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31/08/2010

Carla Bruni:per l'islam reale, una "prostituta che merita la morte"!

MILANO - Prima l'accusa di essere una «prostituta», per avere preso le difese di una donna condannata alla lapidazione sulla base della legge islamica. Ma non bastava. Adesso Carla Bruni «merita la morte». Lo scrive oggi il quotidiano ultraconservatore iraniano Kayhan, lo stesso che aveva accusato di meretricio la moglie del presidente francese Nicolas Sarkozy.

«PROSTITUTA ITALIANA» - Il nuovo attacco alla Bruni parte dall'idea che la vita privata della Bruni, definita ancora una volta «prostituta italiana», sia «immorale». «L'analisi del passato di Carla Bruni - si legge sul quotidiano filo-governativo - mostra chiaramente perché questa donna immorale abbia sostenuto una donna iraniana condannata a morte per adulterio e per avere partecipato all'omicidio del marito. E infatti lei stessa merita la morte».

LA PROTESTA UFFICIALE - Per Parigi le offese sulla stampa iraniana contro Carla Bruni-Sarkozy, premiere dame di Francia, sono «inaccettabili» e un messaggio in proposito è stato inviato ufficialmente alle autorità iraniane. «La Repubblica islamica - è stata la replica di Teheran - non approva l'insulto contro i responsabili di iltri Paesi - ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Ramin Mehmanparast -. Spero che tutti i media facciano più attenzione. Si può criticare la politica ostile di certe nazioni o il comportamento delle autorità di altri Paesi e possiamo esprimere la nostra protesta, ma non bisogna utilizzare parole insultanti. Questo non è corretto». Ma se la gran parte della stampa iraniana si è ben guardata dall'andare appresso a Kayhan nella sua campagna anti-Bruni, il sito web del gruppo editoriale governativo Iran, www.inn.ir, ha rilanciato la questione scrivendo che i media occidentali, «documentando i numerosi casi di immemoralità precedenti, hanno implicitamente confermato che Carla Bruni meritava quel titolo».

IL CASO ASHTIANI - Carla Bruni Sarkozy aveva preso posizione il 23 agosto contro l'annunciata lapidazione di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, madre di famiglia di 43 anni condannata a morte per lapidazione per adulterio e per avere, secondo l'accusa, avere avuto un ruolo anche nell'omicidio del marito. Teheran aveva annunciato a luglio la sospensione della sentenza proprio per le reazioni che, Carla Bruni a parte, la vicenda aveva sollevato in Europa e in tutto il mondo occidentale. La presa di posizione della première dame di Francia non era però piaciuta a Kayhan, che in passato aveva utilizzato insulti ed epiteti anche nei confronti di personalità iraniane, tra cui la premio Nobel per la pace Shirine Ebadi o il capo di gabinetto di Ahmadinejad, Rahim Machaie. Un altro sito internet conservatore, Asriran, aveva criticato l'atteggiamento di Kayhan spiegando che «i media che si richiamano alla cultura islamica devono mostrarsi cortesi nei loro commenti, anche se riguardano dei nemici. Gli eccessi di un giornalista o di un giornale non rappresentano l'opinione del governo né del popolo iraniano».

www.corriere.it

Cultura islamica in Italia

TORINO -  I carabinieri del comando provinciale di Torino hanno arrestato un uomo di nazionalità marocchina, accusato di aver sfregiato giovedì scorso a Torino, con un getto di acido muriatico, la giovane Hasna Beniliha, sua connazionale di 19 anni, «colpevole» di averlo respinto. La ragazza, colpita in testa e nella parte superiore del corpo, è tuttora ricoverata e rischia di perdere un occhio. L'uomo arrestato è Abderrahim Soufi, marocchino di 23 anni, pluripregiudicato e senza fissa dimora. L'uomo, rintracciato grazie alla testimonianza della vittima e di alcuni conoscenti e alle intercettazioni telefoniche, stava per lasciare la città per dirigersi nel sud Italia. È stato rintracciato alla stazione di Asti, mentre stava salendo su un treno diretto a Napoli insieme a un connazionale, Marhroum Salah, 24 anni, che è stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento. Una volta fermato, l'aggressore avrebbe ammesso parzialmente le sue responsabilità. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, da tempo corteggiava la ragazza in modo insistente, venendo però sempre respinto. Fino a giovedì sera quando, dopo averla minacciata telefonicamente di aggredirla con un coltello, l'ha raggiunta alla fermata del bus e l'ha seguita fino davanti a un bar, dove l'ha investita col getto d'acido che ha ferito, in modo meno grave, altre tre persone.

MILANO - Percossa e accoltellata dal fidanzato marocchino, al punto da farle perdere il bimbo che aveva in grembo. Gli uomini della questura di Bergamo stanno indagando su un episodio di violenza avvenuto sabato scorso in città ai danni di una giovane donna bergamasca di 25 anni, incinta di tre mesi. È stata la stessa vittima, subito dopo l'aggressione, a indicare alle forze dell'ordine il suo fidanzato, quarantenne, come responsabile della violenza.

Sulla vicenda, riferita questa mattina dal quotidiano «L'Eco di Bergamo», le forze dell'ordine mantengono al momento il più stretto riserbo, limitandosi a confermare che sull'episodio è stata aperta un'indagine. La polizia sta cercando il marocchino da due giorni, ma l'uomo si è reso irreperibile. Secondo quanto è stato ricostruito finora, sabato sera i due giovani si trovavano nell'abitazione di lui, a Bergamo, quando tra i due è nata una lite. A un certo punto il magrebino ha iniziato a picchiare la sua fidanzata, colpendola con calci e pugni, poi ha afferrato il coltello e l'ha ferita all'addome. Il marocchino ha tentato di trattenere la vittima nell'appartamento, ma la ragazza è riuscita ad aprire la porta e a scappare per strada, dov'è stata soccorsa. La 25enne è ora ricoverata in gravi condizioni agli Ospedali Riuniti di Bergamo. Sottoposta a un'operazione chirurgica, non è più in pericolo di vita, ma le ferite riportate hanno causato la perdita del bimbo.

www.corriere.it

23/08/2010

"Secours Islamique France" va remplacer "Secours Catholique"

JEANNE DUSSUEIL, LES ECHOS

Pour la première fois, l'ONG Secours Islamique France (SIF), peu connue dans l'Hexagone, s'est offerte une campagne publicitaire massive dans le métro parisien. L'opération, qui a duré une semaine, a coûté 25.000 euros à l'association et a couvert 83% du réseau publicitaire de la RATP, visible chaque jour par plusieurs millions de Franciliens. Crée en 1991 par sa maison-mère internationale, Islamic Relief Worldwide, l'entité française a lancé une nouvelle stratégie pour élargir son éventail de donateurs.

Victime d'un déficit d'image, l'association espère sortir de son «anonymat», après avoir levé 19,4 millions d'euros de fonds en 2009, soit une hausse de 62% de son budget par rapport à 2008. «Les gens pensent que nos dons ne sont destinés qu'aux populations musulmanes. Il nous faut désacraliser le nom de l'association pour être perçu comme les autres ONG», explique Dunia Oumazza, la responsable de la communication au SIF. L'ONG n'est actuellement connue que de 4% du grand public, selon un barème de l'association France générosité, qui mesure la notoriété des ONG françaises.

Un déficit qui est toutefois compensé par un don moyen élevé :100 euros en moyenne par donateur, contre 30-40 euros pour la Croix Rouge. Avec 99% de donateurs musulmans, «la politique de l'association est d'avoir désormais une communication affinitaire plus que communautaire», indique Dunia Oumazza. Grâce à l'opération dans le métro parisien, l'association espère ainsi atteindre 20 millions d'euros de dons pour le budget 2010, après des recettes 2009 historiques en raison du conflit israélo-palestinien.

La mention «France» devant les minarets

L'ONG a conscience de la difficulté rencontrée par la communauté musulmane à diffuser une image positive. En avril dernier, elle a décidé de «relifter» son logo en réduisant la présence des deux minarets, auparavant plus visibles. «Nous avons préféré mettre en avant la mention ‘France' sur le cercle pour souligner notre identité franco-française auprès du grand public», souligne Dunia Oumazza. L'association qui emploie une cinquantaine de salariés, laïcs ou musulmans, dans le nord-est de Paris, et plus de 80 représentants permanents dans le monde, souhaite ainsi éviter la stigmatisation. L'association se défend de faire de la politique... alors que son engagement en Palestine s'est élevé à 3,3 millions d'euros en 2009 -en tête des zones géographiques. «La situation exceptionnelle à Gaza a mobilisé nos donateurs, mais nous ne donnons aucune préférence au Proche-Orient.» Hasard du calendrier, l'ONG compte aussi beaucoup sur la campagne d'affichage pour intervenir après les inondations au Pakistan.

Les négociations avec la RATP sont à l'image de la nouvelle dynamique voulue par l'association. Lorsque l'ONG s'est présentée aux diverses régies publicitaires, l'entreprise s'est d'abord montrée réticente à l'égard de l'association. «Pour obtenir l'accord final, il a fallu montrer que notre but n'était pas religieux. Nous avons ensuite bénéficié des même avantages que la RATP accorde aux ONG», raconte la représentante. Les retours sur cette campagne sont eux significatifs : surpris, les Franciliens ont appris l'existence de l'association.

22/08/2010

Pakistan: il Paese delle bestie di Satana!

Video insopportabile di una delle molteplici "esecuzioni" quotidiane nel Paese dell'Islam REALE!

http://video.corriere.it/?vxChannel=Dal%20Mondo&vxCli...

Da vomitare!

08/08/2010

Afganistan: umanismo occidentale versus bestialità islamica

KABUL - Una strage. Anzi, una vera e propria esecuzione. «Abbiamo ucciso nove missionari cristiani. Portavano bibbie. Ed erano spie». La comunicazione, terribile, di un portavoce dei Talebani, fa luce sul ritrovamento di una decina di cadaveri nella provincia del Nouristan, nel Nord dell'Afghanistan. Secondo quanto riferisce il quotidiano britannico Daily Telegraph, le vittime sono state messe in fila, rapinate e uccise poi con dei kalashnikov. Uccisi perché cristiani, colpevoli di avere delle Bibbie. «Avevano bibbie in dari, carte, sistemi Gprs, facevano una mappa delle posizioni dei combattenti talebani», ha sostenuto il portavoce dei talebani. Giustificando così la spietata esecuzione di medici volontari. Su una pagina web i talebani definiscono invece il gruppo di medici «nove agenti dell'invasore Nato». Un resoconto dell'accaduto, scrive il portavoce dei ribelli Zabihullah Mujahid, «indica che le spie del nemico sono entrate nell'area di nascosto e quando i mujaheddin le hanno affrontate uccidendole immediatamente quando hanno cercato di fuggire». Peccato che nel minuzioso resconto di quanto portavano con sé i «nove agenti Nato», gli stessi talebani non abbiano menzionato alcuna arma, nemmeno un coltello.

Afghanistan, strage di medici perché «cristiani»

CHI ERANO - Con il passare delle ore, dopo l'annuncio, si sono meglio precisati particolari e le nazionalitá degli occidentali uccisi. Erano accompagnati da due interpreti afghani. Si trattava di una donna medico britannica, una collega tedesca e sei medici oculisti americani, tra i quali anche un'altra donna. La nona vittima è uno dei due interpreti afghani. L'altro si è salvato, ha raccontato, mostrando di essere musulmano praticante. Il gruppo era formato da medici volontari, per lo più oculisti, in Afghanistan per aiutare l'ospedale oftalmico Noor di Kabul, gestito dall'Ong cristiana International Assistance Mission (Iam).

I CORPI - Prima dell'annuncio dei talebani, era arrivata la notizia della macabra scoperta di corpi crivellati di colpi da parte della polizia di Badakhshan. Secondo il racconto dell'unico sopravvissuto, stavano spostandosi dal Badakhstan alla provincia del Nouristan per un intervento di assitenza medica. «L'ultimo giorno, è arrivato un gruppo di uomini armati, li ha fatto mettere in fila e li ha abbattuti. Poi hanno rubato tutto». È stato proprio nel momento dell'esecuzione che l'uomo ha recitato alcuni versetti del Corano e i Talebani, rendendosi conto che era un musulmano, lo hanno graziato. Secondo Noor Kintoz, capo della polizia del Badakhshan dove è avvenuta la strage, che ha riportato le dichiarazioni dello scampato alla strage, gli abitanti avevano avvertito il gruppo che la zona poteva essere pericolosa. «Loro hanno risposto - ha raccontato l'interprete - che erano medici e che sarebbe andato tutto bene perché "siamo qui per aiutare le persone"». Il governatore della vicina provincia del Nuristan Jamaluddin Badr ha detto che il gruppo aveva visitato diversi distretti nella sua provincia e in quella di Badakshan aiutando la popolazione locale.

LA IAM - La International Assistance Mission (Iam) ha ammesso che le persone trovate morte facevano parte della loro organizzazione: «Un gruppo che partecipava ad una operazione sul terreno di carattere oftalmologico». Il gruppo, si dice ancora in un comunicato, «era stato in Nuristan (provincia orientale afghana al confine con il Pakistan) su invito delle comunità locali. Dopo aver completato il loro lavoro medico l'equipe stava rientrando a Kabul. Si tratta di una uccisione insensata di persone che non hanno fatto altro che servire i poveri. Alcuni degli stranieri coinvolti hanno lavorato per decenni spalla a spalla con gli afghani». Questa tragedia, conclude il comunicato, «ha un impatto negativo sulla nostra capacità di continuare a servire il popolo afghano come l'Iam fa» da 44 anni e «speriamo che l'episodio non fermi il nostro lavoro che di cui beneficiano ogni anno oltre 250.000 afghani».

Redazione online
07 agosto 2010

14/07/2010

Vive la République!

La police française a arrêté 392 personnes dans la nuit du 13 au 14 juillet, nuit de la fête nationale traditionnellement propice aux débordements, soit 152 de plus que l'an dernier, annonce le ministre de l'Intérieur Brice Hortefeux.

Quelques 306 d'entre elles ont été déférées à la justice, contre 190 en 2009, ajoute-t-il dans un communiqué. Le ministre assure toutefois "qu'aucun incident majeur n'a été signalé".

Il refuse de communiquer sur le nombre de voitures brûlées, manifestation désormais traditionnelle des nuits de violences urbaines.

"Aucun chiffre de voitures brûlées ne sera communiqué pour la nuit du 13 au 14 juillet afin de mettre fin à cette tradition malsaine consistant à valoriser, chaque année à la même époque, des actes criminels", a-t-il dit.

Il précise que des consignes ont été données aux préfectures afin qu'elles ne communiquent pas non plus sur le nombre de véhicules incendiés dans leur département. "Désormais, seul un bilan annuel sera rendu public", dit Brice Hortefeux.

Une nuit semblable d'incidents violents lors du réveillon du dernier Nouvel an avait donné lieu à une bataille de chiffres entre autorités et médias, les seconds suspectant grâce à des enquêtes préfectures par préfectures que les totaux nationaux parlant de 1.137 véhicules incendiés et de 549 personnes interpellées étaient minorés.

Ces nuits d'incidents lors des événements commémoratifs, notamment en banlieue, sont depuis plusieurs années d'ampleur nationale.

Thierry Lévêque, édité par Olivier Guillemain

22/06/2010

Ahmadites: ces musulmans "réformistes" interdit de Mecque

 

Par Jean-Claude Buhrer

Qualifié d’ « hérétique » par l’islam orthodoxe, ce courant non violent, hors la loi au Pakistan, est à l’origine du premier minaret de Suisse   Dans le cadre du débat sur les minarets et accessoirement de la place de l’islam dans les sociétés européennes,  les médias ont évoqué l’exemple de la première mosquée de Suisse, inaugurée officiellement en 1963 dans un quartier résidentiel de Zurich en présence de l’ancien ministre pakistanais des affaires étrangères Zafrulla Khan  et du maire de la ville.  Depuis lors, le minaret de dix-huit mètres de haut de l’édifice fait bon ménage avec le clocher de l’église réformée voisine sans faire de vagues. Or, il convient de préciser que, si ses fidèles sont plutôt discrets, la mosquée Mahmud a été bâtie par la communauté ahmadite, un courant musulman réformiste et pacifique considéré comme « hérétique » par l’islam orthodoxe  et dont les adeptes sont persécutés dans plusieurs pays. Aujourd’hui stigmatisé comme secte par ses détracteurs,  le mouvement ahmadite (Ahmadiyya  Muslim Jamaat), du nom de son fondateur Hazrat Mirza Ghulam Ahmad,  vit le jour en 1889 à Qadian, un village du Pendjab, en Inde d’avant la Partition. Estimant que l’islam s’était sclérosé,  ce  prédicateur musulman prêcha pour un renouveau et se proclama mahdi (messie), alors que pour les orthodoxes Mahomet passe pour le dernier prophète. A sa mort en 1908, un califat fut instauré et  à ce jour cinq califes élus à vie lui ont succédé à la tête du mouvement, ce qui a encore alimenté l’hostilité des autres mahométans. Avec pour devise Amour pour tous, haine envers personne, les ahmadites prônent l’ouverture et la bonne entente dans la société, rejetant l’interprétation agressive du djihad et toute forme de terrorisme.  Au nombre de vingt à trente millions à travers le monde selon les sources, ils sont actifs dans les œuvres sociales et l’humanitaire, notamment en Afrique où vivent d’importantes communautés indo-pakistanaises. Relativement prospères et dynamiques, les communautés d’Amérique du Nord, d’Australie et de Grande-Bretagne se sont signalées par la construction d’imposantes mosquées financées par de généreux donateurs, comme celle de Londres pouvant  accueillir dix mille croyants et dotée d’une chaine satellitaire dernier cri. Alors qu’ils cohabitaient jusque là avec leurs coreligionnaires et que certains avaient même occupé de hautes fonctions dans leurs pays respectifs,  les ahmadites ont été mis au ban de la société depuis qu’en 1973 l’Organisation de la Conférence islamique (OCI), créée quatre ans plus tôt pour « libérer Jérusalem », les a déclarés « non-musulmans »,  leur interdisant du même coup de faire le pèlerinage de La Mecque.  Ensuite, en 1979, le mouvement ahmadite était exclu de la communauté musulmane par la Ligue islamique mondiale, si bien que la mosquée de Zurich est désormais boycottée par les autres obédiences. C’est en République islamique du Pakistan, berceau de leur foi et où ils étaient bien représentés dans l’élite intellectuelle, que la condition des quelques millions d’ahmadites que compte le pays n’a cessé d’empirer. Jugés hérétiques et déclarés « minorité non-musulmane » par un amendement constitutionnel introduit en 1974 pour donner satisfaction aux fondamentalistes, ils en sont réduits à raser les murs et font l’objet de toutes sortes de vexations : leurs lieux de culte sont étroitement surveillés, ils n’ont pas le droit de les appeler mosquée, ni même d’inscrire sur les murs des versets du Coran et encore moins de se  déclarer musulman ou d’entrer dans une mosquée reconnue.  En vertu d’une ordonnance de 1984 sur l’interdiction des activités « anti-islamiques »,  puis l’année suivante d’une loi  prévoyant la peine de mort pour blasphème, la situation s’est encore détériorée pour les ahmadites ainsi que pour les minorités chrétienne et hindouiste, en bute  à des raids meurtriers et boucs émissaires tout désignés dès qu’une flambée de mécontentement éclate quelque part.  Ainsi, le 1er août, dans un village du Pendjab, une foule en colère a tué six chrétiens et en a blessé une dizaine d’autres quelle accusait d’avoir profané le Coran.  Près de Lahore, un chrétien a été battu à mort pour avoir bu du thé dans une tasse réservée aux musulmans, tandis qu’à Islamabad un mur a été construit pour protéger les musulmans des chrétiens d’un bidonville. Même les témoins muets du passé préislamique n’échappent pas au vent de folie meurtrière qui souffle sur le « Pays des purs ».  En 2007, les islamistes avaient dynamité un bouddha de sept mètres de haut dans la vallée de Swat, l’un des derniers vestiges de la civilisation du Gandhara depuis la destruction par les talibans des bouddhas de Bamyan en 2001 en Afghanistan. Dans l’indifférence générale.  Ensuite ils ont fait sauter des écoles de filles, parce que pour eux l’éducation n’est pas faite pour les femmes, avant d’imposer la charia et leur régime de terreur qui a fait fuir des centaines de milliers de paisibles civils de la vallée naguère l’un des lieux de villégiature les plus prisés. Le 17 novembre encore, une nouvelle école de filles, la troisième en un mois, était détruite à l’explosif près de Peshawar, alors que dans le reste du pays, y compris dans la capitale, les écoles doivent fermer régulièrement  sous les menaces des islamistes.  Sans parler des attentats-suicides, presque quotidiens et même contre des mosquées, commis par des musulmans contre d’autres musulmans.  Plus sanglants que d’autres conflits surmédiatisés, ces règlements de comptes inter-mahométans  n’émeuvent guère l’ONU et encore moins le monde islamique.  Toujours prompt à faire la leçon aux autres comme porte-parole de l’OCI, le Pakistan ne se prive pas de fouler impunément au pied la liberté religieuse garantie par la Déclaration universelle des droits de l’homme. D’ailleurs,  l’Organisation internationale du travail la rappelé à l’ordre pour «recours au travail forcé ou obligatoire en tant que mesure de discrimination religieuse ». Aujourd’hui on imagine difficilement une personnalité ahmadite éminente comme naguère Zafrulla Khan  accéder aux plus hautes fonctions.  Pourtant, ce musulman fervent qui ne pourrait plus s’affirmer comme tel a fait honneur à son pays : premier ministre des affaires étrangères du Pakistan en 1947 et chef de sa délégation à l’ONU, élu juge à la Cour internationale de justice de La Haye en 1954, il fut ensuite appelé en 1962 à présider l’Assemblée générale des Nations unies. A sa mort en 1983, il fut enterré dans la petite ville de Rabwa, centre de la communauté ahmadite et où des islamistes provoquèrent de sanglantes émeutes. C’est également à Rabwa que repose le Dr Abdus Sallam, premier musulman honoré en 1979 du Prix Nobel de physique.  Comme d’autres ahmadites victimes de persécution religieuse, il avait été amené à s’expatrier en Grande-Bretagne pour faire carrière.  Lors de ses obsèques en 1996, les oulémas sunnites décrétèrent que personne ne pouvait prier Allah pour ce « mécréant » ni inscrire un verset du Coran sur son tombeau. L’épitaphe Abdus Sallam, 1er musulman lauréat du Prix Nobel avait été gravée sur la stèle, mais les docteurs de la loi firent supprimer le mot «musulman » et la pierre porte maintenant l’absurde « inscription « Abdus Sallam,  1er  lauréat du Prix Nobel ». Les ahmadites ne sont pas mieux traités au Bangladesh et dans d’autres pays islamiques. En Indonésie, pourtant réputée plus modérée, le conseil de oulémas les a également qualifiés «d’hérétiques ». Depuis que des manifestants survoltés ont mis le feu à une mosquée ahmadite et saccagé son école coranique  dans la ville de Sukabumi en avril 2008, d’autres lieux de culte de la communauté on été incendiés et une milice musulmane a commis plusieurs attentats contre  des  édifices lui appartenant.  En réponse à ce déchainement de violence, le gouvernement  interdit par décret aux ahmadites de diffuser leur enseignement sous prétexte de préserver l’harmonie religieuse et l’ordre public. A Zurich, la communauté ahmadite  peut au moins appeler sa mosquée par son nom et  s’enorgueillir d’un minaret, ce qui lui est dénié dans des pays officiellement musulmans.  Dans son pays d’origine, sa situation n’est pas sans rappeler celle des Baha’is en Iran eux aussi opprimés sur la terre qui a vu naître leur foi et définis par les lois comme « infidèles dénués de protection ». Au-delà de querelles de minarets, l’ostracisme qui frappe les ahmadites et d’autre minorités en terre d’islam pose le problème de la montée du fondamentalisme, aussi dangereux  pour ses cibles que pour les musulmans eux-mêmes. 

Jean-Claude Buhrer   

 

20/06/2010

Elan patriotique chez les Ribéry

Mme Ribery ne craint pas le ridicule en débarquant en Afrique du Sud ...., avec un T- shirt aux couleurs de l'Algerie!

Vive la FRANCE qui lui paye son voyage sans réagir à ce geste....

SANS COMMENTAIRES!!!

18/06/2010

Adieu ma France!

Ancien deuxième classe devenu général, secrétaire d'Etat et député, Marcel Bigeard, mort à 94 ans vendredi, jour anniversaire de l'appel de de Gaulle, était l'une des figures les plus populaires de l'armée française.

"La disparition de ce très grand soldat résonne avec une force particulière au moment où la France célèbre l'appel du 18 juin", a déclaré le président Nicolas Sarkozy à propos de ce "chef charismatique, admiré de ses hommes", qui "incarnait la figure héroïque du combattant".

Sorti du rang, ce parachutiste avait gagné ses galons au feu, à la manière d'un maréchal d'Empire, dont il avait le franc-parler et la verdeur de langage, justifiant la torture en Algérie comme un "mal nécessaire".

Héros de la Résistance, puis des guerres coloniales, son nom reste attaché à la bataille de Dien Bien Phu qui sonna le glas de la présence française en Indochine.

Commandant du 6ème bataillon de parachutistes coloniaux, le lieutenant-colonel Bigeard avait été parachuté deux fois sur Dien Bien Phu, encerclé par le Viet-Minh, où il avait résisté jusqu'à la chute du camp retranché, le 7 mai 1954.

Fils d'un aiguilleur des chemins de fer né à Toul (Meurthe-et-Moselle), il est employé de banque quand il est rappelé comme caporal-chef en 1939 sur la ligne Maginot.

Il s'engage dans les corps francs durant la "Drôle de guerre". Blessé, cité, il est fait prisonnier en juin 1940. A sa seconde tentative, il s'évade de son stalag et rejoint l'infanterie coloniale au Sénégal.

Parachuté dans l'Ariège en juillet 1944, il en coiffe les maquis et libère Foix, puis participe à tous les combats pour la Libération.

Prisonnier six mois du Viet-Minh après Dien Bien Phu, dans de dures conditions, il rentre en France en 1955.

Lors du conflit algérien, deux fois grièvement blessé, "Bruno" - son indicatif radio sur le terrain -, commande le 3ème régiment de parachutistes coloniaux.

Sous les ordres du général Massu, il participe à la bataille d'Alger en 1957, à un "travail de flics", comme il l'écrit, où "nos méthodes s'avèrent aussi efficaces en ville que dans le bled". Le recours à la torture est dénoncé par les opposants à la "sale guerre".

Commandant d'un centre d'entraînement à la guerre subversive à Philippeville, il ne sera pas mêlé aux événements d'Alger. Muté en France, il revient à Saïda et, pour s'être montré compréhensif à l'égard des "insurgés " des barricades en janvier 1960, il est rappelé en métropole.

Exilé à Bouar (République Centrafricaine) en 1961, Marcel Bigeard se prononce contre le putsch des généraux à Alger.

Promu général de corps d'armée en décembre 1973, il commande la 4ème région militaire de Bordeaux lorsque Valéry Giscard d'Estaing le nomme, en janvier 1975, secrétaire d'Etat auprès du ministre de la Défense.

Mais il démissionne six mois plus tard, après des propos virulents sur le malaise de l'armée et l'insuffisance de son budget.

Député de Meurthe-et-Moselle (1978-1988), Bigeard préside la commission de la Défense de l'Assemblée (1978-1981).

Adversaire résolu des socialistes - "s'ils sont la rose, je suis leur épine" - Bigeard se qualifiait fin des années 80 de "vieux con glorieux".

Il laisse une quinzaine d'ouvrages, dont "Pour une parcelle de gloire", "Ma guerre d'Algérie".

Cet homme de fidélité avait souhaité la dispersion de ses cendres sur Dien Bien Phu afin de "rejoindre ses camarades tombés au combat".

Au cours de l'été 1994, le vieux baroudeur était revenu pour la première fois sur le site de la terrible bataille. La voix brisée par l'émotion, il avait murmuré: "A bientôt".

AFP

07/06/2010

Turchia: una "pulizia" musulmana non vale un'altra

di Geries Othman


Il vescovo è stato accoltellato in casa e decapitato all'esterno. Ha gridato aiuto prima di morire. Anche l'assassino ha gridato "Allah Akbar!". La presunta insanità di mente dell'omicida è ormai da escludere. Non vi è alcun certificato medico che lo provi. Murat Altun accusa il vescovo ucciso di essere omosessuale. Il ministro turco della giustizia condanna l'omicidio e promette di fare piena luce sull'accaduto.

Iskenderun (AsiaNews) - Oggi alle 16 vi saranno i funerali di mons. Padovese, ucciso dal suo autista, Murat Altun, stranamente "impazzito" lo scorso 3 giugno. Intanto si aggiungono nuovi particolari sulla dinamica e sui moventi dell'uccisione che ha prostrato la Chiesa turca.   Alla cerimonia delle esequie, che si svolge nella chiesa dell'Annunciazione, partecipano il nunzio apostolico, mons. Antonio Lucibello, i vescovi latini di Istanbul e Smirne, il vescovo armeno cattolico di Istanbul, oltre a tutti i sacerdoti della Turchia e rappresentanze delle ambasciate internazionali.   Sarà presente anche un delegato della Conferenza dei vescovi dell'Europa. Non è invece prevista la presenza di vescovi da altre nazioni e in particolare dall'Italia: subito dopo il funerale a Iskenderun, la salma di mons. Padovese sarà portata in Italia a Milano, dove riceverà altre esequie. La data dei funerali in Italia è fissata con ogni probabilità a lunedì 14 giugno. Il ritardo è dovuto al fatto che anche la magistratura italiana ha richiesto di fare un'autopsia sul cadavere martoriato del vescovo.   Mentre i giorni passano, si aggiungono nuovi particolari alla vicenda dell'assassinio e alla presunta "insanità" dell'uccisore.   I medici che hanno effettuato l'autopsia hanno rilevato che mons. Padovese presentava coltellate in tutto il corpo, ma soprattutto dalla parte del cuore (almeno 8).  La testa era quasi completamente staccato dal tronco, attaccata al corpo solo con la pelle della parte posteriore del collo. Anche la dinamica dell'uccisione è più chiara: il vescovo è stato accoltellato in casa. Egli è riuscito ad avere la forza di andare fuori, sulla soglia della casa, sanguinante e gridando aiuto e là avrebbe trovato la morte. Forse solo quando egli è caduto a terra, qualcuno gli ha tagliato la testa.   Testimoni affermano di aver sentito il vescovo gridare aiuto. Ma ancora più importante, è che essi hanno sentito le urla di Murat subito dopo l'assassinio. Secondo queste fonti, egli è salito sul tetto della casa è ha gridato: "Ho ammazzato il grande satana! Allah Akbar!". Questo grido coincide perfettamente con l'idea della decapitazione, facendo intuire che essa è come un sacrificio rituale contro il male. Ciò mette in relazione l'assassinio con i gruppi ultranazionalisti e apparentemente fondamentalisti islamici che vogliono eliminare i cristiani dalla Turchia.   Del resto, secondo un giornale turco, il Milliyet del 4 giugno, l'assassino avrebbe detto alla polizia di aver compiuto il gesto "per rivelazione divina".   Davanti a questi nuovi e agghiaccianti particolari sono forse da rivedere le dichiarazioni del governo turco e le prime convinzioni espresse dal Vaticano, secondo cui l'uccisione non avrebbe risvolti politici e religiosi. Fermo restando che, come ha detto Benedetto XVI nell'aereo in viaggio per Cipro, questo assassinio "non può essere attribuito alla Turchia e ai turchi, e non deve oscurare il dialogo".   Davanti alle giuste preoccupazioni del pontefice, si assommano anche le richieste dei cattolici e di alcune ong turche per i quali occorre che la polizia non fermi l'indagine alla sola spiegazione sulla "insanità" di Murat, ma proceda ed approfondisca i suoi possibili legami con organizzazioni dello "Stato profondo", che sfuggono anche al governo turco.   La presunta insanità del 26enne che da oltre quattro anni viveva a fianco del vescovo è ormai indifendibile. Ercan Eriş, l'avvocato della Chiesa, sostiene che l'omicida non può essere diventato depresso in un giorno e che non esiste nessun rapporto sanitario che lo dichiari tale. Ormai é certo che il giovane è sano di mente. Non c'è alcun certificato medico che attesti la sua invalidità mentale. Negli ultimi tempi egli stesso diceva di essere depresso, ma ormai si pensa che questa fosse tutta una strategia per potersi difendere in seguito.   İeri direttamente da Ankara é giunto a Iskenderun il Ministro della Giustizia condannando esplicitamente il gesto e assicurando che verra fatto il possibile per fare piena luce su quanto accaduto.   Stabilire la verità è necessario per lo Stato turco, perché mostri la sua modernità e capacità di garantire il diritto; ma è necessario anche alla Chiesa. Secondo voci nella polizia, sembra che Murat stia offrendo una nuova giustificazione del suo gesto: mons. Padovese sarebbe un omosessuale e lui, Murat, 26 anni, sarebbe la vittima, "costretta a subire abusi". L'uccisione del vescovo non sarebbe un martirio, ma un atto di "legittima difesa".   Ma, secondo esperti del mondo turco, l'uccisione di mons. Padovese mostra un'evoluzione delle organizzazioni dello "Stato profondo": è la prima volta che essi mirano così in alto. Finora avevano colpito semplici sacerdoti; ora invece hanno attentato al capo della Chiesa turca (mons. Padovese era presidente della Conferenza episcopale della Turchia). Allo stesso tempo, il loro fare è divenuto più sofisticato, meno grezzo di una volta. Non ci si limita alla "pazzia", usata già per l'omicida di don Santoro, ma si offrono più spiegazioni, per confondere l'opinione pubblica nazionale e internazionale.

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