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27/03/2007

Mekka-Deutschland= Islamland

medium_mekka.jpgLa berlinese Porta di Brandeburgo, simbolo della storia tedesca, è sovrastata da una luminosa mezzaluna musulmana: «Mecca Germania, la silenziosa islamizzazione». A lanciare l’allarme in copertina non è la conservatrice die Welt o la tradizionale Frankfurter Allgemeine. A parlare di slittamento «strisciante» verso valori estranei alla società tedesca è l’organo ufficiale del giornalismo liberal, il settimanale amburghese Der Spiegel, bibbia della Germania che conta, più o meno un milione di copie alla settimana. E nel numero apparso ieri in edicola il titolo delle pagine interne è, se possibile, ancora più allarmante: «Ma qui è già in vigore la sharia?».

Il quesito che appassiona i giornalisti del settimanale è semplice: fino a che punto lo stato di diritto può e deve piegarsi alle richieste dei gruppi di immigrati, anche se queste fanno a pugni con i principi fondamentali di cultura e diritto occidentali? E fino a che punto può farlo senza danneggiare chi, tra quegli immigrati cerca l’integrazione, favorendo invece i fondamentalisti? A segnare le contraddizioni più profonde tra identità culturali sono state, dice il settimanale, molte decisioni della magistratura, spesso inadeguata ad affrontare la complessità della situazione. L’ultima sentenza, che ha suscitato una sorta di sollevazione dell’opinione pubblica, è anche tra le più clamorose: riguarda una donna, 26 anni e madre di due bambini, quotidianamente maltrattata e picchiata dal marito, un marocchino. Nonostante le premesse il giudice incaricato del caso ha rifiutato la richiesta di divorzio immediato presentata dalla donna, anche se l'uomo l'aveva addirittura minacciata di morte. Il motivo? Il giudice l’ha spiegato così: «Nel Corano, alla Sura quarta verso 34, è previsto che l'uomo possa punire la moglie». Un riferimento spiegato con il fatto che la coppia si era sposata con rito islamico. Il caso è estremo ma fa seguito a una serie di sentenze degne di una giurisprudenza da Paese del Maghreb.

Già dal 2002 un magistrato aveva stabilito che i dipendenti musulmani possano fermarsi a pregare in orario di lavoro (sia pure in accordo con l’azienda). Nello stesso anno un altro tribunale stabilì la legittimità del rito di macellazione islamico (in deroga alle rigidissime norme previste dalla legge tedesca). Una battaglia durissima durata 15 anni è stata quella sulle preghiere dei muezzin. Nel 1992 la Corte costituzionale stabilì un principio: i centri di preghiera islamici hanno il diritto di diffondere con gli altoparlanti le loro preghiere. Per le rituali cinque volte al giorno e a partire dal levar del sole. Qualche anno fa una cittadina dell’Assia, Dillenburg, cercò di proteggere il sonno degli abitanti ricorrendo a un cavillo: il disturbo potenziale alla sicurezza della circolazione creato dal rumore. Il tribunale amministrativo bocciò anche questo tentativo. In nome del principio di uguaglianza chi vuole far tacere i muezzin dai minareti deve emettere un’ordinanza che zittisca anche campane e campanili. Commento di Der Spiegel: «Evidentemente da queste parti il principio di uguaglianza vale anche per quelli che con l’uguaglianza non vogliono avere nulla a che fare».

Un altro caso famoso riguarda una polemica tra un Imam estremista di origine turca, Yaukub Tasci e la Zdf, il secondo canale della tv. Quest’ultima fu condannata e obbligata a togliere dal suo sito la definizione di «predicatore d’odio» usata per Tasci. Al processo fu dimostrato che durante le sue prediche l’Imam definiva i tedeschi «schifosi infedeli». Nessun provvedimento, anche minimo, fu preso contro di lui. Tutte sentenze emesse nel nome del rispetto delle differenze culturali. Che coinvolgono spesso anche minorenni.

 Abbastanza comuni sono, per esempio, i ricorsi delle famiglie islamiche contro la partecipazione delle figlie a lezioni di ginnastica (o, peggio, di nuoto) e a gite scolastiche. Di solito i ricorsi vengono accettati e le ragazze esentate, a meno che le lezioni e le gite non vengano effettuate a sessi rigorosamente separati. Il risultato, secondo le organizzazioni che si occupano di uguaglianza tra uomo e donna, è che sempre meno ragazze di religione islamica partecipano alle attività sportive o alle attività comuni delle classi. Un problema ancora da poco, sottolinea Der Spiegel, di fronte a una decisione del ministero della Sicurezza sociale che dal 2004 ha di fatto riconosciuto la poligamia in Germania. Le prestazioni del servizio sanitario, ha chiarito a suo tempo il ministero, si estendono a tutte le mogli del lavoratore che paga i contributi. L’unica condizione è che a riconoscere il diritto a più mogli sia il Paese (islamico) di provenienza.

 

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