07/06/2009
Obama: retorica e ignoranza in pasto alle masse
Sarebbe bello vivere nel mondo disegnato ieri da Obama al Cairo, ma il senso di realtà suggerisce che non sarà possibile. Tralasciamo le ovvie parole di apprezzamento per la volontà di pace e per il coraggio politico del presidente americano: chi potrebbe negarli. Obama ha tentato al Cairo di creare con la forza della sua magia una svolta epocale, quella in cui non esiste il conflitto fra islam e Occidente. Ne è risultato il ritratto un po’ banale di un giovane presidente buono. Obama immagina il mondo a partire dalla sua autobiografia: non a caso non ha nemmeno citato la parola terrorismo. Il presidente americano si è presentato come la prova vivente della negazione del conflitto di civiltà, un giovane uomo cresciuto senza conflitto fra islam e cristianesimo, il padre e il nonno musulmani, la madre cristiana e bianca, gli Stati Uniti il porto d’arrivo, dove anche l’islam è una componente indispensabile. Obama ha parlato un’ora intera, ma il mondo ha sentito bene solo alcune cose: la prima riguarda il tono apologetico, in fondo abbiamo principi simili, quelli dei diritti umani. Ma non è andata così.
Prima di tutto la storia dei diritti umani è saldamente ancorata all’Europa e agli Usa, non giace anche in qualche anfratto delle satrapie mediorientali pronta a saltare fuori. In secondo luogo la storia delle due culture è sempre stata conflittuale, e mentre le nostre masse lo hanno dimenticato quelle islamiche invece ne fanno la bandiera di ogni giorno, a scuola, in piazza. Non si tratta di fenomeni marginali: lo testimoniano le enormi piazze di Hamas e degli hezbollah, la determinazione dei talebani e di Al Qaida, la laboriosa strategia atomica e terrorista dell’Iran che dal 2005 minaccia prima di tutto gli arabi moderati (per poco Mubarak non veniva deposto da una recente sovversione). Il più grande problema musulmano è la guerra intraislamica, non quella con gli Usa. Gli Usa, come Israele, non sono in guerra con l’islam, ne sono attaccati. Dal ’79, attacco all’ambasciata americana a Teheran, poi Nairobi nel ’98, la Tanzania, giù fino all’11 settembre, l’islam radicale ha attaccato, mentre si creava intorno agli attacchi un consenso di massa.
Obama misura dentro di sé l’equilibrio delle sue componenti e le proietta in un universo pacificato. Fa così anche sul conflitto israelo-palestinese che ha citato prima della questione iraniana, lasciando Israele di stucco: ha ribadito la forza del rapporto con Israele, ma ha anche messo sullo stesso piano il comportamento di due popoli di cui in realtà uno ha offerto molte volte di sgomberare i territori occupati per fare spazio a uno Stato palestinese e l’altro ha fatto del rifiuto la sua bandiera. Ed è difficile immaginare che proprio a Hamas, che fa della distruzione di Israele la sua ragione sociale, la proposta di Obama di due Stati possa suonare realistica. Non lo è stata ieri quando Arafat ha rifiutato tutte le offerte, non lo è stata poco fa quando Abu Mazen ha detto no a Olmert. Oggi che c’è di nuovo? Quanto all’Iran, troppe poche parole ha dedicato Obama a quello che è oggi il Paese più pericoloso del mondo, l’islam più aggressivo e feroce. Forse è proprio la sua inconciliabilità con l’islam obamocentrico che lo ha spinto a dire che il Paese degli ayatollah può farsi la sua energia atomica per usi domestici. Risibile ipotesi. Manca lo sfondo: Obama quando parla della tolleranza islamica percorre luoghi comuni. La sua citazione della Spagna era sbagliata: Cordoba, Granada furono testimoni di eccidi musulmani di ebrei, come anche il Marocco, l’Algeria, la Libia, l’Irak, la Siria, l’Iran, lo Yemen, l’Egitto.
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