25/04/2006
Avete detto......blasfemia???
In questa fase in cui sembra essere di moda indire dei concorsi per rappresentare personalità o eventi di eccezionale rilievo (Maometto, l'Olocausto), noi immaginiamo di lanciarne due. Nel primo chiediamo al nostro ipotetico pubblico di raffigurare il Corano, il libro sacro dell'islam, per molti increato e pertanto Dio stesso.
Rispondono al concorso in cinque. La prima raffigurazione ritrae il Corano circondato da due spade affilate che si intersecano con in mezzo l'ordine: «E preparate». Che introduce il versetto «E preparate contro di loro forze e cavalli quanto potete, per terrorizzare il nemico di Dio e vostro, e altri ancora, che voi non conoscete ma Dio conosce, e qualsiasi cosa avrete speso sulla via di Dio vi sarà ripagata e non vi sarà fatto torto» (Corano VIII, 60).
Nella seconda raffigurazione, su uno sfondo nero, il Corano è aperto in mezzo a un globo terrestre e dal Corano spuntano una mitragliatrice Kalashnikov, una bandiera nera e un pugno con l'indice rivolto verso l'alto, che sottintendono che tramite la violenza, il vessillo della morte e l'affermazione dell' unicità di Dio, l'islam conquisterà il mondo intero. Nella terza raffigurazione il Corano appare su uno sfondo giallo, posto al di sotto di un Kalashnikov e affiancato da un globo terrestre e la scritta in rosso: «In verità, il Partito di Dio, loro saranno i vincitori». Nella quarta raffigurazione il Kalashnikov rispunta nuovamente in mezzo al Corano aperto con sullo sfondo un sole giallo e l'ordine: «Combatteteli dunque fino a che non ci sia più sedizione, e la religione sia quella di Dio» (Corano II, 193). Lo stesso versetto coranico ricompare nella quinta raffigurazione, con versetto coranico ricompare nella quinta raffigurazione, con il Corano che esibisce il motto «Il giudizio spetta solo a Dio», attorniato sulla destra da una sciabola e sulla sinistra dal Kalashnikov.
Ebbene voi come giudicate queste raffigurazioni del Corano? Per me sono blasfeme e inneggianti alla cultura della violenza e della morte. Eppure si tratta, nell'ordine, dei loghi ufficiali dei Fratelli Musulmani in Egitto e della loro filiale palestinese Hamas, del gruppo «Monoteismo e Guerra santa» affiliato ad Al Qaeda in Iraq, dell’Hezbollah libanese, del movimento pachistano del Kashmir Lashkar-e-Taiba, del «Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento » algerino.
Passiamo al secondo concorso in cui chiediamo al nostro ipotetico pubblico di raffigurare la moschea di Al Aqsa, il terzo luogo di culto sacro dell'islam, che sorge a Gerusalemme. Rispondono in tre. Nella prima raffigurazione la moschea è al centro incastonata tra due bandiere palestinesi e sormontata da due Kalashnikov laterali che sorreggono una bomba a mano nel punto dove si intersecano le canne. Su tutto troneggia l'ordine: «Combatteteli, dunque, e Iddio li castigherà per mano vostra e li coprirà d'obbrobrio, e vi assisterà a trionfo contro di loro, e guarirà il petto dei credenti» (Corano IX, 14).
La seconda raffigurazione ritrae la moschea al centro e, in sovrapposizione, c'è un combattente con la kefiah che imbraccia la mitragliatrice M-16 con la destra e un Corano con la sinistra. Alle spalle una bandiera verde con la professione di fede nell'islam «Non vi è altro Dio al di fuori di Allah». Mentre all'interno di una cornice circolare è riportato il versetto «Ma voi non li uccideste, bensì li ha uccisi Dio» (Corano VIII, 17). La terza raffigurazione è più ardita. Dalla cupola della moschea spuntano come corna due fucili, in mezzo l'invocazione «Allah è grande », mentre in una cornice circolare è impresso il versetto «Ma quelli che lotteranno zelanti per Noi, li guideremo per le nostre vie, e certo Dio è con coloro che operano per il bene» (Corano, XXIX, 69). Ebbene voi come giudicate queste raffigurazioni della sacra moschea di Al Aqsa? Per me sono blasfeme e inneggianti alla cultura della violenza e della morte. Eppure si tratta, nell'ordine, dei loghi ufficiali delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, delle Brigate Ezzeddin Al Kassam e della Jihad islamica palestinese.
Tuttavia nessun musulmano si è finora sentito offeso e ha protestato per questa profanazione del Corano e della moschea sacra di Al Aqsa. A nessun musulmano è passato per la mente di sporgere denuncia presso i tribunali di Gaza, Il Cairo, Beirut, Islamabad o Algeri. Ecco perché non convince l'ondata di violenza su scala mondiale contro le vignette che offenderebbero Maometto. I musulmani prima di scagliarsi contro la Danimarca, dovrebbero combattere la blasfemia a casa propria.
Magdi Allam
19 febbraio 2006
Corriere della Sera
COMMENTO PERSONALE : Concordo pienamente con Magdi Allam sul fatto che l’ipocrisia regna nell’universo islamico.
Tuttavia non sono affatto sorpreso che nessuno si sia mai alzato per protestare contro l’associazione fra simboli musulmani (corano, moschee, ecc) e armi da taglio o da fuoco, quando essa emana da gruppi islamici.
Semplicemente perché ogni buon musulmano praticante sa che il corano rigurgita di versetti inneggianti allo sterminio ed alla sottomissione degli “infedeli”.
Applicare la presunta "parola di Allah", dargli una raffigurazione, non é dunque blasfemia in terra d'islam.
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24/04/2006
Adel Smith
Adel Smith,
dalla conversione
alla setta dei nazi-
islamici
di Dimitri Buffa
|
Per Emilio Smith, in arte Adel, il quarto d'ora di celebrità che lo trasforma in personaggio famoso da famigerato quale era stato fino a quel momento avviene il 7 novembre 2001: Bruno Vespa lo invita a Porta a porta, presunto salotto della politica italiana, anzi terza camera del parlamento come suggeriscono sia gli adulatori sia i detrattori. Smith davanti a milioni di italiani definisce il crocifisso presente nei luoghi pubblici «un cadaverino». Da quel momento tutti i Vespa in sedicesimo cominciano a contenderselo per comparsate di sicuro effetto in talk show più o meno improbabili. In tv nazionali o locali. E' ancora enorme l'impressione per l'attentato alle Torri gemelle e uno che le spara grosse in tv fa sempre colpo. Meglio di uno strip tease. E lui non si fa pregare. E ripete il numero del cadaverino una moltitudine di volte. Due giorni dopo, il 9 novembre, si presenta con un furgoncino davanti alla Moschea di Roma di venerdì il giorno di preghiera. Crede di avere fatto colpo con la comparsata da Vespa e comincia a fare propaganda integralista di fronte alla Moschea. Viene cacciato in malo modo, come riportano alcuni lanci di agenzia di quel giorno. E si capisce anche il perché: la Moschea di Roma esprime l'Islam istituzionale, quello pagato dall'Arabia Saudita. E lì i fondamentalisti che vengono finanziati non sono gli esibizionisti ma quelli che sanno tramare nell'ombra. Come i Fratelli musulmani dell'Ucoii di Baha Grewati. Negli ambienti dei musulmani italiani la parabola esistenziale di Adel Smith e del suo “partito islamico”, altrove chiamato “unione musulmani d'Italia” (che i maligni dicono essere formato da 1 presidente, 1 segretario e 1 aderente, cioè la guardia del corpo, tale Zucchi, con passato nella sinistra extra parlamentare filo terroristica di sinistra) è bene conosciuta da anni. Adel Smith nasce in Egitto da padre scozzese, la cui famiglia viveva da tempo in Italia, e da Mona, una contadina egiziana della provincia di Alessandria. Il padre di Smith, di professione architetto, conosce a Roma colleghi che lavorano per il re Farouk, e costoro lo fanno assumere come progettista ed arredatore di palazzi reali e governativi. Si trasferisce in Egitto e dopo anni di convivenza, quando rimane incinta sposa una donna di oltre vent'anni più giovane di lui. Per farlo legalmente si converte all'Islam e assume il nome di Muhammad al-Mahdi. Fa però battezzare Smith e poi una seconda figlia, e li educa in una scuola italiana di Alessandria d'Egitto. Non registra però l'avvenuto matrimonio in Italia, paese di cui è cittadino, e chiama Adel “Emilio”. Farouk è però spodestato da Nasser, il quale chiude poco dopo con l'Occidente per avvicinarsi all'Unione Sovietica. Gli occidentali vengono cacciati, specie quelli legati al vecchio regime. Il padre di Adel torna in Italia con moglie e figli, e vi muore. Smith è ancora un bambino. Da ex privilegiato, si ritrova immigrato percorrendo la nota strada che porta dalle stelle alle stalle. Smith riesce a farsi mantenere come factotum da alcuni amici arabi e, essendo a differenza di loro, sia arabo che italiano di madrelingua, può aiutarli nei commerci, nella traduzione di documenti, e anche nell'entrare in contatto con donne italiane interessate al matrimonio con egiziani. Sposa anche lui un'italiana, ma l'abbandona durante il viaggio di nozze in Spagna, per instaurare una relazione con una marocchina. Nel frattempo uno dei suoi amici più stretti Atef Mohammed, fa il colpo grosso: si fa assumere come impiegato in una agenzia di viaggi nei pressi di S. Giovanni, quindi si fidanza con la proprietaria e la sposa. Appena due anni dopo, la donna muore in un incidente aereo, trasformando un immigrato alessandrino in un imprenditore che crea convenzioni con l'ambasciata per i viaggi in Egitto, e poi si accorda con la Rabitah saudita, diventando il referente ufficiale per il pacchetto “pellegrinaggi a Mecca” da Roma. Ovviamente Smith, che lo aveva aiutato all'inizio, viene ora mantenuto da Atef. Smith è in quel periodo un personaggio sempre molto irascibile, tende a litigare con tutti anche per sciocchezze, ma non ha ancora sviluppato interessi per la religione. Il primo problema nasce con un altro egiziano amico di Smith e Atef, sposatosi con una tunisina. Mentre l'egiziano fa il camionista, e quindi è spesso assente da Roma, la moglie tunisina inizia a ricevere visite dei Testimoni di Geova, poi si converte. L'egiziano, che parla male l'italiano, chiama Adel in aiuto. Ciò fa nascere in lui un odio mortale per i Testimoni di Geova. Sempre finanziato da Atef, inizia a studiare manuali americani (prodotti dalle chiese evangeliche tradizionali) su “come rispondere ai Testimoni di Geova usando la Bibbia”. Il suo amico Atef non è certo un integralista, ma ormai è nel giro delle ambasciate e organizza i pellegrinaggi assieme alla compagnia aerea saudita. Frequenta quindi la sede provvisoria della Moschea di Roma in Via Bertoloni (il complesso di Monte Antenne era ancora in costruzione) e vi porta anche Smith, che diviene intimo dell'allora Imam Ismail Nur el-Din, anch'egli egiziano, offrendosi di fargli gratuitamente da interprete. Frequentando la moschea scopre le videocassette di Ahmed Deedat, un predicatore islamico sudafricano che per primo ha copiato il metodo delle “telechiese” americane, e che è diventato molto popolare per alcuni libretti di propaganda . Smith sogna allora di fare anche lui “dibattiti col clero sulle contraddizioni della Bibbia”, e inizia a contattare le varie ambasciate arabe sperando di ricevere fondi per i dibattiti ed i libri, ma agli ambasciatori tutto interessa fuorché mettersi in urto col Vaticano prima ancora della inaugurazione della Grande Moschea di Roma. Gli unici finanziatori che trova sono Salim Dawiullah, un “uomo d'affari esperto in petrolio” legato all'ambasciata libica, che però dopo un po' lo scarica considerando “uno che non sta bene” e “troppo fanatico”, e Nagib Billami, un algerino seguace di Abdul Majid Zindani, un capo dei fratelli musulmani che aveva clamorosamente rotto coi sauditi e si era schierato al fianco di Saddam Hussein. All'epoca però Billami è molto inviso all'Ucoii, sia perché considerato seguace di un “traditore della fratellanza” (poi è rientrato nei ranghi, e diventato parlamentare nello Yemen), sia perché aveva aperto un piccolo ufficio a Castiglion Fibocchi e lo aveva chiamato “Associazione Islamica della Toscana” auto attribuendosi il titolo di “Imam della Toscana”. Dopo che ha rotto con Smith, Billami è diventato un dirigente di Hamas algerina, e per anni è stato membro del direttivo Ucoii. Con i pochi finanziamenti che riceve da Atef, da Dawiullah e da Billami, Smith all'epoca affitta delle sale per conferenze. Invita ignari ecclesiastici, dicendo loro di essere un laico che vuole discutere con un biblista sul tema “La Bibbia è parola di Dio o parola dell'uomo?”. In un caso affitta persino una sala in Vaticano. Nel 1990 Smith riesce a discutere pubblicamente col francescano padre Giulio Basetti-Sani (il teologo secondo cui “il Corano è una preparazione dei musulmani all'accettazione del cristianesimo”), col famoso biblista cappuccino padre Ortensio Da Spinetoli, e persino con il gesuita padre Thomas Michel, allora responsabile del Office for Islam della S. Sede (Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso). Insomma, siamo all'estate del 1991e Smith ha alfine ottenuto quel che voleva , riuscendo a trascinare in un dibattito persino il rappresentante ufficiale del Vaticano. Potrebbe riposarsi, ma nel frattempo ha problemi in Italia per via della ex-moglie. Dice ai suoi protettori di “voler andare in vacanza al mare assieme alla nuova moglie”, e chiede i soldi per noleggiare un camper per un mese. Billami e Dawillah pagano. Poi all'ultimo momento dice di essersi accorto “di non aver fatto la revisione della patente”, e chiede a Billami la cortesia di firmare a suo nome il noleggio. Preso il camper, si dirige verso il confine yugoslavo, poi va in Bosnia. Di quel camper non se ne saprà più nulla con grande scorno del sedicente imam della Toscana. Nei Balcani Smith fa dei soldi. Come rimane un mistero. Fatto sta che acquista, sempre a Durazzo, la tipografia editoriale La Luce, quella che ancor oggi pubblica i suoi deliranti libri . Quasi nessuno si fida di lui, eccetto l'ex braccio destro di Freda, il professor Claudio Mutti di Parma, principale ideologo del neonazismo italiano contemporaneo. Che nel 1979 diventa subito filo-khomeinista e si converte all'Islam. Ma gli Iraniani non gli danno spazio proprio in quanto allora cercavano contatti soprattutto con la sinistra extraparlamentare. Deluso dall'Iran, Mutti incontra lo scozzese Ian Dallas, un ex-attore comico che ha fondato i Murabitun, un'organizzazione per “soli europei” che ha una terminologia islamica ma la cui dottrina è fondamentalemente neonazista. Ora a partire dall'inizio degli anni ottanta, l'ex fondatore dei nazimaoisti Mutti diventa il responsabile per l'Italia della setta dei nazi-islamici Murabitun, e scrive il manifesto del gruppo, intitolato appunto “Islam e Nazismo”. Quando Smith torna in Italia dalla ex Yugoslavia, Mutti praticamente decide di utilizzarlo come stampatore per tutta la sua rete: decine e decine di ristampe anastatiche in più lingue, per esempio di testi nazisti (teoricamente ancora illegali in Austria e Germania, eccetto che nei negozi d'antiquariato), libri ancora richiesti sul mercato ma esauriti dagli editori, testi di case editrici scomparse, e poi tutte le fanzine e rivistine dell'estrema destra antisemita, italiane, francesi, tedesche, olandesi, inglesi, ma anche russe. Smith stampa tutto per Mutti, e Mutti fa in modo che l'ex responsabile dei Murabitun per Roma, Massimo Zucchi, divenga il discepolo di Smith, addirittura si licenzi dal lavoro di materassaio, e porti in giro per tutta Italia Smith a distribuire libri, a litigare ai convegni dell'Ucoii, a fare comizi. L'anno scorso quando Smith scrisse il pamphlet “L'Islam punisce Oriana Fallaci”, sarà proprio Zucchi a distribuirlo libreria per libreria. Nel 2000 Smith è invece a Roma, scrive al Papa di convertirsi all'Islam perché è vecchio e rischia di andare all'inferno. Poi d'improvviso, la geniale trovata: Smith, Zucchi e la moglie italiana di un marocchino amico di Smith (a questo si riduce tutta l'organizzazione, come del resto si è visto benissimo nella recente rissa televisiva) decidono di fondare “l'Unione Musulmani d'Italia”, detta anche “Partito islamico”. Sempre questi tre prendono una stanza d'albergo a Milano e mandano un fax ai giornali: «Siamo oltre cinquemila, ci presenteremo alle elezioni». Subito in prima pagina su Il Giornale, poi da Vespa. Da quel momento in poi è diventato una celebrità. |
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Le droit occidental, la femme et la charia
La loi de 1975 a indigné les Marocains qui ont engagé la négociation pour conserver à leurs ressortissants émigrés « les principes fondamentaux de leur identité nationale ». La France, elle, voulait préserver l’éfficacité des décisions de garde de la mère française issus de couples mixtes, décisions non reconnues au Maroc, puisqu’elles entravent l’exercice de la tutelle paternelle sur l'enfant, exposé à être éduqué dans une religion autre que celle du père. Un climat d’ouverture régnait avant même la signature de l’accord en 1983 (Arrêt Robbi, 1983). Ainsi deux époux marocains mariés au Maroc s’installent-ils en France ; le mari demande le divorce, et la femme forme une demande reconventionnelle. Le mari évoque alors une répudiation « préventive » intervenue au Maroc à l’insu de sa femme, sept mois avant que le divorce ne soit prononcé. La Cour de cassation consacre cette répudiation (discrimination, unilatérale et parfois foudroyante) comme forme de divorce, ce qu’entérinera la Convention franco-marocaine dans son article 13. Le juge français s’est contenté pendant quelque années d’invoquer bien timidement l’article 5 du protocole n°7 de la CEDH (du 22 Novembre 1984 qui garantit « l’égalité de droits et de responsabilité de l’homme et de la femme lors de la dissolution du mariage ") pour vérifier l’absence de fraude, le respect des droits de la défense et les garanties pécuniaires. Car souvent le mari paralyse toute action introduite en France en vue de le faire contribuer aux charges du ménage, au-delà d’un « don de consolation » et de la pension alimentaire limitée à trois mois par la Mouddawana.
En 1990, une femme marocaine, et française depuis 1987, entreprend une procédure en divorce contre son mari, naturalisé français lui aussi et résidant en France, qui la répudie en 1988, depuis le Maroc. Le Tribunal de grande instance de Paris accepte l’application de la convention, c’est-à-dire que la répudiation produise effet en France « dès lors que la femme ne s’oppose pas à l’accueil de cette décision » (En 1993 le Maroc adapte la Mouddawana à la nouvelle situation : présence des deux époux, deux témoins, etc.). Mais la Cour de cassation se prononce différemment, insistant sur le rattachement au domicile ( pour le juge marocain, le « domicile conjugal » au Maroc où il peut intenter une action en « réintégration du domicile conjugal ») en matière de statut personnel et sur l’autonomie des personnes qui ont choisi de devenir françaises. On peut déplorer cette discrimination avec les Marocaines résidants en France, mais il semble naturel de prendre en compte la volonté pour les doubles-nationaux de choisir le système qui leur convient le mieux, solutions qu’ont plus ou moins institutionnalisée les Pays-Bas, l’Allemagne et l’Espagne. ( Commentaire : bien évidemment nous ne partageons en rien cette dernière remarque. Outre que sur notre sol c’est-à-dire en terre d’Occident seules les lois et valeurs occidentales doivent avoir droit de cité, il est assez inquiétant qu’une personne ayant obtenue la nationalité française préfère malgré cela se soumettre à une loi inique et humiliante. On peut se demander alors en quoi cette personne est française et porteuse des valeurs de l’Occident. L’auteur oublie en outre la pression de l’entourage qui s’exerce sur la personne et qui ne lui laisse parfois aucune véritable alternative que de se soumettre à la loi et la coutume mahométane).
Puis 1997 marque une revirement complet : la Cour considère désormais que la répudiation est contraire à l’ordre public en général non plus pour des raisons de procédure, mais parce qu’elle heurte le principe d’égalité des droits et responsabilités des époux.
Ainsi au Maroc, tous les musulmans quelle que soit leur nationalité – même une Française convertie à l’islam - sont soumis au droit musulman.
Pour conclure deux bonnes surprises…
La première nous vient de l’autre rive. Une Marocaine demande le divorce de son mari tunisien ; la Cour de cassation tunisienne écrate la loi marocaine en ce qu’elle est inégalitaire, attribuant des prérogatives unilatérales au seil époux. Pour le juriste Ali Mez, « la jurisprudence française pousse trop loin le prétendu respect des civilisations étrangères !
Elle méconnaît le respect des droits à la défense, la fraude à la loi, le principe d’égalité entre les sexes…il est difficile d’exclure les ex-cultures coloniales au nom de leur identité nationale du mouvement universel des idées ». Toniques remontrances !
La seconde vient de Libération (4 décembre 2001) qui titre : « une répudiation prononcée en Algérie est déclarée conforme à l’ordre public international. » La Cour de cassation, au motif qu’une mère algérienne a reçu des subsides, a été représentée, etc., l’a renvoyée, elle Algérienne de France, à sa condition d’inférieure, telle que le consacre son Code national. La Cour a consacré sa répudiation et son humiliation, enragent sa fille Léïla et ses sœurs blessées, qui s’apprêtent à déposer un recours devant la Cour européenne. La France a toutes les chances d’être condamnée au nom de l’article 5 du protocole n°7 L’espoir de la mise à l’écart progressive de toutes les règles du droit musulman serait anéanti, redoute leur avocate ! La Cour serait devenue sensible au relativisme culturel en vogue dans certains milieux judiciaires, conclut Libération que nous ne savions pas assimilationniste à ce point.
Le fameux article 5 ne garantit pas seulement l’égalité de droits de responsabilité des époux lors de la dissolution du mariage, mais encore entre eux durant le mariage, ce qui ne peut que boulverser les solutions admises en matière de polygamie, d’autorité parentale, de filiation naturelle surtout, qui sera la difficulté à l’ordre du jour demain éventuellement pour Leilia et ses sœurs. Heureusement pour elles, hier la mère algérienne vivant en Farnce ne pouvait pas intenter une action en recherche de paternité pour son enfant, algérien comme sa mère, puisque le juge français devait appliquer la loi algérienne qui prohibe cette recherche. La Cour de cassation ayant jugé que « les lois privant un enfant français ou résidant habituellement en France du droit d’établir sa filiation doivent être refusées », elle peut le faire depuis 1993. En sera t-il toujours ainsi ?
L’Avenir des filles…
Aurons-nous un jour un Code de statut musulman comportant la dévalorisation du témoignage de la femme devant un tribunal, la demi-part d’héritage pour les filles, l’indignité successorale du non-musulman, l’interdit à la femme musulmane d’épouser un non-musulman ?
La question nous est posée de manière récurrente. (Commentaire : et le fait même que nous puissions nous la poser sérieusement est en soi assez symptomatique ).
Dans le style de Tariq Ramadan, cela se dit « œuvrer pour une meilleure harmonie entre la personnalité musulmane et le paysage occidental » ; M. Bechari, vice président du CFCM, évoque des « légitimes revendications d’un droit d’une cultuire propre aux musulmans en France » (Commentaire : musulmans en France, vous aurez noté et non pas de France).
Le Centre européen de la fatwa et de la recherche, basé à Londres, recommande aux musulmans européens dans son Syllabus musulman d’œuvrer inlassablement pour obtenir l’exercice de tous leurs droits relatifs à l’organisation de leur statut personnel en matière de mariage, de divorce et d’héritage.Tariq Ramadan nous suggère quelques précisions pratiques concernant la fille dont l’héritage égale la moitié de celui de son frère : « Le principe se comprend par rapport à la conception de la famille en islam où l’homme doit supporter totalement les charges financières d’entretien de sa sœur et de la famille. Mais l’appliquer à la lettre sans mesure compensatoire dans une société complètement déstructurée produit immanquablement une discrimination terrible. Le texte visait la justice, son application aveugle peut devenir injuste, il faut donc revoir son application pour être fidèle au principe de justice et proposer une allocation compensatoire versée par l’Etat » AFDHI : allocation à la fille défavorisée par l’héritage en islam en quelque sorte. Progressive ou forfaitaire ? (Commentaire : notez la sémantique ramadienne. Il n’y a pas condamnation du principe lui-même de cette discrimination mais proposition d’aménagement au sein d’une société destructurée, comprenez occidentale – c’est-à-dire décadente du point de vu de la morale islamique. Et notez bien qu’une société non destructurée est bien évidemment selon Ramadan une société… islamiquement correcte…).
Comment le laissent présager les considérations d’Ali Mezghani, le jour n’est pas venu qui verra l’harmonie juridique régner entre musulmans de soixante-dix pays différents. Quoi qu’il en soit, nos règles communes ne précèdent pas la volonté des hommes, mais en procèdent, selon la belle expression de Marcel gauchet.
Tariq Ramadan et d’autres revendiquent régulièrement « le droit des sociétés majoritairement islamiques de rester fidèles à leurs sources et de penser une organisation qui convienne à leur identité ».
Et bien, il nous faudra voter, sans écouter ceux qui à la manière de Louis Veuillot parlent de la tyrannie majoritaire , quand ils sont minoritaires, et du respect de la majorité là où ils sont majoritaires.
On ne peut sacrifier l’avenir des filles à l’enfance des mères.
(Commentaire : une conclusion quelque peu ambiguë. Il est évident que la stratégie islamique en Europe est de devenir grâce à l’immigration et la démographie une force demain – je dis bien demain, pas après demain- majoritaire. Mais, de notre côté, bien évidémment, nous ne saurions accepter le suicide des valeurs et de la civilisation occidentale quand bien même les vecteurs de ce suicide seraient élus par des élections démocratiques. Nos lois et valeurs ne sont pas négociables.
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Indignazione a corrente alternata
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