11/01/2008
Politica e mafia: il binomio che domina l'Italia meridionale
Intervista al procuratore nazionale antimafia aggiunto Lucio Di Pietro sui legami tra il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti e le mafie
«Buttiamoci sui rifiuti: trasi munnizza e n'iesci oro». Questa celebre intercettazione di un mafioso, facilmente traducibile (Entra immondizia, esce oro), dà l'esatta misura dell'interesse della criminalità mafiosa per il business dei rifiuti. Un affare che ha preso piede, come spiega Lucio Di Pietro, procuratore nazionale antimafia aggiunto, proprio per il forte guadagno e il basso rischio, con la complicità di una legislazione soft. «Fino al 2001 - spiega il procuratore Lucio Di Pietro - si rischiavano solo qualche mese di arresto e pochi spiccioli di ammenda, visto che il traffico illecito di rifiuti era trattato come contravvenzione e non come delitto. Dunque la criminalità organizzata, che si inserisce dovunque c'è profumo di affari, trovò convenientissimo entrare nel business, tanto che alcuni clan abbandonarono il remunerativo traffico di stupefacenti per fare il loro ingresso in quello dei rifiuti». Basso rischio, soldi a palate.
Poi a Napoli fu aperto il primo procedimento contestando anche il 416-bis del Codice penale, associazione di tipo mafioso, che prevede la reclusione da 5 a 10 anni, da 7 a 12 per chi dirige l'associazione. Subito dopo i procuratori delle 26 procure distrettuali hanno iniziato a lavorare a rete, con processi impostati dal '95 su imputazioni per associazione mafiosa oltre che per traffico illecito di rifiuti e contatti continui per individuare i collegamenti fra le società. Nel 2001, poi, il Parlamento ha adottato una legge con cui il reato di gestione illecita dei rifiuti è diventato delitto e non più contravvenzione, con pene fino a 6 anni. Ora si punta all'inserimento nel codice penale del reato di associazione a delinquere finalizzata al crimine ambientale.
Accanto alle famiglie mafiose, il mondo dei rifiuti nel corso degli anni si popola sempre più di prestanome, gente senza precedenti, che agisce per conto della mafia. Un universo, descritto dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso nel corso di una audizione alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, fatto di imprese legali, rispettabili uomini d'affari, funzionari pubblici, operatori del settore dei rifiuti, mediatori, faccendieri, tecnici di laboratorio (per le analisi) e imprenditori del settore dei trasporti. Gente inserita nel mercato legale dei rifiuti che imbocca la via dell'illegalità, della simulazione, della corruzione, dell'evasione sistematica di ogni regola. «Molto spesso è stato accertato - dice Lucio Di Pietro - che i camorristi imprenditori si offrivano alle ditte del Nord di smaltire i rifiuti speciali e tossico-nocivi a prezzi stracciati, smaltendoli poi illegalmente nei territori campani».
I metodi per gestire i rifiuti pericolosi sono tanto fantasiosi, quanto criminali: i rifiuti vengono abbandonati in zone poco frequentate o nascoste, trasformandole in discariche a cielo aperto, scaricati in mare o nei corsi d'acqua, mischiati ai rifiuti urbani o spalmati sui terreni come fertilizzanti. Con tanta gente che, inconsapevolmente, si è trovata a vivere in zone ad alto inquinamento, con gravi rischi per la salute. «Le indagini hanno accertato - spiega Lucio Di Pietro - che sono stati sversati fanghi da depurazione su terreni agricoli, poi tombati, inquinando anche le falde acquifere. Terreni nei quali i proprietari erano conniventi o costretti. Nessuna attenzione al fatto che i prodotti agricoli o il foraggio poteva così essere inquinato. Sembravano campi ben concimati. Negli anni, insomma, la Campania è diventata una sorta di pattumiera gestita dalle organizzazioni criminali tramite prestanomi, prevalentemente impegnati in società di trasporto, smaltimento, stoccaggio». Poi il business nel dorato mercato dei rifiuti urbani, il che spiega perché oggi la camorra si insinua nella protesta degli onesti cittadini. «Da una parte l'interesse a strumentalizzare la protesta - spiega Di Pietro - dall'altra il tentativo di inserirsi nel nuovo business dell'eliminazione delle tonnellate di mondezza dalle strade. Addirittura nei siti tombati la camorra è già impegnata nell'inserirsi nelle bonifiche. Questa è la camorra finanziaria, la camorra imprenditrice, dove sotto prestanome operano una serie di società in tutti i settori».
La Campania risulta, secondo i dati dello scorso anno, la prima Regione in Italia in relazione alle infrazioni accertate e ai sequestri operati. Delle 42 inchieste aperte in base all'articolo 53-bis del decreto Ronchi, ben 14 riguardano la Campania e sono dirette dalle procure di Napoli, Nola e Santa Maria Capua Vetere. È la provincia di Caserta quella sulla quale si concentra di più l'interesse della camorra. Accanto a questo c'è un grosso mercato internazionale dei rifiuti, che viaggiano in Europa e solcano le acque con navi e container che partono di soppiatto per Hong Kong e distribuiscono veleni in Cina. Le bolle riportano voci tranquillizzanti, come «materia prima». Le imprese oneste e le discariche pagano per lo smaltimento di un container con 15 tonnellate di rifiuti pericolosi circa 60mila euro, mentre per lo stesso quantitativo lo smaltimento illegale d'Oriente chiede 5mila euro. Secondo Legambiente più del 90% dei rifiuti che arrivano in Cina finisce nel circuito illegale dei piccoli villaggi della costa, dove smantellamento e recupero dei materiali avviene senza precauzioni in garage, per strada o negli orti. Non è difficile immaginare le conseguenze per la salute e per l'ambiente e la portata dell'affare per i clan.
L'ultima misura, il Por (programma operativo regionale) 2000-2006, ne stabilisce 170. Alla Regione precisano che sono stati tutti già programmati e stanziati; ne sono stati spesi 110, anzi 110.414.294,52, con tanto di certificazione aggiornata al 31 dicembre 2007 e presentata a Bruxelles. Poi, entro quest'anno saranno liquidati i 60 milioni rimanenti. «Non sarà perso un solo euro di fondi comunitari», assicurano alla Regione Campania.
Ma all'insospettabile efficienza finanziaria si contrappone il disastro di linee raccolta, impianti, discariche e condizioni ambientali ormai da Terzo Mondo. Sorge allora un dubbio inquietante: che uso è stato fatto, di queste risorse? Ci sarà mai qualcuno chiamato a rispondere di finanziamenti diventati virtuali, se non surreali? In realtà somme sostanziose, in passato, sono andate anche perse. Il contributo Ue del piano precedente (1994-1999) alla fine ne ha previsti 81, dai 200 iniziali: una riduzione a causa dalla mancata approvazione del piano regionale rifiuti e il conseguente commissariamento. Lo stesso istituto del commissario, pesantemente censurato dalla Corte dei Conti, ha causato perdita di fondi europei. Nell'ultima relazione dei magistrati Antonio Mezzera e Renzo Liberati, aggiornata al 2005, si stigmatizza il fatto che su otto bandi di gara per la realizzazione di impianti di compostaggio o di valorizzazione dei rifiuti provenienti da raccolte differenziate, solo uno è stato alla fine sottoscritto. Mentre le altre sette gare sono saltate anche per i ritardi e le lungaggini della gestione commissariale, che hanno comportato la «perdita, per decorso dei termini, dell'utilizzazione dei fondi comunitari». Va peraltro sottolineato che dal 2000 a oggi il flusso di fondi comunitari destinati al problema rifiuti è stato anche limitato perché la Commissione europea ha posto, come condizione per il loro utilizzo, la fine del commissariamento.
Il danno e la beffa, insomma. La Ue ha ridotto comprensibilmente i fondi, poiché la presenza di un commissario permette l'assegnazione di contratti senza rispettare le regole europee sugli appalti. Una deroga che Bruxelles ritiene giustificabile per situazioni d'emergenza molto limitate nel tempo, ma dal 2004 ha deciso di non accettare più durante programmi di spesa pluriennale. Poi, è toccato alla Corte dei Conti far notare che questo tanto indispensabile commissario ai rifiuti non è servito proprio a un bel niente
Oggi, per il periodo 2007- 2013 la Regione Campania dispone di un miliardo di fondi Ue da destinare a progetti ambientali, non necessariamente solo per rifiuti, che potrebbero diventare due miliardi con il co-finanziamento nazionale. Per l'utilizzo di questi fondi nel campo dei rifiuti, Bruxelles è per ora orientata a mantenere la condizione della fine del commissariamento e della messa in atto di un piano rifiuti efficiente. Con questo scenario, è il minimo che possa chiedere.
Corso Secondigliano, a Napoli, è uno stradone di un paio di chilometri. I sacchetti di rifiuti e ogni genere di scarto invadono in alcuni punti anche la carreggiata stradale fino a creare strettoie che generano file interminabili di auto. Pochi metri più avanti, subito dopo il Quadrivio di Arzano, superato il Rione Berlingieri e lasciato alle spalle anche il supercarcere che costituisce il panorama per gli abitanti dei palazzoni degradati della 167, c'è Scampia, il palcoscenico di una della faide sanguinarie più efferate degli ultimi anni, quella tra il clan camorristico Di Lauro e i famigerati Scissionisti (Amato-Pagano). Qui quasi per incanto, le strade, a cominciare dalla tristemente nota via Bakù – luogo spesso scelto per regolamenti di conti tra cosche – sono quasi del tutto prive di sacchetti e rifiuti maleodoranti. Quasi del tutto, perché poi, se si imbocca una stradina senza neppure nome, prospiciente proprio via Bakù, c'è il distretto 6 dell'Asia, l'azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti a Napoli. E lo spettacolo è desolante, triste, mortificante: cumuli di rifiuti lasciati a macerare da cui spunta una bandiera dell'Italia.
Casualità o strategia precisa? Pulizia occasionale oppure organizzazione di alcuni clan che sfruttano anche questa emergenza di Napoli per affermare, rispetto ai cittadini, la propria supremazia rispetto allo Stato? Forse tutte e due. Difficile però dare una risposta netta. Men che meno averne di ufficiali. Ma per paradosso, in questa storia di ordinaria emergenza che sta mettendo in ginocchio Napoli e la Campania agli occhi del mondo, accade che andando in giro per il capoluogo e il suo hinterland - anche nei giorni caldissimi della crisi – si scoprono spesso queste "isole ecologiche" che per caso o specificamente coincidono con aree dove la presenza criminale è più forte.
Non si tratta di un teorema, non potrebbe esserlo: il caso di Pianura, dove imperano i clan Lago e Mele è emblematico e racconta una storia diversa. Quella di un quartiere per stessa ammissione degli agenti della Digos (a Napoli guidati da Antonio Sbordone), e della Squadra Mobile (capitanati da Vittorio Pisani), praticamente precluso agli uomini delle Forze dell'ordine per giorni interi, ma sommerso da tonnellate di rifiuti prima ancora di essere sito per discarica. Lì semmai, spiegano ancora gli uomini della Digos, gli affiliati dei clan hanno sfruttato l'occasione dell'emergenza per riaffermare la propria supremazia territoriale dopo che per mesi avevano perso "autorevolezza", visto che Pianura era stata al centro di iniziative volte proprio a contrastare un'azione camorristica tipica come quella delle estorsioni.
Certo fa riflettere come in via dell'Epomeo – strada che porta proprio a via della Montagna Spaccata a Pianura, il teatro degli scontri più durui di questi giorni e dove a farla da padrone pare siano i clan Leone e Cutolo che si dividono il predominio nel quartiere Fuorigrotta – i rifiuti non si sono mai ammassati.
Restano dunque troppi i casi in cui l'equazione camorra-pulizia delle strade pare confermata. Altro esempio, il feudo del clan Misso e degli altri Scissionisti (Salvatore e Nicola Torino), il Rione Sanità: pulito all'inverosimile, quasi con strade tirate a lucido. Basta uscire a sud di quel dedalo di viuzze e mercatini, per immettersi sull'importante arteria via Foria: qui, davanti alla stazione del metrò di Piazza Cavour o del Museo Archeologico, i cumuli di rifiuti sono stati addirittura coperti con teloni nel tentativo di celare lo scempio e attenuare i miasmi maleodoranti.
A pochi metri dal Rione Sanità, c'è via Duomo: anche l'immagine della cattedrale, meta continua di turisti e pellegrini, è sfregiata da montagne di rifiuti. Anche scegliendo di percorrere la zona a nord della Sanità, quella della Salita Santa Teresa, il discorso non cambia.
Quasi lindi e pinti – a differenza delle vie del centro come quella Via Medina sede della Questura dove troneggiano sacchetti e scatoloni di ogni genere – anche i vicoletti dei Quartieri Spagnoli: pure nei giorni di massima emergenza, ogni mattina le strade apparivano ripulite: da via San Carlo alle Mortelle a piazzetta Santa Caterina da Siena. In queste aree, la nomenklatura camorristica fotografata da varie indagini, attesta un dominio delle famiglie Russo e Di Biase. Per i tecnici del commissariato ai rifiuti, spiegano, la pulizia delle stradine dei Quartieri Spagnoli è quasi un obbligo: i rifiuti avrebbero completamente bloccato una serie di passaggi che costituiscono viabilità principale per collegare il quartiere collinare del Vomero al centro cittadino.
Resta una domanda: come mai altre strade con conformazione e strategicità simile (vedi il collegamento, per esempio, tra San Martino e il Vomero) sono state lasciate stracolme di rifiuti tanto da impedire la circolazione delle auto per giorni? E che dire della provincia? L'immagine offerta è analoga a quelle della città. A San Sebastiano al Vesuvio (clan Sarno), giusto per esempio, le strade sono immacolate. Non è così a San Giorgio a Cremano dove le tonnellate di rifiuti arrivano fino ai primi piani delle abitazioni.
«A Napoli la camorra viene usata come causa di tutti i mali», commenta scettico il capo della Mobile, Vittorio Pisani. «Ma io penso – aggiunge – che in questa emergenza conti più l'illegalità diffusa che la criminalità organizzata. In questa provincia il 39% della popolazione ha precedenti penali». Il ragionamento degli inquirenti semmai è un altro: la camorra, anche in questa circostanza, continua ad occupare spazi lasciati liberi dalla cattiva amministrazione. Tanto che dalla Procura azzardano un'ipotesi: una sorta di raccolta differenziata. Ma per peso di aree, potentati e clan.
francesco.benucci@ilsole24ore.com
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