26/04/2012
Il maschio arabo-musulmano é misogino?
Mona ElTahawy è una nota giornalista egiziana-americana, una femminista. Mesi fa è stata arrestata in piazza al Cairo, picchiata dalla polizia (le hanno rotto il braccio sinistro e la mano destra) e molestata sessualmente. Nel numero di maggio-giugno della rivista americana Foreign Policy (dedicato alla sessualità) scrive un articolo dal titolo “Perché ci odiano?”: oppressioni, violenze, mancanza di parità delle donne arabe – e la ragione, secondo la giornalista, è l’odio. Mona chiede ai lettori di riconoscere che le società e più specificamente gli uomini nel mondo arabo odiano le donne. La sua è la storia di copertina, illustrata e intervallata da immagini di una modella nuda con il corpo interamente dipinto di nero ad eccezione degli occhi. Accesissimo il dibattito su Twitter, dove Mona ha 130mila followers. E in due giorni, sui blog e sulla stessa rivista Foreign Policy, molti articoli critici in risposta al suo sono stati scritti da altre donne arabe. E voi da che parte state? Quella di Mona è una denuncia che coraggiosamente si erge oltre le barriere del politicamente corretto (“smettiamola di fingere – scrive – chiamiamo odio quello che è odio”, oppure è una visione semplicistica che rafforza i peggiori stereotipi, parlando a nome di tutte le donne arabe quando di fatto ci sono visioni tra loro diverse?
Le donne che la criticano non negano affatto i problemi posti da Mona, né è lei la prima a sollevarli – dalle mutilazioni genitali ai matrimoni forzati delle minorenni, fino alla consapevolezza che la Primavera Araba per cui le donne hanno combattuto al fianco degli uomini non ha migliorato (anzi, in alcuni casi ha peggiorato) la loro posizione nella vita politica e nella società. La criticano però per le seguenti ragioni (e segnalatene altre anche voi lettori, se ne vedete):
1) Le immagini. Molte commentatrici, tra cui le giornaliste Dima Khatib (anche lei Twitstar, da 97mila followers) nel suo articolo “Amore, non odio, Mona”, e Samia Errazzouki (“Cara Mona, tu non Ci rappresenti”) si sono sentite insultate dalle foto che illustrano l’articolo – la cui scelta comunque probabilmente esula dalle responsabilità di Mona ElTahawy. Per Samia Errazouki, la copertina “degrada e insulta ogni donna che conosco che indossi o abbia indossato il niqab” (il velo che copre anche il volto ad eccezione degli occhi) e “riduce ad oggetto, esotico e misterioso, le donne arabe”. Non aiuta il fatto che Mona ElTahawy in passato si sia detta a favore del divieto del velo integrale in Francia, tema sul quale le donne musulmane sono divise. Dima Khatib, che si definisce non meno emancipata di Mona e dice di condividere i suoi sogni, dichiara di aver provato una tale rabbia da voler strappare la rivista.
2) Il Noi. Mona parla in difesa delle donne arabe e a loro nome. ”La prima persona plurale può essere usata quando si è stati eletti dal gruppo”, osserva Errazouki. Non tutte le donne arabe vedono la realtà come Mona. E non si tratta solo dell’attivista della Fratellanza Musulmana Sondos Asem, che su Foreign Policy argomenta che la violenza contro le donne possa essere combattuta proprio attraverso la religione. Leila Ahmed, docente ad Harvard scrive: “Chiaramente ElTahawy è fieramente convinta che sia la religione al di sopra di ogni altra cosa – e in particolare e in modo esclusivo l’Islam – a costituire il fulcro mortale dell’oppressione delle donne in Medio Oriente. Ed è assolutamente un suo diritto credere questo… Ma molte delle donne che hanno manifestato per diritti umani e la dignità al fianco degli uomini portavano il velo, segno, solitamente, di un impegno verso l’Islam. Forse queste donne non condividerebbero la visione di ElTahawy dell’Islam come fonte di tutti i loro guai e problemi“. Lo studioso liberale Shadi Hamid osserva che, ad esempio, in Egitto molte donne hanno votato per partiti che non appoggiano l’uguaglianza di genere e i sondaggi hanno mostrato che la stragrande maggioranza delle egiziane, e non solo degli uomini, è contraria ad una presidente femmina. Hamid sostiene che anche con la partecipazione delle donne (di alcune donne), il risultato potrebbe essere alla fine un modello di società diverso da quello occidentale.
3) Impotenza e barbarie. A chi si rivolge l’articolo? E’ visto da alcune giornaliste arabe come un appello a lettori per lo più occidentali, chiamati a salvare le donne di una regione “barara”, scrive Khatib, e ridotte allo stereotipo di “velo e imene”, che peraltro la stessa ElTahawy cita e critica nel suo articolo ma è accusata di contribuire a rafforzare.
4) “Semplicistico”. E infine, il cuore della disputa sta in quella parola: odio. Mona attribuisce l’odio ad un “mix tossico di religione e cultura”. Sul Guardian (“Gli uomini arabi odiano le donne? Non è così semplice), la giornalista Nesrine Malik la accusa di “ridurre un problema più universale e complesso ad una questione solo di genere”. Perché, ad esempio – argomenta Malek – se le manifestanti egiziane arrestate sono state sottoposte a “test di verginità” (ovvero molestie sessuali), i loro compagni maschi in detenzione sono sodomizzati. Per le autrici dell’articolo “Parliamo di sesso” sul sito Jadaliyya la “battaglia contro la misoginia” non può ignorare “le questioni politiche ed economiche che, insieme al patriarcato, producono ineguaglianze tra uomini e donne”. Emerge, forte, la questione delle priorità: lottare per le donne innanzitutto (perché “finché la rabbia contro gli oppressori nei palazzi presidenziali non verrà estesa anche agli oppressori nelle strade e nelle nostre case, la nostra rivoluzione non sarà nemmeno cominciata”, come scrive Mona)? Oppure i problemi pur gravissimi delle donne arabe vanno affrontati insieme alla povertà, all’analfabetismo, e ad altre forme di oppressione sofferte sia dagli uomini che dalle donne, come argomenta Malik?
“Le femministe di ogni religione hanno sempre dibattuto fieramente sulle ragioni chiave dell’oppressione delle donne - osserva Leila Ahmed -. E’ il patriarcato, la religione, il razzismo, l’imperialismo o l’oppressione di classe, o un misto letale e tossico di tutte queste ragioni? E le femministe non si sono trovate d’accordo neanche sulle soluzioni, come pure su contro chi si debba lottare innanzitutto per liberare le donne”.
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