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03/01/2011

No all'islamizzazione d'Italia

Abdel Hamid Al Shaari, presidente della moschea di viale Jenner a Milano, il cui imam Abu Imad è stato condannato per aver praticato il lavaggio di cervello ai fedeli trasformandoli in terroristi suicidi islamici che si sono fatti esplodere in Iraq massacrando decine di innocenti, ha annunciato che parteciperà alle prossime elezioni comunali con la lista “Milano nuova” promossa dalla stessa moschea di viale Jenner. Shaari ha rassicurato che “non sarà una lista islamica ma laica”, che “non sarà contro gli italiani anzi contiamo di avere con noi degli italiani”.

A Shaari rispondiamo che se la democrazia in Italia dovesse consentire la partecipazione alle elezioni ai burattinai del terrorismo, significherebbe che la nostra democrazia è già stata violata e sconfitta. Che se la laicità dovesse accogliere nel suo seno gli integralisti, i radicali e i terroristi islamici che predicano l’odio, la violenza e la morte, significherebbe che la nostra laicità è già stata snaturata e uccisa. Che se ci fossero degli italiani pronti ad allearsi con i loro aspiranti carnefici, significherebbe che questi italiani sono tal punto succubi all’ideologia dell’islamicamente corretti da essere di fatto morti dentro svendendo la loro dignità e rinunciando alla loro libertà.

A Shaari assicuro che noi Protagonisti di “Io amo l’Italia” ci opporremo alla presenza e all’attività di qualsiasi lista islamica, anche sotto mentite spoglie, a Milano e ovunque in Italia. Noi siamo il fronte di prima linea a difesa di un’Italia che concepiamo come fondata sulle radici giudaico-cristiane, sulla fede nei valori non negoziabili e sulla certezza delle regole; un’Italia che coltiva una democrazia sostanziale non formale dove non vi può essere spazio per chi crede in un’ideologia islamica tirannica; un’Italia che è autenticamente laica e pertanto non ha nulla a che fare con chi seppur cinicamente aspira ad imporci uno stato islamico che rinnega la laicità; un’Italia che consta di una comunità di persone perbene e di buona volontà che non hanno paura dell’arbitrio e della violenza degli islamici e sono orgogliosi di essere pienamente italiani a casa propria.

“Io amo l’Italia” dice “no” alla lista islamica a Milano; no allo sdoganamento dei burattinai del terrorismo islamico di viale Jenner; no alla sottomissione all’ideologia dell’islamicamente corretto che fa immaginare persino al cardinale Tettamanzi che si debba consentite la creazione di una mega-moschea a Milano. Al tempo stesso diciamo “sì” ai musulmani perbene e di buona volontà che rispettano la Costituzione e le leggi italiane, che condividono i valori non negoziabili della sacralità della vita, la dignità della persona e la libertà di scelta, che operano per la costruzione dell’Italia delle regole che si sostanziano di diritti e doveri che garantiscono ma al tempo stesso vincolano tutti indistintamente, senza discriminare nessuno.

Magdi Cristiano Allam

La religione del beduino pedofilo uccide ancora

Un saluto al 2010, «l'anno migliore della mia vita», e un pensiero carico di entusiasmo per i «tanti desideri» da realizzare nel 2011. Maryam Fekry i suoi desideri, le sue speranze le aveva scritte fu Facebook pochi minuti prima di andare in chiesa per la messa di mezzanotte. Maryam, Mariouma per gli amici di Facebook, 22 anni, a messa è andata nella chiesa copta dei Santi Marco e Pietro, ad Alessandria d'Egitto. A casa, continuai i suoi post non c'è più tornata. Mariouma è una delle 21 vittime della strage di Capodanno.

 «Il 2010 è ormai passato - questo il messaggio scritto da Maryam - Quest'anno porta con sé i migliori ricordi della mia vita. Spero che il 2011 sia ancora meglio. Ho così tanti desideri per il 2011. Per favore, Dio, stammi vicino e aiutami a realizzarli». Nella pagina di Facebook una giovane donna, abbigliata elegantemente con un vestito di seta salmone e una rosa tra i capelli. Ora sotto ci sono decine e decine di saluti pieni di commozione: «non ti dimenticheremo mai, sei un angelo», scrive una donna. «La gente muore a causa dell'odio. Non riesco ancora a crederci. Sarai sempre nel nostro cuore», afferma un'altra ragazza. La sua testimonianza è divenuta simbolo del martirio dei copti in Egitto. Molti siti e forum copti riproducono le sue parole mentre su Youtube circola un video con le sue foto.

 

www.corriere.it

15/12/2010

Kosovo cloaca d'Europa

Il capo del governo del Kosovo, Hashim Thaci, sarebbe il boss di un racket che ha iniziato le sue attività criminali nel corso della guerra del Kosovo proseguendole nel decennio successivo. Secondo il rapporto stilato dalla commissione d’inchiesta del Consiglio d’Europa sul crimine organizzato il premier kosovaro sarebbe a capo di un gruppo mafioso albanese responsabile del traffico di armi, di droga e di organi umani nell’Europa dell’Est. Il rapporto, che conclude due anni di indagini e cita fra le sue fonti l’Fbi e altri servizi di intelligence, scrive che Thaci ha esercitato un «controllo violento» nell’ultimo decennio sul commercio di eroina. Uomini della sua cerchia sono accusati di aver rapito uomini e donne serbe al confine con l’Albania per ucciderli e privarli dei reni, venduti poi al mercato nero. Nel suo rapporto, lo svizzero Dick Marty - deputato elvetico all'Assemblea Parlamentare del Consiglio ed ex procuratore del Canton Ticino ora relatore per i diritti umani e le questioni giuridiche del Consiglio d'Europa - afferma che gli indipendentisti kosovari dell'Uck hanno gestito alla fine degli anni Novanta un traffico di organi ai danni di prigionieri serbi. Secondo Marty, tale traffico era controllato da una formazione dell'Uck denomonata «Gruppo di Drenica», capeggiata dall'attuale primo ministro kosovaro, Hashim Thaci. E vi sarebbero «numerosi indizi» che «gli organi venissero estratti da prigionieri di una clinica in territorio albanese, nei pressi di Fushe-Kruje (20 km a nord di Tirana)».

 

RENI, EROINA E ARMI - Nel testo, disponibile su internet, si ricorda che del traffico di organi espiantati a prigionieri di guerra serbi fa menzione Carla Del Ponte, l'ex-procuratore del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia, nel suo libro pubblicato in prima battuta in Italia La caccia - Io e i criminali di guerra. Tragico dubbio che diventa protagonista di  The Empty House, documentario prodotto da PeaceReporter in cui, a partire dalla Casa Gialla (dove secondo le accuse si espiantavano gli organi), si denuncia il dramma delle persone scomparse durante la guerra in Kosovo. Una storia, raccontata in multimediale, che si concentra appunto sul dubbio che alcune persone scomparse siano state vittime di un traffico di organi. Un secondo e ultimo riferimento all'Italia fatto dal rapporto riguarda «analisti» del Sismi, il servizio segreto militare, e dell'intelligence tedesca, britannica, greca e della Nato che definirebbero «abitualmente» l'attuale premier kosovaro Hashim Thaci come «il più pericoloso tra i padrini della mala dell'Uck». I responsabili di questi traffici sarebbero i leader di etnia albanese dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck). Secondo le testimonianze raccolte dal rapporto del Consiglio d'Europa, i prigionieri di guerra serbi e altri civili venivano uccisi con un colpo di arma da fuoco alla testa. Gli affari si facevano soprattutto con reni, venduti a cliniche private straniere. Un ruolo fondamentale avrebbe avuto in tutta la vicenda Shaip Muja, anch'egli ex comandante dell'Uck e ancora oggi stretto collaboratore politico di Thaci, responsabile delle questioni sanitarie.

LO SDEGNO DI PRISTINA - A Pristina, dove Thaci con il suo Partito democratico del Kosovo ha vinto le elezioni legislative anticipate di domenica scorsa, il governo ha smentito seccamente il contenuto del rapporto di Dick Marty. Respingendo le accuse, una nota governativa lo ha definito «senza fondamento». Si tratterebbe di «invenzioni» finalizzate a coprire «di obbrobrio l'Uck e i suoi dirigenti». In una nota pubblicata nella notte si legge: «È evidente che qualcuno vuol fare del male al primo ministro Thaci dopo che i cittadini del Kosovo gli hanno dato chiaramente la loro fiducia per continuare il programma di sviluppo del Paese». Il governo ha quindi annunciato l'intenzione di adottare «tutte le misure possibili e necessarie per rispondere alle invenzioni e alle calunnie di Dick Marty, ivi comprese misure giudiziarie e politiche». In un comunicato il premier di Pristina preannuncia «tutti i passi necessari, compreso il ricorso a mezzi legali e politici» nei confronti dell'autore della relazione, Dick Marty.

NEMICI DELL'INDIPENDENZA - «Faremo squalificare le calunnie del signor Marty», ammonisce il comunicato ufficiale, in cui si addebitano le accuse contenute nel rapporto ai «nemici dell'indipendenza» dell'ex regione serba a maggioranza albanese. «I cittadini kosovari e l'opinione pubblica internazionale nel suo complesso non credono alle diffamazioni messe in circolazione da chi si oppone all'indipendenza e alla sovranità del nostro Paese», si afferma, «e non permetteranno in alcun modo che certi demagoghi macchino la limpida lotta dell'Esercito di Liberazione del Kosovo e il sacrificio di tutti i cittadini della nostra patria». L'Esercito di Liberazione o Kla, di cui Thaci era comandante, sarebbe servito da copertura per gli affari illeciti da questi portati avanti prima, durante e dopo la guerra. Il comunicato governativo si conclude con un appello a tutti i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa, ai quali mercoledì a Parigi verrà presentato il Rapporto, affinchè «si oppongano con forza a questo documento diffamatorio».

IL RICONOSCIMENTO - Il Pdk (Partito Democratico del Kosovo) guidato da Thaci, pur in calo di consensi, ha ottenuto il maggior numero di voti nelle elezioni anticipate di domenica scorsa nell'ex regione serba a maggioranza albanese. Per quanto difficile appaia la formazione di un nuovo esecutivo di coalizione a Pristina, l'incarico dovrebbe essere riconferito a Thaci e, una volta formata la compagine, si ripresenterà la questione dei negoziati con la Serbia, che continua a non riconoscere l'indipendenza kosovara, proclamata unilateralmente nel febbraio 2008.

LA SODDISFAZIONE DI BELGRADO - Dal canto suo, Belgrado ha espresso grande soddisfazione per il Rapporto del Consiglio d'Europa sul presunto traffico di organi umani ai danni di cittadini serbi. Tale rapporto, ha detto il viceprocuratore serbo per i crimini di guerra, Bruno Vekaric, «è una grande vittoria della Serbia nella lotta per la verità e la giustizia». «Grazie all'aiuto del presidente, Boris Tadic, e agli sforzi continui degli organi giudiziari serbi, abbiamo conseguito la vittoria e abbiamo restituito la speranza alle famiglie delle persone rapite o dei dispersi», ha aggiunto Vekaric auspicando che la pubblicazione del rapporto del Consiglio d'Europa, «estremamente positivo», consentirà l'apertura di numerose inchieste sui traffici di organi in Kosovo e Albania, dove le autorità giudiziarie hanno ignorato per anni gli appelli a far luce su tale problema.

I DUBBI DI MOSCA - In visita ufficiale a Mosca, il ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic ha messo in dubbio che vi sia un futuro politico per Hashim Thaci. Secondo Jeremic il documento rivelerebbe «la terribile realtà» kosovara: «È un segnale che mostra come sia ormai tempo per il mondo civilizzato di smetterla di voltarle le spalle», ha detto. «Questo rapporto svela che cosa è il Kosovo, e chi è che lo guida». Dello stesso avviso di Jeremic è l'omologo russo Serghei Lavrov, il cui Paese parimenti non riconosce il Kosovo come Stato sovrano. Lavrov ha affermato di essere «molto allarmato» per quanto emerge dal rapporto Marty che, ha sottolineato, «non può restare secretato» poiché «tutti dobbiamo assicurare che gli sia data la più ampia diffusione possibile». Il capo della diplomazia russa ha quindi ribadito la posizione di Mosca, che si rifà ancora alla risoluzione adottata nel 1999 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui si faceva del Kosovo una sorta di area neutrale sotto l'amministrazione del Palazzo di Vetro. «Noi», ha affermato ancora Lavrov, «sosteniamo la necessità di un dialogo diretto tra le autorità di Belgrado e quelle di Pristina, soltanto nel cui ambito è possibile trovare una soluzione a lungo termine per il Kosovo, fondata su un reale compromesso accettabile reciprocamente da ambedue le parti. In tale processo», ha ammonito, «qualsiasi intervento straniero va accuratamente valutato e soppesato».

 

Redazione Online corriere.it

15 dicembre 2010

09/12/2010

La gravité de la situation française, en histoire!

Aujourd'hui je vais vous raconter une histoire, absolument authentique, qui résume à elle même toute la gravité de l'état de déliquescence culturelle dans laquelle nos pseudo-élites politicardes et médiatiques nous ont plongé.

Il y a deux jours je dinais avec un groupe d'amis et amies dans un restaurant de la France si-dite « profonde ».

A un moment donné, une de ces amies vient à parler, de manière fortuite, du fait que son mari avait vendu six moutons vivants à des musulmans lors de la fête , ou pour mieux dire de la boucherie,de    l'Aï d.

En effet, ce couple exploite une ferme dans le sud-ouest, avec toute sorte d'animaux, y compris des moutons.

Jusqu' ici, me direz vous, rien d'extraordinaire.

Mais venons au détails.

Les six musulmans en question ne sont rien d'autre que...six MEDECINS HOSPITALIERS ALGERIENS, travaillant dans deux grands Hôpitaux publics français, eux-mêmes naturalisés français bien sûr et pêres d'un certain nombre de petits français.

Ils se sont rendus à la ferme avec leurs couteaux et leurs tapis... ensuite il se sont fait emmener dans la grange où ils ont disposé leurs tapis par terre en direction de la Mecque.

Ils ont demandé plus ou moins fermement aux fermiers de partir, car non musulmans ( = infidèles = impurs) , et à tour de rôle voire simultanément, ils ont égorgé leurs six moutons dans des conditions à peu dires bestiales. Des cris, du sang, l'horreur!

Ensuite ils les ont découpés en gros morceaux, mis dans des sacs poubelle, déposés dans le coffre de la voiture pour repartir sans formalités ni salutations.

Maintenant, pouvez-vous imaginer une personne normalement constituée sur le plan psychique, exerçant, au moins sur le papier, le métier de médecin, c'est à dire le métier de l'humanisme par définition, se rendre en meute armé de gros couteaux, trucider de manière sauvage et inhumaine six pauvres bêtes au nom d'une pseudo-religion de merde ?

Si vous êtes capables de cruauté envers des animaux sans défense, vous le serez sans doute envers vos semblables!

Pouvez-vous imaginer qu'à un moment ou à un autre ce genre de fanatiques assoiffés de sang viendrons s'occuper de votre santé de pauvres cons d'infidèles ?

Que ces type d'abroutissement mental soit la règle dans des sociétés sous-développés à l'état mahométain, soit!

Mais que l' État français, celui qui revendique l'héritage des lumières, puisse donner accueil et responsabilités morales à des tels énergumènes, NON!

Comment tout ceci pourra finir, chacun peux bien l'imaginer.

Cuffia islamica all'ora di musica

REGGELLO (FIRENZE) — Da oltre un anno, una quindicenne segue le lezioni di musica con i tappi alle orecchie. Così ha voluto suo padre, Omar, marocchino di fede islamica che considera la musica impura, una «roba da infedeli». Succede alla scuola media statale di Reggello, dove il padre della ragazzina e gli insegnanti hanno escogitato questa originale strategia per permetterle di rimanere in classe durante le lezioni di educazione musicale. E così, mentre i suoi compagni di terza media suonano, cantano o solfeggiano, lei si estranea con un paio di cuffie isolanti. Osserva i compagni col flauto, ma non li sente. Vede muovere le loro dita, ma è totalmente sorda ai suoni che emettono gli strumenti. E invece che esercitarsi con la pratica, studia la teoria musicale su un libro. Accade tutte le settimane, non appena la campanella annuncia la lezione di musica. Ormai il meccanismo è collaudato, ma fino all’anno scorso, tra la famiglia marocchina e la dirigenza scolastica erano scintille. Quando c’erano le esercitazioni musicali, la ragazza non andava a scuola, spesso perdendo intere giornate di lezione. E a causa delle troppe assenze, la studentessa venne bocciata. La preside segnalò il caso al sindaco e ai carabinieri.

Partì una denuncia e si aprì un processo, tutt’ora in corso, nei confronti del padre, colpevole per aver costretto la figlia a rinunciare, almeno in parte, alla scuola dell’obbligo. Nonostante la denuncia, i genitori furono irremovibili: «Niente musica per nostra figlia. Altrimenti, niente scuola». Così si arrivò alla soluzione concordata, quella attuale. Un lieto fine, almeno per genitori e insegnanti, ma chissà se è così anche per la ragazza. Su questo il padre non ha dubbi: «Mia figlia è felice di seguire le regole del Corano. La nostra religione ci obbliga a non studiare la musica, è scritto nei testi sacri. Non mi sento un fanatico, ma un fedele alle credenze musulmane. Credo di essere il primo in Italia ad aver sollevato questo problema, ma sono contento e lo rifarei». Il protagonista della vicenda, Omar R. è uno dei rappresentanti della comunità islamica di Reggello. Il caso da lui sollevato ha suscitato critiche e perplessità in tutto il paese. «Rispettiamo le tradizioni religiose di tutti i nostri cittadini — ha commentato il vicesindaco e assessore all’istruzione Cristiano Benucci— ma ritengo che si debba fare tutto il possibile affinché ogni materia scolastica venga insegnata agli studenti. Tra queste, anche la musica, che a Reggello ha una grande tradizione storica e dovrebbe essere appresa da tutti i bambini. È difficile capire le motivazioni che spingono un genitore a negare l’ascolto della musica alla propria figlia». Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore alle politiche sociali Daniele Bruschetini: «La nostra scuola accoglie tutti, ma gli islamici dovrebbero adeguarsi alla cultura del Paese che li ospita».

Più moderata la preside dell’istituto scolastico, Vilma Natali: «È stata trovata una soluzione condivisa, che accontenta sia gli insegnanti che i genitori. La vicenda non va enfatizzata». In ogni caso, precisa la dirigente scolastica, «credo che la ragazzina, attraverso questo metodo educativo, non otterrà grandi risultati». Scelta comprensibile, invece, secondo l’imam di Firenze Izzedin Elzir: «Il mondo islamico interpreta la musica in due modi. Può essere qualcosa di illecito e immorale, oppure uno strumento artistico positivo». Elzir, pur condividendo quest’ultima interpretazione, ritiene che «tutto deve essere correlato alla scelta educativa della singola famiglia». Inoltre, aggiunge l’imam, «è necessario lavorare alla coesione della nostra società rispettando (l'islam "rispetta" come ciascuno sa....NDR) le credenze di ognuno ed evitando di creare allarmismi mediatici».

Jacopo Storni
09 dicembre 2010
www.corriere.it

18/11/2010

Effetti dell'Eurabia senza frontiere

PORTO RECANATI - Trentaquattro etnie diverse in 480 appartamenti. Un edificio di diciassette piani abitato da duemila persone che durante la stagione estiva diventano quattromila: è l’Hotel House o meglio, «il mondo in un palazzo». Sulla statale Adriatica, appena superata Civitanova Marche in direzione Ancona, una mole di cemento spacca in due la brulla campagna. Se domandate ai Maceratesi cosa sia, vi risponderanno storcendo il naso: «È la nostra piccola Scampia». Non è del tutto vero naturalmente, nel palazzo ci abitano famiglie di onesti lavoratori, con figli che giocano nei cortili interni, persone perbene insomma, ma in questo luogo appena scende la notte tutto cambia. All’imbrunire, quando i lavoratori stranieri rincasano, questo gigantesco condominio- paese diventa una piazza di spaccio secondo il migliore stile Scampia. Almeno dieci persone prendono il controllo della situazione. Vendono tutti i tipi di droghe presenti sul mercato e se il malcapitato non è un loro cliente, rischia come minimo botte. Gli abitanti, ogni sera, assistono impotenti a scene di violenza con tanto di coltellate e feriti. Sono loro i primi ostaggi degli spacciatori, abbassano le tapparelle e alzano il volume delle televisioni, e se qualcuno di loro chiama la polizia, il giorno dopo si ritrova con la macchina distrutta. Accade d’inverno ma ancora di più lungo l’estate. Da tutta l’Italia arrivano centinaia di venditori ambulanti nord africani. Quelli che camminano per chilometri di spiaggia vendendo dalle collanine alle borse, dai tappeti ai dvd, tutta merce taroccata. A rifornire l’Hotel House di droga e merci contraffatte sono i clan della camorra. Nel parcheggio appena fuori dal cancello d’ingresso, arrivano i camion dalla Campania carichi di T-shirt, borsette, Dvd ed eroina. Ogni tanto ci scappa il morto. L’estate scorsa, Paolo Persici un uomo di trentanove anni, è deceduto dopo essersi fatto un buco di eroina tagliata. L’uomo, un neolaureato in medicina, è stato trovato nel parcheggio ancora con la siringa infilata nel braccio. Come accade nelle periferie, la cocaina e l’eroina sono tagliate con calcinaccio o altro.

 

 Una donna di origine sudanese stufa del clima violento, ci spiega che gran parte dei clienti che ogni notte accorrono all’Hotel House, sono italiani, commercianti della zona, volti noti insomma. Ma come si vive all’interno di questa periferia delle periferie? La vita tra le diverse comunità è armoniosa. Al piano terra c’è la moschea, dove i musulmani pregano in silenzio e nello scantinato, nella rumorosa chiesa pentecostale del pastore Austin, si prega per i tossici e le prostitute. I circa cinquecento ragazzi dell’Hotel House riempiono gli istituti scolastici di Porto Recanati, senza di loro le scuole avrebbero chiuso o sarebbero semivuote. Ci troviamo nella città con il più alto tasso di extracomunitari d’Italia, ci spiega Rosalba Ubaldi, sindaco in quota Udc. Nato negli anni settanta come lussuoso residence per le famiglie benestanti delle Marche, l’Hotel House, con il passare degli anni, è stato assalito dal degrado, e con la decadenza sono arrivati i malavitosi. Oggi, le cinquecento famiglie di extracomunitari, che in questo posto ci vivono tutto l’anno, chiedono maggiore sicurezza. I controlli da parte dello stato, sono quasi inesistenti, e come ci racconta il pakistano proprietario dell’unico internet point di questa specie di cittadina, mostrandoci una mazza, “qui siamo stati lasciati da soli, e da soli dobbiamo difenderci”. Un appello alla sicurezza, quello degli extracomunitari dell’Hotel House, insolito. Se si pensa a tutti quegli italiani che non vedono e non sentono quando un taxista viene picchiato a morte a Milano o alle uccisioni di mafia al sud, in cui non si trova mai un testimone e regna l’omertà.

Ruben H. Oliva
18 novembre 2010
www.corriere.it

06/10/2010

Racisme anti-blondes

Mercredi après-midi, à proximité de la station de métro Balma-Gramont, dans l'agglomération de Toulouse, dans la Haute-Garonne, une adolescente de 16 ans a été prise à partie par trois collégiennes, âgées de 14 et 15 ans, selon La Dépêche. Lire la suite l'article

L'adolescente a été agressée verbalement par le trio, rapporte La Dépêche.

Puis les trois ados se sont dirigées vers une autre lycéenne, âgée également de 16 ans.

L'une des jeunes filles du trio lui lance alors :

"Sale blondasse ! J'aime pas les blondes."

Puis l'une de ses copines éteint sa cigarette sur le poignet de la lycéenne.

La scène est filmée par la troisième comparse avec son téléphone portable.

La jeune victime tente d'échapper aux griffes de ses agresseuses. Elle est rattrapée rapidement.

Après avoir été tirée par les cheveux, elle est brûlée, une nouvelle fois, à l'avant-bras avec une cigarette.

Des témoins de la scène donnent l'alerte.

Les trois collégiennes ont été interpellées par les policiers de la sûreté départementale.

Jeudi, deux de ces collégiennes ont été présentées devant un juge des mineurs, indique La Dépêche.

La troisième doit être convoquée au tribunal, dans les prochains jours, par le procureur de la République.

Contacté par Le Post, le procureur de Toulouse n'était pas disponible pour l'instant.

 

PS: aucune précision sur l'identité des agresseuses, le MRAP et la HALDE se taisent

Formatés par Mohammad, prêts au massacre!

Titulaires de passeports occidentaux, ces jeunes issus de l'immigration défient les services de renseignement.

 Depuis 1998, date à laquelle Oussama Ben Laden avait déclaré, depuis l'Afghanistan, les hostilités «aux Juifs et aux croisés», les combattants islamistes internationalistes n'ont cessé d'améliorer les armes de leur «guerre sainte» à l'Occident. La totalité des terroristes musulmans du 11 septembre 2001 avaient des passeports arabes (saoudiens, yéménites, égyptiens), sur lesquels les consulats américains avaient, faute de coordination avec la CIA, apposé des visas en bonne et due forme. La nouveauté est que les mouvements terroristes islamistes internationalistes recrutent désormais, en priorité, dans les milieux de l'immigration, des musulmans détenteurs de passeports européens.

Lundi 4 octobre, huit islamistes, dont cinq porteurs de passeports allemands, ont ainsi été tués par l'explosion de deux roquettes tirées d'un drone de la CIA sur une mosquée de la ville de Mir Ali, au Waziristan du Nord. L'une des 7 Zones tribales autonomes pakistanaises, le Nord-Waziristan, bastion montagneux aux accès difficiles, est devenu le sanctuaire de tous les mouvements islamistes agissant dans la région, que ce soit au Cachemire, au Pendjab, en Inde, en Afghanistan ou en Ouzbékistan.

Les services de sécurité américains et européens tentent de repérer les jeunes Occidentaux qui entreprennent des voyages au Pakistan ou dans d'autres pays connus pour abriter des militants islamistes, afin d'y recevoir un entraînement d'al-Qaida ou de ses alliés. Une étude de chercheurs américains et suédois, publiée vendredi dernier, estime que la connaissance qu'ont les services de renseignement occidentaux sur la menace représentée par les musulmans vivant en Europe et candidats au djihad international, pourrait se limiter «à la partie émergée d'un problème bien plus vaste, non détecté et sur lequel il n'existe aucune donnée».

Les militants islamistes disposant de passeports de pays occidentaux et dont le casier judiciaire est vierge peuvent en effet se déplacer tranquillement sans attirer l'attention des autorités, qu'elles soient françaises, allemandes, anglaises, pakistanaises, indiennes ou afghanes. «La connaissance que ces combattants ont des cibles qu'ils visent fait que leur capacité à causer des dégâts est encore plus grande», indique le rapport de l'Institut pour la politique de sécurité intérieure de l'Université George-Washington.

 Parti de Hambourg

 Les services de renseignement occidentaux ont mis tout récemment au jour des projets d'attentats liés à al-Qaida au Royaume-Uni, en France et en Allemagne, sur le modèle des attaques de Bombay (décembre 2008), lesquels ont provoqué de spectaculaires «mesures de précaution», comme l'évacuation de la tour Eiffel. Les premiers renseignements concernant ce complot provenaient d'Ahmad Siddiqui, un ressortissant allemand détenu depuis le mois de juillet dans la base américaine de Bagram, en Afghanistan. Ce citoyen allemand d'origine afghane était parti de Hambourg en mars 2009, pour faire le djihad, emmenant avec lui dix autres apprentis terroristes. Le groupe - aidé dans ses pérégrinations par un islamiste d'origine algérienne titulaire d'un passeport français - fut accueilli par le MIU (Mouvement islamique d'Ouzbékistan) à son arrivée dans les Zones tribales pakistanaises. Curieusement, c'est aussi de Hambourg que Mohammed Atta, le chef des commandos des attentats du 11 Septembre, prépara son coup. Égyptien boursier en architecture du gouvernement allemand, Atta avait obtenu de son université l'ouverture d'une «salle de prière». Cette dernière était équipée d'une liaison Internet, à l'aide de laquelle Atta put correspondre, à travers le monde, avec toutes les autres parties au complot.

Sur les 200 musulmans titulaires de passeports allemands ou de cartes de séjour de longue durée en Allemagne, qui ont fait, depuis les attentats du 11 septembre 2001, le voyage du Pakistan, afin d'y recevoir un entraînement militaire de la part des groupes islamistes agissant dans les Zones tribales, 65 auraient effectivement réussi à obtenir la formation militaire (notamment dans la fabrication des explosifs) de leurs rêves.

Obsédés par le principe de précaution, les gouvernements occidentaux ont-ils surréagi à l'information venue du prisonnier allemand de Bagram? Quoi qu'il en soit, pour ces islamistes - qui n'ont aucune chance concrète de rétablir un jour le grand califat de leurs rêves, mais qui vivent de la peur qu'ils inspirent -, avoir réussi à faire évacuer le monument touristique le plus célèbre du monde représente déjà un succès inespéré.

www.figaro.fr

21/09/2010

ARTE plie sous les menaces

 

 

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Civilisation nordafricaine censurée!

(dessin extrait de Charlie Hebdo)

 

Voici l'islam tel qu'il est!

Pour avoir rompu le jeûne du Ramadan, deux chrétiens algériens sont jugés mardi. Le procureur a requis, à l'issue de son réquisitoire, une peine de trois mois de prison ferme.

Le tribunal d'Aïn-el-Hammam (Kabylie, 150 km à l'est d'Alger) abrite, mardi, un procès bien singulier : celui des «dé-jeûneurs» du Ramadan. Hocine Hocini et Salem Fellak, ouvriers dans le bâtiment, ont été interpellés par la police le 12 août, deuxième jour du Ramadan, lors de la pause déjeuner, à l'intérieur d'une maison en construction. Arrêtés en «flagrant délit de consommation de denrées alimentaires», et présentés au parquet, ils ont été mis en examen pour «atteinte et offense aux préceptes de l'islam». Lorsque Hocine Hocini décline sa foi chrétienne et invoque la Constitution qui «garantit la liberté de conscience», la procureure, en colère, lui aurait conseillé de «quitter ce pays, qui est une terre d'Islam»…Mardi, trois mois de prison ferme ont été requis contre eux. Verdict le 5 octobre.

Cette opération n'est pas isolée. A Ighzer Amokrane, en Petite Kabylie, la police a donné l'assaut à un local commercial fermé, pour interpeller une dizaine de jeunes, coupables d'avoir consommé de l'eau et du café ; leur procès est prévu pour le 8 novembre prochain.

Toujours en Kabylie, quatre chrétiens comparaîtront, le 26 septembre, devant les juges de Larbâa-Nath-Irathen pour «pratique d'un culte non musulman sans autorisation».

La dernière provocation contre la communauté chrétienne remonte à quelques jours, lorsque l'église protestante de Tizi-Ouzou a été sommée par la wilaya (préfecture) de démolir des travaux, effectués à l'intérieur du mur d'enceinte pour sécuriser l'édifice. Le motif, qui invoque le «défaut de permis de construire», contraste avec l'anarchie architecturale qui a fait la réputation du quartier. Mustapha Krim, président de l'Église protestante d'Algérie, est amer : «Cette attitude discriminatoire n'est motivée que par un seul argument : notre foi chrétienne. Nous lançons un appel solennel aux autorités supérieures de l'État pour mettre un terme à ces dérives, et faire respecter le principe d'égalité des citoyens devant la loi.»

Cette escalade dans la répression pour «délit de culte» était prévisible. A la veille du Ramadan, le Collectif SOS libertés dénonçait le «détournement des institutions au service d'une idéologie intolérante et liberticide», avant de revendiquer l'ouverture de cafés et de restaurants pour les non-jeûneurs. Créé lors de la campagne antichrétienne du printemps 2008, le collectif, composé d'artistes et d'intellectuels, milite pour «la liberté de conscience, synonyme du droit de chacun de pratiquer la religion de son choix, ou de ne pas pratiquer».

En agitant le chiffon rouge des «évangélistes et des mécréants», notamment en Kabylie, le pouvoir tente d'endiguer les conversions au christianisme. Mais aussi de casser l'islam traditionnel jugé trop «tiède avec les apostats», pour y incruster une pratique plus rigoriste. Des «brigades vertes», ouvertement financées par l'Arabie saoudite via des associations religieuses, ont été recrutées dans plusieurs localités, avec la complicité de l'administration. A Aghribs (40 km au nord de Tizi-Ouzou), ces néomissionnaires se sont heurtés à la résistance de la population. Fidèles à leur mosquée traditionnelle, où l'on prêche la tolérance et le respect d'autrui, les villageois ont bloqué la construction d'une mosquée intégriste, en brûlant les matériaux, que des inconnus ont déposés, la nuit, sur la place du village.

Cette «guerre de religions» est, en fait, une manœuvre politique pour conforter l'alliance entre nationalistes et islamistes. Alors que la loi sur la «réconciliation nationale», adoptée par référendum en septembre 2005, accordait un délai de six mois aux «égarés des maquis» pour déposer les armes et échapper aux rigueurs de la justice, ce délai est prolongé dans les faits, au nom des «intérêts supérieurs de la nation». Loin de neutraliser les poches de «terrorisme résiduel», cette complaisance a eu des effets pervers. Comme ces dizaines de jeunes désœuvrés qui prennent encore le maquis, le temps de se constituer une cagnotte par le racket, avant de se rendre pour bénéficier des avantages sociaux offerts par l'État pour la réinsertion des «repentis».

Dans la recomposition en cours, les fatwas de Hassan Hattab sont relayées par la presse «national-islamiste» et les radios publiques comme une nouvelle stratégie de lutte antiterroriste ! Avec des éléments «repentis» du GIA, l'ex-émir fondateur du GSPC (ancêtre d'Aqmi) vient de lancer un «appel aux ulémas du monde musulman» leur demandant d'appuyer la «réconciliation nationale», pour assurer «la victoire de l'islam contre les croisés coloniaux et l'ennemi intérieur». Pied de nez à la justice qui, sans rire, l'a déclaré «en fuite», avant de le condamner par contumace à la prison à perpétuité, Hassan Hattab est protégé par les autorités, après sa reddition annoncée officiellement en septembre 2007.

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