politicardes et médiatiques nous ont plongé.

Il y a deux jours je dinais avec un groupe d'amis et amies dans un restaurant de la France si-dite « profonde ».

A un moment donné, une de ces amies vient à parler, de manière fortuite, du fait que son mari avait vendu six moutons vivants à des musulmans lors de la fête , ou pour mieux dire de la boucherie,de    l'Aï d.

En effet, ce couple exploite une ferme dans le sud-ouest, avec toute sorte d'animaux, y compris des moutons.

Jusqu' ici, me direz vous, rien d'extraordinaire.

Mais venons au détails.

Les six musulmans en question ne sont rien d'autre que...six MEDECINS HOSPITALIERS ALGERIENS, travaillant dans deux grands Hôpitaux publics français, eux-mêmes naturalisés français bien sûr et pêres d'un certain nombre de petits français.

Ils se sont rendus à la ferme avec leurs couteaux et leurs tapis... ensuite il se sont fait emmener dans la grange où ils ont disposé leurs tapis par terre en direction de la Mecque.

Ils ont demandé plus ou moins fermement aux fermiers de partir, car non musulmans ( = infidèles = impurs) , et à tour de rôle voire simultanément, ils ont égorgé leurs six moutons dans des conditions à peu dires bestiales. Des cris, du sang, l'horreur!

Ensuite ils les ont découpés en gros morceaux, mis dans des sacs poubelle, déposés dans le coffre de la voiture pour repartir sans formalités ni salutations.

Maintenant, pouvez-vous imaginer une personne normalement constituée sur le plan psychique, exerçant, au moins sur le papier, le métier de médecin, c'est à dire le métier de l'humanisme par définition, se rendre en meute armé de gros couteaux, trucider de manière sauvage et inhumaine six pauvres bêtes au nom d'une pseudo-religion de merde ?

Si vous êtes capables de cruauté envers des animaux sans défense, vous le serez sans doute envers vos semblables!

Pouvez-vous imaginer qu'à un moment ou à un autre ce genre de fanatiques assoiffés de sang viendrons s'occuper de votre santé de pauvres cons d'infidèles ?

Que ces type d'abroutissement mental soit la règle dans des sociétés sous-développés à l'état mahométain, soit!

Mais que l' État français, celui qui revendique l'héritage des lumières, puisse donner accueil et responsabilités morales à des tels énergumènes, NON!

Comment tout ceci pourra finir, chacun peux bien l'imaginer.

Cuffia islamica all'ora di musica

REGGELLO (FIRENZE) — Da oltre un anno, una quindicenne segue le lezioni di musica con i tappi alle orecchie. Così ha voluto suo padre, Omar, marocchino di fede islamica che considera la musica impura, una «roba da infedeli». Succede alla scuola media statale di Reggello, dove il padre della ragazzina e gli insegnanti hanno escogitato questa originale strategia per permetterle di rimanere in classe durante le lezioni di educazione musicale. E così, mentre i suoi compagni di terza media suonano, cantano o solfeggiano, lei si estranea con un paio di cuffie isolanti. Osserva i compagni col flauto, ma non li sente. Vede muovere le loro dita, ma è totalmente sorda ai suoni che emettono gli strumenti. E invece che esercitarsi con la pratica, studia la teoria musicale su un libro. Accade tutte le settimane, non appena la campanella annuncia la lezione di musica. Ormai il meccanismo è collaudato, ma fino all’anno scorso, tra la famiglia marocchina e la dirigenza scolastica erano scintille. Quando c’erano le esercitazioni musicali, la ragazza non andava a scuola, spesso perdendo intere giornate di lezione. E a causa delle troppe assenze, la studentessa venne bocciata. La preside segnalò il caso al sindaco e ai carabinieri.

Partì una denuncia e si aprì un processo, tutt’ora in corso, nei confronti del padre, colpevole per aver costretto la figlia a rinunciare, almeno in parte, alla scuola dell’obbligo. Nonostante la denuncia, i genitori furono irremovibili: «Niente musica per nostra figlia. Altrimenti, niente scuola». Così si arrivò alla soluzione concordata, quella attuale. Un lieto fine, almeno per genitori e insegnanti, ma chissà se è così anche per la ragazza. Su questo il padre non ha dubbi: «Mia figlia è felice di seguire le regole del Corano. La nostra religione ci obbliga a non studiare la musica, è scritto nei testi sacri. Non mi sento un fanatico, ma un fedele alle credenze musulmane. Credo di essere il primo in Italia ad aver sollevato questo problema, ma sono contento e lo rifarei». Il protagonista della vicenda, Omar R. è uno dei rappresentanti della comunità islamica di Reggello. Il caso da lui sollevato ha suscitato critiche e perplessità in tutto il paese. «Rispettiamo le tradizioni religiose di tutti i nostri cittadini — ha commentato il vicesindaco e assessore all’istruzione Cristiano Benucci— ma ritengo che si debba fare tutto il possibile affinché ogni materia scolastica venga insegnata agli studenti. Tra queste, anche la musica, che a Reggello ha una grande tradizione storica e dovrebbe essere appresa da tutti i bambini. È difficile capire le motivazioni che spingono un genitore a negare l’ascolto della musica alla propria figlia». Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore alle politiche sociali Daniele Bruschetini: «La nostra scuola accoglie tutti, ma gli islamici dovrebbero adeguarsi alla cultura del Paese che li ospita».

Più moderata la preside dell’istituto scolastico, Vilma Natali: «È stata trovata una soluzione condivisa, che accontenta sia gli insegnanti che i genitori. La vicenda non va enfatizzata». In ogni caso, precisa la dirigente scolastica, «credo che la ragazzina, attraverso questo metodo educativo, non otterrà grandi risultati». Scelta comprensibile, invece, secondo l’imam di Firenze Izzedin Elzir: «Il mondo islamico interpreta la musica in due modi. Può essere qualcosa di illecito e immorale, oppure uno strumento artistico positivo». Elzir, pur condividendo quest’ultima interpretazione, ritiene che «tutto deve essere correlato alla scelta educativa della singola famiglia». Inoltre, aggiunge l’imam, «è necessario lavorare alla coesione della nostra società rispettando (l'islam "rispetta" come ciascuno sa....NDR) le credenze di ognuno ed evitando di creare allarmismi mediatici».

Jacopo Storni
09 dicembre 2010
www.corriere.it