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09/08/2015

Mafia islamica, narcotraffico et djihad

Guerriglie e formazioni terroristiche si finanziano (anche) con il traffico degli stupefacenti, dopo aver stretto alleanze reciprocamente vantaggiose con le organizzazioni dei narcotrafficanti.

Assicurano loro “servizi” logistici essenziali: il transito della “merce” sui territori controllati, la vigilanza sulle coltivazioni illegali, l’agibilità delle piste clandestine su cui atterrano piccoli aerei con i carichi di droga.

In alcuni casi, abbandonata l’iniziale ideologia rivoluzionaria, gruppi della guerriglia sono diventati veri e propri cartelli del narcotraffico. Già nel 2009 Antonio Maria Costa, direttore esecutivo dell’Unodc, scriveva: “..oggi il traffico di droga è diventato la causa principale di un altro problema:il finanziamento del terrorismo. È diventato sempre più difficile distinguere chiaramente i gruppi terroristici dalle comuni organizzazioni criminali perché le loro strategie tendono sempre più a sovrapporsi. Se non recidiamo il legame tra crimine, droga e terrorismo, il mondo assisterà alla nascita di un ibrido e cioè di organizzazioni terroristiche della criminalità organizzata”.

È il caso delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) e in parte dell’Eln (Esercito di liberazione nazionale). Queste guerriglie, per sostenere un conflitto che in Colombia va avanti da mezzo secolo contro le forze di sicurezza governative e i paramilitari, da un ventennio a questa parte hanno privilegiato i rapporti con i narcotrafficanti, talvolta rimpiazzandoli, per garantirsi adeguate risorse finanziarie. Rapporti d’affari che sono riusciti a tessere anche oltreoceano, come emerso dal sequestro l’estate scorsa al largo delle Canarie di circa 200 kg di cocaina proveniente dalla Colombia e diretta in Europa.

Le indagini sul caso avrebbero evidenziato collegamenti tra le Farc e gruppi quaedisti che, per assicurare il transito della cocaina, riscuoterebbero una tassa del 15%. Aspetto da non sottovalutare nel contesto africano, diventato una vera polveriera con le guerre civili e le rivolte che stanno devastando molti paesi e con le note presenze di gruppi terroristi di varia matrice, che necessitano di continue e sostanziose risorse finanziarie per l’acquisto di armi e la logistica. C’è di più.

A giugno 2015, nel contesto dell’operazione antidroga “Santa Fè” coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, sono emersi collegamenti ancora tra le Farc e alcune ‘ndrine, tra cui quella degli Acquino-Colucci, per un traffico di cocaina verso l’Italia. In Perù, vengono segnalate ancora frange residue di Sendero Luminoso, che sicuramente non rappresentano più una minaccia come negli anni passati, ma costituirebbero il braccio armato dei trafficanti di droga: garantiscono protezione e sicurezza nelle piantagioni, trasportano pasta base di cocaina e precursori nei punti di raccolta, addestrano i contadini nella semina e raccolta delle foglie di coca.

La situazione è problematica anche in altri paesi dove per sostenere la lotta armata c’è bisogno di consistenti fondi che solo i traffici di droghe riescono a garantire. Il traffico dell’eroina, per esempio, è la principale fonte di finanziamento del Movimento Islamico dell’Uzbekistan (Imu). Sorto nel 1992, dopo che l’opposizione al regime del presidente Karimov (appena rieletto per la quarta volta consecutiva) era stata dichiarata fuorilegge, il gruppo si è accorpato con altri terroristi in Afghanistan. Senza contare la presenza di un nucleo uzbeko (Katibat al-Imam Bukhari, KiB) tra le fazioni segnalate in Siria che, nel settembre 2014 ha annunciato la sua alleanza con l’Isis.

La protezione nel traffico illecito – anche delle droghe - è assicurata nell’effervescente regione caucasica (Cecenia, Daghestan Inguscezia, Ossezia) da gruppi separatisti in lotta da anni. Anche in Tajikistan diverse cellule di terroristi si sostengono con i proventi derivanti dal narcotraffico: tra queste, vengono segnalate quelle di Hib-ut-Takhir, Jamat Ansarulloh e Tbligi Jamaat.

Fonti dell’intelligence europea segnalano la presenza di alcuni gruppi armati wahhabiti in Macedonia, evidenziando la loro complicità nell’assicurare il transito di cocaina di provenienza afghana in cambio di denaro. A marzo in Libano sono riemersi collegamenti tra Hezbollah e i narcos messicani. Nel dicembre 2010 era toccato alla Dea (l’agenzia antidroga americana) e all’Ofac (Department of the Treasury’s Office of Foreign Assets Control) individuare una rete di malavitosi attivi nel riciclaggio e nel traffico di droga tra il Libano e gli Usa con a capo Ayman Saied Joumaa – inserito nel 2011 nel Kingpin Act quale boss della droga.

Joumaa, attraverso i dirigenti della Lebanese Canadian Bank (Lcb) in rapporti privilegiati con Addallah Safieddine, rappresentante del movimento sciita a Teheran, avrebbe finanziato Hezbollah con i profitti derivati da ingenti quantitativi di stupefacenti dal Sudamerica in Europa e Medio Oriente, attraverso la rotte dell’Africa Occidentale. Altro denaro “ripulito” sarebbe transitato nella Prime Bank – consociata con la LCB – con sede in Gambia, posseduta da un miliardario libanese, noto finanziatore di Hezbollah. Finanziamenti a Hezbollah arrivano anche dalla Guinea Bissau dove, secondo fonti attendibili, sarebbe attiva una potente rete illegale libanese che gestisce i proventi derivanti dal traffico di droga. Sempre in Guinea Bissau va ricordato il coinvolgimento, nel 2013, del capo di stato maggiore dell’esercito gen. Antonio Indjai, accusato di aver agevolato per conto delle Farc lo stoccaggio di quantitativi di cocaina destinata al mercato americano.

Che dire poi dei talebani (“sempre più vasto e in espansione” secondo il rapporto 2014 del Dipartimento della Difesa americano) che, per finanziare le loro operazioni militari in Afghanistan vigilano e proteggono le coltivazioni di papavero, trasportano l’oppio e controllano i laboratori per la produzione di eroina? Gruppi della galassia talebana e tribali sono coinvolti nel traffico dell’eroina, nelle zone confinarie del Pakistan. Tutti, nella regione, si dividono parte dei circa 40 miliardi di dollari ricavati dalla vendita dell’eroina sul mercato europeo.

La Turchia, alle prese con i noti problemi di politica interna, deve fare i conti con il gruppo terroristico del Pkk/Kck. Secondo la Direzione Centrale dell’Intelligence (Idb) della polizia turca, il Pkk – esercitando un controllo ai valichi di confine con l’Iran e l’Iraq – applicherebbe un dazio alle merci di contrabbando in transito, comprese le droghe, richiedendo 25 dollari per ogni chilogrammo di eroina grezza e 65 dollari per quella raffinata.

In Iran, nella zona confinaria del Sistan Baluchistan, è operativo dalla metà del 2012 il gruppo indipendentista Jaish-ul-Ad (Esercito della Giustizia). Questa organizzazione, composta da alcune centinaia di beluci, pakistani e fuoriusciti di altri gruppi terroristi (per esempio Jundallah, i Soldati di Dio), garantirebbe il transito di carichi di eroina provenienti dal vicino Afghanistan, ricavandone profitti da impiegare nella lotta per l’indipendenza della provincia.

Nella vasta regione del Sahel e in particolare in Algeria, Mauritania, Mali, Ciad, Niger, è forte l’influenza di Aqmi (Al-Qaida nel Maghreb islamico). Oltre ai rapimenti a scopo estorsivo, secondo informazioni di esperti europei presenti nell’area, l’organizzazione trae benefici anche dai trafficanti di droga. Tale coinvolgimento non viene però alla luce, perché sarebbe una pessima pubblicità per arruolare nuove reclute, in quanto l’abuso di droghe contrasta con i principi fondamentali dell’Islam.

In Marocco, a marzo 2010, Tahieb Cherkaoui, all’epoca ministro dell’Interno, intervenendo alla riunione dei ministri arabi che si teneva a Tunisi ricordava le strette relazioni emerse tra gruppi terroristici e trafficanti di droga; il riferimento era alla cellula Fath Al Andalous (Conquista dell’Andalusia) e alla condanna di quattordici suoi componenti inflitta dal tribunale di Salè.

In Nigeria, secondo alcuni indizi i “talebani nigeriani” della cellula islamista di Boko Haram (in lingua houssa significa “l’educazione occidentale è un peccato”), grazie al controllo di molti territori al confine agevolerebbero per denaro  il passaggio delle droghe (oltre che di armi e farmaci contraffatti) verso le località costiere dell’Algeria, Tunisia, Libia e Marocco, per il loro successivo smistamento via mare o via aerea verso il mercato europeo.

Il traffico di hashish dal Marocco (stimato in circa 15 miliardi di dollari), è stato ritenuto la principale fonte di finanziamento degli attacchi terroristici del 2002 (attentato sventato a Gibilterra contro alcune navi militari Usa), del 2003 a Casablanca e del 2004 a Madrid.

Le forze ribelli del Movimento della Forze Democratiche della Casamance (Mfdc), regione del Senegal al confine con la Guinea Bissau e il Gambia, sarebbero coinvolte anche nella gestione del commercio dello “yamba”, una droga simile all’hashish che si ricava da una pianta che cresce un po’ dappertutto. Nella penisola del Sinai, i contrasti che di tanto in tanto esplodono tra bande di trafficanti di droga, forze di sicurezza e cellule di Al Quaeda fanno intendere come quel territorio sia un vero nido di attività illecite e violente fuori da ogni controllo.

Occorrerebbe infine esaminare il sistema internazionale del riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico e reinvestito per finanziare i movimenti terroristici. Emblematica la vicenda della banca Hsbc, con sede a Londra e filiali in una novantina di paesi nel mondo, sospettata di aver facilitato il finanziamento a gruppi terroristici riciclando denaro sporco proveniente dal narcotraffico (cfr. il rapporto 2013 della Sottocommissione permanente del Senato Usa “Vulnerabilità degli Stati Uniti al riciclaggio di denaro, droga e terrorismo finanziario: il caso Hsbc”).

Questi pochi cenni sui legami e sulle complicità che sono emerse, in diversi paesi, fra i trafficanti di droghe, cellule terroristiche, bande di ribelli e sistema bancario, possono aiutarci a capire come sia oltremodo difficile contrastare il commercio di droghe, che continua a essere uno straordinario “bancomat”- senza rischio di chiusure – per molte organizzazioni terroristiche.

Articolo originariamente pubblicato su Narcomafie

Da www.limesonline.it

24/07/2015

Mahomet: le Mal(e) absolu

http://www.dailymotion.com/video/xuatja_mahomet-le-pere-createur-de-l-islam_news

 

NOTA

Copier le lien ci dessus puis ouvrir dans une autre fenêtre  merci

 

Nardella marionetta utile dell 'islam

Il pessimo sindaco di Firenze Nardella, che la popolazione "apprezza" per la sua inefficenza e per il degrado in cui versa sempre di piu quella che fu la culla dell 'umanesimo,ha deciso, con l'accordo dell'intellighenzia legata al catto comunismo, endemico sin dal 1945, che Firenze ha bisogno della sua bella moschea con il suo bel minareto, anzi forse due minareti 

Effettivamente i venditori abusivi di oggetti contraffatti e di poster sui marciapiedi hanno un bisogno urgente di preghiera

Ed hanno anche i soldi (svariate decine di milioni) per costruire la loro bella ed imponente moschea, che si accordera ' perfettamente con la tradizione umanistica e culturale fiorentina 

Insomma ,forse il contrabbando stampo camorristico e la frode fiscale non rendono abbastanza per fare questa bella moschea di cui i neo coloni toscani hanno tanto bisogno,ma non c è problema!

Altri pagheranno

D altro canto il loro rappresentante autoproclamato et membro di spicco dell' UCOI è venuto a Firenze specificamente con questa missione: gettare le basi della colonizzazione della terra degli infedeli  

L'Arabia Saudita, il Qatar ed il Koweït, noti per la loro tolleranza, apertura di spirito ed ecumenismo, e principale  sostegno à Daech, metteranno la mano al portamonete con molto piacere e tutto cio 'era previsto sin dall'inizio perché non sono i fedeli ad aver bisogno della moschea ma è la moschea che ha bisogno dei fedeli

A condizione tuttavia  che le prediche nella moschea sottolineino bene la differenza fra i veri credenti e gli infedeli, gettando le basi della società comunitaristica che sta fallendo OVUNQUE

I figli dei neo coloni (il termine immigrati non é corretto, si tratta di "coloni"), italiani per caso e di diritto, andranno à cercare moglie(i) o marito nei paesi di origine, come succede oggi in tutti i Paesi nord europei, generando nuovi neo fiorentini intrisi di spirito umanistico rinascimentale

La decisione dei catto comunisti affiliati alle coop è ispirata dall'idiozia la piu' abietta e dall'ignoranza la piu ' profonda, ma dall'interesse finanziario e elettorale piu' sfacciato

Nardella ( diciamo Renzi ) ha opposto il suo rifiuto di fare un référendum, come si è fatto in Svizzera 

Ma lui ha deciso che TU non hai il diritto di esprimerti

Ma lui pretende che l'islam è una"religione " come le altre

Ma lui ha deciso che malgrado i problemi enormi posti dall'islam  già oggi  in ogni Paese occidentale, il lupo deve entrare nell'ovile e farci la sua tana

La quinta colonna del totalitarismo verde mette radici nella culla del cristianesimo

La cultura dell individuo dotato di ragione sara sostituita con quella della oumma che recita, obbedisce ai testi sanguinari coranici e si CONTRAPPONE alla cultura occidentale

Persino Dante ha posto Maometto all'inferno fra i generatori di discordia, ma non fa nulla Nardella e la sua cricca sono gente colta ed intelligente  

Per rispetto verso la Setta del Beduino bisognera bruciare la Divina Commedia o smettere di leggerla nei licei

Oriana apprezzera' da lassu'

I fiorentini anche da quaggiu

Arrivederci alle elezioni, noi non dimenticheremo mai

 

Piero Messeri 

08/07/2015

La religion du prophète est obligatoire, vous dis-je!!

Cinq jeunes Marocains ont été arrêtés dans la ville touristique de Marrakech pour ne pas avoir respecté le jeûne du ramadan, a indiqué aujourd'hui une organisation de défense des droits de l'Homme.

"Ces jeunes accompagnaient un de leurs amis (...) à l'aéroport de Marrakech. Et il semble que la chaleur les ait poussés à boire du jus de fruit en public à côté de vendeurs de la place Jamaa El Fna", a déclaré le président de l'association marocaine des droits de l'Homme à Marrakech, Omar Arrib. "La température s'élevait à près de 48 degrés quand ils ont été arrêtés hier" à Marrakech, principale destination touristique au Maroc, a-t-il ajouté.

Selon Omar Arrib, le geste des cinq jeunes a attiré l'attention des vendeurs de la place qui ont alerté la police. Les jeunes gens doivent être présentés devant la justice demain en présence de l'avocat de l'association marocaine des droits de l'Homme.

Ils encourent entre un  et six mois de prison.

www.figaro.fr

MAROC : Pays islamo "modéré",(n'ayant pas condamné la tuerie de Charlie Hebdo) et grand ami du Pays des Droits de l'Homme par excellence: la France

18/06/2015

Pourquoi Obama ne s'en prend pas plus à Daec'h?

Voici la réponse:

http://journaldumusulman.fr/la-grand-mere-du-president-am...

Lisez bien et regardez bien les photos

On ne s'en prend pas à ....sa famille!

(Ni à ceux qui financent l’élection présidentielle via les compagnies pétrolières)

Mieux vaut démoniser Putine que de s'attaquer à la source du Mal djihadiste

Saint Barack, toi qui es membre d'une minorité "opprimée", tu mérites bien ton Nobel de la paix pour ton aide aux persécutés innocents!

17/06/2015

Maometto e la violenza (elementi indissociabili)

L'Italia, l’Europa, l’Occidente, sono sorpresi e sconvolti dall’assassinio messo in atto nei confronti di persone che non hanno fatto alcun male, ma che sono state prese prigioniere e condannate a morte perché appartenenti al mondo degli “Infedeli”. L’uccisione sacrificale avviene per sgozzamento (wa’d) con successiva decapitazione fino dal tempo dei sacrifici degli Arabi preislamici e confermata dal Corano: “Io getterò il terrore nel cuore di quelli che non credono e voi colpiteli sulle nuche” 1. Questo punto – il significato sacrificale dell’uccisione degli infedeli - non è stato preso in considerazione dai nostri politici e commentatori, mentre si tratta di un dato fondamentale non soltanto per cercare di capire gli avvenimenti, ma per studiare una forma di “risposta” fornita di logica. L’assoluta “ritualità” dello scenario che ci è stato presentato in video al momento dell’uccisione, è proprio ciò che l’ha reso terribilmente macabro, insopportabile ai nostri occhi: la veste apposita della vittima, l’inginocchiamento, la frontalità rispetto a coloro per i quali viene sacrificata, la presenza incombente del sacrificatore, sono tutti segni e simboli costitutivi del rito. Noi però siamo da lungo tempo disabituati al linguaggio del Sacro e alla sua Potenza per cui ne siamo stati colpiti senza comprenderlo.

 “Barbarie! Delirio di fanatici!” hanno esclamato concordemente i commentatori non riuscendo a credere, dato il tono minore che le religioni hanno ormai assunto negli accadimenti della storia, che all’improvviso si rivelino attori di una guerra spietata proprio dei “credenti”, dei fedeli di Allah o di qualsiasi altro Dio. Non ci sembra possibile che sia la religione a muoverli e di fatto siamo disarmati: non abbiamo neanche cominciato a cercare di capire, tanto meno a “ragionare”. Barbarie, certo: si tratta di gesti esclusi dalla moderna convivenza civile fra gli individui e fra le nazioni. È la nostra più alta conquista morale la consapevolezza e l’affermazione che nessun uomo può essere “strumento”. Ci ripugna talmente l’idea del sacrificio umano che  vorremmo quasi credere che non sia mai esistito. Ci piacerebbe dimenticare che perfino le guerre sono state causate molte volte nell’antichità dal bisogno di catturare dei prigionieri da sacrificare al proprio Dio.

 I giornalisti, esperti come sono delle quotidiane follie di cui è capace ogni essere umano, si aggrappano all’idea del “fanatismo” come unica spiegazione di una violenza inammissibile, mentre Obama non ha concesso né a se stesso né ai nemici un solo minuto di riflessione prima di “rispondere” a modo suo: con le bombe. Errore gravissimo, è evidente. Studiare il nemico prima di muoversi, prendere tempo con lunghe trattative, è la lezione fondamentale che ha dato l’autore del De Bello Gallico a tutti i comandanti di eserciti che si sono succeduti dall’epoca romana fino ad oggi. Ma soprattutto errore gravissimo per chiunque abbia a che fare con la mentalità araba, mentalità che è l’opposto di quella americana: lenta, aggrovigliata, sempre alla ricerca di astuzie e di sottigliezze che adombrino per ogni problema almeno dieci soluzioni; mentalità che del resto si rispecchia chiaramente nel Corano. Maometto è un arabo  ed è a lui che guardano i suoi credenti essendo Allah un Dio lontanissimo, al quale è impossibile rivolgersi direttamente e neppure pregarlo se non insieme al Profeta. L’obbedienza alla volontà dell’unico Dio-Allah coincide con l’obbedienza al Profeta il quale conosce questa volontà perché gli è stata rivelata con il Corano. Dal momento di questa rivelazione il termine “profeta”, usato largamente in precedenza durante tutta la storia ebraica e in quella cristiana, assume la qualità di “unico” e si identifica con Maometto. L’unicità del Dio è la stessa unicità del suo Profeta. Maometto insomma è il padrone assoluto del mondo islamico e ha sistemato alla perfezione i suoi rapporti tanto con Dio quanto con gli uomini. L’Occidente dovrebbe tenere sempre presente questa caratteristica, che fa dell’Islamismo una religione diversa da qualsiasi altra; diversa soprattutto (per quanto l’opinione pubblica sia convinta del contrario) dall’Ebraismo e dal  Cristianesimo. Diciamo meglio: l’Occidente deve guardare all’uomo-Maometto e non alla religione che ha costruito, perché è a quest’uomo che i suoi fedeli obbediscono.

Se diamo un’occhiata ai pochi dati certi, o quasi certi, della biografia di Maometto, vediamo chiaramente che corrispondono ai costumi delle tribù nomadi, Arabe e Beduine, sparse quasi ovunque nel sesto e settimo secolo d.C. negli immensi deserti della Siria. Prima di tutto l’abitudine a non radicarsi in un territorio, tipica del nomadismo, combattendo di continuo contro le tribù vicine per appropriarsi dei loro terreni e di tutto ciò che di meglio possiedono: cammelli, uomini, donne, bambini, che vengono aggregati al gruppo in qualità di schiavi e costretti ad abbracciare la fede dei loro padroni. Per Maometto il nomadismo e il bisogno di razzia si trasformano nello strumento più utile per imporre con la guerra la sua religione presso le popolazioni che conquista. Non è difficile. A parte l’estrema aggressività dei suoi guerrieri e il valore del bottino sul quale contano (non c’è nessun pericolo di rimanerne privi in quanto spetta a Maometto, che fa le divisioni, la quinta parte di tutto ciò che viene conquistato), Maometto ha scelto i primi cinque libri dell’Antico Testamento come base del Corano. Sono i più antichi, rispondenti al pensiero dei pastori nomadi dell’epoca di Mosè, con la loro giustizia del taglione, il primato del capo famiglia su tutto il gruppo, la poligamia e l’inferiorità delle donne, un insieme di credenze e di comportamenti che i popoli di Siria, di Palestina, di buona parte dell’Africa già conoscono attraverso l’ebraismo e il cristianesimo. Ma è evidente che l’islamismo riesce a diffondersi con facilità perché, contrariamente a quanto succede nelle altre religioni “rivelate” in cui sussiste sempre un ambito di mistero e di dubbio interpretativo, Allah dice con chiarezza ciò che vuole dato che parla attraverso un uomo: è sufficiente obbedirgli alla lettera. La serie di gesti quotidiani di purificazione, di garanzie magiche fornite dall’esecuzione rituale della preghiera, l’aggregazione iniziatica al gruppo del popolo eletto per mezzo della circoncisione, danno forza concreta, tangibile, al sentimento della fede. Altrettanto succede per quanto riguarda l’ordine sociale, basato sul più istintivo concetto di giustizia, quello del taglione. L’occhio per occhio, dente per dente, morte per morte, è facile da comprendere e garantisce un’immediata e reale soddisfazione, quella sul corpo. Nell’islamismo sono in atto, quindi, le strutture universali del Sacro e la loro organizzazione sociale a livello elementare, strutture che vibrano spontaneamente nell’animo umano perché rispondono, acquetandolo, al bisogno di sicurezza che assilla ogni uomo.

  C’è un fattore in più, però, nella religione di Maometto che domina su tutti gli altri imprimendogli un’inesauribile vitalità: bisogna combattere per la vittoria di Allah. È l’ordine che Maometto ha dato fin dall’inizio e che ha garantito e garantisce tutt’oggi l’espansione dell’Islamismo: combatti e vincerai. Il termine “combattere” è uno dei più frequenti nel testo del Corano: Islam e battaglia vittoriosa sono la stessa cosa perché è Dio che combatte quando i suoi fedeli combattono.

“Ricordati come il tuo Signore ti ha fatto uscire dalla tua dimora per la missione di verità” (VIII, 5); “Non voi li uccideste a Badr, bensì Dio li uccise, né tu scagliasti la sabbia nei loro occhi, quando la scagliasti, bensì Dio la scagliò” (VIII, 17);

“Quelli che abbandonano il loro paese e combattono nella via di Dio, quelli possono sperare la misericordia di Dio” (II, 215);

“Se non uscirete in campo, Dio vi punirà con un castigo doloroso e vi sostituirà con un altro popolo” (IX, 39);

“Uscite in campo, armati leggermente e pesantemente, e combattete, colle vostre sostanze e con le vostre persone” (IX, 41).

 Quanto piace agli uomini sfidarsi! Quanto piace agli uomini combattere! Quanto piace agli uomini vincere! Maometto non ha avuto dubbi: non c’è differenza che tenga, né di razza né di lingua né di storia, di fronte alla voglia dei maschi di combattere e di vincere.

Vincere significa che sei il più forte, che le tue idee sono quelle giuste, che la tua religione è quella vera, che tutto ciò che esiste nel mondo ti appartiene e che hai diritto ad impadronirtene. Parte da qui, dunque, la violenza insita nell’Islamismo.

L’Occidente l’ha dimenticato; l’Europa soprattutto l’ha dimenticato, vedendo vivere tranquilli all’interno del proprio territorio tanti gruppi musulmani. Ma si tratta di un errore. I nostri maschi stanno morendo. Quelli musulmani moriranno insieme ai nostri? Sicuramente no. Si uniranno ai combattenti che già premono su di noi e vinceranno (a meno che....).

Ida Magli
18 ottobre 2014
(allegato a Il Giornale: “Non perdiamo la testa”)

FONTE: www.italianiliberi.it

Plusieurs guerres mondiales se préparent

Les faits sont désormais indéniables : primo, Obama ne combat que mollement l’Etat islamique et en revanche il pousse l’Europe à une guerre avec la Russie ; secundo, la guerre contre l’Etat islamique aura néanmoins lieu, elle sera effroyable et elle durera très longtemps ; tertio, la guerre contre l’Etat islamique s’étendra jusqu’en Europe puisque celle-ci accueille des djihadistes parmi les clandestins, en provenance de Libye notamment. Une guerre quasi-mondiale avec l’Etat islamique, en même temps qu’une guerre quasi-mondiale entre l’Europe et le Russie, voilà ce qui nous attend, si la tendance actuelle n’est pas inversée. Je reproduis ci-dessous les extraits adaptés de quatre analyses, celle de World Tribune, celle du géopolitologue Manfred Gerstenfeld, celle de Nicolas Bonnal sur Boulevard Voltaire et celle de Anne Lauwaert sur Riposte laïque.

L’Etat islamique, c’est la Guerre 1914-18 en 2015

World Tribune écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Obama avait désigné l’Etat islamique comme une équipe jouant en Juniors deuxième catégorie. Les ravages provoqués par l’Etat islamique ont prouvé à quel point Obama avait tort, mais les analystes cités par un rapport du Mc Clatchy DC pensent que le pire est encore à venir. « Les conditions générales ressemblent énormément à celles qui prévalaient en 1914 », affirme Michael Stephens, de l’Institut des Services Royaux Unis à Londres. « Il ne suffirait que d’une infime étincelle et l’Iran et l’Arabie Saoudite se jetteraient à la gorge l’un de l’autre, en croyant se battre dans le cadre d’une guerre défensive ». De son côté, le commentateur kurde irakien Hiwa Osman pense que « la région toute entière se prépare pour la ‘Grande Guerre’, cette guerre qui n’a pas encore éclaté, la guerre entre Chiites et Sunnites ».

Le détachement, l’indifférence que manifeste Obama à l’égard des conflits actuels au Moyen-Orient est très remarqué en Syrie ; en Irak ; au Yémen, où les forces sunnites saoudiennes bombardent les rebelles chiites pro-iraniens ; et en Libye, où l’Egypte a lancé des frappes aériennes contre des djihadistes appartenant à l’Etat islamique. Bien que le système international soit très différent de celui qui prévalait en 1914, où les deux alliances européennes rivales se sont déclarées la guerre, certains y voient de grandes similitudes.

La Guerre 1914-18, c’était aussi, une « crise dont personne ne voulait. Quand elle est survenue, on disait qu’elle se terminerait en l’espace de quelques mois. Et qu’elle mettrait un terme à tous les conflits armés. Chacun sait ce qui s’est, en réalité, passé », déclare Thorbjorn Jagland, secrétaire général d’un observatoire des Droits de l’Homme. « Je ne veux pas traiter les dirigeants actuels de somnambules, mais il est possible qu’ils se soient fourvoyés dans une situation qui ne correspond aux intentions ou volontés de personne », déclare Thorbjorn Jagland.

L’absence de stratégie américaine ou, même, de plan visant à stabiliser le Moyen-Orient, a encore fait la Une de l’actualité, cette semaine, quand Obama a déclaré, au Sommet du G-7 en Allemagne, le 8 juin, que son Administration ne disposait pas encore d’une « stratégie complète » pour vaincre l’Etat islamique, une déclaration dont la Maison Blanche s’est empressée de préciser qu’elle avait été « mal interprétée ». « Nous n’avons réellement pas de stratégie du tout. Fondamentalement, nous jouons tout cela au jour le jour », a déclaré de son côté Robert Gates, ancien Secrétaire à la Défense sous Obama. Les Etats-Unis continuent d’envoyer des armes et des conseillers militaires en Irak, avec peu de résultats, alors que les forces irakiennes ont subi plusieurs défaites dévastatrices, en perdant, récemment, la ville sunnite de Ramadi.

Le Général John Allen, qui occupe actuellement le poste d’envoyé spécial de la coalition dirigée par les Etats-Unis combattant l’Etat islamique, a dit que « ce sera une campagne particulièrement longue » et que vaincre l’idéologie de Daesh prendra « une génération ou plus ». De son côté, le commentateur kurde irakien Hiwa Osman, précise que l’Etat islamique « ne peut être uniquement vaincu par les Kurdes, les Chiites, les Américians ou l’Ian. Il doit l’être par les Arabes Sunnites. Vous devez leur présenter un accord valable pour le jour d’après la défaite de l’Etat islamique. Et, jusqu’à présent, personne n’a réussi à formuler clairement cette vision pour eux ».

Toby Dodge, universitaire qui travaille sur l’Irak et enseigne à la London School of Economics, affirme que la guerre en Irak est « presque inévitable ». « Je suis extrêmement pessimiste », dit-il, ajoutant qu’il doute que le Premier Ministre irakien Haider al Abadi », pourtant « un type très bien, un homme clairvoyant », puisse sauver l’Irak. « Il est pris en otage par sa propre clique, l’Islamisme radical chiite. Ce dont il a le plus besoin, c’est de faire appel aux Sunnites, privés de leurs droits, qui vivent au Nord-Ouest ».

D’autres analystes disent que l’Irak, avec l’aide des Etats-Unis, ne peut être sauvé que s’il s’engage à la décentralisation des pouvoirs, à la réconciliation avec les Baathistes et à d’autres concessions qui puissent motiver les Sunnites à chasser l’Etat islamique. « Cela pourrait être faisable, absolument », déclare Kenneth Pollack, de l’Institut Brookings, mais il ajoute aussitôt qu’Obama ne fait strictement aucun effort en ce sens, bien au contraire, en se rapprochant à tout-va de l’Iran chiite. « Je pense que c’est de la négligence », dit-il. « Ils continuent d’insister sur le fait qu’on ne peut pas avoir de la volonté à la place des Irakiens. C’est une absurdité historique. Si vous laissez ce problème aux mains des Irakiens, ils ne feront pas ce qu’il faudrait faire, même s’ils le voulaient réellement », conclut World Tribune (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

Vaincre l’Etat islamique prendra une génération

Le géopolitologue Manfred Gerstenfeld écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Ce que le Général John Allen veut dire, par une telle déclaration (le général Allen a déclaré que vaincre l’Etat islamique prendra une génération ou plus), c’est qu’il prédit que l’Etat Islamique continuera longtemps à dominer le territoire qu’il possède. Car s’il devait perdre le contrôle du territoire dont il s’est emparé, son avenir deviendrait alors une question de terrorisme, plutôt que de constituer un véritable défi militaire. Allen a ajouté que si l’Etat islamique n’était pas vaincu, il ferait des ravages incommensurables pour la stabilité du monde.

Il semble bizarre que quelqu’un puisse choisir de faire des prévisions à si long terme, d’autant plus qu’au début de cette année, Obama a demandé au Congrès d’approuver une campagne militaire d’une durée de trois ans. Ces remarques du Général Allen, qu’elles soient réalistes ou non, peuvent appuyer une réflexion menée plus en détail sur ce que cela signifierait, si l’Etat islamique contrôlait un territoire d’une grande superficie, comme il le dit, durant plus de vingt ans, à partir d’aujourd’hui. Cela aurait, en effet, un impact déterminant sur l’ordre du monde, ou pour le dire plus justement, sur le désordre du monde. Cela aurait aussi des conséquences particulières pour le monde musulman, l’Occident, la Russie et bien d’autres pays. Israël et les Juifs, bien que restant des acteurs minoritaires, devraient être singulièrement affectés par l’impact global et par le fait indéniable de constituer des cibles éventuelles de l’Etat islamique.

En ce qui concerne le monde musulman, le Printemps Arabe a déjà ajouté la Libye, le Yémen et la Syrie à la longue liste des Etats faillis. L’existence de Daesh en continu va provoquer l’ajout de l’Irak et, probablement, d’autres pays à cette liste. Puisque Daesh est un mouvement extrémiste, il s’oppose directement, sans aucune tendance au moindre compromis, aux Musulmans chiites. Plus l’Etat Islamique va durer, plus grande sera la menace pour les Chi’ites.

Cela signifierait, éventuellement, que l’Etat Islamique (sunnite) se confronterait à l’Iran, le pays chiite dominant. L’Iran est un semeur de troubles et très peu de forces extérieures ont osé réagir militairement contre lui au cours du siècle actuel (2000-2015). Plus l’Etat Islamique deviendra puissant, plus il devra défier l’Iran de toutes les manières possibles. Alors que l’Etat Islamique s’oppose également aux pays sunnites dirigés par diverses familles royales, l’instabilité de ces pays monarchiques augmentera considérablement. La même chose est vraie pour l’Egypte.

Concernant l’Occident, les menaces seront de nature variée. Une première inquiétude se fonde sur la dépendance de l’Europe à l’égard des pays arabes pour son approvisionnement en pétrole. L’instabilité des pays producteurs de pétrole, comme l’Irak et la Libye. L’instabilité en Arabie Saoudite et dans d’autres pays fournisseurs pourrait avoir un impact bien plus important. Une pénurie des fournitures d’énergie exacerberait les problèmes déjà existants, qui feront que la prochaine génération sera bien moins nantie que l’actuelle génération.

Une deuxième répercussion importante pour l’Occident, serait, une probable montée en puissance, de la menace terroriste. Au cours du siècle précédent, les actes terroristes commis par les musulmans en Europe, ont souvent été perpétrés par des non-Européens. On en a eu un exemple par l’attentat meurtrier contre le Restaurant Goldenberg à Paris en 1982. Les assassinats de masse du 11 Septembre, aux Etats-Unis, commis, en particulier par des Saoudiens, ont été d’une toute autre dimension.

Au cours de ce nouveau siècle, les attentats terroristes en Europe commis par des musulmans ont changé de nature, alors que nombreux en sont les acteurs qui sont des résidents de l’Union Européenne. C’était, déjà, partiellement le cas, lors du gigantesque attentat de Madrid, en 2004. Il en allait certainement de même, lors des meurtres de Londres, en 2005, du massacre en face du Musée Juif de Bruxelles, en 2014, et des tueries à Paris et Copenhague, au début de cette année 2015. De la même façon, c’est bien le terrorisme musulman intérieur qui s’est manifesté aux Etats-Unis, lors de l’attentat à la bombe du marathon de Boston, en 2013. Jusqu’à présent, les appels de l’Etat islamique aux musulmans d’Occident, afin qu’ils commettent des actes terroristes dans leurs pays de résidence, n’ont guère eu plus d’impact. Il existe une crainte bien plus grande d’un terrorisme émanant des djihadistes européens de retour de Syrie et d’Irak.

Le manque de résultats de ces appels de l’Etat Islamique peut entraîner un retournement sollicitant de nouvelles attaques terroristes, mais cette fois, commises par des terroristes étrangers. On relève des menaces et des rumeurs qu’ils pourraient être transportés à bord des bateaux de réfugiés se dirigeant vers l’Europe depuis la Libye ou qu’ils transitent clandestinement par les Balkans (ndmg – ce sont désormais des faits et non pas de simples rumeurs). Certains djihadistes étrangers peuvent avoir déjà immigré, mais cela n’a, pour l’instant, conduit à aucun attentat. Pourtant, si nous parlons bien de décennies entières d’un volume d’activité important de la part de l’Etat Islamique, il est d’autant plus probable qu’il y aura des attentats à redouter, de la part de cellules dormantes de terroristes ayant réussi à se faire passer pour des réfugiés.

Un terrorisme important provoqué par des djihadistes en Occident mènera à un renforcement des stéréotypes hostiles aux musulmans dans leur ensemble. L’afflux massif précédent, celui de musulmans et les problèmes sociaux qui s’en sont suivis, dont le manque d’intégration réussie, ont déjà conduit à l’émergence et au renforcement de partis anti-islamistes dans différents pays : le Parti des Libertés de Geert Wilders (le PVV) aux Pays-Bas, les Démocrates Suédois, et, par-dessus tout, le Front National français. L’éventualité d’actes terroristes accrus, de la part de musulmans, ne va pas seulement accroître la popularité de ce genre de partis, mais elle va influencer la position des autres partis, qui devront concourir pour s’attirer les suffrages de ceux qui ont adopté des positions plus fermes en ce qui concerne l’islam, conclut le géopolitologue Manfred Gerstenfeld (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

L’Europe combat la Russie au lieu de combattre l’Etat islamique

Nicolas Bonnal, sur Boulevard Voltaire, écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Dimanche 13 juin 2015, un article du New York Times, signé MM. Schmidt et Meyers, nous annonce que les USA vont envoyer 5.000 hommes et 1.500 chars en Europe orientale. Et nos drôles d’expliquer qu’il faut mettre fin à l’agression russe en Europe, car les Russes vont en effet envahir la Pologne et les pays baltes (en attendant le Portugal et le Maroc ?). Le nombre impressionnant de commentaires diffusés permet, pour une fois, de connaître l’opinion de nos chers Américains : un tiers est pour la guerre, un tiers pleurniche, un dernier tiers proche de nous dénonce le caractère aberrant et criminel de la position états-unienne. On se doute que ce ne sont pas ces naïfs qui feront reculer Bush frères & fils, Clinton-femme et Obama, le fidèle disciple de Brzeziński, le Polonais qui voulait anéantir la Russie.

Sur cet intellectuel élégant mais relativement dément, on rappellera un livre, Le Grand Échiquier, et ces phrases terrifiantes qui décrivent les raisons de la totale soumission allemande ou japonaise, soixante-dix ans après Dresde ou Hiroshima : « À bien des égards, la suprématie globale de l’Amérique rappelle celle qu’ont pu exercer jadis d’autres empires, même si ceux-ci avaient une dimension plus régionale. Ils fondaient leur pouvoir sur toute une hiérarchie de vassaux, de tributaires, de protectorats et de colonies, tous les autres n’étant que des barbares ».

Parlez-nous maintenant de vos droits de l’homme ! Un peu plus bas, le mentor de Barack ironise : « L’Europe de l’Ouest reste dans une large mesure un protectorat américain et ses États rappellent ce qu’étaient jadis les vassaux et les tributaires des anciens empires. Cette situation est assurément malsaine, pour l’Amérique comme pour les Nations européennes ». Cette situation n’est pas malsaine pour le prix Nobel de la paix Obama (cet Orwell, quel génie !), dont l’ADN ne se soucie pas trop des Européens, et c’est donc le début de cette guerre américaine en Europe, qui pourrait se solder par notre extermination ou par une partition ruineuse du continent.

En réalité, rien ne fera reculer les Américains, et surtout pas Hollande ou Juppé : leur situation économique et financière est désastreuse, comique même. La Russie leur fait horreur parce qu’elle est depuis trop d’années le seul pays du monde susceptible de leur résister ou de les détruire. Une guerre « ukrainienne », qui rongerait l’Europe, enverrait nos capitaux là-bas, leur donnera des ailes.

Et les raisons d’espérer ? Celles-ci : Hillary Clinton dit que Poutine est Hitler, et Jeb Bush qu’il est un butor. On aura l’un ou l’autre au pouvoir en Amérique en 2016, et je vous garantis un beau feu d’artifice au nom des droits de l’homme selon le père Ubu, conclut Nicolas Bonnal, sur Boulevard Voltaire (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

L’Europe ouvre ses portes à l’Etat islamique clandestin

Anne Lauwaert sur Riposte laïque écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Si vous croyez encore que la migration est le fait de quelques désespérés, détrompez-vous ! C’est une action voulue et organisée par, entre autres, « L’organisation internationale pour les migrations ». Sous la rubrique « notre action », ils nous expliquent l’organigramme de leur « gestion des migrations ». Le 14 juin 2013, l’Ambassadeur William Lacy Swing, des Etats-Unis, a été réélu Directeur général de l’Organisation internationale pour les migrations, pour un second mandat de cinq ans. Elu pour la première fois à ce poste le 18 juin 2008, il a pris ses fonctions le 1er octobre 2008. Cela ne date donc pas d’hier, mais de 2008.

Il faut visiter ce site : c’est hallucinant de voir les structures de l’organisation qui nous impose les migrants ! Non, il ne s’agit pas de quelques désespérés qui nous arrivent par hasard, ni de quelques « trafiquants d’êtres humains » ;  il s’agit de l’organisation à large échelle des migrations. Allez voir le site et faites passer l’info ! Incroyable, ce sourire taquin de monsieur William Lacy Swing pour le bon tour qu’il nous joue et dont un échantillon est à voir ICI . Qu’on arrête de nous raconter des bobards !, conclut Anne Lauwaert sur Riposte laïque (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

Michel Garroté, 15 juin 2015

Source :

http://www.resiliencetv.fr/?p=16698

Liens utiles:

http://www.worldtribune.com/2015/06/10/in-absence-of-a-u-...

https://www.facebook.com/pages/Manfred-Gerstenfeld/339729...

http://www.bvoltaire.fr/nicolasbonnal/vers-guerre-america...

http://ripostelaique.com/migration-vraiment-de-desesperes...

16/06/2015

Arabie Saoudite? : c'est Daec'h qui a réussi!

XVM1fa50844-13fe-11e5-8c16-fe7ddac13594.jpgTriste décompte. L'Arabie saoudite a exécuté son centième condamné à mort depuis le début de l'année 2015, selon un bilan communiqué par l'Agence France-Presse. Un Syrien, qui s'était rendu coupable de trafic de drogue, et un Saoudien, coupable de meurtre, ont tous deux été décapités lundi.

Ismael al-Tawm avait été arrêté alors qu'il tentait «d'introduire clandestinement un volume important de pilules d'amphétamines dans le royaume», indique une déclaration du ministère saoudien de l'Intérieur citée par l'agence officielle SPA. Il a été décapité dans la région septentrionale de Jawf. Le Saoudien Rami al-Khaldi, condamné à la peine capitale pour avoir poignardé à mort un concitoyen lors d'une dispute, a été décapité dans la région occidentale de Taëf.

D'après Amnesty International, l'Arabie saoudite fait partie des cinq pays qui exécutent le plus de personnes, avec la Chine, l'Iran, l'Irak et les Etats-Unis. Le royaume saoudien a déjà battu son record de 2014, où 90 personnes avient été décapitées.

La fréquence des peines de mort s'est acceléré en 2015, alors que Salmane al Saoud a pris la tête du royaume après la mort du roi Abdallah. La guerre extérieure conduite contre la rébellion houthi au Yémen pourrait expliquer ce durcissement de la politique intérieure.

É ce rythme infernal, le royaume saoudien pourrait bien finir par battre en 2015 son record du nombre de décapitations, qui s'était chiffré à 147 en 2007. Face à cette funèbre surchauffe, le royaume a posté une drôle d'annonce en mai dernier: il recherchait huit bourreaux pour accomplir la sinistre tâche. La décapitation se fait au sabre. Les condamnés peuvent aussi mourir par balle, lapidés ou crucifiés.

L'Arabie saoudite défend farouchement la peine de mort, assurant que ses décapitations n'ont rien à voir avec les pratiques barbares de l'État islamique, mais procèdent de l'application de la charia par des tribunaux islamiques. Le meurtre, le vol, le viol, le trafic de drogue, l'homosexualité sont passibles de la peine de mort, et ce selon une extrapolation rigoriste des textes islamiques.

«Le droit international n'autorise la peine de mort que pour les ‘crimes les plus graves', la moitié des exécutions signalées en Arabie saoudite en 2014 et pour le début de l'année 2015 ont été prononcées pour des infractions n'ayant pas entraîné la mort et qui ne rentrent donc pas dans cette catégorie», soulignait récemment Amnesty International dans un communiqué.

L'Arabie saoudite a été également pointée du doigt par la communauté internationale pour la condamnation à 1000 coups de fouets et 10 ans de prison du jeune blogueur saoudien Raif Badawi, accusé d'apostasie et d'insulte à l'islam.

SOURCE www.figaro.fr

 

PS: pour reprendre une expression d' Eric ZEMMOUR:

L'Arabie Saoudite....c'est Daec'h qui a réussi!!

01/06/2015

Voici la "civilisation" islamique telle qu'elle est depuis le "prophète"

C'est une information qui glace le sang. « Nous avons entendu parler du cas d'une jeune fille de 20 ans brûlée vive parce qu'elle avait refusé de pratiquer un acte sexuel extrême. Nous avons pris connaissance de beaucoup d'autres actes sexuels sadiques. Nous nous battons pour tenter de comprendre la mentalité des gens qui commettent ces crimes. » Lundi, Zaina Bangura, la représentante du secrétaire général des Nations unies, Ban Ki-moon, chargée de la question des violences sexuelles commises en période de conflit, a dévoilé de nouveaux faits relatifs à les violences sexuelles commises par le groupe terroriste État islamique (EI) lors d'une interview poignante accordée au site Middle East Eye. Selon elle, les atrocités à l'encontre des 1500 femmes qui seraient détenues en esclavage sexuel ne font qu'empirer jour après jour.

Mme Bangura a détaillé le destin des filles et des femmes tombées sous le joug de l'organisation terroriste qui sévit en Syrie et en Irak. « Après avoir attaqué un village, l'État islamique sépare les femmes des hommes et exécute les hommes de plus de 14 ans. Les filles et les mères sont séparées : les premières sont entièrement déshabillées, subissent des tests de virginité, la taille de leur poitrine et leur beauté sont évaluées. Les plus jeunes et celles considérées comme les plus jolies vierges sont vendues aux prix les plus élevés et sont envoyées à Raqqa, la place forte de l'État islamique. » Les cheikhs de l'EI ont le privilège d'être les premiers à choisir. Les émirs viennent ensuite pour le second marché. Les combattants se répartissent ce qu'il reste du « butin ». « Ils prennent souvent trois ou quatre filles chacun et les gardent un mois environ, jusqu'à ce qu'ils soient lassés de la fille et qu'elle soit renvoyée sur le marché, raconte Zainab Bangura. Nous avons entendu parler d'une fille qui a été revendue 22 fois. Une autre, qui s'est échappée, nous a raconté que le cheikh qui l'avait capturée avait écrit son nom sur sa main pour montrer qu'elle était sa "propriété". »

Une fille aurait été revendue 22 fois sur le marché

D'après Zainab Bangura, certaines « épouses » et esclaves s'aident pour fuir. D'autres se pendent avec leur foulard. Si elles échappent à la mort, l'État islamique leur fera payer d'avoir voulu mourir et ainsi échapper à leur enfer. Zainab Bangura rapporte l'histoire de trois esclaves qui avaient tenté de se suicider avec de la mort aux rats. « Elles ont commencé à vomir et ont été amenées en urgence à l'hôpital pour y subir un lavage d'estomac. Une fois de retour, elles ont été brutalement violentées. »

En avril dernier, les services de Zainab Bangura avaient établi un rapport au sujet des groupes extrémistes ayant recours aux violences sexuelles comme « tactique de guerre » contre la population civile. Le groupe État islamique, Boko Haram, le Front al-Nosra et les shebab somaliens, ainsi que neuf autres armées ou milices, figuraient sur la liste noire. « L'année 2014, soulignait le rapport, a été marquée par des informations profondément navrantes faisant état de viols, d'affaires d'esclavage sexuel et de mariages forcés, dont se rendent coupables des groupes extrémistes, parfois dans le cadre d'une tactique de terreur » en Syrie, en Irak, au Nigeria, en Somalie et au Mali.

"La promesse de se voir attribuer une épouse"

« La violence sexuelle fait partie de la stratégie appliquée par l'État islamique pour répandre la terreur, persécuter les minorités ethniques et religieuses et supprimer des populations entières qui s'opposent à son idéologie », expliquait le rapport de l'ONU. Les actes barbares dont les femmes sont victimes sont au cœur de la stratégie des djihadistes au drapeau noir : elles sont des proies qui leur permettent de financer leur système, de recruter des combattants et de satisfaire ces derniers. Ces violences visent en particulier des femmes et des filles de la communauté yézidie, pour la plupart âgées entre 8 et 35 ans, précise le document, qui note par ailleurs que l'État islamique « utilise comme stratégie de recrutement la promesse de se voir attribuer une épouse » et que « les mariages forcés avec des combattants étrangers sont de plus en plus courants sur le territoire contrôlé par l'État islamique ». L'ONU estime à environ 1500 le nombre de citoyennes qui ont ainsi été « réduites en esclavage sexuel » par le groupe terroriste. 

La publication du rapport coïncidait avec le premier anniversaire de l'enlèvement par Boko Haram, le 14 avril 2014, de plus de 200 lycéennes nigérianes à Chibok. Au Nigeria, souligne le rapport de l'ONU, les femmes subissent le même régime d'atrocités : « Le mariage forcé, la réduction en esclavage et la "vente" de femmes et de filles enlevées occupent une place centrale dans le modus operandi et l'idéologie de Boko Haram. » Selon les estimations d'Amnesty International, au moins 2000 femmes et fillettes ont été enlevées par le groupe islamiste Boko Haram depuis le début de l'année dernière.

"Hausse marquée de la violence" en Libye et au Yémen

D'anciennes détenues ont raconté à Amnesty International les conditions horribles de leur captivité dans des prisons surpeuplées. Elles disent avoir été mariées de force, avoir été obligées de cuisiner, de faire le ménage. Plusieurs d'entre elles disent aussi avoir été violées. Une jeune femme de 19 ans enlevée en septembre 2014 raconte : « J'ai été violée plusieurs fois quand j'étais dans le camp. Parfois, ils étaient cinq. Parfois trois, parfois six. Ça a continué tout le temps où j'y étais. Cela se passait toujours la nuit. (...) Certains étaient d'anciens camarades de classe de mon village. Ceux qui me connaissaient avaient tendance à être encore plus violents avec moi. »

Au moment de la remise du rapport de l'ONU en avril, Mme Bangura s'inquiétait aussi de l'aggravation du conflit au Yémen. Elle notait « une hausse marquée de la violence » contre les femmes, notamment une augmentation des mariages précoces et forcés dans les zones affectées par les combats. Enfin, elle estimait qu'en Libye, « l'activité des extrémistes était très préoccupante, étant donné les tendances observées relatives aux violences sexuelles commises par de tels groupes dans ce pays ».

(Avec AFP ) SOURCE : www.figaro.fr

 

Tout ceci prend du sens lorsque l’on sait que le coran autorise les musulmans à réduire les femmes non-croyantes en esclavage et de les abuser sexuellement (Sourate 4 :23-25). Il faut aussi savoir que leur prophète (qu’ils voient comme un exemple à suivre) n’a pas lésiné sur les viols lors de ses nombreux pillages.

SOURATE 4

23. Vous sont interdites vos mères, filles, soeurs, tantes paternelles et tantes maternelles, filles d'un frère et filles d'une soeur, mères qui vous ont allaités, soeurs de lait, mères de vos femmes, belles-filles sous votre tutelle et issues des femmes avec qui vous avez consommé le mariage; si le mariage n'a pas été consommé, ceci n'est pas un péché de votre part; les femmes de vos fils nés de vos reins; de même que deux soeurs réunies - exception faite pour le passé. Car vraiment Allah est Pardonneur et Miséricordieux;

24. et parmi les femmes, les dames (qui ont un mari), sauf si elles sont vos esclaves en toute propriété . Prescription d'Allah sur vous! A part cela, il vous est permis de les rechercher, en vous servant de vos biens et en concluant mariage, non en débauchés. Puis, de même que vous jouissez d'elles, donnez-leur leur mahr, comme une chose due. Il n'y a aucun péché contre vous à ce que vous concluez un accord quelconque entre vous après la fixation du mahr. Car Allah est, certes, Omniscient et Sage.

25. Et quiconque parmi vous n'a pas les moyens pour épouser des femmes libres (non esclaves) croyantes, eh bien (il peut épouser) une femme parmi celles de vos esclaves croyantes. Allah connaît mieux votre foi, car vous êtes les uns des autres (de la même religion). Et épousez-les avec l'autorisation de leurs maîtres (Waliy) et donnez-leur un mahr convenable; (épousez-les) étant vertueuses et non pas livrées à la débauche ni ayant des amants clandestins. Si, une fois engagées dans le mariage, elles commettent l'adultère, elles reçoivent la moitié du châtiment qui revient aux femmes libres (non esclaves) mariées. Ceci est autorisé à celui d'entre vous qui craint la débauche; mais ce serait mieux pour vous d'être endurant. Et Allah est Pardonneur et Miséricordieux .

Il faut aussi savoir que selon la charia, une femme a besoin de 4 témoins masculins pour pouvoir prouver son viol. Ce n’est pas seulement important pour se faire justice mais aussi pour ne pas subir la peine prévue en cas d’adultère. C’est le cas de nombreuses femmes qui ont été violées puis lapidées à mort parce qu’elles avaient commis l’adultère.

18/03/2015

Etat islamique: le sale jeu de la Turquie et des Pays du Golfe

Quand est évoquée la question du financement, des soutiens des djihadistes de l’EIIL/ISIS (État islamique d’Irak et du Levant), la réponse semble « complexe », « obscure », rétive aux explications « simples ». Or, même s’il subsiste des zones d’ombre, des noms reviennent systématiquement : ceux des alliés des USA à savoir Arabie Saoudite, Turquie, Koweït.

Cela fait des mois que l’ex-premier ministre irakien Nouri al-Maliki accuse directement l’Arabie Saoudite et le Qatar du financement des fondamentalistes islamistes de l’EIIL. Des dénonciations qui ont rencontré les démentis des autorités saoudiennes, le mépris des puissances occidentales.

Il faut pourtant prêter une oreille au « faucon » John McCain, en février 2014, à la Conférence de sécurité de Munich : « nous remercions Dieu pour les Saoudiens, le prince Bandar et nos amis qataris ».

En mai 2013, John McCain s’était rendu en Syrie pour rencontrer ces « combattants de la liberté », posant sur une photo où on retrouvait, outre le général Idris de l’Armée syrienne libre, des guerriers des factions islamistes d’ « Al Nosra » tandis que l’EIIL revendique depuis cette photo comme preuve de sa légitimité, plusieurs de ces combattants présents ayant depuis rejoint le groupe.

 La politique états-unienne n’a pas été uniforme depuis le début de la guerre civile en Syrie, des dissensions se sont fait jour sur les modalités du soutien aux rebelles – direct ou indirect, tous azimuts ou ciblé, intervention armée ou coopération avec d’autres puissances dans la région (Iran).

Une chose est sûre, trois pays reviennent systématiquement quand on évoque le soutien aux islamistes d’Irak et de Syrie – l’Arabie saoudite, le Koweït et la Turquie – trois alliés incontournables des États-Unis dans la région.

L’Arabie Saoudite, l’épicentre du djihadisme

Le premier au banc des accusés est l’Arabie saoudite, pointé par les gouvernements irakien, iranien et syrien mais aussi par son « meilleur ami/ennemi », le Qatar.
Première question, celle du financement. Bien que les Saoudiens aient toujours dénié tout soutien financier aux guérillas islamistes, on sait désormais que les deux principaux bailleurs de fonds de la rébellion syrienne, en rivalité par ailleurs, sont le Qatar et l’Arabie saoudite.

On sait également que les dits « modérés » (mais qui est modéré dans ce conflit ?) ont depuis longtemps perdu le contrôle au profit des dits « extrémistes », les groupes liés à Al-Qaïda en tête.

Dans ce cadre, la rivalité entre Qataris et Saoudiens portaient sur l’identité des groupes islamistes à soutenir, le Qatar aurait favorisé plutôt le « Front al-Nosra » tandis que les Saoudiens privilégiaient l’ « EIIL » ou la nouvellement formée « Armée de l’Islam » (JAI).

Or, en février dernier, une rencontre à Washington entre les services de renseignement alliés des États-Unis – Jordanie, Turquie, Qatar, Arabie saoudite – débouchait sur une affirmation de la nécessité de cesser de financer, d’armer les groupes « extrémistes » plutôt que les « modérés ».

Le premier pays visé était l’Arabie Saoudite dont le chef des services de renseignement, le prince Bandar bin Sultan venait, peut-être sur sollicitation américaine, d’être congédié. Un aveu du bien-fondé des suspicions irako-irano-syriennes, inavouables publiquement bien sûr.

De quoi s’attarder sur la personnalité du prince Bandar bin Sultan, et son rôle dans la préparation militaire de la rébellion. Belliciste et influent, résolu mais aussi incontrôlable, le prince Bandar a fini par agacer les États-Unis qui ont demandé sa mise sur la touche.

Pourtant, jusque-là, la collaboration des services saoudiens avec la CIA avait fonctionné à plein, comme dans les camps d’entraînement des djihadistes en Jordanie.

Ou encore dans la « rat line », un approvisionnement d’armes libyennes jusqu’en Syrie via la frontière turque, avec des financements saoudiens, et l’action d’agents de la CIA américaine et du MI-6 britannique, une opération coordonnée par le directeur de la CIA, David Petraeus.

La « rat line » a été divulguée au moment de l’attentat contre le consulat américain à Benghazi, en septembre 2012. Elle était contenue dans une annexe classifiée secrète à un rapport du Département d’État sur l’événement.

Toutefois, les doubles objectifs de l’État saoudien, les plans secrets de soutien aux islamistes radicaux du prince Bandar ont refroidi les États-Unis.

L’influence de ce dernier auprès des cercles dirigeants néo-conservateurs et des groupes pétroliers est notable, profitant de sa charge d’ambassadeur aux États-Unis de 1983 à 2005 pour tisser son réseau, lui qui fut un ami personnel de Ronald Reagan, George Bush (père et fils) ou encore Dick Cheney. Il fut pendant longtemps la face publique du « lobby saoudien » à Washington.


Pourtant, le prince Bandar n’a jamais caché ses intentions. Ainsi, en juillet dernier, le prince Bandar a parlé franc jeu avec le président russe Poutine, après avoir menacé à demi-mot les JO de Sotchi d’attentats terroristes :


« Ces islamistes tchétchènes (...) sont comme ceux que nous contrôlons en territoire syrien, ils ne bougent pas sans que nous nous coordonnions. Nous les utilisons contre le régime syrien, mais ils n’auront pas d’influence dans l’avenir politique du pays ».

Sur le terrain, les forces militaires de l’EIIL sont composées de combattants de toute nationalité, mais avant tout saoudiens selon diverses estimations.


En 2007, les États-Unis avaient déjà estimé que 45 % des combattants étrangers en Irak étaient saoudiens. Selon un institut de recherche basé aux Émirats arabes unis, l’INEGMA, 4 000 combattants saoudiens et 1 500 des Émirats seraient présents dans les rangs de l’ISIS.

De quoi éveiller quelques doutes chez les responsables américains, en coulisse bien sûr. En 2009, Hillary Clinton avait signé un mémo secret – révélé par Wikileaks – spécifiant que « l’Arabie saoudite représente une base de soutien financier capitale pour Al-Qaïda, les Talibans (...) les donateurs d’Arabie Saoudite constituent la source la plus importante de financement des groupes terroristes sunnites dans le monde ».


Faut-il rappeler que 15 des 19 responsables directs des attentats du 11 septembre 2001 étaient Saoudiens, l’immense majorité des financements d’Al-Qaïda venait d’Arabie Saoudite, tout comme son idéologie « wahhabite » dont s’est inspiré Ousama Ben Laden.

Aucun « terroriste », pas un sou ne venaient alors d’Iran, de Syrie ou d’Irak.

Le Koweït, et les autres pays du Golfe : la plaque tournante du financement

Toutefois, pour ce qui concernerait le financement, il faudrait voir d’abord du côté des riches fortunes des pays du Golfe : Qatar, Émirats arabes unis et surtout Koweït.

Présenter ce financement comme « indirect » peut prêter à sourire quand on sait l’imbrication intégrale et même l’identité entre grandes fortunes et familles princières dans les Émirats.

Selon un rapport du think tank libéral Brookings Institution – financé partiellement par le Qatar – le Koweit est désormais devenu « une plaque tournante du financement de la myriade de groupes rebelles en Syrie », chiffrant le montant des aides à plusieurs centaines de millions de dollars.

Utilisant la législation extrêmement laxiste du Koweit, une dizaine d’hommes de l’affaire de l’émirat auraient fait transiter des millions de dollars via la Turquie ou la Jordanie pour financer la rébellion tandis que des membres de la minorité chiite au Koweit soutiendraient, eux, le régime d’Assad.

Le rapport de la Brookings Institution souligne que la collecte de fonds pour les rebelles syriens est devenue à partir de 2011 enjeu de rivalités entre tribus et clans, notables cléricaux ou politiques, poussés par les partisans du salafisme.

Des campagnes furent menées expliquant qu’on pouvait « avec 800 $ acheter une roquette », ou « équiper un soldat avec 2 500 $ », les noms de riches donateurs, parlementaires ou dignitaires religieux comme Jaman Herbach, Walid al-Tabtabai, Hadjaj al-Ajmi ou Abd al-Rahmane al-Anizi, représentent ces financements ouvertement proclamés pour les djihadistes syriens.

Les stratégies des donateurs koweitiens allaient du financement de la création de brigades salafistes regroupées dans « Jahbat al-Asala wa al-Tanmiya », du renforcement de groupes islamistes dont « Ahrar al-Sham » (soutenu par Shafi al-Ajmi) ou « Jabhat al-Nosra » (financé par Ghanem al-Mutairi).


Selon la Brookings Institution, tous les groupes financés par les Koweïtiens collaborent avec les mouvements d’Al Qaeda, d’abord le Front al-Nosra, ensuite l’EIIL.
Les États-Unis ont d’ailleurs ciblé et gelé les avoirs il y a une semaine de trois individus pour financement de l’EIIL – ainsi que d’al-Nosra – qui se révèlent être Mohammed al-Ajmi, Hadjadj al-Ajmi et Abd al-Rahmane al-Anizi, des noms déjà mentionnés et connus des observateurs.

Le Qatar – tout en finançant des analyses qui dédouanent l’émirat, accusant ses voisins saoudiens et koweïtiens – dénie toute implication dans le financement, bien que l’on sache qu’il ait été le premier bailleur de la rébellion islamiste syrienne, avec 3 milliards de $ dépensés de 2011 à 2013.

Cette somme aurait servi avant tout à financer les islamistes du « Front al-Nosra », tandis que le Qatar aurait alimenté un réseau de trafic d’armes permettant d’armer notamment les rebelles en missiles anti-aériens.

La Turquie, base logistique des rebelles islamistes

Et la Turquie dans tout cela ?

Que ce soit pour le transport d’armes, les voies d’acheminement des rebelles, ou le transfert de fonds, tous les acteurs évoquent une voie royale : la frontière longue de 800 km entre la Turquie et la Syrie, qu’un journaliste turc a qualifié « d’autoroute à deux sens pour les djihadistes ».

Un simple coup d’œil à une carte révèle que les « rebelles syriens » contrôlent – en dépit de leurs revers face aux troupes syriennes gouvernementales – toujours le nord de la Syrie, le long de la frontière turque, ce qui laisse l’hypothèse lourde d’une base arrière turque pour les rebelles.

Une institution confirmée par nombre d’observateurs qui soulignent que les djihadistes utilisent les camps de réfugiés comme camps d’entraînement, traversent la frontière pour se soigner, se reposer... ou simplement prendre un verre de thé et manger un kebab dans le sud de la Turquie.

C’est par exemple le témoignage d’un combattant d’ISIS interviewé par le journal turc « Yurt », évoquant « le soutien dont son organisation reçoit d’Ankara, sans lequel ils n’auraient pas autant de combattants, et ne contrôleraient pas tous ces territoires ».
Interviewé au cœur de l’Anatolie, il ajoute que lui et ses compagnons sont traités ici des blessures reçues en Turquie. Certains sont soignés dans des hôpitaux publics et privés à Ankara, Istanbul et Izmir. Selon les observateurs, 3 000 militants d’ISIS se trouveraient en Turquie à l’heure actuelle.

Le Washington Post insistait récemment sur la « répression tardive des combattants islamistes (12 août 2014), rappelant que « dans les étals poussiéreux du marché, parmi les boutiques de baklava et les kebab, les habitants mentionnent des combattants islamistes qui achetaient leurs uniformes et les derniers portables Samsung ».

« Tandis que les djihadistes blessés de l’EIIL et d’Al-Nosra étaient soignés dans les hôpitaux turcs (...) les riverains indiquent que Reyhanli et les autres villes turques frontalières étaient devenues des étapes pour les combattants et les armes destinées à alimenter les rebelles syriens. »

Ce secret de polichinelle ne pouvait plus être caché après que le 1er janvier 2014, un camion rempli d’armes et de munitions à destination de la Syrie était arrêté à Adana, près de la frontière. Les policiers qui ont divulgué des photos de la prise, le procureur public d’Hatay qui a tenté de mener l’enquête ont tous été démis de leurs fonctions, l’affaire a été classée sans suite.

Ce camion appartenait à l’IHH (la Fondation turque pour les droits de l’Homme et l’aide humanitaire), une organisation de charité islamique – à laquelle est lié le fils du Président Erdogan –, paravent pour le financement de groupes djihadistes comme en Syrie, avec des livraisons d’armes avérées au moins à partir de septembre 2012.

L’implication des services de renseignement turcs, le MIT, est directe selon le journaliste turc Cengiz Candar pour qui l’organisme est l’ « accoucheur » du groupe djihadiste.

Son rôle indirect semble indiscutable tant la porosité de la frontière turco-syrienne ne peut s’expliquer que par un laisser-faire (ou plutôt laissez-passer) coupable.


Certains combattants kurdes syriens dénoncent le fait que des officiers turcs aient participé à des interrogatoires de leurs militants capturés par ISIS.

Le journal turc Aydinlik a révélé, lui, que des anciens membres des Forces spéciales avaient été envoyés en Syrie pour épauler ISIS, avec une base logistique pour cette opération dans la ville de Konya, en Anatolie centrale.

Certains officiers des renseignements occidentaux – cités dans The Telegraph, le 14 avril 2014 – estiment que c’est le MIT turc qui serait à l’origine de l’attaque au gaz sarin du 21 août dernier, cherchant à provoquer l’entrée en guerre des États-Unis.
Selon les autorités turques, il y aurait plus de 1 000 combattants turcs dans les rangs d’ISIS, soit un dixième de leurs forces. Difficile de croire que les services de renseignement turcs auraient manifesté une telle incompétence face à ce flot de combattants ayant résidé sur leur sol, traversé leurs frontières, étant de leur nationalité.

Enfin, un dernier élément troublant, accablant, ce sont les autres sources de revenus d’ISIS : d’abord le trafic de pétrole revendu dans la région.

Là encore, ce n’est guère une surprise, ce pétrole est revendu essentiellement à la Turquie, qui pomperait 1 500 tonnes par jour, soit 4 % de sa consommation, à prix cassés. Selon le député turc d’opposition, Ali Ediboglu, les rebelles d’ISIS auraient vendu pour 800 millions de $ de pétrole au gouvernement turc.

Il peut subsister des zones d’ombre sur qui est derrière la subite émergence de l’EIIL. Elles ont trait au degré d’implication des pays occidentaux – et de leurs services secrets. Mais le rôle des plus proches alliés des États-Unis dans cette rébellion nous en apprend beaucoup sur son instrumentalisation au service des desseins impérialistes dans la région.

Solidarité internationale

 

SOURCE »» http://solidarite-internationale-pcf.over-blog.net/articl...