05/05/2012
L'élection se gagne au Grand Orient de France
http://www.youtube.com/watch?v=wrnrbeoE3U8
La secte maçonnique dirige et gouverne dans l'ombre!
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28/04/2012
Preparez-vous!
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26/04/2012
Il maschio arabo-musulmano é misogino?
Mona ElTahawy è una nota giornalista egiziana-americana, una femminista. Mesi fa è stata arrestata in piazza al Cairo, picchiata dalla polizia (le hanno rotto il braccio sinistro e la mano destra) e molestata sessualmente. Nel numero di maggio-giugno della rivista americana Foreign Policy (dedicato alla sessualità) scrive un articolo dal titolo “Perché ci odiano?”: oppressioni, violenze, mancanza di parità delle donne arabe – e la ragione, secondo la giornalista, è l’odio. Mona chiede ai lettori di riconoscere che le società e più specificamente gli uomini nel mondo arabo odiano le donne. La sua è la storia di copertina, illustrata e intervallata da immagini di una modella nuda con il corpo interamente dipinto di nero ad eccezione degli occhi. Accesissimo il dibattito su Twitter, dove Mona ha 130mila followers. E in due giorni, sui blog e sulla stessa rivista Foreign Policy, molti articoli critici in risposta al suo sono stati scritti da altre donne arabe. E voi da che parte state? Quella di Mona è una denuncia che coraggiosamente si erge oltre le barriere del politicamente corretto (“smettiamola di fingere – scrive – chiamiamo odio quello che è odio”, oppure è una visione semplicistica che rafforza i peggiori stereotipi, parlando a nome di tutte le donne arabe quando di fatto ci sono visioni tra loro diverse?
Le donne che la criticano non negano affatto i problemi posti da Mona, né è lei la prima a sollevarli – dalle mutilazioni genitali ai matrimoni forzati delle minorenni, fino alla consapevolezza che la Primavera Araba per cui le donne hanno combattuto al fianco degli uomini non ha migliorato (anzi, in alcuni casi ha peggiorato) la loro posizione nella vita politica e nella società. La criticano però per le seguenti ragioni (e segnalatene altre anche voi lettori, se ne vedete):
1) Le immagini. Molte commentatrici, tra cui le giornaliste Dima Khatib (anche lei Twitstar, da 97mila followers) nel suo articolo “Amore, non odio, Mona”, e Samia Errazzouki (“Cara Mona, tu non Ci rappresenti”) si sono sentite insultate dalle foto che illustrano l’articolo – la cui scelta comunque probabilmente esula dalle responsabilità di Mona ElTahawy. Per Samia Errazouki, la copertina “degrada e insulta ogni donna che conosco che indossi o abbia indossato il niqab” (il velo che copre anche il volto ad eccezione degli occhi) e “riduce ad oggetto, esotico e misterioso, le donne arabe”. Non aiuta il fatto che Mona ElTahawy in passato si sia detta a favore del divieto del velo integrale in Francia, tema sul quale le donne musulmane sono divise. Dima Khatib, che si definisce non meno emancipata di Mona e dice di condividere i suoi sogni, dichiara di aver provato una tale rabbia da voler strappare la rivista.
2) Il Noi. Mona parla in difesa delle donne arabe e a loro nome. ”La prima persona plurale può essere usata quando si è stati eletti dal gruppo”, osserva Errazouki. Non tutte le donne arabe vedono la realtà come Mona. E non si tratta solo dell’attivista della Fratellanza Musulmana Sondos Asem, che su Foreign Policy argomenta che la violenza contro le donne possa essere combattuta proprio attraverso la religione. Leila Ahmed, docente ad Harvard scrive: “Chiaramente ElTahawy è fieramente convinta che sia la religione al di sopra di ogni altra cosa – e in particolare e in modo esclusivo l’Islam – a costituire il fulcro mortale dell’oppressione delle donne in Medio Oriente. Ed è assolutamente un suo diritto credere questo… Ma molte delle donne che hanno manifestato per diritti umani e la dignità al fianco degli uomini portavano il velo, segno, solitamente, di un impegno verso l’Islam. Forse queste donne non condividerebbero la visione di ElTahawy dell’Islam come fonte di tutti i loro guai e problemi“. Lo studioso liberale Shadi Hamid osserva che, ad esempio, in Egitto molte donne hanno votato per partiti che non appoggiano l’uguaglianza di genere e i sondaggi hanno mostrato che la stragrande maggioranza delle egiziane, e non solo degli uomini, è contraria ad una presidente femmina. Hamid sostiene che anche con la partecipazione delle donne (di alcune donne), il risultato potrebbe essere alla fine un modello di società diverso da quello occidentale.
3) Impotenza e barbarie. A chi si rivolge l’articolo? E’ visto da alcune giornaliste arabe come un appello a lettori per lo più occidentali, chiamati a salvare le donne di una regione “barara”, scrive Khatib, e ridotte allo stereotipo di “velo e imene”, che peraltro la stessa ElTahawy cita e critica nel suo articolo ma è accusata di contribuire a rafforzare.
4) “Semplicistico”. E infine, il cuore della disputa sta in quella parola: odio. Mona attribuisce l’odio ad un “mix tossico di religione e cultura”. Sul Guardian (“Gli uomini arabi odiano le donne? Non è così semplice), la giornalista Nesrine Malik la accusa di “ridurre un problema più universale e complesso ad una questione solo di genere”. Perché, ad esempio – argomenta Malek – se le manifestanti egiziane arrestate sono state sottoposte a “test di verginità” (ovvero molestie sessuali), i loro compagni maschi in detenzione sono sodomizzati. Per le autrici dell’articolo “Parliamo di sesso” sul sito Jadaliyya la “battaglia contro la misoginia” non può ignorare “le questioni politiche ed economiche che, insieme al patriarcato, producono ineguaglianze tra uomini e donne”. Emerge, forte, la questione delle priorità: lottare per le donne innanzitutto (perché “finché la rabbia contro gli oppressori nei palazzi presidenziali non verrà estesa anche agli oppressori nelle strade e nelle nostre case, la nostra rivoluzione non sarà nemmeno cominciata”, come scrive Mona)? Oppure i problemi pur gravissimi delle donne arabe vanno affrontati insieme alla povertà, all’analfabetismo, e ad altre forme di oppressione sofferte sia dagli uomini che dalle donne, come argomenta Malik?
“Le femministe di ogni religione hanno sempre dibattuto fieramente sulle ragioni chiave dell’oppressione delle donne - osserva Leila Ahmed -. E’ il patriarcato, la religione, il razzismo, l’imperialismo o l’oppressione di classe, o un misto letale e tossico di tutte queste ragioni? E le femministe non si sono trovate d’accordo neanche sulle soluzioni, come pure su contro chi si debba lottare innanzitutto per liberare le donne”.
www.corriere.it
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19/04/2012
La France en passe de devenir un Etat Rose Masso-mafia
Gérard Dalongeville évoque son entrée en franc-maçonnerie où se mêlent responsables du PS 62 et grands patrons d'entreprises. « Chacun a une fonction qui peut en intéresser un autre. L'un est entrepreneur dans le bâtiment, l'autre donneur d'ordres, maître d'ouvrage, un autre est maire, directeur de SEM, un autre encore architecte... Rien n'est laissé au hasard : tous les maillons sont là, pour ne pas rater un marché, une candidature, un appel d'offres. » Sur le bailleur social héritier des logements miniers : « La Soginorpa n'est pas seulement un tiroir-caisse pour JPK, une machine à marchés lucratifs pour les entreprises du bâtiment, c'est aussi un distributeur d'emplois fictifs pour récompenser les copains et s'assurer de leur silence et de leur soumission. »
À propos des cartes bleues de Jean-Pierre Kucheida : « Partout où je l'ai accompagné, je l'ai vu sortir ses multiples cartes bleues, un coup celle de la Soginorpa, un coup celle d'Adévia... Je ne sais même pas s'il en a une propre ! Mais la plupart du temps, il n'en sort aucune, car il y a très souvent quelqu'un à côté de lui pour lui servir de chéquier vivant ».
Sur le fonctionnement du financement occulte présumé : « L'argent en espèces provenant des entreprises est transformé en dons de militants. Un militant va faire un don et l'entreprise va déposer sur son compte la somme correspondante. Un militant reçoit 300 E et en verse 250, en récupérant au passage un petit intéressement ou un coup de pouce pour obtenir un logement de la Soginorpa ou d'Adévia ou encore un emploi pour son fils ou sa fille. »
Campagne municipale de 2008. Un tract diffamatoire contre le candidat du FN est distribué par le PS : « Steeve Briois dépose plainte contre un militant qui distribuait le texte. Tout est fait au PS pour étouffer l'affaire. Le militant s'est vu imposer deux avocats. On lui dit : "Tu assumes, tu seras condamné à trois fois rien, mais tu ne lâches rien." C'est exactement la même pratique qui se répétera avec mon dossier : tout faire pour éviter que la justice ne s'intéresse au parti. Ils ont préféré faire condamner le petit militant. »
Février 2008. François Hollande est à Hénin pour soutenir Dalongeville aux municipales : « C'est tout de même étonnant que le Premier secrétaire du Parti socialiste soutienne un candidat qui a été radié du PS en 2000 ! Quand une journaliste lui pose la question de mon retour au PS, il répond : "Je ne suis pas venu faire des adhésions. Maintenant s'il y a victoire c'est plus facile en effet de rejoindre les rangs du PS." Tout est dit ! »
Avril 2009. Placement en détention provisoire après sa mise en examen pour détournement de fonds publics : « Cela fait 72 heures que je n'ai pas pris une douche, je porte les mêmes vêtements et je n'ai quasiment rien mangé. On contrôle mon identité, j'ai droit à une fouille intégrale. On me donne mon paquetage, une paire de chaussettes, un slip, un T-shirt, une serviette et c'est tout. On m'accompagne dans une cellule. Je suis tellement crevé que j'ai envie de dormir. » Huit mois plus tard la libération... « À présent on entre dans la phase des remerciements. Quand je suis à Bailleul (cabinet de son avocat, ndlr) Jacques Mellick vient me dire bonjour, me transmet les amitiés de Kucheida et Percheron. Jean-Pierre Corbisez m'appelle, mes frais d'avocat sont pris en charge, le parti t'est reconnaissant. » Sur la préparation de son procès : « C. et M. me disent : "Le juge Pichoff (mis en examen pour corruption, ndlr) a présidé certains de nos procès à Béthune, voilà comment les choses vont se passer." Le magistrat va toucher 60 000 E apportés par les amis socialistes reconnaissants. »
Décembre 2010. De retour à la case prison pour non respect de son contrôle judiciaire, l'ancien maire craque. « Je me dis non je ne passerai pas les fêtes ici. Si dans une semaine je ne suis pas dehors, je raconte tout. » La semaine s'écoule. Gérard Dalongeville, toujours derrière les barreaux, se décide à écrire à la juge. « Adévia visite les élus sur leurs projets, leur promet financements et soutiens puis la consultation est lancée et l'attribution revient à Adévia ! » Le prisonnier enfonce le clou : « L'argent du coffre (13 000 euros retrouvés lors d'une perquisition de son bureau en mairie, ndlr), c'est celui du parti ! » Et promet à la juge des « déclarations retentissantes » sur le financement du parti.
La lettre est postée le 13 décembre. Gérard Dalongeville est libéré un mois plus tard. Aujourd'hui, le repenti s'apprête à assurer la promo de son livre, qui s'achève sur un sujet d'actualité brûlant : l'affaire du Carlton. « S'il existe un lien entre l'affaire DSK/Carlton et l'affaire du PS 62, il ne tient pas à des histoires de moeurs, mais à une question de financement. »
www.nordeclair.fr
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Haine mahométaine
L'islam est une maladie de l'âme!
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09/04/2012
Bayrou , comme Aubry et sa clique, contre la mixité pour plaire aux barbouzes
Bayrou lève son voile ( et accepte celui des femmes)
http://www.dontmiss.fr/n46692-1/francois-bayrou-les-femme...
Refléchissez mesdames, refléchissez................
11:59 | Lien permanent | Commentaires (0)
29/03/2012
Comment fabrique-t-on des Mohamed Merah?
Voici un exemple, parmi des milliers, de l'"education" musulmane ...en terre de France (clic sur PDF)
Si vous voulez l'original, il vous en coutera 7 euros sur www.essalam.com
Salam aleikum!
PS:A l'époque de l'article, les pauvres enfants tués tétaient encore le biberon: les responsables politiques sont-ils poursuivables pour NON ASSISTANCE A PERSONNE EN DANGER?
12:11 | Lien permanent | Commentaires (0)
16/02/2012
Histoires islamiques
Un jeune homme de 24 ans s'est violemment opposé à ce que l'équipe médicale chargée de faire accoucher sa femme lui retire son voile. Il a été condamné à six mois de prison ferme.
Reconnaître les faits et s'excuser n'auront rien changé. Nassim Mimoune, 24 ans et originaire de Seine-Saint-Denis, a été condamné mercredi à six mois de prison ferme en comparution immédiate devant le tribunal correctionnel de Marseille pour avoir blessé la sage-femme de son épouse et dégradé le matériel d'un bloc opératoire de l'hôpital Nord de la cité phocéenne.
Plus que l'agression, c'est le comportement global du jeune homme qui a été condamné. En vacances à Marseille avec son épouse enceinte, Nassim a conduit cette dernière à l'hôpital, lundi, après qu'elle a été prise de contractions. Il s'oppose dans un premier temps au toucher vaginal qu'une sage-femme tentait de pratiquer, menaçant également son épouse, qui souhaitait se laisser faire. «Tu en subiras les conséquences, on divorcera», lui aurait-il asséné, ajoutant: «En France, on essaye toujours de violer nos femmes».
Conduite au bloc pour y subir une césarienne, sa femme semble en accord avec la manière dont les médecins s'occupent d'elle. Afin d'apaiser la situation, l'équipe médicale accepte que Nassim assiste à l'intervention depuis le sas du bloc opératoire.
Mais lorsqu'il aperçoit l'anesthésiste retirer le voile de son épouse, Nassim intervient. «Je me suis mis en colère», a-t-il expliqué devant les juges. En intervenant, il blesse une sage-femme, lui provoquant une incapacité totale de travail de deux jours. «En tirant sur la porte, j'ai tapé sa main, je l'avoue, j'ai sûrement appuyé, je suis prêt à dédommager, je présente mes excuses, je n'ai pas voulu faire de mal», a-t-il ajouté, concluant qu'il n'avait pas «à faire valoir (ses) lois religieuses au sein d'un établissement médical».
Mais cette déclaration de repentance n'a pas semblé convaincre le vice-procureur de la République de Marseille. Ce dernier a jugé les faits «inadmissibles» et n'a pas hésité à décrire Nassim Mimoune comme un «tyran domestique, incapable d'accepter les règles de la société, qui considère que son dogme est supérieur aux lois de la République».
http://www.lefigaro.fr/actualite-france/2011/12/22/01016-...
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11/02/2012
Gauche ou droite? Peu importe: l'Etat est dans les mains des Loges!
12:35 | Lien permanent | Commentaires (0)
10/02/2012
L'héritage funeste de la revolution française (et son substrat maçonnique)
Les origines de l'idéologie révolutionnaire
L'idéologie révolutionnaire plonge ses racines dans le rationalisme qui se fait jour au XVIIe siècle avec René Descartes qui publie en 1637 Le Discours de la méthode et Les Méditations métaphysiques en 1641, livres qui eurent un grand retentissement, à tel point que Blaise Pascal voulut écrire un ouvrage apologétique mais il n'en eut pas le temps, il ne nous en reste que des fragments rassemblés sous le titre de Pensées. Pascal voulait s'adresser aux libertins épris de raison: tel était le sens de son fameux et maladroit pari qui consistait à vouloir convaincre par la raison d'une réalité qui non seulement la transcendait mais se situait à un autre niveau de compréhension justement inaccessible à tout raisonnement. On peut y voir là une influence pernicieuse de Descartes pour qui l'existence de Dieu pouvait être démontrée: Puisque tout effet a une cause et que la cause n'a pas moins de réalité que l'effet, il faut que cette idée de l'infini soit causée par quelque être parfait qui en est le véritable auteur; donc Dieu existe. Le surnaturel est ramené au naturel, et la tripartition de l'être humain en corps-âme-esprit se ramène à une bipartition corps-âme, la notion d'infini se confond avec celle d'indéfini comme l'illustre le pari de Pascal (les deux infinis). Donc la particularité du rationalisme français, c'est sa prétention à vouloir traiter de questions métaphysiques, à la différence du rationalisme anglais qui ne vise essentiellement qu'à s'appliquer aux choses pratiques et purement scientifiques. Le cartésianisme, en faisant de Dieu une projection humaine, rejoint les Grecs de l'Antiquité qui faisaient des dieux à leur image (" l'homme est la mesure de toutes choses " selon eux) mais ce qui est nouveau ici, c'est que cette projection fait appel au raisonnement scientifique et non à l'imaginaire mythologique. Du reste, Dieu n'est pas indispensable à ce système de pensée qui permet d'adopter deux attitudes face à lui:
- Soit, on admet son existence et cela donne le déisme.
- Soit, on le rejette totalement et c'est l'athéisme.
Toutefois, Descartes s'est lui-même piégé dans ses ratiocinations avec son absurde "Je pense donc je suis " car sur le plan de la logique formelle, le sujet "je " précède le verbe "pense", donc la pensée émane de l'être et non l'inverse, de plus, identifier l'être à la pensée, c'est confondre la fumée avec le feu qui en est la source, c'est oublier que la pensée est aussi l'expression de phénomènes totalement irrationnels et qu'elle peut s'arrêter à tout moment lorsque l'homme accède à un degré élevé de contemplation par la pratique de la méditation ou de l'oraison. Cette ontologie cartésienne prétend faire de l'homme un être universel parce que rationnel. Ce système de pensée, tel un virus, va peu à peu saper les fondements chrétiens de la société française. (1)
Les fondements de l'idéologie révolutionnaire
Ce sont incontestablement Voltaire et Rousseau qui donnent au rationalisme son prolongement politique, le premier par son antichristianisme militant, le second par son Contrat social. Tous les deux sont déistes, à la différence de Diderot qui était farouchement athée; pour Voltaire, c'était le dieu horloger qui faisait fonctionner l'Univers, pour Rousseau, l'Être Suprême. Le rationalisme de Voltaire est issu de celui de l'œuvre de John Locke dont il eut connaissance lors de son séjour en Angleterre et qu'il mit en pratique pour exploiter son domaine de Ferney. Ce n'est donc pas de ce côté qu'il faut rechercher son influence sur la Révolution. C'est plutôt son antichristianisme viscéral qui alimenta chez les révolutionnaires de 1789 cette haine de Dieu et de tout ce qui s'y rattachait : l'Église et le roi. Pire encore, il utilisa l'islam pour démolir le christianisme: alors que jusqu'en 1745, il considère Mahomet comme un « imposteur », un « faux prophète », un « fanatique » et un « hypocrite » (2) mais le décrit aussi comme un « enthousiaste » et « grand homme » à l'image d'Alexandre le Grand (3), il se sert ensuite de l'islam comme d'un instrument contre le christianisme qu'il considère comme «la plus ridicule, la plus absurde et la plus sanglante religion qui ait jamais infecté le monde». (4) Il caricature Jésus en le présentant «comme un chef de parti», un «gueux», un homme «de la lie du peuple» qui voulait former une secte. Par contre, Mahomet quant à lui avait établi un culte qui «était sans doute plus sensé que le christianisme. On n'y adorait point un dieu en abhorrant les juifs; on n'y appelait point une juive mère de Dieu; on n'y tombait point dans le blasphème extravagant de dire que trois dieux font un dieu; enfin, on n'y mangeait pas ce dieu qu'on adorait et on n'allait pas rendre à la selle son créateur». (5) La religion qu'apporte Mahomet était en revanche «le simple théisme, la religion naturelle et par conséquent la seule véritable». (6) Voltaire, si vanté par ses hagiographes républicains (7) pour son esprit critique, répète comme un perroquet ce qui est dit dans le coran en s'abaissant au passage à une argumentation se situant au niveau des fosses d'aisance.
Le patriarche de Ferney, par le succès qu'il connut de son vivant, notamment par ses pièces de théâtre (complètement oubliées aujourd'hui), a pu instiller ainsi son poison antichrétien d'une façon particulièrement efficace, alimentant le torrent antireligieux qui ne cessa de grossir jusqu'à la Révolution et dont le signe avant-coureur fut la dissolution, par un arrêt du Parlement de Paris pris le 6 août 1762, de la Compagnie de Jésus, de la mise sous séquestre de ses biens, et de la dispersion des pères jésuites; les parlements de province firent la même chose dans les mois qui suivirent si bien qu'en 1764, il ne resta plus rien de la Compagnie de Jésus en France. Les Jésuites avaient non seulement été en butte aux attaques des jansénistes gallicans et parlementaires mais surtout à celles des philosophes athées de l'Encyclopédie auxquels ils avaient répliqué par leur Dictionnaire de Trévoux.
Si la pensée de Voltaire, en dehors de son antichristianisme, ne semble guère avoir de rapport avec l'idéologie révolutionnaire, ce n'est pas le cas de Rousseau car son Contrat Social eut une influence prépondérante chez les révolutionnaires de 1789 au point d'en constituer le corpus idéologique. Rousseau, influencé par les thèses de Thomas Hobbes, en prit pourtant le contre-pied à propos de l' "état de nature" : si pour Hobbes, "l'homme est un loup pour l'homme", Rousseau répond que "l'homme est naturellement bon, c'est la société qui l'a corrompu", par conséquent, il faut passer un contrat avec une société gouvernée par la raison et par l'intérêt commun à tous les individus (et non la somme des intérêts particuliers) qui la composent: c'est la " volonté générale ", concept qui justifia tous les actes des révolutionnaires.
La volonté générale, un concept totalitaire
On a beaucoup disserté pour savoir si le Contrat social avait donné naissance à tous les totalitarismes qui suivirent ou aux démocraties libérales, en concluant à une ambiguïté, voire à une ambivalence sur ce point en s'appuyant sur le fait que la volonté générale était l'expression du peuple, donc de la démocratie. La définition de ce mot est connue: C'est le gouvernement du peuple, par le peuple et pour le peuple, définition dans laquelle les libéraux aussi bien que les révolutionnaires comme Lénine se sont reconnus. La difficulté vient de ce qu'on associe, de nos jours, la notion de démocratie à celle de suffrage universel et de liberté; on a vite oublié ou on n'a jamais voulu voir qu'avant la chute du mur de Berlin en novembre 1989, les pays de l'Europe de l'Est sous domination soviétique étaient dénommés "démocraties populaires". En fait, la notion de liberté et celle de démocratie n'ont rien à voir l'une avec l'autre; à l'inverse, un régime monarchique peut se montrer respectueux des libertés. (8) Louis XVI, ce "tyran" que les révolutionnaires traînaient dans la boue, a, en dix-neuf ans de règne, signé tous les recours en grâce qu'on lui soumettait, de sorte qu'aucun condamné à mort ne fut renvoyé à l'échafaud. Il supprima l'usage de la torture dans les interrogatoires et celui des corvées. Bien plus, il promulgua l'édit de tolérance du 17 novembre 1787 accordant l'état civil et un statut aux protestants. Si le roi était le souverain, tenant sa légitimité de Dieu validée par la cérémonie du sacre, et le peuple ses sujets, on se heurte avec Rousseau à une aporie : si le peuple est souverain, où sont les sujets ? Le peuple serait donc à la fois souverain et sujet. Et puis, qu'est-ce que Rousseau appelle l'homme ? "Or, il n'y a point d'homme dans le monde. J'ai vu, dans ma vie, des Français, des Italiens, des Russes, etc.; je sais même, grâce à Montesquieu, qu'on peut être Persan: mais quant à l'homme, je déclare ne l'avoir rencontré de ma vie; s'il existe, c'est bien à mon insu", (9) répond Joseph de Maistre avec ironie. Ce qui revient à dire que l'homme, en tant qu'entité abstraite n'existe pas. En fait, l'homme n'est pas " naturellement bon ", il porte en lui le bien et le mal. (10) Or c'est sur cette erreur ontologique dans la pensée de Rousseau que repose le totalitarisme du Contrat social: pour éviter à l'homme d'être corrompu, celui-ci va renoncer à sa liberté personnelle pour se fondre dans la volonté générale qui est la seule liberté pour lui puisqu'elle est gouvernée par la raison. Il y a là une confusion de la liberté individuelle et des libertés publiques, ce qui nous amène à parler de la devise Liberté-Égalité-Fraternité.
Une devise trompeuse
Pour parler de cette devise, il faut commencer par l'égalité qui en est à la base. La notion révolutionnaire d'égalité repose sur le fait que "les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droit" (11 ) puisqu'ils ne sont plus qu'une abstraction rationnelle. Cette égalité n'est qu'une uniformité. Elle n'a rien à voir avec une quelconque notion de justice, comme le croient la plupart de nos concitoyens. Elle est l'expression dévoyée de l'égalité chrétienne qui se fonde sur le fait que les hommes sont tous les enfants de Dieu, portent tous la marque du péché originel et partagent cet état de chute dans cette "vallée de larmes" qu'est l'univers dans lequel se déroule leur existence, vision insupportable pour le révolutionnaire qui veut faire un paradis sur terre: "Tout en se revendiquant des valeurs évangéliques, les révolutionnaires, en expulsant Dieu, se sont coupés de la source sans laquelle on ne peut plus reconnaître les fruits. Ainsi, une liberté qui n'est pas donnée par un Père est un mouvement incohérent; une égalité qui ne reconnaît pas le choix préférentiel d'un amour est mensongère et une fraternité qui s'autoproclame sans référence à une origine commune est fausse, tout simplement. Vouloir tuer le Père tout en gardant les valeurs, par lui, léguées, est impossible". (12) [...] Cet égalitarisme conduit inexorablement à tout rabaisser au niveau du plus petit dénominateur commun et n'a rien à voir cette égalité "à l'américaine" décrite par Tocqueville qui pousse l'homme à tenter d'égaler ceux qui lui sont supérieurs.
En ce qui concerne la liberté, affirmer que les hommes naissent libres conduit à une contradiction : "Si les hommes naissaient libres, c'est que cela se ferait naturellement et il est donc contradictoire de le décréter par écrit. Ce qui est écrit est justement ce qui n'est pas naturel et a besoin de cet écrit pour exister". (13) Mais le plus dangereux, c'est précisément de vouloir imposer la liberté par le droit en se fondant sur une conception erronée de celle-ci: "En confondant et en mélangeant les libertés publiques (qui existaient sous la royauté et dont le roi était le garant puisqu'elles tenaient sur sa parole, autrement plus solide que l'écrit) et la liberté personnelle (dont le siège est ma conscience), les révolutionnaires ont pris le risque qu'elles se contredisent l'une l'autre et s'empêchent de fonctionner". (14) [...] "L'idée selon laquelle un régime des libertés publiques protège la liberté individuelle est un leurre, il ne peut éventuellement que garantir des contrats qui lient les hommes entre eux. Une liberté se conquiert, c'est ce qui fait son essence même. Prétendre protéger la liberté individuelle, c'est l'annihiler". (15) C'est d'autant plus vrai quand on examine l'article 4 de la Déclaration des droits de l'homme et du citoyen qui définit la liberté d'une manière négative, étant donné qu'elle "consiste à faire tout ce qui ne nuit pas à autrui" faute d'en avoir une conception claire, et surtout en fixe les limites par la loi, ouvrant ainsi la porte à l'arbitraire. Puisque l'homme est "naturellement bon", il va aliéner sa liberté au profit de la société pour son plus grand bien : " Il y a derrière cette idée de régime de libertés publiques, l'idée du progrès moral de l'humanité et donc la négation de la possibilité du mal". (16) Selon cette idéologie, si les hommes sont "libres et égaux" ils ne peuvent qu'être fraternels.
Avec la fraternité, on se heurte à une nouvelle contradiction car il ne peut y avoir de frères sans parents: "A partir de la Révolution, nous ne sommes plus les fils de nos pères, nous sommes de la même génération". (17) [...] "Exit la naissance, nous n'existons que par bloc générationnel. Or une génération ne crée pas que des frères, elle crée des individus juxtaposés qui passeront leur temps à comprendre ce qui les lie à ces autres individus, qui ne sont pas leurs frères, ni leurs pères et pourtant d'où ils sont nés. C'est le principe des signes des temps". (18) [...] "Dans cette histoire où les générations se suivent en se différenciant, chacune d'entre elles, dans un mouvement qu'elle croit être généreux, veut que la suivante soit composée, non d'héritiers, mais de fondateurs. Chaque génération politique veut que la suivante recrée le monde. Cri désespéré des pères qui s'aperçoivent qu'ils n'ont rien réussi à transmettre d'autre que le vide et le chaos". (19 ) C'est pourquoi la république française a trouvé une nouvelle parenté: la patrie, ou devrait-on dire la " matrie ", Marianne, pour laquelle on va aller se faire tuer au "champ d'horreur" (20), ne rendant la fraternité possible qu'en fraternité d'armes. (21) Enfin, "c'est au moment où les républicains proposaient la fraternité comme projet politique qu'ils abolissaient les conditions possibles de son application" (22) avec la loi Le Chapelier du 14 juin 1791 qui interdisait toute forme d'association.
Toujours est-il que l'application de ce système de pensée politique, bancal parce que reposant sur des idées à la fois fausses, contradictoires et dangereuses, ne pouvait que conduire au désastre de la Révolution en rendant impossible toute réforme de l'Ancien Régime en monarchie constitutionnelle.
La Révolution ou l'impossible monarchie constitutionnelle à la française
Voltaire avait une grande admiration pour la monarchie anglaise et il ne fut pas le seul, puisqu'elle inspira Montesquieu pour rédiger l'Esprit des Lois, ouvrage dans lequel il énonça le principe de la séparation des pouvoirs (exécutif, législatif et judiciaire). A l'époque, il n'était pas question de renverser la monarchie mais de la réformer. Toutefois, le mot de "révolution" appliqué à la politique n'était pas étranger aux philosophes du XVIIIe siècle, puisque l'Angleterre connut deux révolutions. Ce mot, au départ, se rapporte aux astres (la terre accomplit en une année une révolution autour du soleil) et par extension, il désigne un cycle, une péripétie. Et c'est ainsi que les choses se sont passées outre-Manche: la première révolution mit fin à la monarchie avec Cromwell qui instaura à sa place une république (Commonwealth), en réalité un despotisme puritain, et fit décapiter le roi Charles Ier; après la mort de Cromwell, la monarchie fut rétablie en la personne de Charles II et ce fut la Restauration. Toutefois, Jacques II, son frère, qui lui succéda, était catholique et faisait craindre à ses opposants un retour en force de cette religion. Son gendre, Guillaume d'Orange le chassa du trône et avec l'accord du Parlement, s'empara du pouvoir et mit fin au règne autocratique des Stuart; en contrepartie, il dut signer en février 1689, la déclaration des droits (Bill of Rights). Cette déclaration interdisait l'accession au trône d'un catholique, assurait des élections libres et le renouvellement du Parlement, et rendait illégale la présence d'une armée en temps de paix. Cet épisode fut appelé "la révolution glorieuse" (Glorius Révolution), non seulement parce qu'elle s'était accomplie de façon non-violente, mais surtout, parce qu'elle instaurait une monarchie constitutionnelle limitant les pouvoirs du roi. Il s'agit donc bien d'une révolution, c'est-à-dire d'un cycle qui commence avec la monarchie pour y revenir mais différemment : rien ne sera plus comme avant. Les Anglais surent tirer les enseignements de l'épisode Cromwell: ils comprirent tout le danger d'un système politique dont la légitimité ne reposait pas sur un principe de droit divin en la personne d'un roi dont on pouvait par ailleurs limiter les prérogatives: le roi représente la nation, il en symbolise l'unité, et pour le reste, c'est le parlement et le premier ministre qui gouvernent. Si la religion officielle du royaume est la religion anglicane, elle n'est pas imposée aux sujets du roi (cette question fut au cœur de cette première révolution marquée par deux guerres civiles; Charles Ier fut en effet accusé par les puritains de vouloir rétablir le catholicisme).
En attendant, l'Angleterre n'a pas remis en question les fondements chrétiens de la société, elle a réformé son système politique sans le bouleverser. Le modèle anglais pouvait-il donc s'appliquer à la monarchie française? Avant de répondre à cette question, on a coutume de distinguer la période 1789-1792, comme étant celle de la monarchie constitutionnelle et la période de la Terreur dont le premier signal est donné par les massacres de septembre 1792, et qui prit fin en juillet 1794 avec la chute de Robespierre. D'où l'idée que la Révolution aurait dérapé après une tentative conciliante de monarchie constitutionnelle. Rien n'est plus faux, comme le montrent les évènements, avec comme point de départ, la réunion des États Généraux au mois de mai 1789. Et là, tout va très vite: le tiers-état qui se transforme en assemblée constituante, la prise de la Bastille, l'abolition des privilèges, la Déclaration des droits de l'homme et du citoyen (le 26 août) qu'on peut considérer d'ores et déjà comme une abolition virtuelle de la monarchie tant la conception du pouvoir politique qui s'en dégage lui est diamétralement opposée, si bien que d'emblée, le roi est condamné à disparaître et le compte à rebours est enclenché. Tous ces évènements se produisent dans un climat insurrectionnel et les futurs révolutionnaires ne se privent pas d'agiter la populace pour faire pression sur le roi afin de lui faire avaler de plus en plus de couleuvres (23): En 1789, on assiste à la suppression de la dîme, à la nationalisation des biens ecclésiastiques transformés en biens nationaux et à l'abolition de l'ordre du clergé, ce qui asservit les ministères du culte à l'État. "Le décret du 13 février 1790 interdit de prononcer des vœux solennels de religion et supprime tous les ordres où on fait ce genre de vœux, c'est-à-dire tous les ordres monastiques, tous ceux des chanoines réguliers et tous les ordres mendiants." (24) Enfin, la loi du 12 juillet 1790 dite Constitution civile du clergé fait de l'Église une simple administration du culte, une Église d'État (un État sans religion qui ne reconnaît que des " opinions religieuses "). Interdiction aux évêques de solliciter du Pape leur institution canonique et leur juridiction spirituelle. L'Église de France est séparée de Rome. Seule compte la religion d'État et tous ceux qui la refusent sont des ennemis qu'il faut éliminer : "Si quelqu'un, après avoir reconnu publiquement ces mêmes dogmes se conduit comme ne les croyant pas, qu'il soit puni de mort". (25)
Toutes ces mesures prisent à l'encontre de la religion nous montrent que le modèle anglais n'avait aucune chance de s'appliquer à la monarchie française, puisqu'on s'attaque à ses fondements chrétiens: "L'histoire religieuse de la France pendant la Révolution est l'un des épisodes les plus dramatiques de l'histoire du christianisme. Une grande persécution sévit alors contre la religion. Cette persécution fut inattendue, surprenante et d'une extrême cruauté" (26) et on n'avait pas vu cela en Occident depuis l'empereur romain Dioclétien. La folle machine destructrice de la Révolution est lancée dès 1789, c'est un mouvement sans précédent dans l'Histoire qui donne au mot "révolution" une signification nouvelle, à savoir la transgression de l'ordre surnaturel que représentent le roi et l'Église. La révolution française présente selon nous quatre caractéristiques principales: " prométhéisme ", haine, destruction de tous les groupes sociaux, prosélytisme.
Une révolution prométhéenne
Les révolutionnaires veulent créer un homme nouveau, le citoyen, en régénérant la société par un système politique qui non seulement rejette tout principe divin mais se substitue à lui; les idées révolutionnaires sont des idées modernes, et "les idées modernes sont des idées chrétiennes devenues folles" selon la célèbre formule de Chesterton. En fait, non seulement Dieu est de trop dans ce projet politique mais on le défie comme en témoignent les fêtes révolutionnaires de 1793 au cours desquelles on se livre à des actes blasphématoires dans les églises. (27) A l'absolu divin, on veut substituer un absolu humain, attitude qui ne peut conduire qu'au totalitarisme car de quel droit certains hommes décident de ce qui est bon pour tous les autres? Qu'est-ce qui fonde leur supériorité? Rien, ils ne peuvent que s'imposer par la violence en voulant que la réalité se plie à leur conception du monde et tout ce qui y fait obstacle doit être éliminé. Cela génère de leur part une haine féroce qui justifie toutes les abominations commises au nom de la Révolution.
La haine, carburant de la Révolution.
A l'amour du Christ, les révolutionnaires opposent la haine et veulent réaliser un paradis sur terre... en créant l'enfer, suprême folie : "On ne fonde pas un régime libre avec des préventions ignorantes et des haines acharnées" (28). La Révolution, pour accomplir son sinistre projet, doit éliminer tout ce qui s'interpose entre l'État et l'individu afin que ce dernier puisse se fondre dans la "volonté générale". Par conséquent, tous les groupes sociaux doivent disparaître.
Destruction des groupes sociaux
La Révolution, après l'avoir mis au pas dans un premier temps, détruit le clergé, puis les corporations de métiers, tous les corps constitués de l'ancienne administration royale, et les provinces pour diviser la France en 83 départements, afin de mieux contrôler le pays. (29) Cette destruction est parachevée par la loi Le Chapelier qui a pour objectif d'empêcher la création de nouveaux groupes sociaux comme les associations ou les syndicats. Il ne reste plus rien entre le citoyen et l'assemblée nationale toute-puissante qui non seulement représente le peuple mais est le peuple et décide de ce qui est bon pour lui : à la monarchie absolue succède "l'assemblée absolue". Cet objectif atteint, l'homme nouveau peut émerger et comme il est universel, la Révolution doit s'exporter.
Prosélytisme
Le prosélytisme de la Révolution est l'image inversée du messianisme chrétien: au lieu de se faire par la prédication, il s'accomplit par les armes; c'est ainsi que le 20 avril 1792, et pour une fois avec l'accord de Louis XVI qui espérait la défaite de l'armée révolutionnaire pour reprendre le pays en main, l'assemblée législative déclare la guerre à l'empereur d'Autriche, engageant la France dans un conflit qui devait durer 23 ans jusqu'à la défaite de Waterloo en 1815.
En dehors de ces quatre caractéristiques que nous venons d'énoncer, il y a un élément rarement évoqué à propos de la révolution française: c'est la nullité de ses acteurs.
Une révolution de nuls
"Les scélérats mêmes qui paraissent conduire la révolution, n'y entrent que comme de simples instruments; et dès qu'ils ont la prétention de la dominer, ils tombent ignoblement. Ceux qui ont établi la république, l'ont fait sans le vouloir et sans savoir ce qu'ils faisaient; ils y ont été conduits par les événements: un projet antérieur n'aurait pas réussi.
Jamais Robespierre, Collot ou Barère, ne pensèrent à établir le gouvernement révolutionnaire et le régime de la terreur; ils y furent conduits insensiblement par les circonstances, et jamais on ne reverra rien de pareil. Ces hommes excessivement médiocres exercèrent, sur une nation coupable, le plus affreux despotisme dont l'histoire fasse mention, et sûrement ils étaient les hommes du royaume les plus étonnés de leur puissance". (30) " Toute cette France vivante, la tragédie immense que vingt-six millions de personnages jouent sur une scène de vingt-six milles lieues carrées, échappe au Jacobin; il n'y a, dans ses écrits comme dans sa tête, que des généralités sans substance [...] elles s'y déroulent par un jeu d'idéologie, parfois en trame serrée, lorsque l'écrivain est un raisonneur de profession, comme Condorcet, le plus souvent en fils entortillés et mal noués, en mailles lâches et décousues, lorsque le discoureur est un politique improvisé ou un apprenti philosophe comme les députés ordinaires et les harangueurs de club. C'est une scolastique de pédants débitée avec une emphase d'énergumènes. Tout son vocabulaire consiste en en une centaine de mots, et toutes les idées s'y ramènent à une seule, celle de l'homme en soi: des unités humaines toutes parallèles, égales, indépendantes et qui pour la première fois contractant ensemble, voila leur conception de la société. Il n'y en a pas de plus écourtée, puisque, pour la former, il a fallu réduire l'homme à un minimum; jamais cerveaux politiques ne se sont desséchés à ce degré et de parti pris. Car c'est par système...qu'ils s'appauvrissent". (31) "Les parlementaires de la Révolution ne sont pas tant les auteurs de leurs propres paroles que les miroirs ou l'écho du consensus fabriqué par la force persuasive de quelques idées simples. Quelles que soient leurs convictions propres, leurs prises de position publiques ne font que refléter par mimétisme ce que leur souffle le discours servi par l'orateur précédent". (32) On voit bien apparaître ici le caractère incontrôlé de la Révolution, que les principaux protagonistes ont légitimé par l'unanimité face à laquelle l'opposition, la délibération et la réflexion sont devenues des insultes à la souveraineté mais pire encore, "pour s'emparer du pouvoir, l'Assemblée a dès l'abord toléré ou sollicité les coups de main de la rue. Mais en prenant les émeutiers pour alliés, elle se les est donnés pour maîtres et désormais [novembre 1789] à Paris comme en province, la force illégale et brutale est le principal pouvoir de l'État". (33) Les révolutionnaires ne savent que détruire comme l'illustrent ces propos de Saint-Just, l' "Archange de la Terreur": "Une nation ne se régénère que sur des monceaux de cadavres". "Ce qui constitue une république, c'est la destruction totale de ce qui lui est opposé". Au départ, ils ne conçoivent l'ennemi que comme un élément externe (clergé, monarchie, noblesse) pour ensuite s'en imaginer et en fabriquer en son sein: la société idéale ne pourra pas se faire tant que ses adversaires ne seront pas éliminés: c'est une tâche sans fin, une insurrection permanente qui devient le seul but de l'action révolutionnaire. Cette constatation est d'ailleurs applicable à tous les totalitarismes dont la Révolution fut la matrice.
En définitive, dépourvus de formation politique, jouant les apprentis sorciers en s'appuyant sur des émeutiers d'une incroyable barbarie, (34) les révolutionnaires ne furent que les acteurs minables d'une tragédie qu'ils n'avaient ni écrite ni même mise en scène pour être finalement broyés par la machine à massacrer qu'ils avaient eux-mêmes lancée, de sorte que le 26 octobre 1795, date de l'avènement du Directoire, l'échec de la Révolution était consommé. Toutefois, celle-ci, de façon irréversible, avait laissé des traces profondes en divisant la France en deux, héritage amer d'une nation qui venait de traverser six années de folie collective.
L'héritage de la Révolution au XIXe siècle
Cet héritage, c'est d'abord la légitimation de la rébellion: à chaque fois qu'on est mécontent du pouvoir, on descend dans la rue pour prendre les armes et les émeutes n'ont pas manqué au cours du XIXe siècle. Pour le reste, il s'est installé cette idée que pour que la société change, il faut changer de pouvoir politique, voire de régime et le XIXe siècle en connut sept. Mais l'héritage le plus profond, c'est celui d'un espoir déçu, d'un désir de revanche sur l'Histoire et, le temps effaçant de la mémoire les horreurs de cette période noire pour l'idéaliser, il s'élabora sous le règne de Louis-Philippe, notamment avec Jules Michelet, une mythologie de la Révolution qui trouva un écho grandissant auprès d'une classe ouvrière souffrant de conditions d'existence terribles pour conduire à la révolution manquée de 1848. Elle fut suivie d'une deuxième tentative avec la Commune de 1871.
L'impossible révolution sociale
Il y a eu sous la Révolution un aspect social qui apparut avec les Enragés, un groupe de révolutionnaires radicaux qui revendiquaient l'égalité sociale en préconisant entre autres la taxation des riches; leurs idées furent reprises par Gracchus Babeuf qu'on peut considérer comme un véritable précurseur du communisme. "Les Enragés, actifs de février à septembre 1793, donneront naissance à une extrême gauche anarchiste qui se manifestera dans les années 1890 par une série d'attentats sanglants et par des actions de banditisme résultant d'une corruption de l'anarchisme traditionnel par une phraséologie du droit à la paresse et au vol baptisé «reprise individuelle» ou «illégalisme». " (35) La caractéristique du socialisme français, c'est son athéisme radical, en réalité son antichristianisme viscéral, qui s'était développé sous le Second Empire et, repris par les vieux démons de la Terreur, les communards exécutèrent Mgr Darboy, archevêque de Paris, massacrèrent les dominicains d'Arcueil et les jésuites de la rue Haxo. La répression qui suivit la Commune et l'instauration de la IIIe République, qui consacra le pouvoir de la bourgeoisie, mit fin au socialisme révolutionnaire pour se muer en action syndicale que la loi de 1884 sur les associations professionnelles a rendu possible. (36) Le mythe révolutionnaire était à l'agonie; il recevra son coup de grâce au congrès de Tours, le 25 décembre 1920, avec l'adoption d'une motion présentée par Cachin et Frossard proposant l'adhésion du mouvement ouvrier à la IIIe Internationale communiste.
Une révolution sur mesure pour la classe ouvrière
La révolution bolchevique avec sa doctrine cohérente, le marxisme-léninisme, qui allie théorie et pratique, avait supplanté, pour la majorité du mouvement ouvrier français, le vieil héritage de 1789 dans lequel, au bout du compte, il avait peu à peu cessé de se reconnaître, préférant, depuis la Charte d'Amiens, se focaliser sur l'action syndicale au détriment de la politique. Le communisme, au contraire, établit un lien organique entre le syndicat et le Parti. Enfin, la classe ouvrière est appelée à prendre le pouvoir avec "la dictature du prolétariat". Il n'en fallut pas davantage pour séduire la majorité des congressistes de Tours. Cette scission du mouvement ouvrier fut telle que le socialisme ne s'en remit jamais, le communisme lui ayant ravi l'essentiel de la classe ouvrière dont il tirait son origine et son existence, et après 1945, seul le P.C.F. l'incarna, se présentant comme le parti de la Résistance, alors que les communistes avaient attendu les ordres de Moscou pour prendre le maquis, à cause du pacte germano-soviétique qui fut brutalement rompu par l'invasion de l'U.R.S.S. par l'armée allemande, le 22 juin 1941. A la Libération, le P.C.F. représentait 29% de l'électorat; il était puissant et armé mais heureusement, il ne put jamais prendre le pouvoir à cause des troupes américaines qui stationnaient sur le territoire français et le début de la guerre froide. Quoi qu'il en soit, le mythe de la révolution dont 1789 est l'archétype, se mondialisa encore davantage avec la révolution chinoise en octobre 1949. Quant au socialisme français, il survécut tant bien que mal pour s'unifier en 1971 avec la création du Parti socialiste.
La résurgence du socialisme
La IVe République sous laquelle les ministères sautaient comme des bouchons de champagne, reproduisait dans son principe le régime d'assemblée de la IIIe République: c'était l'Assemblée nationale qui décidait de tout, y compris du choix des présidents du conseil (premier ministre) qui étaient toujours des parlementaires. Depuis l'éphémère IIe République dont le président était élu au suffrage direct et avait débouché sur le Second Empire, il y avait eu depuis un rejet du pouvoir personnel par les républicains, revenant de la sorte à l'esprit de l'Assemblée législative de 1791. Avec la réforme constitutionnelle de 1962 qui instaura l'élection du président de la république au suffrage universel, les socialistes furent contraints de se choisir un chef pour les représenter, et ce fut François Mitterrand, lors de la première élection présidentielle de 1965 qui se présenta contre Charles de Gaulle; ce dernier ne fut élu qu'au second tour, son adversaire ayant réussi à le mettre en ballottage. Cependant, cet échec souligna pour Mitterrand la nécessité d'unifier la gauche non communiste et une autre révolution allait l'y aider, celle de 1968. Cette révolution n'était pas comme les autres; il s'agissait avant tout d'une libération des mœurs qui venait des U.S.A. et avait commencé avec le mouvement hippie: la jeunesse ruait dans les brancards de la vieille Amérique puritaine, elle était pacifiste et rejetait toute forme d'autorité et de morale, tout en prônant la liberté sexuelle. Ce mouvement gagna la France, et on se souvient des slogans "jouir sans entraves", "il est interdit d'interdire", etc. C'était une sorte d'hédonisme débridé qui toucha la jeunesse, toutes classes sociales confondues, un individualisme licencieux qui n'avait rien à faire de la politique ou d'un quelconque projet de société et allait par conséquent à l'encontre des valeurs républicaines. La particularité et le paradoxe de mai 68, c'est la rencontre de ce mouvement avec un mécontentement social qui provoqua la dernière grande grève générale que la France ait connue et cette rencontre eut un effet catalyseur si fort que certains ont cru le "grand soir" arrivé et que la révolution prolétarienne était possible, d'où l'émergence de groupes gauchistes. Les évènements de mai 68 ont montré également une lassitude devant une société ringarde qui semblait ne pas sortir de l'après-guerre: on voulait autre chose. Mitterrand en profita trois ans plus tard avec la création du Parti socialiste au congrès d'Épinay en juin 1971 et eut l'habileté de recycler tous les thèmes éculés du socialisme républicain, de récupérer d'anciens gauchistes (trotskistes et maoïstes), le tout pimenté de tiers-mondisme et de permissivité soixante-huitarde pour se présenter comme un parti du renouveau, incarnant un nouvel élan républicain: les socialistes sont les héritiers de 1789 et ils le montrèrent au congrès de Valence en 1981, année de leur victoire, et durant lequel des intervenants comme Paul Quilès (il déclare, à propos des journalistes jugés favorables à l'ancienne majorité, qu'« il faut faire tomber des têtes, le faire rapidement et dire lesquelles », ce qui lui valut le surnom de "Robespaul"), tinrent des discours de haine avec des mots tels que l'on se crut revenu au temps de la Convention. Mais discourir est une chose, gouverner une autre et pour la première fois de son histoire, la gauche allait le faire durablement, grâce aux institutions de la Ve République.
Le chant du cygne de la gauche et l'héritage funeste de la Révolution
La gauche gouverna en tout quinze ans, entre 1981 et 2002 et son action se solda par un échec cuisant avec un bilan à somme négative : elle a rendu le citoyen encore plus dépendant de l'État pour faire de la France un pays d'assistés, entraînant un gaspillage accéléré de l'argent public; elle a contribué, sous les deux septennats de Mitterrand, à la corruption de la classe politique (" années fric "), à la constitution de féodalités par une application dévoyée de la loi de décentralisation, (37) tout ceci dans le cadre d'un processus de dissolution de la société amorcé depuis 1968, cette dernière étant caractérisée par un individualisme narcissique et la disparition de toute solidarité: chacun pour soi mais pas la république pour tous, notre pays n'ayant jamais connu dans le passé de plus grande soumission du pouvoir politique, comme c'est le cas actuellement, aux puissances d'argent que sont les entreprises multinationales et les grands groupes financiers.
Si les autres pays occidentaux sont également touchés par le matérialisme propre à la société de consommation, la déchristianisation et l'individualisme, il n'en demeure pas moins que la France ne s'est jamais remise de la destruction des groupes sociaux opérée par la Révolution (38): les Français ont perdu leurs repères dans la société en perdant l'esprit de groupe, la conscience qu'on peut faire quelque chose ensemble, que l'union fait la force, bref le sentiment communautaire qui n'a rien à voir avec le communautarisme actuel: il est la conséquence à retardement du vide laissé par cette destruction et le fait d'individus originaires du tiers-monde qui se regroupent selon des critères raciaux ou religieux et rejettent les règles de la république dans laquelle, non seulement ils ne se reconnaissent pas, mais qu'ils vomissent.
Dans cet ordre d'idées, à l'étranger, la France passe pour un pays arrogant, donneur de leçons, incapable de résoudre ses problèmes; son rayonnement culturel est tombé à zéro, sa littérature et son cinéma ne s'exportent plus. La centralisation jacobine alliée à la concentration des médias qui s'abreuvent aux mêmes dépêches d'agence a contribué à stériliser la vie intellectuelle et artistique du pays. (39)
Quant aux libertés, le "pays des droits de l'homme" s'est fait condamner douze fois par la Cour européenne des droits de l'homme depuis le 1er janvier 2007 pour abus de la détention provisoire qui concerne actuellement 26,2 % des détenus. Sans parler de la surpopulation carcérale due principalement à l'allongement moyen de la durée de détention, parfois dans des conditions d'insalubrité qui nous renvoient au XIX e siècle comme à la prison Saint-Paul à Lyon.
Proclamer de façon récurrente que la France est un pays démocratique et libre grâce à la Révolution, c'est un sophisme: autant affirmer que le paradis est issu de l'enfer. En vérité, la France a bénéficié comme les autres pays occidentaux, du vent de liberté qui a soufflé après la Libération et le début de la guerre froide, après que l'Europe eut subi le nazisme pour être confronté au communisme. Rappelons-le, la Révolution est l'archétype de tous les totalitarismes. Du coup, il est incompréhensible pour la plupart de nos concitoyens que les pays les plus respectueux des libertés soient les monarchies parlementaires d'Europe du nord, plus précisément les Pays-Bas et les pays scandinaves. (40 ) Il est encore plus incompréhensible pour nous que la France continue à honorer par ses places, ses avenues et ses rues, des hommes qui sont coupables ou complices de crimes contre l'humanité et qui, pour la plupart furent des membres de la Convention, elle-même grande ordonnatrice de la Terreur (41) et du génocide vendéen, (42) des hommes qui ont commis le péché originel de détruire les fondements chrétiens de notre pays, l'entraînant dans une chute qui a conduit au marasme actuel et dont on a bien du mal à voir l'issue.
P.F.
1 On a une trace de ce rationalisme grandissant chez Molière avec sa pièce à la dimension shakespearienne, Dom Juan:
" Sganarelle: [..] Qu'est-ce donc que vous croyez?
Dom Juan : Ce que je crois?
Sganarelle: Oui.
Dom Juan: Je crois que deux et deux sont quatre, Sganarelle, et que quatre et quatre sont huit ". (Acte III, scène I)
Ce personnage de Dom Juan annonce déjà le libertin du XVIIIe siècle mais surtout, et c'est ce qui nous intéresse ici, la perte de toute notion de bien et de mal par la transgression des lois divines et sociales.
2 Voltaire, Le Fanatisme ou Mahomet le prophète, Œuvres complètes, éd. Garnier, 1875, tome 4, p. 135.
3 Voltaire, «Mahomet avait le courage d'Alexandre», Le dîner du comte de Boulainvilliers, Œuvres complètes, éd. Garnier, 1875, tome 26, p. 580.
4 Voltaire, Lettre à Frédéric II, roi de Prusse, datée du 5 janvier 1767.
5 Voltaire, Examen important de milord Bolinbroke ou le tombeau du fanatisme.
6 Ibid.
7 Il est par ailleurs assez piquant de les voir se réclamer d'un homme qui préfigurait le patron paternaliste du XIXe siècle et le libéralisme qu'ils ne cessent de vilipender aujourd'hui.
8 Dans les années 1980, le journal Le Monde qu'on ne peut pas soupçonner d'être royaliste, avait exhumé des minutes de procès se déroulant sous l'Ancien Régime pour constater que 70% des jugements rendus en première instance étaient infirmés en appel au profit du justiciable et qu'il existait déjà un système d'assistance judiciaire pour les plus démunis.
A contrario, si on prend l'exemple actuel des États-Unis d'Amérique, ce " pays de la liberté " compte en 2006 le plus grand nombre de prisonniers au monde par rapport au total de la population, selon un rapport du groupe de défense des droits de l'Homme, Human Rights Watch (HRW) qui cite un rapport gouvernemental, soit 751 prisonniers pour 100 000 habitants. Par comparaison, la Grande-Bretagne compte 148 prisonniers pour 100 000 habitants, le Canada 107 pour 100 000 et la France 85 pour 100 000. Le taux américain dépasse celui enregistré en Libye (217 pour 100 000), en Iran (212) et en Chine (119) et a quintuplé en l'espace de 30 ans.
9 Joseph de Maistre, Considérations sur la France, chapitre VI, De l'influence divine dans les constitutions politiques.
10 Il suffit d'observer des enfants jouant dans un jardin public pour voir à quel point ils peuvent parfois se montrer cruels entre eux.
11 Déclaration des droits de l'homme et du citoyen du 26 août 1789, article 1er.
12 Fr. Jean-Michel Potin, Le Livre noir de la révolution française, première partie, Les faits, chap. XXIV, Liberté, égalité, fraternité, ou l'impossibilité d'être fils, p.415-416, Cerf, 2008.
13 Ibid. , p.421.
14 Ibid.
15 Ibid., p.423.
16 Ibid.
17 Ibid., p.419.
18 Ibid.
19 Ibid., p.420. C'est ainsi qu'on a entendu parler dans les médias de " Génération 68 ", " Génération Mitterrand ", etc.
20 Jacques Brel, extrait de la chanson Jaurès, Barclay, 1977
21 Cf. Le chant du départ : " La République nous appelle / Sachons vaincre ou sachons périr / Un Français doit vivre pour
elle / Pour elle un Français doit mourir. "
22 Fr. Jean-Michel Potin, Le Livre noir de la révolution française,première partie, Les faits, chap. XXIV, Liberté, égalité, fraternité, ou l'impossibilité d'être fils, p.427, Cerf, 2008
23 A ce propos, l'aboulie de Louis XVI, qui céda à toutes les exigences de l'Assemblée nationale, reste encore un mystère pour tous les historiens.
24 Jean de Viguerie, Le Livre noir de la révolution française, première partie, Les faits, Chapitre X : La persécution antireligieuse, p.215, Cerf, 2008.
25 Jean-Jacques Rousseau, Du contrat social.
26 Jean de Viguerie, Le Livre noir de la révolution française, première partie, Les faits, Chapitre X : La persécution antireligieuse, p.213, Cerf, 2008.
27 Cf. notre article : France, crise d'identité.
28 François Guizot.
29 Le département était conçu de telle sorte que l'on puisse se rendre, à partir de son chef-lieu en n'importe lequel de ses points, en une seule journée de cheval.
30 Joseph de Maistre, Considérations sur la France, chap. premier, Des révolutions
31 Hippolyte Taine : Les origines de la France contemporaine, La Révolution, t.II, La Conquête jacobine
32 Fr. Renaud Silly, Le Livre noir de la révolution française, deuxième partie, Le génie, XIV, Hippolyte Taine ou la Révolution française considérée dans son unité sur les origines de la France contemporaine 1876-1894, p.673, Cerf, 2008.
33 Hippolyte Taine : Les origines de la France contemporaine, La Révolution, t.I l'Anarchie spontanée
34 Non seulement ils coupaient les têtes des personnes qu'ils venaient de tuer pour les mettre au bout de piques mais ils éviscéraient leurs cadavres quand ils ne se livraient pas au cannibalisme.
35 Marc Crapez, Le Livre noir de la révolution française, première partie, Les faits, Chapitre XX : L'héritage de la Terreur au XIXe siècle, p.377, Cerf, 2008.
36 Il s'agit de la loi relative à la liberté des associations professionnelles ouvrières et patronales votée le 21 mars 1884, dont l'auteur est Waldeck-Rousseau, également rédacteur de la loi de 1901 sur les associations. Ces deux lois sont toujours en vigueur aujourd'hui.
37 Cette loi fut élaborée par Gaston Defferre en 1982, alors qu'il était ministre de l'Intérieur. Il avait prévu des procédures de contrôle comptable très strictes pour les collectivités locales et territoriales; ces dispositions passèrent à la trappe, broyées par le hachoir parlementaire...
38 Contrairement à ce qu'on a voulu nous faire croire, la société de l'Ancien Régime était autrement plus solidaire que celle qui a suivi le renversement de la monarchie (il faut garder à l'esprit que l'enseignement public instauré par Jules Ferry avait parmi ses objectifs celui de former de bons petits républicains, notamment en présentant les treize siècles qui ont précédé la Révolution comme une période d'obscurantisme: c'est à se demander comment la France a pu survivre si longtemps…).
39 A titre de comparaison, l'Italie, si souvent regardée avec dédain par une pseudo intelligentsia parisienne, dispose de 31 journaux régionaux ou locaux, et ce pays, qui ignore la centralisation, connaît dans ses principales villes, une vie intellectuelle et culturelle intense s'exprimant dans la diversité.
40 Le Royaume-Uni a cessé d'être un exemple dans ce domaine depuis que le gouvernement travailliste de Tony Blair, s'inspirant du Patriot Act américain, a fait voter, après le 11 septembre 2001, des lois antiterroristes restreignant fâcheusement les libertés publiques.
41 Il y a même des municipalités communistes qui ont des rues au nom de Robespierre: c'est comme si, actuellement, à Pnom-Penh, au Cambodge, on avait une avenue Pol Pot...
42 Cf. notre article : Le génocide, une invention française.
SOURCE : http://patrickferner.hautetfort.com/archive/2008/08/24/l-heritage-funeste-de-la-revolution-francaise.html
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