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18/04/2016

Chi sostiene il business dello Stato Islamico ?

Lo Stato Islamico ha perso il 30% dei profitti derivanti dalla vendita di petrolio rispetto allo scorso anno. È quanto emerge da uno studio dell’IHS Conflict Monitor, il think tank statunitense specializzato nell’analisi di conflitti.

“A metà del 2015 le entrate mensili complessive dello Stato Islamico erano di circa 80 milioni di dollari” – scrive Ludovico Carlino, analista del gruppo di ricerca IHS – “A partire dal marzo 2016, invece, le entrate mensili dello Stato Islamico sono scese a 56 milioni di dollari”. E il merito sarebbe dei bombardamenti russi e della coalizione internazionale sui pozzi petroliferi controllati dai fondamentalisti. Il che ha portato anche alla perdita del 22% del territorio controllato da Isis.

Una perdita consistente quella subita dallo Stato Islamico, che avrebbe ridotto la produzione quotidiana di petrolio da 33 a 21 mila barili, considerando che – secondo gli analisti – il 43% delle entrate dell’Isis proviene dall’estrazione e dalla vendita di “oro nero”. E per recuperare la ricchezza perduta, lo Stato Islamico ha deciso di imporre ulteriori tributi. A chi? Ai camionisti, ad esempio, che devono pagare ingenti pedaggi per attraversare le strade controllate dai fondamentalisti. Ma le tasse sono aumentate anche per coloro che devono installare nuove apparecchiature tecnologiche, come le antenne. Per non parlare di chi non conosce bene (secondo i dettami wahhabiti) il Corano: per lo Stato Islamico questi soggetti devono pagare multe salate,  in caso contrario a loro toccheranno punizioni corporali.

Certo, lo Stato Islamico sta perdendo capacità economica interna. E lo dimostra uno studio del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, diretto dal sottosegretario David Cohen, secondo il quale nel 2014 la prima fonte di guadagno di Isis era la vendita di petrolio, commercializzato sottobanco attraverso la Turchia, il Kurdistan e la Giordania. Lo studio dimostrò,  inoltre, che all’epoca il Califfato controllava 350 raffinerie in Iraq e il 60% dei pozzi petroliferi della Siria. Oggi non è più così. Ma non si è riusciti ancora a fare del tutto chiarezza  riguardo i finanziamenti che da altri Paesi arrivano al Califfato. Su tutti i Paesi del Golfo, i quali continuerebbero a sostenere al-Baghdadi soprattutto attraverso le sadaqat, ingenti donazioni di individui od organizzazioni religiose indirizzate al Califfato.

Infatti nel 2014 il Washington Institute for Near East Policy riuscì a tracciare alcuni dei movimenti di denaro che dal Golfo finivano a Raqqa. E da quello studio emerse che Arabia Saudita, Qatar e Kuwait fossero i primi tre Paesi per finanziamenti al Califfato. E sempre secondo il Dipartimento di Stato americano tra il 2012 e il 2014 queste donazioni hanno rimpinguato le casse dello Stato Islamico per circa 40 milioni di dollari.

E il fatto che l’Arabia Saudita sia il primo sostenitore di Isis non sorprende. Tra Riad e Raqqa c’è una profonda intesa religiosa che ha origine nel XVIII secolo. Non bisogna dimenticarsi, infatti, che l’autorità politica di casa Sa’ud in Arabia si basa sull’accordo (non scritto) stipulato nel 1744 tra l’emiro  ‘Abd al-‘Aziz ibn Muhammad ibn Sa’ud ed  Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb, fondatore del wahhabismo, secondo il quale la comunità di fedeli wahhabiti avrebbe sostenuto l’ascesa al potere dei Sa’ud, solo nel caso in cui questi avessero diffuso e difeso la dottrina wahhabita.

 

FONTE  www.occhidellaguerra.it

11/04/2016

Une Femme qui connait et nomme les "choses"

https://youtu.be/6y_zB5Qmt2E

"Ne pas nommer les choses c'est ajouter au malheur du monde" Albert CAMUS

Nos respects et remerciements Madame, vous faites partie d'une minorité invisible et opprimée!!

 

06/04/2016

Perché i sunniti odiano Assad?

Perché la Siria è sotto attacco e tanti musulmani odiano Assad e gli alawiti?

Gli alawiti hanno dato vita a quella che alcuni studiosi definiscono una setta, gli imam tradizionalisti non considerano neppure islam e in realtà risulta una religione iniziatica, dai risvolti e riti segreti, noti solo agli iniziati – non dissimile dal culto praticato dai Drusi, stanziati nel Golan e in Libano.

Il conflitto in Siria scoppia nel 2011 con una serie di dimostrazioni popolari, un conflitto interno, apparentemente una guerra civile, fra il governo del Partito Ba’ath e le forze di opposizione. I dimostranti, o almeno una parte di essi, chiedevano che il presidente Bashar Assad presentasse le sue dimissioni. Il padre, Afez Assad, leader del Ba’ath, fu eletto presidente nel 1971. Buona parte dei sostenitori del presidente Assad è sciita mentre la maggioranza dei suoi oppositori è sunnita.

Nell’aprile del 2011 l’Esercito Siriano ricevette l’ordine di sparare sui dimostranti, con tutta probabilità già infiltrati da potenze straniere. Da qui iniziarono una serie di battaglie che erano il prologo di una aperta ribellione.

Le forze di opposizione sono costituite parzialmente da militari che hanno lasciato l’Esercito Siriano. Nel novembre entra in gioco il fronte islamico di Al Nusra, seguito nel 2013 da Hezbollah che si schiera con Assad e l’Esercito regolare. Russia e Iran supportano militarmente il governo di Assad. Iniziano battaglie fra sciiti e sunniti. Nel 2014 ISIS sostiene il conflitto con una forza militare imponente, USA e Francia iniziano dei bombardamenti inconcludenti e supportano militarmente l’opposizione. Nel tardo 2015 la Russia entra in forze nel conflitto e spazza il territorio governato da Isis portando le truppe di Assad a riconquistare una parte della nazione.

Il Qatar e l’Arabia saudita, però, sostengono i ribelli, l’Iran sostiene Assad.
I due Paesi arabi, però, sono Sunniti, e Salafiti, mentre l’Iran è sciita. Ma gli Assad sono alawiti, e questo rende le cose molto, molto complicate.

Il termine Alawi è quello usato dagli alawiti per definire se stessi, ma fino al 1920 erano conosciuti come Nusayri o Ansari. Il cambio di nome fu imposto dalla Francia al tempo del suo mandato, a seguito degli accordi Sykes-Picot sulla spartizione dell’Impero Ottomano, e ha una sua ragione precisa: mentre Nusayri accentua fortemente le differenze con l’Islam, il termine Alawi sottolinea invece la vicinanza religiosa con Alì, il genero del profeta Maometto, enfatizzando così le similitudini dell’alawismo con l’islam, in una chiara manovra propagandistica tesa a mantenere per quanto possibile un pacifico equilibrio fra le sette musulmane presenti nella Siria governata dai francesi che non cercavano certo di crearsi problemi etnici.

Gli Alawiti attualmente sono all’incirca un milione e trecentomila fedeli, dei quali un milione in Siria, dove rappresentano il 12% della popolazione. tre quarti degli Alawiti siriani vivono nella regione di Latakia, nel nord ovest della Siria, al confine con la Turchia.
La dottrina Alawi risale al nono secolo D.C. e deriva dai Duodecimani, un filone sciita che rigetta la dottrina tradizionale dell’islam, e pertanto vengono considerati non autentici musulmani dagli altri credenti, in special modo dai sunniti.
Alcune dottrine Alawi si ritengono addirittura derivare dal paganesimo fenicio, dalle teorie di Mazdak, riformatore persiano del 500 D.C., e dal manicheismo. L’attinenza più forte e se vogliamo, sconvolgente, vi è col cristianesimo. Le cerimonie religiose alawi vedono l’uso del pane e del vino, infatti bere vino ha un ruolo sacro nella fede Alawi in quanto esso rappresenta Dio, e così la comunione con lui dei fedeli. Questa religione vede in Alì, il Quarto Califfo, l’incarnazione della divinità, esattamente come nel cristianesimo Gesù.

Anche nella religione Alawita vi è una trinità, rappresentata da Maometto, Alì e Salman Al Farsi, schiavo persiano liberato dal profeta, illuminato seguace già cristiano dello stesso. Ancora più curioso è il fatto che gli Alawiti celebrino molte delle festività cristiane, come il Natale di Gesù, l’anno nuovo, l’Epifania, la Pasqua, la Pentecoste e la Domenica delle Palme.
Addirittura onorano molti santi cristiani: Santa Caterina, Santa Barbara, San Giorgio, San Giovanni il Battista, San Giovanni Crisostomo e Santa Maria Maddalena.

I corrispondenti nomi in arabo di Gabriele, Giovanni, Matteo, Caterina ed Elena sono comunemente utilizzati. Gli Alawiti tendono ad avere atteggiamenti amichevoli più coi cristiani che coi musulmani. Alcuni studiosi, e in particolare i missionari, hanno sostenuto che essi combinano le pratiche cristiane con quelle sciite, dando luogo a una religione fortemente affine al cristianesimo.
La dottrina Alawi viene mantenuta segreta non solo ai non appartenenti alla setta, ma addirittura agli stessi Alawiti. Al contrario dll’islam che non prevede un tramite fra la divinità e il fedele, nell’alawismo è permesso solo ai maschi nati da due genitori alawiti di apprendere le dottrine religiose, mantenute scrupolosamente segreten e non hanno luoghi di culto.
Quando ritenuti affidabili, generalmente fra i sedici e i venti anni di età, vengono progressivamente iniziati a i riti segreti, la pena della morte per chi li rivela.

Le donne generalmente compiono i lavori che gli uomini ritengono impropri per un maschio, e vengono per questo ammirate. Non sono tenute a portare il velo e hanno maggior libertà di movimento rispetto alle musulmane.
I sunniti hanno dimostrato nel corso dei secoli il loro disprezzo per gli Alawiti, che sono stati più volte massacrati. Di contro gli alawiti pregano per la distruzione dei sunniti.
Essi hanno rappresentato la parte più povera e incolta della popolazione siriana, perchè sempre tenuti al margine, nelle campagne e isolati sulle aspre montagne del nord, che hanno rappresentato per loro una prigione volontaria, che se li ha protetti, li ha anche isolati dal progresso. Questo almeno fino agli anni ’40, dopo che avevano trovato nei francesi, e nel loro mandato di governo, un rifugio sicuro. Infatti fra il 1920 e io 1936 è esitito uno Stato Alawita nel nord della Siria, una soluzione che potrebbe essere tuttora proponibile per il futuro, pacificato, del Paese mediorientale.

FONTE:www.occhidellaguerra.it