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30/11/2015

Il sultano Erdogan si vendica per i suoi camion cisterna

“Fra i 520 camion-cisterna inceneriti dall’aviazione di Mosca, “circa un quarto erano di una società di facciata finanziata dalla famiglia Erdogan, ed alleata all’ambiente della criminalità organizzata turca (una delle mafie più pericolose del pianeta) e le sue ramificazioni

Riporto questo retroscena da un sito, Strategica 51, che pare una emanazione di qualche servizio segreto. Valga quel che vale, ma ormai il coinvolgimento della famiglia Erdogan nel traffico di petrolio di Daesh è ammesso anche dai media mainstream.

Bilal Erdogan, 35 anni, terzo figlio del presidente turco, laureato in Usa, è concordemente indicato come il mediatore che trasporta il petrolio e gli altri beni (fosfati eccetera) che l'ISIS ruba a Irak e Siria ai mercati europei e internazionali, lucrando nell'affare centinaia di milioni di dollari.


Bilal possiede diverse compagnie di navigazione, che hanno i loro propri moli a Beirut e nel porto turco di Ceyhan e dove il greggio rubato viene venduto per conto di Daesh, quasi alla luce del sole, a compagnie europee con cui il Figlio ha firmato contratti, diciamo, regolari. Queste compagnie inoltrano la merce a paesi asiatici, specie il Giappone.

Il presidente Erdogan ha naturalmente sostenuto che il commercio internazionale del figlio prediletto non ha nulla di illecito; sicché finché il Papà resta sulla più alta poltrona di Ankara, Bilal è immune da ogni guaio giudiziario. D'altra parte, la compagnia maggiore di Bilal, la BMZ Ltd, "è una ditta di famiglia in cui vari parenti stretti del presidente detengono quote azionarie, ed è in grado di ottenere fondi pubblici nonché finanziamenti illeciti dalle banche turche": così Gürsel Tekin, vice-presidente del partito turco d'opposizione CHP in una recente intervista.

Magari è per questo che Sumeyye Erdogan, la figlia (educata a Londra), gestisce un ospedale da campo proprio a ridosso del confine siriano, dove camion dell'esercito turco portano ogni giorno carichi di jihadisti di Daesh feriti da rimettere in piedi e rimandare a fare la guerra santa ed ottomana contro Assad.

L'agosto scorso i curdi dello YPG hanno catturato un ventiquattrenne turco di Konia, Ramazan Başol mentre cercava di unirsi ai guerriglieri di Daesh. Egli ha raccontato di essere stato arruolato e spedito dalla setta islamista ‘İsmail Ağa, notoriamente vicina a Erdogan.

Del resto sono i Lupi Grigi che combattono in Siria contro Assad. Alparsian Celik s'è vantato di aver sparato coi suoi uomini al pilota russo mentre scendeva col paracadute; è il figlio di uno storico esponente dei Lupi Grigi, Ramadan Celik.

Thierry Meyssan, accusa Erdogan di "aver organizzato il saccheggio della Siria, smantellato tutte le imprese di Aleppo (la capitale economica) rubando fino le macchine utensili. Ha spacciato i beni archeologici per i quali ha allestito un "mercato" internazionale ad Antiochia". E non basta: "Con l'aiuto del generale Benoit Puga, capo dello staff dell'Eliseo, ha organizzato l'operazione false-flag il cui scopo era provocare l'intervento NATO: le bombe chimiche di Ghoutta, Damasco, dell'agosto 2013, di cui furono accusate le forze di Assad".

Ve la do per quel che vale, giusto per far capire che gioco gioca Hollande. Anzi secondo Meyssan è stato Alain Juppé, ministro degli Esteri, a convincere Erdogan — attraverso l'allora collega Davutoglu agli Esteri — di attaccare il regime di Assad, promettendogli un sostegno francese all'accettazione della Turchia come membro della UE. Era il 2011. Erdogan all'inizio esitava. Poi l'appetito gli è venuto mangiando. Adesso sogna di ritagliarsi una zona della lacerata Siria e di distruggere i curdi e la loro speranza di costituirsi uno stato curdo fra Siria, Irak e Turchia. Una parte dei neocon americani gli ha tenuto bordone, promuovendo la sua idea di creare una "no fly zone" nel territorio che avrebbe poi annesso alla Turchia, per farne un santuario per i terroristi: il generale John Allen capo diplomatico della pretesa coalizione "anti-ISIL" lo stava facendo, ha dovuto essere richiamato all'ordine da Obama.

Ciò spiega la voce, insistente, che per anni sono stati i servizi francesi ad avvicinare giovani francesi di famiglia musulmana, spesso piccoli delinquenti comuni, e convincerli a riscattarsi andando a combattere per Daesh…anzi, non si escludano i servizi belgi, tradizionalmente in ottimi rapporti coi colleghi del DGSE. Secondo Strategika, Salah Abdeslam, il ricercatissimo dal governo belga come uno degli attentatori di Parigi, un giovanotto nato nel 1989 a Bruxelles da genitori marocchini, fu "avvicinato" da almeno due agenti reclutatori per conto della Sureté belga."Aveva anche, a sua insaputa, un agente ‘formatore' uscito dallo stesso ambiente sociale, che lavorava per il SGRS (i servizi militari belgi), dunque con altri servizi interessati specialmente a un flusso migratorio in zone di conflitto per ragioni inconfessabili".

Ve la do per quel che vale. Anche se questa indiscrezione di servizi (russi? Algerini? Marocchini?) spiegherebbe benissimo la gigantesca e molto affannosa caccia all'uomo organizzata dal governo belga nella stessa capitale, così come le cacce all'uomo contro i fuggiaschi terroristi organizzate dai francesi: devono essere presi ed ammazzati tutti, perché non si mettano a raccontare da chi è veramente nutrito Daesh?

"Se i russi non avessero preso in contropiede i progetti di Washington nel Levante — dice il sito — non si sarebbero dovuti subire attentati kamikaze un po' dappetutto (in Europa) perché a giocare col fuoco…anche Londra con Parigi rioschia di vedere i suoi piccoli contingenti creati per la guerra di procura tornare a seminare il casino a colpi di cinture esplosive. Da cui la necessità di creare un ministero della Paura Permanente, utile al controllo sociale negli anni prossimi".

Vi lascio questa enigmatica conclusione per quel che vale. Insieme con l'ultima delle notizie del sito: ricordate l'attentato — con presa di ostaggi —all'hotel Radisson Blu di Bamako? Un attentato "islamico" senza dubbio, infatti rivendicato da Al-Morabitun, un gruppo vagamente collegato ad Al Qaeda. Ma molto professionale e con qualche stranezza: i terroristi sono arrivati su un'auto con targa diplomatica, e si sono concentrati "sul settimo piano", dove era in corso una riunione importante, ed hanno trucidato meticolosamente personaggi come l'addetta del Dipartimento di Stato Anika Ashok Datar (origine indiana), un belga che lavorava per il Parlamento belga, e un israeliano…la cui morte è stata confermata da Sion, senza farne il nome. Come non sono stati resi i nomi dei francesi partecipanti alla riunione e vittime.

Commento di Strategika: "Mokhtar Belmokhtar (1) sembra essere stato benissimo informato. Come ha saputo che il Capo di una delle direzioni dei servizi esteri algerini (DDSE-Direction de la Documentation et de la Sécurité Extérieure) in compagnia di una delegazione civile e militare di alto rango al Radisson? In casi simili l'Algeria avrebbe dovuto inviare il suo "servizio-azione"; ma il servizio è stato smantellato quest'anno e i suoi membri invitati a tornare nell'esercito regolare in seguito a una piccole guerricciola interna". In Algeria!

Ve la do per quel che vale. Giusto per far intuire quali grovigli di doppiezze, contorte relazioni, false amicizie e luridi contorcimenti siano in atto per distruggere la Siria. Non ci sarà mai una pace senza una gigantesca operazione-verità in questa matassa dove non si capisce più qual è il filo, chi combatte per chi. Non ci sarà mai.

Oggi, il Corriere intervista per ben due pagine John Bolton — ebreo, neocon, che fu ambasciatore all'Onu ai tempi di Bush jr., quando i neocon guidarono la superpotenza per Sion — e Bolton propone che cosa? "Uno stato sunnita per battere l'ISIS": Ossia: uno stato dell'ISIS per battere l'ISIS. Bolton naturalmente concede che nella Siria smembrata vi sarà un "Alawistan", una stretta striscia sulla costa con il porto russo di Latakia e Tartus", dove forse potrà sopravvivere Assad; poi un "Kurdistan" ritagliato da Siria e Irak (Israele gliel'ha promesso, ai curdi) e un "Irak sciita" diviso dal "Sunnistan", la parte del leone, in mano al Califfato. Insomma è  pari pari il piano Kivunim, lo smembramento degli stati attorno ad Israele secondo linee di frattura etnico-religiose. Nel groviglio inestricabile, questo capo del filo almeno è chiaro. Il piano Kivunim si sta realizzando, fra fiumi di sangue e di odio.

Articolo originariamente pubblicato su maurizioblondet.it

29/10/2015

Chantage à l'image

On m’a proposé de participer à l’émission Infrarouge de la Télévision suisse romande le 8 septembre pour débattre d’une brûlante question d’éthique : la diffusion de la photo du petit noyé Aylan Kurdi échoué sur une plage. J’ai dû décliner à cause d’un voyage, mais j’ai rarement autant regretté de ne pas pouvoir m’exprimer sur un sujet. Ne pouvant le faire en télévision, je résume ma position par écrit et en deux mots : outrage et manipulation ! En voyant la photographie de cet enfant, j’ai senti comme tout un chacun mon menton se mettre à trembler. La position du corps, les petits vêtements, les petites chaussures aux semelles arrondies : tout était rondelet, mignon, enfantin, tout appelait la caresse et la protection. Et tout était mort ! Comme l’a dit un écrivain, on a envie d’entrer dans l’image et de retourner ce corps, de le ramener à la vie. Cette photographie est une perfection. Elle remue nos instincts les plus sacrés. Elle donne un visage à la tragédie du Moyen-Orient chassé de ses foyers, tout comme le sourire candide d’Anne Frank incarne la Shoah, comme la grimace de douleur de Kim Phuc, la fillette brûlée au Napalm résume le désastre du Vietnam.

Elle dit tout, cette photographie. Tout, sauf l’essentiel. Elle nous fait oublier la nature du rapport entre la tragédie de cette famille syrienne échouée en Turquie et notre culpabilité, à nous, citoyens européens, cette culpabilité qu’elle sert pourtant à attiser. On nous la flanque à la figure pour nous faire baisser la garde, à nous, non à ceux qui sont directement responsables de la mort d’Aylan Kurdi. Comme si l’on avait imputé la mort d’Anne Frank au manque de solidarité des habitants d’Amsterdam en omettant de mentionner qu’elle était expressément traquée par un État tiers, l’Allemagne, et l’idéologie meurtrière qui s’était emparée de cet État, le nazisme. Le père d’Aylan avait vu onze proches assassinés par l’État islamique. S’il a embarqué sa famille dans cet exode, est-ce à cause de nous, citoyens d’Europe, ou à cause de Daech et de ses sponsors ? Comment se fait-il que les mêmes instances qui nous demandent aujourd’hui d’accueillir tous ces malheureux soient celles-là mêmes qui, par leur politique du chaos, ont provoqué leur exode, qui n’ont pas levé le petit doigt contre la filière des passeurs en Méditerranée et qui aujourd’hui encore s’opposent à toute intervention armée décisive contre l’État islamique ?

Le petit corps d’Aylan Kurdi s’est échoué à point devant l’objectif du photographe pour nous faire ravaler les questions qui se pressaient au bout de notre langue.

La diffusion d’images de cadavres est un outrage à la paix des morts, qui est en réalité la paix des vivants. Quelle sérénité nous reste-t-il à l’idée de notre propre mort, si notre corps déserté doit servir demain à on ne sait quelle représentation, au profit d’on ne sait qui ? Quel moyen avons-nous de nous y opposer ? C’est un outrage à la raison elle-même, court-circuitée par des réactions émotives primaires délibérément aiguillonnées. Et c’est lorsqu’on réduit ainsi les cerveaux à des cervelets que l’outrage vire à la manipulation de masse dans sa forme la plus sommaire et la plus cynique. Ce n’est sans doute pas ainsi que les rédactions conçoivent leur « mission d’information ». Conçoivent-elles quoi que ce soit, du reste, dans ces minutes décisives où le seul impératif qui compte est de « faire plus fort » que la concurrence ? Qui a résisté à l’envie de choquer ? Personne. Les palinodies déontologiques sont reléguées en deuxième semaine. Elles contribuent à la vente presque autant que le scandale qui les a suscitées. Pour preuve, l’émission elle-même à laquelle j’aurais dû participer. « Fallait-il ? Fallait-il pas ? Et comment ne pas ?…» Simples répliques de théâtre. Bien sûr qu’il fallait ! Bien sûr qu’on recommencera, en pire si possible ! Pas pour vendre du scandale : pour « sensibiliser » les opinions, bien entendu ! Cela encore est un mensonge. L’excès de sensibilisation accélère la désensibilisation. Le Figaro a interrogé ses lecteurs le 4 septembre pour savoir si cette photo « modifie [leur] vision de la crise des migrants ». Sur 58 200 réponses, 18 % seulement sont positives. Encore ne sait-on pas dans quel sens la vision des gens a été modifiée. Il n’empêche à partir de l’instant précis où cette photo est parue, les opinions des pays d’accueil font officiellement l’objet d’un conditionnement systématique et délibéré. Le but n’est pas de les convaincre — on s’en fout —, mais de les intimider et de les faire taire. À l’exception partielle des Suisses, les citoyens européens n’ont aucun moyen de se prononcer démocratiquement sur cette présence qui leur est imposée au nom de l’émotion et de l’éthique humanitaire. La photo du petit noyé leur interdit même d’exprimer en privé leurs préoccupations. Pour ma part, j’aurais répondu oui à la question du Figaro. Oui, la diffusion massive de cette photographie obscène a modifié ma vision de la crise (non des migrants eux-mêmes). Ce n’est plus une fatalité « naturelle » à quoi nous avons affaire, l’équivalent d’un tsunami ou d’un tremblement de terre. C’est un levier politique installé à demeure en Europe et que nos autorités — le système politico-médiatique — exploitent contre leur propre population. Mais pas au profit des nouveaux arrivés, non. Ceux-ci déchanteront bien vite en voyant à quoi ils auront servi.

Quant à nous, toute notre vie publique va désormais, et pour longtemps, s’articuler autour de notre attitude, bienveillante ou hostile, face à eux. Nous serons jugés à chaque pas, chaque mot, plus que nous ne l’avons jamais été. Pourquoi ces mêmes médias n’ont-ils jamais diffusé les photographies de djihadistes manifestement non européens exhibant des têtes coupées de Serbes en Bosnie dans les années 1992-1995 ? Pourquoi ne montrent-ils pas à la Une les chrétiens horriblement crucifiés pratiquement chaque jour en Syrie ou en Irak par Daech ? Pourquoi occultent-ils les centaines d’heures de vidéo, les milliers de photographies sanglantes documentant le bombardement délibéré des populations civiles d’Ukraine orientale par l’armée du gouvernement putschiste de Kiev ? En tant qu’éditeur et chroniqueur, j’ai reçu dès 1992 les photographies des têtes coupées en Bosnie et je reçois constamment, via e-mail et Twitter, les photographies de la boucherie dans le Donbass. Je n’ai jamais rien rediffusé de tout cela. Le plus insoutenable était la vidéo de cette jeune et belle mère de famille, Inna Kukurudza, filmée dans ses derniers instants de vie, le corps scindé en deux par une bombe ukrainienne en plein centre de Lugansk le 5 juin 2014. Si les télévisions occidentales avaient passé ces trente secondes sans autre commentaire que la date, le lieu et les circonstances, le régime de Kiev se serait sans doute effondré. Elles s’en sont bien gardées, pensez-vous. Le levier de la bronca émotionnelle est une arme de blitzkrieg à un seul coup. On ne l’actionne jamais gratuitement. Passée la première vague de sentiment, il ne fait aucun doute que les populations européennes retrouveront leurs réflexes de méfiance et de peur. Le malheureux garçonnet sur sa plage sera oublié dans un an, mais pas la promiscuité, l’effort imposé à des économies chevrotantes, le développement du travail au noir, l’accroissement réel ou fantasmé de l’insécurité et l’expansion inévitable du djihadisme.

N’y avait-il pas une manière plus civilisée de le préparer à la cohabitation qui les attend ? Le reportage primé, puis adapté au cinéma, de Maria Pace Ottieri sur les naufragés de Lampedusa, Une fois que tu es né, tu ne peux plus te cacher, dont j’ai eu la chance de publier la traduction française, décrit cette migration avec profondeur et lucidité, en dépit de la sensibilité de gauche affirmée de son auteure. Ottieri n’a pas pris la mer avec les garde-côtes pour filmer des cadavres — et Dieu sait si elle aurait pu —, mais pour intercepter des êtres vivants à l’instant précis de leur arrivée en cette terre promise européenne. Elle les a écoutés, interrogés avec tact et empathie. Elle a suivi leur cheminement ultérieur. On l’oublie à trop regarder la télévision, mais ces gens ne sont pas une masse affamée et stupide. Ce sont des individus humains à part entière, tout comme nous, et parfois un peu davantage. Un chagrin immense se dégage de son livre. Le chagrin pour tant de vies perdues ou détournées par une odyssée tissée d’illusions. Pour une fois, ce n’est pas notre peur qui nous est donnée à sentir face à eux, mais leur déboussolement face à nous, leur rancœur face aux images idylliques qui leur étaient servies sur notre réalité, leur angoisse, souvent, au milieu d’un monde dont les codes leur sont étrangers — et paradoxalement plus froid et plus dur, à plus d’un titre, que celui d’où ils sont venus. Pour la couverture de l’édition Xenia, nous avons choisi un corps échoué, déjà, mais recouvert d’un drap. Et, surtout, un corps dessiné, non photographié. Ce choix avait fait l’objet de plusieurs jours de discussion. La médiation artistique, tout comme le récit, ôte aux scènes horribles cette crudité de la photographie qui titille les pulsions voyeuristes. La chair photographiée est étalée dans sa pseudo-matérialité objective. On oublie que ce ne sont que taches d’encre sur du papier ou pixels sur un écran, et l’on oublie la présence déterminante du photographe dont le « clic » constitue le coup d’envoi de la mise en scène. Et, surtout l’on s’épargne l’épouvantable puanteur, le toucher immonde de la chair raidie ou déjà décomposée. Voire, le cas échéant, les cris de douleur insupportable des proches présents. Le spectateur d’une photo de cadavre est exactement comme le mateur d’un spectacle pornographique protégé par sa vitre.

Les témoignages et les enquêtes de fond sur le phénomène migratoire n’ont pas vraiment la cote. Ottieri fut distinguée dans son pays parce qu’on ne pouvait faire autrement, mais cela n’a rien changé. Les migrants sont demeurés des statistiques désagréables. La traduction française de son livre, parue en 2007, n’a eu droit à aucun compte rendu dans aucun média significatif du monde francophone. Les Européens à qui on veut faire avaler sans broncher un des mouvements de population les plus colossaux de l’histoire ne sont pas des citoyens qu’on veut convaincre, mais des chiens de Pavlov qu’on s’emploie à dresser.

SOURCE : SLOBODAN DESPOT sur  www.causeur.fr

13/10/2015

Gli USA non vogliono realmente l'eliminazione di ISIS e AL NUSRA

Navigando su internet ho trovato un documento molto interessante, anche perché la fonte è insospettabile: il Council on Foreign Relations, ovvero il think tank di altissimo livello che forma le élites sia del partito democratico che di quello repubblicano destinate a governare il Paese. Molti lo considerano, non a torto, il vero pensatoio della politica estera statunitense.

Uno dei suoi ricercatori Mikah Zenko ha paragonato i bombardamenti degli americani nelle grandi missioni militari degli ultimi vent’anni  con quelli in Siria. Vediamoli. 

Da quando un anno fa è stata lanciata la campagna militare contro l’Isis il Pentagono ha sganciato 43 bombe al giorno, mentre in Irak nel 2003 ne lanciò 1039, in Afghanistan 230, in Kosovo 364 e nel 1991 nella prima guerra addirittura 6123.

E ricordatevi la polemica di qualche mese fa, di cui ho dato conto su questo blog, quando i piloti statunitensi protestarono con il Pentagono per le regole di ingaggio a cui dovevano sottostare, regole così  assurde e burocratiche che di fatto vanificavano la possibilità di colpire seriamente ed efficacemente le truppe del califfato islamico.

Quando gli Usa fanno sul serio la loro force de frappe è devastante per intensità e potenza; invece quando, come accade in Siria contro l’Isis,  si limita a dei raid dimostrativi, significa che la vittoria finale non è la vera priorità e le operazioni hanno più che altro fini mediatici.

Chi invece vuole vincere è Putin. E la differenza è evidente. Il Cremlino sta colpendo molto duramente i gruppi armati salafiti in Siria,  persino con missili di lunga gittata. E che tali gruppi appartengano all’Isis o al Qaida o ad altre organizzazioni islamiche è francamente risibile: i ribelli armati moderati in Siria di fatto non esistono, sono tutti estremisti islamici della peggior risma.

Sia chiaro: al sottoscritto non piacciono né le bombe americane né quelle russe e vorrei, come ha scritto Ron Paul, che nessun ordigno insanguinasse la Siria. Sun Tzu insegna che la guerra è la soluzione estrema, a cui bisogna ricorrere solo in casi estremi e il fatto che si sia arrivato a tanto rappresenta una sconfitta per tutti i grandi Paesi, a cominciare da quelli occidentali, dall’Arabia Saudita e dalla Turchia, responsabili per la destabilizzazione della regione.

Ma una volta che è dichiarata va combattuta senza se e senza ma, soprattutto avendo ben chiari gli obiettivi: l’America dice di voler sconfiggere l’Isis ma la sua priorità è di far cadere Assad ovvero l’uomo che si oppone all’Isis. E non sembra per nulla preoccupata dalla conseguenza ultima delle sue manovre che è quella di consegnare al neocaliffato e/o ad Al Qaida l’area tra Siria e gran parte dell’Iraq ovvero a un regime violento, settario, retrogrado; il peggio che si possa immaginare e ben lontano dai valori di democrazia, libertà, diritto che Washington difende e promuove in altre parti del mondo.

Capire le logiche di questa America è davvero molto difficile.

FONTE http://blog.ilgiornale.it/foa/2015/10/08/ecco-la-prova-che-lamerica-non-sta-bombardano-lisis/