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20/08/2019

Quando il cancro maomettano colpisce l' America Latina

Negli ultimi trent’anni l’America latina è divenuta un campo di battaglia georeligiosa fra le principali potenze del globo, che stanno utilizzando la fede come un instrumentum regni con il quale espandersi nel cortile di casa degli Stati Uniti. La graduale ritirata del Vaticano da quel che era conosciuto come il “continente cattolicissimo” fino al secolo scorso non è stata sfruttata soltanto dall’internazionale evangelica con sede a Washington, ma anche dai protagonisti del mondo islamico, in primis Turchia, Iran e Arabia Saudita.

Da Città del Messico a Buenos Aires è ormai comune vedere moschee, edifici con la mezzaluna e stella islamica, e uomini e donne di origine latinoamericana, ispanoparlanti, vestiti in abiti tradizionali della cultura musulmana. Il Messico è uno dei casi studio più interessanti per ciò che riguarda i frutti della predicazione dei missionari giunti dall’estero per convertire gli autoctoni alla versione dell’islam seguita nei paesi di riferimento, anche perché si è scoperto permeabile alle infiltrazioni jihadiste.

L’arrivo dell’islam nel Chiapas

L’1 gennaio 1994 un’organizzazione paramilitare nota come l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), guidata dal subcomandante Marcos, lanciò un’insurrezione su larga scala nello stato del Chiapas per protestare contro l’entrata in vigore del North American Free Trade Agreement (NAFTA), un accordo di libero scambio siglato fra Messico, Stati Uniti e Canada, la cui implementazione aveva creato notevole opposizione nel paese.

Gli zapatisti sostenevano che l’accordo avrebbe reso la già debole economia nazionale ulteriormente succube e dipendente dai rapporti con il Nord America, favorendo gli interessi di piccoli gruppi di potere legati alla grande produzione e al latifondo a detrimento delle classi meno agiate e, in particolare, degli indigeni.

I diversi tentativi, sia militari che diplomatici, di riportare lo stato sotto il controllo del governo centrale sono falliti, consentendo all’EZLN di esercitare de facto una parziale sovranità su di esso e realizzare un sistema sociale ed economico di tipo comunistico, basato sulla condivisione, sulla proprietà comune, sul solidarismo comunitarista e sulla produzione per autoconsumo.

Nel 1995 una piccola missione di predicatori islamici guidata dallo spagnolo Muhammad Nafia si fermò sulle montagne della Sierra Madre, nella città di san Cristobal de las Casas. L’obiettivo di Nafia, al secolo Aureliano Pérez Yruela, era di sfruttare il clima di fermento culturale prodotto dall’insurrezione zapatista per creare una piccola comunità islamica.

Gli zapatisti promossero il ritorno dei chiapanechi ai culti precolombiani, scoraggiando invece la pratica del cristianesimo in quanto ritenuto un’esportazione ideologica con cui gli spagnoli avevano sottomesso il subcontinente, e diedero a Nafia il permesso di fondare una missione nella città. La versione dell’islam veicolata dai predicatori venuti da oltreoceano era considerata, infatti, il possibile corollario spirituale della causa zapatista, in quanto antioccidentale, anticapitalistica ed indigenista, perciò possibilmente utile ad arruolare nuovi adepti e soldati.

Il proselitismo di Nafia si è concentrato sulle comunità etniche maya, in particolar modo sugli tzotzil, con ottimi risultati. Sono più di 700 gli tzotzil che hanno deciso di recitare la shahada, e in molti casi la conversione è seguita dall’arruolamento nell’esercito zapatista. La tendenza si è consolidata nel tempo e, oggi, gli tzotzil sono il gruppo etnico che registra il più alto tasso di conversioni all’islam.

Le ombre dell’emiro

Nafia non è un predicatore indipendente e il Chiapas non è stato scelto per caso. L’insurrezione zapatista era stata seguita sin dall’inizio dal Movimento Mondiale Murabitun (MMM) e, dopo un’attenta valutazione, era stata ritenuta l’occasione ideale per creare un focolare islamico in quanto l’astio verso l’accordo di libero scambio era il probabile riflesso dell’insofferenza verso l’influenza maligna dell’imperialismo nordamericano nel subcontinente.

Non appena giunto a san Cristobal de las Casas, Nafia scrisse una lettera al subcomandante Marcos, presentando il MMM come un movimento di liberazione dalla tirannide capitalistica impegnato a difendere popoli oppressi nei teatri più caldi all’epoca aperti, fra cui Cecenia e Paesi Baschi. Ciò che il predicatore propose, ed ottenne, era un patto di collaborazione militare-religiosa: gli zapatisti avrebbero permesso a lui e all’organizzazione di operare nello stato, e gli indigeni sarebbero stati convertiti e quindi convinti ad arruolarsi.

In realtà, il MMM non segue alcuna agenda anti-imperialistica, ma è un’organizzazione a vocazione religiosa regolarmente registrata a Granada, in Spagna, i cui obiettivi sono la reinstaurazione del califfato nella penisola iberica (al-Andalus) e l’islamizzazione dell’Europa. La principale attività dell’organizzazione è proprio il proselitismo verso i non-musulmani, che viene sostanzialmente effettuato attraverso iniziative culturali, lezioni di religione aperte a tutti, e missioni di predicazione in paesi ritenuti culturalmente pronti a ricevere il messaggio islamico – come il Chiapas degli anni ’90.

Il MMM predica una versione fondamentalista dell’islam, per certi versi simile al wahhabismo nella sua natura intrinsecamente antimoderna, antioccidentale e alla perenne ricerca di un ritorno all’epoca d’oro islamica. Ai seguaci viene richiesta l’adozione di uno stile di vita estremamente austero e ideologizzato, poiché l’obiettivo esistenziale è l’imitazione dei puri antenati.

Il fondatore dell’organizzazione è Abdalqadir as-Sufi, nato Ian Dallas, celebre per le sue prese di posizione discutibili sul terrorismo islamico e sulla decadenza della civiltà occidentale e, soprattutto, per aver lanciato una fatwa contro Benedetto XVI in seguito alla controversia di Ratisbona.

All’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001 la comunità islamica del Chiapas iniziò a ricevere maggiore attenzione sia dalle autorità messicane che da quelle statunitensi, perché presumibilmente vicina ad organizzazioni terroristiche internazionali come Al Qaida e focolaio di radicalizzazione religiosa. Nel 2005 fu lo stesso presidente Vicente Fox a denunciare la possibile presenza di elementi qaedisti fra i musulmani chiapanechi. Altre piste investigative hanno tentato di stabilire se esistessero legami anche con il celebre gruppo terroristico basco Eskadi Ta Askatasuna e con cellule jihadiste con base in Spagna, per via di un continuo e sospetto movimento andirivieni.

Negli anni, Nafia ha acquisito grande prestigio presso la comunità islamica chiapaneca, dalla quale è venerato come massima guida spirituale e da essa è stato ribattezzato “l’emiro“, ma le indagini dei servizi segreti e le denunce degli ex adepti hanno scalfito la sua immagine e contribuito a dipingere uno scenario che potrebbe rivelarsi pericoloso per la sicurezza nazionale.

Il Centro Culturale Islamico del Messico, che opera nella capitale, dopo aver ricevuto denunce da parte di musulmani chiapanechi, ha inviato alcuni esponenti nello stato per discutere di religione con gli imam e i fedeli e presiedere ai sermoni settimanali. Ciò che è emerso è che nella piccola enclave dell’emiro di San Cristobal de las Casas vengono predicate dottrine pericolose per la convivenza pacifica fra culture e religioni, che alienano, traviano e radicalizzano i fedeli, i quali vengono costretti a rompere ogni legame con conoscenti e parenti non-musulmani, a non ricevere alcun aiuto governativo, e a non mandare i figli nelle scuole pubbliche.

Il monitoraggio delle autorità messicane ha appurato che la missione di Nafia è supportata da finanziatori con base in Malesia, Indonesia ed Emirati Arabi Uniti, e negli anni si è tentato di ridurre le capacità di proselitismo – che si sono estese all’intera America Latina – ricorrendo all’espulsione dei predicatori stranieri, spagnoli nella maggior parte dei casi.

Secondo quanto dichiarato da Ibrahim Chechev, ex collaboratore dell’emiro e oggi alla guida di un’altra comune, nel corso degli anni Nafia avrebbe iniziato a ricevere denaro da organizzazioni islamiche delle petromonarchie del golfo persico. A quel punto, gli insegnamenti, e lo stesso comportamento del predicatore, sarebbero cambiati radicalmente, convincendo Chechev ed altri fedeli ad allontanarsi.

La situazione oggi

La comunità islamica chiapaneca continua a crescere, e l’enclave dell’emiro Nafia è stata affiancata da nuove realtà, che sono il prodotto delle predicazioni di nuovi missionari e di scissioni interne avvenute nell’originale comune dell’emiro. A San Cristobal de las Casas, ciascun gruppo, fra cui uno wahhabita, ha le proprie moschee – che oggi sono 4, luoghi di ritrovo, scuole coraniche e di lingua araba, ristoranti, panifici e altri punti di aggregazione dedicati all’intrattenimento; la missione di Nafia ha anche una biblioteca.

Inoltre, i leader delle comunità si occupano anche di organizzare i pellegrinaggi a La Mecca e viaggi formativi all’estero per lo studio della lingua araba e dell’islam.

Sia Chechev che Esteban Lopez Moreno, il segretario della missione di Nafia, concordano nel vedere un futuro roseo e prospero per l’islam chiapaneco: l’influenza zapatista sta lentamente scemando e gli abitanti son sempre più insofferenti verso l’ordine di Marcos, mentre le conversioni all’islam aumentano.

Le autorità continuano a monitorare con attenzione ciò che avviene nella comunità islamica chiapaneca, come palesato dall’arresto nei giorni scorsi di Mohammed Azharuddin Chhipa, un cittadino statunitense sul quale l’Interpol aveva posto un avviso blu. Chhipa era ricercato dalla Fbi perché molto attivo nella pubblicazione di materiale jihadista in rete ed è stato arrestato a Huehuetan, al confine con il Guatemala, e trasferito negli Stati Uniti con il primo volo disponibile.

Saranno le indagini ad appurare i motivi che hanno condotto il sospetto terrorista nel Chiapas, ma già il semplice fatto che si trovasse lì, in uno stato sotto osservazione per infiltrazioni jihadiste e in cui operano predicatori radicali legati alle petromonarchie del golfo, non può che alimentare legittimi dubbi su quale sia l’attuale situazione nell’area e se l’autoproclamato Stato Islamico sia riuscito a penetrare in essa.

 

FONTE https://it.insideover.com/religioni/lenclave-dellislam-radicale-nel-cuore-del-messico.html