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24/05/2016

Francesco di Buenos Aires si prende per Francesco d'Assisi

Le dichiarazioni rese da Papa Francesco in Turchia raffigurano una Chiesa cattolica irrimediabilmente persa nel relativismo religioso che la porta a concepire che l'amore per il prossimo, il comandamento nuovo portatoci da Gesù, debba obbligatoriamente tradursi nella legittimazione della religione del prossimo, a prescindere dalla valutazione razionale e critica dei suoi contenuti, incorrendo nell'errore di accomunare e sovrapporre persone e religioni, peccatori e peccato.

Quando il Papa ha giustamente detto «la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l'Onnipotente è Dio della vita e della pace», dimentica però che il Dio Padre che concepisce gli uomini come figli, che per amore degli uomini si è incarnato in Gesù, il quale ha scelto la croce per redimere l'umanità, non ha nulla a che fare con Allah che considera gli uomini come servi a lui sottomessi, legittimando l'uccisione degli ebrei, dei cristiani, degli apostati, degli infedeli, degli adulteri e degli omosessuali («Instillerò il mio terrore nel cuore degli infedeli; colpiteli sul collo e recidete loro la punta delle dita... I miscredenti avranno il castigo del Fuoco! ... Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi» (Sura 8:12-17). Quando il Papa all'interno della Moschea Blu si è messo a pregare in direzione della Mecca congiuntamente con il Gran Mufti, la massima autorità religiosa islamica turca che gli ha descritto la bontà di alcuni versetti coranici, una preghiera che il Papa ha definito una «adorazione silenziosa», affermando due volte «dobbiamo adorare Dio», ha legittimato la moschea come luogo di culto dove si condividerebbe lo stesso Dio e ha legittimato l'islam come religione di pari valenza del cristianesimo.

Perché il Papa non si fida dei propri vescovi che patiscono sulla loro pelle le atrocità dell'islam, come l'arcivescovo di Mosul, Emil Nona, che in un'intervista all' Avvenire del 12 agosto ha detto «l'islam è una religione diversa da tutte le altre religioni», chiarendo che l'ideologia dei terroristi islamici «è la religione islamica stessa: nel Corano ci sono versetti che dicono di uccidere i cristiani, tutti gli altri infedeli», e sostenendo senza mezzi termini che i terroristi islamici «rappresentano la vera visione dell'islam»?

Quando il Papa intervenendo al «Dipartimento islamico per gli Affari religiosi» ha detto «noi, musulmani e cristiani, siamo depositari di inestimabili tesori spirituali, tra i quali riconosciamo elementi di comunanza, pur vissuti secondo le proprie tradizioni: l'adorazione di Dio misericordioso, il riferimento al patriarca Abramo, la preghiera, l'elemosina, il digiuno...», ha reiterato

la tesi del tutto ideologica e infondata delle tre grandi religioni monoteiste, rivelate, abramitiche e del Libro, che di fatto legittima l'islam come religione di pari valore dell'ebraismo e del cristianesimo

e, di conseguenza, finisce per delegittimare il cristianesimo dato che l'islam si concepisce come l'unica vera religione, il sigillo della profezia e il compimento della rivelazione. Così come quando il Papa ha aggiunto che «riconoscere e sviluppare questa comunanza spirituale – attraverso il dialogo interreligioso – ci aiuta anche a promuovere e difendere nella società i valori morali, la pace e la libertà», ha riproposto sia una concezione errata del dialogo, perché concepisce un dialogo tra le religioni mentre il dialogo avviene solo tra le persone e va pertanto contestualizzato nel tempo e nello spazio, sia una visione suicida del dialogo dal momento che il nostro interlocutore, i militanti islamici dediti all'islamizzazione dell'insieme dell'umanità, non riconosce né i valori fondanti della nostra comune umanità né il traguardo della pacifica convivenza tra persone di fedi diverse dall'islam.

Anche quando il Papa ha detto «è fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani - tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione -, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri», ci trova assolutamente d'accordo. A condizione che l'assoluta parità di diritti e doveri concerne le persone, ma non le religioni. Perché se questa assoluta parità dovesse tradursi nella legittimazione aprioristica e acritica dell'islam, di Allah, del Corano, di Maometto, della sharia, delle moschee, delle scuole coraniche e dei tribunali sharaitici, significherebbe che la Chiesa ha legittimato il proprio carnefice che, sia che vesta il doppiopetto di Erdogan sia che si celi dietro il cappuccio del boia, non vede l'ora di sottometterci all'islam.

magdicristianoallam.it

 

18/11/2015

Comprendere Eurabia

«L’Europa rischia di cadere come l’impero bizantino, viviamo già in uno stato di dhimmitudine e la storia si sta ripetendo». Bat Ye’or non nutre dubbi sulla minaccia che incombe sulla nostra civiltà. Scrittrice e studiosa di islam, cacciata dall’Egitto nel 1957 perché ebrea, oggi vive in Svizzera. Più del suo nome sono i libri che ha scritto a essere famosi, nei quali ha coniato i termini Eurabia e dhimmitudine, cioè la sottomissione all’islam per essere protetti e tollerati, che hanno ispirato anche Oriana Fallaci.

Nel suo ultimo libro "Comprendere Eurabia" (Lindau - 2015) sottolinea l’islamizzazione dell’Europa e i rischi che stiamo correndo. Lei descrive un’Europa anticristiana, antisemita, antioccidentale e fa risalire questa politica alla fine degli anni ’60.

«È stata la Francia a intraprendere questo cammino seguita dalla Germania, che teneva però un basso profilo. L’obiettivo era allearsi con il mondo arabo e a condurre il gioco erano quelli che avevano collaborato con il nazismo e che quindi odiavano gli ebrei e Israele. Lo dimostrano le loro dichiarazioni durante gli incontri e le conferenze nei paesi arabi, che ho trovato riprodotte nelle pubblicazioni della Lega Araba ma che non sono mai uscite sui media occidentali».

Che cosa ha spinto i leader europei a imboccare questa strada?

«Cercavano di rappacificarsi con il mondo arabo dopo la colonizzazione e allo stesso tempo avevano bisogno di stabilità e sicurezza per ottenere le risorse energetiche. Così politici e intellettuali hanno influenzato la politica europea accettando le condizioni imposte dalla Lega araba: il riconoscimento dell’Olp di Arafat, quindi la legittimazione del terrorismo palestinese e del jihad contro Israele».

L’antisemitismo, travestito da critica verso Israele, è ormai all’ordine del giorno. Molti ebrei hanno lasciato recentemente la Francia non solo per gli attentati d Parigi ma per il clima d’intolleranza che ormai si vive in molte città. La tanto sbandierata e auspicata integrazione è un fallimento?

«Sì, l’integrazione è fallita, non si possono integrare milioni di persone. E poi i migranti musulmani hanno voluto mantenere le loro radici e tradizioni, rigettando quelle del paese che li ospitava. Chi voleva integrarsi lo ha fatto, ma è una minoranza esigua».

I musulmani possono integrarsi in paesi non musulmani?

«Quelli che vogliono intyegrarsi possono farlo e lo hanno fatto, ma il Corano lo vieta esplicitamente. Nell’islam c’è odio e rigetto verso le altre religioni, concetto inesistente nel buddismo, cristianesimo, induismo, ebraismo... Poi, in Occidente le istituzioni e le leggi sono create dall’uomo mentre per i musulmani la fonte del diritto sta nella sharia perché è dettata da Allah. Ecco perché i governi europei hanno scelto il multiculturalismo: consente a tutti di vivere in un paese europeo senza integrarsi».

Siamo passati dall’Olp ad Al Qaida fino ad arrivare all’Isis. Quarant’anni di terrorismo islamico e l’atteggiamento dell’Europa non è cambiato. Non ha compreso la minaccia o fa finta di non capire?

«La capiscono, la conoscono meglio di noi, per questo hanno scelto la dhimmitudine e collaborano con i movimenti radicali musulmani invece di allearsi con quelli moderati. L’Europa ha scelto di appoggiare l’integralismo, dai terroristi palestinesi in poi, sperando di avere protezione. Così non abbiamo aiutato i musulmani riformisti. Un grave errore, anzi, un crimine».

In Italia i guerriglieri di Arafat sono sempre stati mitizzati dalla sinistra. E questa infatuazione è continuata. Il terrorismo palestinese ha causato 83 morti e 227 feriti, eppure non esistono celebrazioni o ricordi ufficiali per loro come accade per le vittime del terrorismo rosso, nero o mafioso.

«Hanno nascosto anche la strage di Bologna».

C'era il cosiddetto "lodo Moro" cioè l'immunità per i terroristi palestinesi che operavano in Italia. Sono passati 40 anni e l’Italia non è stata ancora colpita dal terrorismo islamico. Un linea di continuità con quella politica?

«La politica non è cambiata e vale per tutta l’Europa. L’Europa non riconosce il terrorismo palestinese perché è loro amico. E' quindi è suo dovere mettere sullo stesso piano vittime e terroristi». Il parlamento italiano ha anche istituito la giornata del ricordo delle vittime del terrorismo nel 2007, con tanto di libro curato dal Quirinale che conteneva tutti i nomi dei morti per mano dei terroristi. Ma le vittime dei terroristi palestinesi sono state escluse. «Questa politica è stata impiosta non solo all'Italia ma a tutti paesi dell'Unione europea».

La nascita del Califfato non è solo minaccia per l’Occidente ma ha creato anche dissidi all’interno del mondo islamico.

«Sciiti e sunniti si sono sempre combattuti e uccisi tra loro e questa guerra continua. Ma ci sono anche guerre fra fazioni musulmane per avere un posto al sole, per dominare la regione. Queste popolazioni non hanno mai formato nazioni come noi le conosciamo. Vengono tutti da tribù dell'Arabia e dello Yemen e sono rimasti radicati alle loro origini tribali. Solo dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa ha diviso queste regioni e creato nazioni artificiali per rimpiazzare il senso religioso dell’umma, la totalità del mondo musulmano, con un'ideologia laica e nazionalista. Ma non ha funzionato perché è contraria allo spirito dell’islam, che vede da una parte il suo campo e dall’altra parte il campo degli infedeli senza badare alla nazionalità».

All’attuale destabilizzazione del Mediterraneo ha contribuito pesantemente l’appoggio dell’Occidente alle primavere arabe. La folle idea di esportare la democrazia si è rivelata un boomerang?

«America ed Europa volevano appoggiare il movimento dei Fratelli musulmani. Credevano che mettendoli al potere avrebbero potuto controllarli ed evitare il jihadismo. Obama pensava di farsi nuovi amici, ma ha fallito».

Foreign fighters e terroristi solitari. I giovani musulmani cresciuti ed educati in Europa stanno facendeo scelte estreme. Molti analisti dicono che sia un problema d’identità.

«Certo, devono ritrovare l’identità islamica che proibisce al musulmano di integrarsi nella cultura degli infedeli. Sono influenzati su internet dai radicali che li fanno sentire in colpa perché non si comportano da buoni musulmani e perché vivono in Paesi che fanno la guerra ai musulmani, come in Afghanistan».

La Russia ha rotto gli indugi scendendo in campo contro l’Isis. Perché Obama non vuole collaborare con Mosca nella lotta al Califfato e continua ad affidarsi ad alleati ambigui come l’Arabia Saudita e la Turchia?

«Obama si affida ad alleati ambigui perché ha adottato la politica dei Fratelli musulmani e si è circondato di consiglieri che condividono questa politica. Lui è stato educato nelle scuole islamiche e non ha la sensibilità di un cristiano ma di un musulmano. L’ambizione del mondo islamico è che riprenda la lotta tra Occidente e Russia. Ci sono documenti che rivelano questo sentimento: la guerra fredda è stata un periodo d’oro per lo sviluppo dell’islamismo. L’Occidente lo ha incoraggiato con la scusa di combattere l’ateismo comunista e ha supportato questi movimenti religiosi in funzione anti Urss. Dopo la caduta del Muro, il mondo islamico ha spinto e continua a spingere per dividere ancora i due blocchi».

Lei sostiene che in Europa è stata tessuta una ragnatela che influenza la politica, il mondo dell’informazione, la cultura, le università. Come ci sono riusciti?

«Questa politica è stata imposta dalla Commissione europea con la propaganda, dalla tv al cinema, e su indicazione della fondazione Anna Lindh che controlla tutto ciò che si scrive in Europa sul mondo islamico. La fondazione Anna Lindh è la rete delle reti. Quelli che parlano del jihad sono isolati, rischiano il posto, con la minacce, con la paura. Oggi possiamo parlare di pensiero unico. La cultura per svilupparsi ha bisogno di libertà e non c’è totale libertà di pensare e di scrivere. I nemici del jihad e gli amici di Israele sono stati finora molto coraggiosi a resistere nonostante le umiliazioni, le privazioni e le enormi pressioni della politica europea».

Di questo passo l’Europa soccomberà.

«Com’è accaduto all’Impero bizantino, che è stato islamizzato dall’interno e dall’esterno. Da un lato, i continui attacchi ai villaggi cristiani, con saccheggi e uccisioni: una sorta di terrorismo che ha creato un generale senso di insicurezza spingendo Costantinopoli a pagare un alto tributo ai sultani ottomani per evitare il jihad. Così facendo hanno svuotato le casse, privandosi delle risorse per mantenere un esercito efficiente. Dall’altro lato, la corruzione delle élites bizantine, che promuovevano l’islamismo nell’impero, e le rivalità tra i principi bizantini, che chiedevano sostegno ai turchi per combattere gli avversari interni ed erano poi costretti a ripagarli».

Ma che senso ha per un non musulmano arrendersi ai musulmani?

«Hanno accettato la dhimmitudine perché loro sono divenuti dhimmi per non affrontrare il jihadismo. Conoscevano il jihadismo e non hanno voluto combatterlo, volevano trovare la pace a qualsiasi prezzo con il mondo islamico. Anche per questo non hanno voluto inserire nella Costituzone europea le radici giudaico-cristiane, prevedevano questi sviluppi. Chirac diceva che l'Europa è tanto cristiana quanto musulmana. Questo è il segno della nostra decadenza, una minaccia per la sopravvivenza della nostra civiltà».

FONTE www.ilgiornale.it

29/10/2015

Chantage à l'image

On m’a proposé de participer à l’émission Infrarouge de la Télévision suisse romande le 8 septembre pour débattre d’une brûlante question d’éthique : la diffusion de la photo du petit noyé Aylan Kurdi échoué sur une plage. J’ai dû décliner à cause d’un voyage, mais j’ai rarement autant regretté de ne pas pouvoir m’exprimer sur un sujet. Ne pouvant le faire en télévision, je résume ma position par écrit et en deux mots : outrage et manipulation ! En voyant la photographie de cet enfant, j’ai senti comme tout un chacun mon menton se mettre à trembler. La position du corps, les petits vêtements, les petites chaussures aux semelles arrondies : tout était rondelet, mignon, enfantin, tout appelait la caresse et la protection. Et tout était mort ! Comme l’a dit un écrivain, on a envie d’entrer dans l’image et de retourner ce corps, de le ramener à la vie. Cette photographie est une perfection. Elle remue nos instincts les plus sacrés. Elle donne un visage à la tragédie du Moyen-Orient chassé de ses foyers, tout comme le sourire candide d’Anne Frank incarne la Shoah, comme la grimace de douleur de Kim Phuc, la fillette brûlée au Napalm résume le désastre du Vietnam.

Elle dit tout, cette photographie. Tout, sauf l’essentiel. Elle nous fait oublier la nature du rapport entre la tragédie de cette famille syrienne échouée en Turquie et notre culpabilité, à nous, citoyens européens, cette culpabilité qu’elle sert pourtant à attiser. On nous la flanque à la figure pour nous faire baisser la garde, à nous, non à ceux qui sont directement responsables de la mort d’Aylan Kurdi. Comme si l’on avait imputé la mort d’Anne Frank au manque de solidarité des habitants d’Amsterdam en omettant de mentionner qu’elle était expressément traquée par un État tiers, l’Allemagne, et l’idéologie meurtrière qui s’était emparée de cet État, le nazisme. Le père d’Aylan avait vu onze proches assassinés par l’État islamique. S’il a embarqué sa famille dans cet exode, est-ce à cause de nous, citoyens d’Europe, ou à cause de Daech et de ses sponsors ? Comment se fait-il que les mêmes instances qui nous demandent aujourd’hui d’accueillir tous ces malheureux soient celles-là mêmes qui, par leur politique du chaos, ont provoqué leur exode, qui n’ont pas levé le petit doigt contre la filière des passeurs en Méditerranée et qui aujourd’hui encore s’opposent à toute intervention armée décisive contre l’État islamique ?

Le petit corps d’Aylan Kurdi s’est échoué à point devant l’objectif du photographe pour nous faire ravaler les questions qui se pressaient au bout de notre langue.

La diffusion d’images de cadavres est un outrage à la paix des morts, qui est en réalité la paix des vivants. Quelle sérénité nous reste-t-il à l’idée de notre propre mort, si notre corps déserté doit servir demain à on ne sait quelle représentation, au profit d’on ne sait qui ? Quel moyen avons-nous de nous y opposer ? C’est un outrage à la raison elle-même, court-circuitée par des réactions émotives primaires délibérément aiguillonnées. Et c’est lorsqu’on réduit ainsi les cerveaux à des cervelets que l’outrage vire à la manipulation de masse dans sa forme la plus sommaire et la plus cynique. Ce n’est sans doute pas ainsi que les rédactions conçoivent leur « mission d’information ». Conçoivent-elles quoi que ce soit, du reste, dans ces minutes décisives où le seul impératif qui compte est de « faire plus fort » que la concurrence ? Qui a résisté à l’envie de choquer ? Personne. Les palinodies déontologiques sont reléguées en deuxième semaine. Elles contribuent à la vente presque autant que le scandale qui les a suscitées. Pour preuve, l’émission elle-même à laquelle j’aurais dû participer. « Fallait-il ? Fallait-il pas ? Et comment ne pas ?…» Simples répliques de théâtre. Bien sûr qu’il fallait ! Bien sûr qu’on recommencera, en pire si possible ! Pas pour vendre du scandale : pour « sensibiliser » les opinions, bien entendu ! Cela encore est un mensonge. L’excès de sensibilisation accélère la désensibilisation. Le Figaro a interrogé ses lecteurs le 4 septembre pour savoir si cette photo « modifie [leur] vision de la crise des migrants ». Sur 58 200 réponses, 18 % seulement sont positives. Encore ne sait-on pas dans quel sens la vision des gens a été modifiée. Il n’empêche à partir de l’instant précis où cette photo est parue, les opinions des pays d’accueil font officiellement l’objet d’un conditionnement systématique et délibéré. Le but n’est pas de les convaincre — on s’en fout —, mais de les intimider et de les faire taire. À l’exception partielle des Suisses, les citoyens européens n’ont aucun moyen de se prononcer démocratiquement sur cette présence qui leur est imposée au nom de l’émotion et de l’éthique humanitaire. La photo du petit noyé leur interdit même d’exprimer en privé leurs préoccupations. Pour ma part, j’aurais répondu oui à la question du Figaro. Oui, la diffusion massive de cette photographie obscène a modifié ma vision de la crise (non des migrants eux-mêmes). Ce n’est plus une fatalité « naturelle » à quoi nous avons affaire, l’équivalent d’un tsunami ou d’un tremblement de terre. C’est un levier politique installé à demeure en Europe et que nos autorités — le système politico-médiatique — exploitent contre leur propre population. Mais pas au profit des nouveaux arrivés, non. Ceux-ci déchanteront bien vite en voyant à quoi ils auront servi.

Quant à nous, toute notre vie publique va désormais, et pour longtemps, s’articuler autour de notre attitude, bienveillante ou hostile, face à eux. Nous serons jugés à chaque pas, chaque mot, plus que nous ne l’avons jamais été. Pourquoi ces mêmes médias n’ont-ils jamais diffusé les photographies de djihadistes manifestement non européens exhibant des têtes coupées de Serbes en Bosnie dans les années 1992-1995 ? Pourquoi ne montrent-ils pas à la Une les chrétiens horriblement crucifiés pratiquement chaque jour en Syrie ou en Irak par Daech ? Pourquoi occultent-ils les centaines d’heures de vidéo, les milliers de photographies sanglantes documentant le bombardement délibéré des populations civiles d’Ukraine orientale par l’armée du gouvernement putschiste de Kiev ? En tant qu’éditeur et chroniqueur, j’ai reçu dès 1992 les photographies des têtes coupées en Bosnie et je reçois constamment, via e-mail et Twitter, les photographies de la boucherie dans le Donbass. Je n’ai jamais rien rediffusé de tout cela. Le plus insoutenable était la vidéo de cette jeune et belle mère de famille, Inna Kukurudza, filmée dans ses derniers instants de vie, le corps scindé en deux par une bombe ukrainienne en plein centre de Lugansk le 5 juin 2014. Si les télévisions occidentales avaient passé ces trente secondes sans autre commentaire que la date, le lieu et les circonstances, le régime de Kiev se serait sans doute effondré. Elles s’en sont bien gardées, pensez-vous. Le levier de la bronca émotionnelle est une arme de blitzkrieg à un seul coup. On ne l’actionne jamais gratuitement. Passée la première vague de sentiment, il ne fait aucun doute que les populations européennes retrouveront leurs réflexes de méfiance et de peur. Le malheureux garçonnet sur sa plage sera oublié dans un an, mais pas la promiscuité, l’effort imposé à des économies chevrotantes, le développement du travail au noir, l’accroissement réel ou fantasmé de l’insécurité et l’expansion inévitable du djihadisme.

N’y avait-il pas une manière plus civilisée de le préparer à la cohabitation qui les attend ? Le reportage primé, puis adapté au cinéma, de Maria Pace Ottieri sur les naufragés de Lampedusa, Une fois que tu es né, tu ne peux plus te cacher, dont j’ai eu la chance de publier la traduction française, décrit cette migration avec profondeur et lucidité, en dépit de la sensibilité de gauche affirmée de son auteure. Ottieri n’a pas pris la mer avec les garde-côtes pour filmer des cadavres — et Dieu sait si elle aurait pu —, mais pour intercepter des êtres vivants à l’instant précis de leur arrivée en cette terre promise européenne. Elle les a écoutés, interrogés avec tact et empathie. Elle a suivi leur cheminement ultérieur. On l’oublie à trop regarder la télévision, mais ces gens ne sont pas une masse affamée et stupide. Ce sont des individus humains à part entière, tout comme nous, et parfois un peu davantage. Un chagrin immense se dégage de son livre. Le chagrin pour tant de vies perdues ou détournées par une odyssée tissée d’illusions. Pour une fois, ce n’est pas notre peur qui nous est donnée à sentir face à eux, mais leur déboussolement face à nous, leur rancœur face aux images idylliques qui leur étaient servies sur notre réalité, leur angoisse, souvent, au milieu d’un monde dont les codes leur sont étrangers — et paradoxalement plus froid et plus dur, à plus d’un titre, que celui d’où ils sont venus. Pour la couverture de l’édition Xenia, nous avons choisi un corps échoué, déjà, mais recouvert d’un drap. Et, surtout, un corps dessiné, non photographié. Ce choix avait fait l’objet de plusieurs jours de discussion. La médiation artistique, tout comme le récit, ôte aux scènes horribles cette crudité de la photographie qui titille les pulsions voyeuristes. La chair photographiée est étalée dans sa pseudo-matérialité objective. On oublie que ce ne sont que taches d’encre sur du papier ou pixels sur un écran, et l’on oublie la présence déterminante du photographe dont le « clic » constitue le coup d’envoi de la mise en scène. Et, surtout l’on s’épargne l’épouvantable puanteur, le toucher immonde de la chair raidie ou déjà décomposée. Voire, le cas échéant, les cris de douleur insupportable des proches présents. Le spectateur d’une photo de cadavre est exactement comme le mateur d’un spectacle pornographique protégé par sa vitre.

Les témoignages et les enquêtes de fond sur le phénomène migratoire n’ont pas vraiment la cote. Ottieri fut distinguée dans son pays parce qu’on ne pouvait faire autrement, mais cela n’a rien changé. Les migrants sont demeurés des statistiques désagréables. La traduction française de son livre, parue en 2007, n’a eu droit à aucun compte rendu dans aucun média significatif du monde francophone. Les Européens à qui on veut faire avaler sans broncher un des mouvements de population les plus colossaux de l’histoire ne sont pas des citoyens qu’on veut convaincre, mais des chiens de Pavlov qu’on s’emploie à dresser.

SOURCE : SLOBODAN DESPOT sur  www.causeur.fr

05/10/2015

La moschea come scuola dell'odio maomettano

L'espulsione lo scorso 28 agosto dell'imam di Schio, l'algerino Sofiane Mezzereg, per aver indottrinato genitori e bambini al rifiuto della musica e a vivere conformemente a quanto ha prescritto Allah e a quanto ha detto e ha fatto Maometto, al punto da indurli a esaltare il terrorismo, non è un caso isolato.

È piuttosto la punta dell'iceberg.

La verità è che nelle moschee e nelle scuole coraniche d'Italia gli imam ortodossi e zelanti praticano il lavaggio di cervello inculcando il rifiuto e l'odio della nostra civiltà nel nome del «vero islam». La verità è che questi imam non sono un corpo estraneo o contrastante con le «comunità islamiche» che li seguono, ma rappresentano una realtà ideologica speculare e diffusa nel nostro Paese. Ma soprattutto è vero che il «nemico» da combattere e sconfiggere non sono né i singoli imam né l'insieme delle «comunità islamiche», ma è l'islam stesso che li ispira e che impone loro di invaderci strumentalizzando le nostre leggi e di sottometterci per imporci la sharia, la legge islamica.

Così come è vero che la strategia di islamizzazione dell'Italia e dell'Europa si sta attuando solo perché siamo noi italiani ed europei a consentirlo e persino a favorirlo, assoggettandoci alla dittatura del relativismo valoriale, perseguendo l'ideologia del multiculturalismo e del meticciato antropologico e culturale, per ingenuità, ignoranza, odio di se stessi, paura, interesse materiale o condivisione dell'islam.

In un'intervista pubblicata ieri dal «Giornale di Vicenza», l'imam Mezzereg sostiene candidamente: «Non ho mai fatto niente di male, ho solo portato avanti la mia missione religiosa», «voglio insegnare ai miei fratelli il vero islam». Nello specifico spiega che «Maometto ha detto che gli strumenti musicali sono un peccato», «invece che fare musica, è meglio se i bambini studiano la matematica, sono le parole del Profeta».

I fatti che hanno portato alla sua espulsione «per motivi di ordine pubblico» risalgono allo scorso gennaio, quando tre bambini di origine maghrebina della scuola elementare Marconi di Schio si tapparono le orecchie con le mani, dicendo che la musica è peccato e spiegando che l'imam aveva proibito loro di ascoltarla. E ai loro compagni dissero convintamente: «Quando siamo grandi torniamo in Italia con le bombe e vi facciamo saltare in aria. Vi ammazziamo tutti».

A fronte di questi gravissimi fatti, registriamo non solo la reazione indignata dell'imam, ma anche il sostegno ricevuto dai gestori e dai fedeli della sua moschea, il Centro islamico «La Guida Retta» di Schio. L'ex presidente, Abderrazzak Frimane, ha detto: «Questa inchiesta è una bomba che ha colpito Schio, una città accogliente, dove predicava un grandissimo imam, Sofiane, un uomo giusto. Qualcuno lo avrà sulla coscienza».

Ancor più significativa è la solidarietà espressa dalle insegnanti della scuola elementare Marconi: «Noi maestre siamo rimaste di stucco. Mezzereg era venuto diverse volte a scuola perché uno dei suoi figli frequentava qui, ma si era sempre comportato in maniera distinta e corretta». Viene sminuita l'importanza del fatto dei bambini che si sono tappate le orecchie perché la musica è peccato, dato che «è durato un giorno». Da rilevare che questa scuola elementare ha ben il 60% di bambini stranieri ed è stata elogiata come modello di integrazione.

Ricordo che quando il 6 settembre 2005 si decise di chiudere la scuola coranica della moschea di viale Jenner a Milano, dove circa 500 bambini da ben 15 anni venivano indottrinati ad esaltare la «guerra santa islamica» nell'inno mattutino, mentre sui testi veniva inculcata loro la cultura dello scontro, della separazione identitaria, della violenza religiosa e del martirio islamico, il prefetto Bruno Ferrante ne ordinò la chiusura non perché illegale, ma banalmente per «inagibilità dei locali». Fu così che si trasferì prima nei locali della moschea di via Quaranta e infine nei locali in via Ventura messi a disposizione dalle Acli. Le istituzioni non sanzionarono né i predicatori d'odio che praticavano il lavaggio di cervello ai bambini né i genitori che sottraevano i figli al dovere della scuola dell'obbligo. All'opposto assecondarono gli islamici aiutandoli a preservare la loro scuola coranica sotto mentite spoglie. Ecco perché sono preoccupato non tanto per l'arbitrio, l'arroganza e la violenza degli islamici, quanto per l'ignoranza, l'ignavia e la collusione ideologica degli italiani.

MAGDI ALLAM  su www.ilgiornale.it

leggere MAGDI ALLAM : ISLAM SIAMO IN GUERRA

moscea,islam,italia,odio,terrorismo

21/09/2015

Raif Badawi non fa notizia

Da mercoledì benpensanti e «liberal» di tutta Europa ripetono di non confondere terrorismo ed islam, assassini e religione. Da ieri farebbero meglio a riflettere su quel che succede nelle terre assoggettate alla legge del "profeta".

E al filo rosso che lega alcuni precetti religiosi al massacro di Parigi. Ieri, a 48 ore dalla strage di Charlie Hebdo , in una piazza dell'Arabia Saudita stracolma di pubblico un boia ha abbassato per 50 volte la sua frusta sulla schiena piagata di Raif Badawi, un blogger 30enne colpevole - come le vittime parigine - di usare la scrittura per esprimere le proprie idee. E non è finita qui. L'atroce scena è destinata a ripetersi, se la vittima sopravvivrà, per venti settimane, fino al raggiungimento della pena di mille frustate e dieci anni di prigione comminata a Badawi il 7 maggio scorso da un tribunale saudita. La storia tragica e terribile di Raif Badawi non è la conseguenza di una mente deviata. Raif non è il bersaglio di un gruppetto d'isolati e sanguinari fanatici. Raif, padre di tre figli scappati con la moglie Ensaf Haida in Canada due anni fa, è vittima di quel regime oscurantista e illiberale che - con la benedizione del clero wahabita - regge l'Arabia Saudita, la nazione custode dei luoghi santi dell'Islam, il simbolo dell'ortodossia religiosa per gran parte della «umma», la comunità musulmana. Lì dove l'Islam è al tempo stesso stato, legge e religione sembra valere, insomma, lo stesso principio che ha spinto i fratelli Chérif e Saïd Kouachi a massacrare un'intera redazione. Il principio secondo cui chiunque esprima idee non consone alla fede islamica possa venir punito con carcere, violenza o morte. La storia del blogger Raif Badawi è, da questo punto di vista, esemplare. La sua odissea giudiziaria e penale inizia il 17 giugno 2012 quando viene arrestato con l'accusa di aver utilizzato il blog per insultare l'Islam. Tutt'oggi non è chiaro cos'abbia scritto Badawi, ma secondo i pochi brandelli di cronaca e verità filtrati dalle rigide paratie del regno saudita avrebbe accusato una celebre università del regno e i suoi educatori di diffondere idee molto vicine a quelle di Al Qaida e del terrorismo islamico. Un'insinuazione che nella culla dell'Islam e del Profeta equivale evidentemente ad un accusa per eresia. Non a caso gli piove addosso anche la terribile imputazione di apostasia, reato che secondo i codici dell'Arabia Saudita, e di tutti i paesi sottomessi ai precetti della sharia, condanna a morte chiunque abbandoni l'Islam. Non a caso quando dopo molti mesi in prigione si ritrova davanti ad una corte distrettuale di Jedda con l'accusa di aver «ridicolizzato le figure religiose dell'Islam», «aver messo in piedi un sito web pericoloso per la sicurezza» e «aver travalicato i confini dell'obbedienza» il giudice si rifiuta di emettere una sentenza. Per il magistrato quei reati sono poca cosa rispetto alla colpa di apostasia giudicabile solo dall'Alta Corte di Jedda. Così per settimane il suo caso rimbalza da un tribunale all'altro fino a quando, il 30 luglio 2013, la stampa saudita informa che Raif Badawi è stato condannato a sette anni di prigione e 600 frustate per aver guidato e diretto un «internet forum», aver «violato i valori islamici e propagato pensieri liberali». Ma evidentemente la pena non soddisfa gli zeloti del regno. Il 7 maggio 2014, infatti, viene emessa una nuova sentenza che condanna il povero Badawi a mille frustate e dieci anni di prigione. I magistrati sauditi hanno intanto sbattuto in carcere anche l'avvocato Walee Abulkhair, il legale di Badawi, accusandolo di aver messo in piedi un'organizzazione per il rispetto dei diritti umani non autorizzata dalle leggi saudite. Nei giorni scorsi gli Stati Uniti, il più importante alleato dell'Arabia Saudita hanno ripetutamente chiesto il rinvio della sentenza e la revisione del giudizio. Ma da Riad non è arrivata alcuna risposta. Solo l'ululato di quell'Allah Akhbar, «Dio è Grande» che ieri - subito dopo la preghiera del venerdì - accompagnava lo schioccare della frusta. Lo stesso ululato che mercoledì mattina accompagnava le raffiche di kalashnikov sparate nella redazione di Charlie Hebdo .

www.giornale.it

17/09/2015

Oriana aveva ragione: l'islam é un male

MAGDI ALLAM:

Ho avuto la fortuna di frequentare Oriana Fallaci negli ultimi tre anni della sua vita. Ieri, nel nono anniversario della sua morte, per la prima volta, invitato da Tommaso Villa – presidente del Club Forza Italia «Giglio azzurro» -, ho reso omaggio alla sua tomba a Firenze.

La sobrietà del Cimitero Evangelico agli Allori e la semplicità della lapide con l'unica scritta «Scrittore», appaiono riduttivi rispetto alla grandiosità di un personaggio chiave della nostra storia contemporanea.

La Storia ricorderà Oriana per essere stata la voce che prima e più di altre, all'indomani della tragedia dell'11 settembre, ci ha trasmesso un concetto rivoluzionario:

il problema del male non è il terrorismo islamico, ma è l'islam.

Io stesso, da musulmano, faticavo a digerire la condanna assoluta dell'islam perché la percepivo come criminalizzante di tutti i musulmani, quindi in una mia autocondanna.

Nel discorso all'accettazione dell'Annie Taylor Award, nel 2005, Oriana fu esplicita:

«L'islam moderato è un'altra invenzione. Un'altra illusione fabbricata dall'ipocrisia, dalla furberia, dalla quislingheria o dalla Realpolitik di chi mente sapendo di mentire. L'islam moderato non esiste. E non esiste perché non esiste qualcosa che si chiama islam buono e islam cattivo. Esiste l'islam e basta. E l'islam è il Corano. Nient'altro che il Corano. E il Corano è il “Mein Kampf” di una religione che ha sempre mirato a eliminare gli altri».

Nei miei confronti Oriana ha avuto un particolare riguardo, nella comune condivisione della denuncia sia del terrorismo islamico sia della pavidità dell'Occidente. Nell'estate del 2003, mentre era immersa nella scrittura di «La forza della ragione», mi scrisse: «Davvero, quando avrò (bene o male) concluso questo lavoretto, la primissima copia sarà per te. Più ti leggo, più ci penso, più concludo che sei l'unico su cui dall'alto dei cieli o meglio dai gironi dell'inferno potrò contare. (Bada che t'infliggo una grossa responsabilità)».

Il legame con Oriana è stato talmente forte da incentivare un cambiamento del mio pensiero anche dopo la sua morte, prendendo atto che lei aveva ragione. Se pensiamo che il 4 aprile 2002 Ahmed Al Tayeb, attuale Grande imam dell'Università islamica di Al Azhar, equiparabile al «Papa dell'islam sunnita», quando all'epoca era il Mufti d'Egitto, massimo giureconsulto islamico, legittimò il terrorismo suicida affermando: «La soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah»; e nel 2003 confermò: «Le operazioni di martirio in cui i palestinesi si fanno esplodere sono permesse al cento per cento secondo la legge islamica».

Lo stesso presidente turco Erdogan ha detto: «Non c'è un islam moderato e un islam non moderato. L'islam è l'islam».

In serata a Firenze, partecipando a un convegno sulla Fallaci insieme a Vittorio Feltri e Daniela Santanché, organizzato da «Una via per Oriana» di Armando Manocchia, ho rievocato quanto ho scritto nel mio nuovo libro «Islam. Siamo in guerra»:

«Sogno l'Italia libera, fiera e forte che metta al bando l'islam in quanto apologia del razzismo e del terrorismo, perché ciò che Allah ha prescritto nel Corano, ciò che ha detto e ha fatto Maometto, che sanciscono la discriminazione dei miscredenti, che legittimano l'uccisione di ebrei, cristiani, infedeli, apostati, adulteri e omosessuali, che contemplano la sottomissione e la riduzione in stato di schiavitù delle donne e dei bambini, sono in flagrante contrasto con le nostre leggi, sono incompatibili con i principi fondanti della nostra Costituzione, sono la principale minaccia alla nostra civiltà laica e liberale che esalta la sacralità della vita, la pari dignità tra uomo e donna, la libertà di scelta».

Questa è l'eredità di Oriana. Solo facendola nostra ci salveremo dalle barbarie dell'islam. Grazie Oriana!

MAGDI ALLAM

FONTE www.giornale.it

Indifferenza = suicidio

Voi cristiani d'Europa a volte vi vergognate perfino della vostra fede e questo, credetemi, ci fa soffrire molto. Per noi essere cristiani, difendere la nostra fede - anche davanti a chi ci perseguita - è un motivo d'onore e d'orgoglio.

Il vostro comportamento a volte ci sorprende e rattrista».

Monsignor Antoine Audo, 69 anni, non è un vescovo come tutti gli altri. Arriva da Aleppo. Sopravvive in uno dei buchi neri del conflitto siriano. Recita messa tra le rovine di una citta conosciuta, un tempo, come uno dei cuori pulsanti della presenza cristiana in Siria. Eppure mentre ti racconta la tragedia sua e dei suoi fedeli sembra quasi più angustiato per la crisi ideale di un'Europa e di un Occidente incapaci di vedere il dramma dei suoi fratelli. «Voi europei dovreste battervi per impedire che i cristiani abbandonino la Siria. Damasco, la predicazione di San Paolo, Antiochia sono elementi fondanti della nostra comune tradizione cristiana. Invece sembrate aver dimenticato i valori, la fede e la moralità - denuncia monsignor Audo in questa intervista a Il Giornale, al termine di un incontro organizzato a Roma da «Aiuto alla chiesa che soffre» - ma fate molta attenzione.

Regalando al fanatismo islamista e ai suoi seguaci la convinzione di poter cacciare i cristiani dal Medioriente li convincerete di poter aspirare alla conquista dell'Europa. Perché voi forse non ci fate caso, ma loro perseguono proprio questo disegno».

Come vivono i cristiani d'Aleppo?

«Sopravviviamo da quattro anni nella morsa di un assedio spietato. Siamo a soli 40 chilometri dalla Turchia, dalla nazione che ospita i ribelli, li finanzia e li aiuta ad attaccarci. La città è divisa in due, i ribelli sono nella città vecchia e da due mesi mancano completamente acqua ed elettricità mentre le bombe piovono ovunque. In quattro anni d'assedio l'80 per cento degli abitanti ha perso il lavoro. E due terzi dei cristiani hanno abbandonato la città. Un tempo eravamo 150mila, oggi non superiamo i 50mila. Chi resta è condannato a vivere in un clima di violenza e paura costante. Del resto questo è il compito assegnato a quei fanatici. Devono terrorizzarci e farci partire».

Come fa a dirlo?

«Non ci credete? Guardate cos'hanno fatto a Malula o nei quartieri cristiani di Homs. A Qaryten, tre settimane fa, hanno rapito i cristiani e distrutto il monastero. Nel nord est della Siria hanno raso al suolo 36 villaggi assiro cristiani. Per questo ad Aleppo temiamo di far la fine dei cristiani di Mosul. Quei fanatici non si muovono a caso, seguono un disegno ben preciso. Puntano a svuotare il Medioriente dai Cristiani. Questa minaccia rappresenta un pericolo straordinario non solo per noi, ma per tutta la cristianità».

Chi c'è dietro questo disegno?

«Non certo i musulmani di Siria. La gran parte di loro ha poco a che fare con la persecuzione dei cristiani.

La strategia viene da fuori. É opera dei Fratelli Musulmani, dei gruppi salafiti e degli stati che li appoggiano».

E lo Stato Islamico?

«Quella è solo una messa in scena, una grande commedia per coprire una strategia ben più vasta e segreta. Il cosiddetto Stato Islamico ha una missione limitata nel tempo, ma per ora serve ai loro scopi».

I cristiani sono accusati di appoggiare Bashar Assad...

«Esser contro l'estremismo islamista, non significa essere a favore del regime. Semplicemente conosciamo l'ideologia di chi ci minaccia e siamo stati testimoni di cos'è successo in Iraq e altri Paesi a causa di quei fanatici. I media dovrebbero guardarsi dalla falsa propaganda. A volte sembrerebbe che tutti i patriarchi, tutti i vescovi, tutti i cristiani siano al servizio del regime. Un po' d'intelligenza e un po' di rispetto per favore. Noi cristiani siamo gente libera, non gli schiavi del potere».

Perchè accusa i media?

«Perché c'é un problema d'interessi economici. Nel nome di questi ultimi qui in Occidente siete pronti a svendere intere comunità. Di fronte all'interesse economico sembrate pronti ad ignorare le vite di centinaia di migliaia di cristiani».

Cosa deve fare l'Europa?

«Deve battersi perché i cristiani restino in Siria e non abbandonino città e case.

Dovete bloccare chi finanzia e arma gli estremisti islamisti.

Dovete contribuire ad una soluzione politica raggiunta grazie ad un negoziato. Nnessuno potrà mai imporre alla Siria una soluzione decisa esternamente».

 

E per i cristiani che scappano in Europa?

«Aiutate tutti quelli che hanno bisogno, ma non incoraggiateli a venir da voi. Non illudeteli che l'Occidente sia un paradiso. Dobbiamo restare a casa nostra. Solo così permetteremo che la Siria torni ad esser un paradiso».

FONTE www.giornale.it

14/09/2015

Agression au salon de la femme musulmane

Silence médiatique sur les agissements des fidèles de Muhammad EN FRANCE (click)

http://video.lefigaro.fr/figaro/video/violemment-expulsee...

SILENCE!

07/09/2015

Identité et accueil:quel point de bascule?

La crise migratoire met en jeu, pour reprendre les mots du Pape François, notre conception même de la dignité humaine. Les images de ces hommes fuyant la misère ou la souffrance pour une autre misère et souffrance un peu plus supportables ne peuvent qu'ébranler notre conscience au plus profond d'elle-même.

De façon plus politique, cette crise nous oblige aussi à reposer la question de l'universel. Deux positions s'affrontent en effet: d'un côté celle qui considère que les migrants font partie de la même humanité que la nôtre et qu'il faut donc les accueillir (vatican, franc maçonnerie ndr) de l'autre celle qui soutient que l'accueil des migrants met en péril la singularité culturelle des nations européennes (une position défendue récemment par Viktor Orban).

L'universalisme d'un côté, qui suppose la subordination des nations à des règles universelles communes à chaque homme (les fameux «droits de l'homme») ; le traditionalisme de l'autre, qui fait de chaque homme le produit d'une histoire particulière, d'une culture et d'un passé. L'Homme n'existe pas, affirmait Joseph de Maistre dans sa célèbre apostrophe, mais il y a des Français, des Italiens, des Suédois etc.

Sous l'impulsion du moment révolutionnaire de 1789 et de ses illustres penseurs, l'option universelle a progressivement emporté la bataille en Europe (idées franc maçonniques n.d.r.).

Sous l'impulsion du moment révolutionnaire de 1789 et de ses illustres penseurs, l'option universelle a progressivement emporté la bataille en Europe. Elle a conduit, par ses dérives, au malaise européen contemporain qui touche la majorité de nos nations: disparition du sentiment national, primauté des droits individuels sur la dimension spirituelle héritée de la tradition, dilution du patrimoine culturel national sous les coups d'une immigration excessive (dont une partie de la responsabilité incombe, soulignons-le, aux crimes colonialistes européens et plus récemment à l'ingérence occidentale au Moyen-Orient).

L'ouverture des frontières nous a jetés dans une angoisse insaisissable mais en même temps très réelle. Le fait que la question migratoire soit devenue, devant le chômage, l'inquiétude principale des Européens est à cet égard extrêmement révélateur.

La fusion progressive de populations jusqu'alors séparées par la distance géographique, ainsi que par des barrières linguistiques et culturelles, marquait la fin d'un monde qui fut celui des hommes pendant des centaines de millénaires, quand ils vivaient en petits groupes durablement séparés les uns des autres et qui évoluaient chacun de façon différente, tant sur le plan biologique que sur le plan culturel.

Claude Lévi-Strauss

L'anthropologue Claude Lévi-Strauss nous aide à mettre des mots sur ce phénomène. De façon prophétique, il avait mis en garde contre les conséquences de l'effritement des frontières au nom d'un universalisme et multiculturalisme destructeur: «La fusion progressive de populations jusqu'alors séparées par la distance géographique, ainsi que par des barrières linguistiques et culturelles, marquait la fin d'un monde qui fut celui des hommes pendant des centaines de millénaires, quand ils vivaient en petits groupes durablement séparés les uns des autres et qui évoluaient chacun de façon différente, tant sur le plan biologique que sur le plan culturel». Et Lévi-Strauss de s'en prendre au «mouvement qui entraîne l'humanité vers une civilisation mondiale, destructrice de ces vieux particularismes auxquels revient l'honneur d'avoir créé les valeurs esthétiques et spirituelles qui donnent son prix à la vie et que nous recueillons précieusement dans les bibliothèques et dans les musées parce que nous nous sentons de moins en moins certains d'être capables d'en produire d'aussi évidentes». Pour l'anthropologue, «toute création véritable implique une certaine surdité à l'appel d'autres valeurs, pouvant aller jusqu'à leur refus, sinon même leur négation. Car on ne peut, à la fois, se fondre dans la jouissance de l'autre, s'identifier à lui, et se maintenir différent» . Cette réflexion, d'une grande radicalité mais aussi particulièrement lucide, lui fut durablement reprochée à une époque où l'antiracisme et le «sans-frontiérisme» régnaient en maîtres.

Pour « être soi » et ainsi préserver la diversité du monde (et donc sa richesse culturelle), il faut non pas rejeter l'autre mais accepter une certaine séparation, car « pour être soi » il faut nécessairement « ne pas être l'autre ».

La position de Lévi-Strauss, que nous défendons ici, est pourtant authentiquement antiraciste. Elle découle de la haute idée que nous nous faisons des cultures qui ne sont pas les nôtres. Pour «être soi» et ainsi préserver la diversité du monde (et donc sa richesse culturelle), il faut non pas rejeter l'autre mais accepter une certaine séparation, car «pour être soi» il faut nécessairement «ne pas être l'autre». «On doit reconnaître», conclut Lévi-Strauss, «que cette diversité [du monde] résulte pour une grande part du désir de chaque culture de s'opposer à celles qui l'environnent, de se distinguer d'elles, en un mot d'être soi: elles ne s'ignorent pas, s'empruntent à l'occasion, mais pour ne pas périr, il faut que persiste entre elles une certaine imperméabilité».

Faut-il pour autant renoncer, au nom de la préservation de ce qui subsiste de notre originalité culturelle, à porter secours aux migrants? Cette position est difficilement soutenable au regard du devoir de charité qui incombe à chacun d'entre nous. Mais ce devoir ne peut impliquer d'accueillir, pour le long terme, un nombre important de migrants dans un pays et un continent déjà minés par le délitement culturel (sans parler du chômage de masse). Le cas des réfugiés - notamment venus de Syrie - doit faire l'objet d'un traitement particulier, évidemment. Il ne s'agit pas d'intolérance et encore moins de repli sur soi, mais de préservation du peu qui nous reste à conserver - à moins qu'il ne soit déjà trop tard.

SOURCE: www.figaro.fr

18/06/2015

Pourquoi Obama ne s'en prend pas plus à Daec'h?

Voici la réponse:

http://journaldumusulman.fr/la-grand-mere-du-president-am...

Lisez bien et regardez bien les photos

On ne s'en prend pas à ....sa famille!

(Ni à ceux qui financent l’élection présidentielle via les compagnies pétrolières)

Mieux vaut démoniser Putine que de s'attaquer à la source du Mal djihadiste

Saint Barack, toi qui es membre d'une minorité "opprimée", tu mérites bien ton Nobel de la paix pour ton aide aux persécutés innocents!