Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

05/05/2009

Svezia: islam= sottosviluppo, violenza, incompatibilita' culturale

MALMÖ — «Io? Sono di Gaza». Rani, 15 an ni, strizza l’occhio agli amici che gli si fanno intorno a semicerchio, come se volessero proteggerlo da una minaccia incombente. Si chiamano Mohammed, Ali, Hata, Isak. Tutti coeta nei. Età da medie, al massimo liceo. «A scuola? Ma no, nessuno di noi ci va. Tempo perso». La stessa domanda, provoca identica risposta: so no di Ramallah, Il Cairo, Sarajevo. Bisogna insi stere. E allora rispondono con le voci che si so vrappongono, in una primavera nordica solo annunciata: «Certo che siamo nati a Rosen gard: ma questa non è mica casa nostra».



Periferia orientale di Malmö. Palazzi gettati come mattoncini a formare isole tanto ordina te quanto slegate l’una dall’altra, cemento a vi sta: uno dei tanti progetti che, sulla carta, ne gli anni Sessanta e Settanta, dovevano risolve re una volta per tutte il «problema casa» della classe operaia più viziata d’Europa. Oggi i lavo ratori svedesi sono una minoranza minacciata più dall’incedere dell’immigrazione islamica che dalla crisi economica. «Non c’è più posto per noi», spiega con un sorriso a mezza bocca Anders Püschel, al momento «disoccupato». Non c’è più posto per nessuno, a giudicare da gli ultimi eventi. A Rosengard, dove Ibrahimo vic ha imparato prima a fare a botte poi a cal ciare il pallone, la sera, non si esce di casa. I poliziotti sono diventati il bersaglio preferito di Intifade istantanee: sassaiole sulle auto di pattuglia che tornano in rimessa ammaccate, come se avessero attraversato un campo profu ghi palestinese con le insegne dell’esercito di Israele bene in vista.

Ogni sera, da mesi, casso netti, cabine, e qualunque struttura pensata per la città si trasformano in roghi appiccati da molotov lanciate direttamente dal salotto di casa. I vigili del fuoco, stanchi di diventare il bersaglio preferito dopo gli agenti, hanno de ciso di ritirarsi dal loro Forte Apache, la caser ma di Rosengard. Henrik Persson, il coman dante della stazione dei pompieri del quartie re, si è appena dimesso: «Nessuno mi ascolta, nessuno ci aiuta. Non ha senso continuare co sì ». Persson ha raccontato che, a una recente riunione operativa, un dirigente della polizia lo ha messo in guardia: «Preparatevi a vedere lanciare le molotov contro di voi». Ma a una richiesta di fondi e rinforzi, spiega ancora Pers son, «ho ricevuto un netto rifiuto». Dall’oppo sizione, la consigliera centrista Anja Sonesson chiede «l’imposizione immediata di un copri fuoco per arginare l’ondata di violenza. I ragaz zini con meno di 18 anni non dovrebbero usci re dopo le 9 di sera». Per il momento, i social democratici, la maggioranza, resistono: «Sa rebbe la fine della democrazia, del sistema sve dese ». Il sindaco Ilmar Reepalu è convinto che una misura così drastica accentuerebbe «il ca rattere di enclave a se stante del quartiere. Al contrario noi dobbiamo cercare di unire Ro sengard al resto della città, farne un zona resi denziale come le altre».

Malmö, terza città della Svezia, capoluogo della prospera Scania, porto sull’Öresundcon un passato di traffici che non torneranno più, ha 270 mila abitanti, centomila dei quali stra nieri, per lo più concentrati a Rosengard e din torni. Come dire, un residente su tre è musul mano. Molti vengono dai Balcani, dall’Africa, dall’Asia centrale. «Ci sono cento e più nazio nalità nel quartiere — spiega Stefan Alfelt, cor rispondente locale di Aftonbladet, uno dei principali quotidiani nazionali —. Pochi di lo ro hanno un’occupazione. In alcune zone i sen za lavoro sono addirittura l’86% degli adulti. I giovani crescono osservando i genitori che vi vono di carità pubblica. Sanno di essere senza speranza e si comportano di conseguenza: fan no la guerra». Curiosamente, non è un conflit to «Rosengard contro gli altri». «Gli scontri ra ramente superano i confini del quartiere — di ce ancora Alfelt —. È una guerra civile locale: tutti contro tutti». In realtà, qualche volta la violenza lascia Ro sengard e si sposta verso il centro elegante, l’isola pedonale dove si affacciano vetrine e ri storanti ancora affollati nonostante la crisi.

Ai primi di marzo è bastato l’arrivo della naziona le israeliana di tennis, impegnata in Coppa Da vis contro la Svezia, proprio a Malmö, a far in sorgere la comunità islamica, in quell’occasio­ne alleata dei centri sociali svedesi e i black blok di tutta Europa. Un mix esplosivo che la polizia ha affrontato a modo suo. Con le manie re forti: cariche a cavallo, botte da orbi e pisto le impugnate contro i dimostranti. Inutile par lare di integrazione, a Rosengard. Il modello sociale svedese? «Non spetta a me interpretare la politica del governo», ci ha detto il sindaco Ilmar Reepalu, socialdemocratico, facendo in tendere che lui, la sua città, vuole continuare ad amministrarla come se il welfare scandina vo non fosse superato dalla realtà. Certo «dob biamo iniziare a progettare qualcosa di diver so. Ne va della tranquillità di tutti». Solo una questione di ordine pubblico, allo ra? La polizia, conclude il portavoce Lars-Hakan Lindholm, «sa esattamente cosa fare e lo farà». Il punto è: per quanto, ancora?

Paolo Salom
05 maggio 2009

www.corriere.it

03/05/2009

Delara Darabi: uccisa come una bestia

TEHERAN - Un'ultima disperata richiesta di aiuto alle persone più care. «Mi impiccano fra pochi secondi, aiutatemi!»: così, alle 06.00 di venerdì mattina Delara Darabi, la 23enne pittrice iraniana condannata a morte per un omicidio commesso a 17 anni, ha informato per telefono i genitori che la stavano portando sul patibolo. Poco dopo, è stata giustiziata. Ora, come ha raccontato il suo avvocato, Abdolsamad Khorramshahi, il padre della ragazza è ricoverato in ospedale in stato di choc.

NIENTE PERDONO - A mettere personalmente la corda intorno al collo di Delara, scrive il quotidiano Etemad, è stato un figlio della donna per la cui uccisione la pittrice è stata condannata, nonostante avesse accettato le condizioni poste dalla famiglia della vittima per concedere il perdono che le avrebbe salvato la vita: dichiararsi colpevole e cambiare avvocato. L'esecuzione è avvenuta a sorpresa venerdì nel carcere di Rasht, nel nord dell'Iran, anche se il capo dell'apparato giudiziario, ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, aveva annunciato il 19 aprile scorso un rinvio di due mesi dell'impiccagione. La ragazza è stata messa a morte senza che nemmeno il suo avvocato venisse informato, come invece vorrebbe la legge.

www.corriere.it

 

COMMENTO: UCCISA NELL' INDIFFERENZA GENERALE!  www.savedelara.com

Desormais on autorisera seulement les petits jihadistes au croissant vert

5d30fa5a-354e-11de-ae33-511cae571ce9.jpg«On nous considère comme une entreprise de spectacle, alors qu'on est avant tout une œuvre éducative», déplore Françoise Grobois, directrice de l'association des Petits Chanteurs à la croix de bois. Mercredi, le célèbre chœur a été «interdit de concert» par la préfecture de l'Oise (où se trouve le siège social de l'institution) qui exige désormais que les enfants soient rémunérés quand ils se produisent sur scène. «En 2000, cette dernière nous a demandé d'être titulaires d'une licence d'entrepreneur de spectacles et excluait alors toute idée de rémunération, mais elle a changé d'avis. Sous sa pression, la Drac d'Amiens, qui accorde les licences, ne l'a pas renouvelée sous prétexte qu'on ne payait pas les enfants, mais nous n'avons pas les moyens de les payer», explique Alain Babaud, vice-président de l'association.

«Quatre-vingt-dix pour cent du personnel se consacrent à l'enseignement du chant, de la technique musicale et à l'encadrement des enfants scolarisés et logés à la Fondation Eugène-Napoléon, dans le XIIe arrondissement de Paris», ajoute Françoise Grobois. Mercredi soir, les quatre-vingt-six Petits Chanteurs à la croix de bois ont manifesté devant l'église de Saint-Vincent-de-Paul, à Paris, où ils devaient chanter au profit des jeunes en difficulté. Parallèlement, l'institution a lancé un appel à l'aide à Éric Woerth, ministre du Budget, et à Axel Poniatowski, député du Val-d'Oise, afin de pouvoir «poursuivre une œuvre plus que centenaire, qui appartient au patrimoine de la France et participe à son rayonnement dans le monde. En décembre 2008, nous avons donné un concert à l'Opéra national de Pékin», rappelle Françoise Grobois.

Aujourd'hui, la tournée, prévue à partir du 13 mai en province, en Italie et en Suisse, a été suspendue. L'association vit des concerts payants pour les adultes, mais gratuits pour les moins de­ 15 ans. Les parents des Petits Chanteurs, en outre, participent au coût de l'internat.

«Ils sont les premiers à ne pas vouloir qu'on paie leurs gamins, signale Alain Barbaud. Sans concert, nous ne pouvons plus vivre, sans disques non plus, mais dans une moindre part. Nous n'avons pas de structure financière solide, l'argent rentre et sort. Sans tournée, on nous coupe les vivres et on nous tue !»

www.lefigaro.fr

EXTRAIT DES COMMENTAIRES ENVOYES AU FIGARO:

..Le droit de s'habiller avec des jeans effilochés à l'usine, le droit de se soûler d'images de synthèse, le droit de faire la queue à la sortie du prochain Potter, de cultiver son obésité en mangeant ce que l'on sait, de se nourrir de mots tronqués, « phonétisés », désorthographiés, d'expressions convenues ? nues de sens réel -, de flinguer sans compter les humains surgis de sa PS3, de tuer le temps en « chattant » avec des « ça va? - oui, et toi? », le droit de préparer sa calvitie en s'enduisant le crâne de colle gélifiante, pour devenir clone parmi les clones, le droit de provoquer la garde-à-vue d'un prof qui l'aura giflé pour s'être fait insulter, le droit de s'inonder le cerveau de rayons nocifs, le droit de télécharger des sonneries qui pètent comme les humains pour épa(pe)ter le mec d'à-côté, le droit de se détèriorer les tympans en vivant « branché» - le MP3 connecté aux oreilles pour écouter de la « musique » de concert(ve), le droit de conduire des voitures folles et meurtrières au volant de son ordi, le droit de porter plainte contre ses parents qui l'auront fessé, le droit d'être agressé par la pornographie étalée à chaque coin de l'oeil, le droit de s'encombrer l'esprit d'un savoir encyclopédique voué à l'oubli, le droit de s'abrutir de télé-réalités réellement écoeurantes, de cultiver sa dépression à cause du collège, de peupler son imaginaire d'images de violence et de viols, de sadisme et de sang, 

...mais il n'a pas le droit de CHANTER! 

Tout doit être monnayé, rien n'est pur, tout est commerce, rien n'est désintéressé ? dès lors qu'on recherche la qualité, le « professionnalisme » en quelque sorte, on est forcément un produit commercial et donc soumis aux lois du marché ? aux lois du « travail », à la « règlementation », puisque seule la médiocrité est supposée « amateur » et donc non taxable!

Il est vrai que la beauté des voix enfantines, c'est ringard, il est vrai que l'uniforme culotte-courte-veston-bleu-marine, c'est désuet - que-dis-je, dégradant pour le garçonnet -, et quant à l'aube blanche ornée d'une croix de bois! Je vous dis pas...! ça craint!

Ainsi va la France... Cela me donne envie de vomir (sur l'Exagone) et de brandir le poing en chantant « Allons-z'enfants! » ou « Aux larmes, citoyens! » 

30/04/2009

Islam et sante' publique: toute occasion est bonne pour écraser les dhimmis

L'Egypte a commencé mercredi à abattre les 300.000 à 350.000 porcs du pays pour éviter une éventuelle épidémie de la nouvelle grippe porcine, bien qu'aucun cas n'ait été confirmé dans ce pays. Des éleveurs furieux ont bloqué des rues et jeté des pierres sur les véhicules des services vétérinaires venus tuer les animaux. Des experts internationaux de la grippe jugent l'abattage massif des porcs totalement inutile, mais Le Caire craint un mouvement de panique similaire à celui de la grippe aviaire il y a quelques années. Le pays avait abattu des dizaines de millions de poulets mais la grippe aviaire, qui est endémique dans le pays, y avait fait au moins 23 morts. La grippe aviaire avait d'abord ravagé les élevages de volaille d'Asie en 2003 pour ensuite se transmettre à l'homme, faisant plus de 250 morts de par le monde.

Dans un grand élevage situé au nord du Caire, de nombreux éleveurs ont barré la rue pour empêcher les camions et bulldozers du ministères de la Santé de venir abattre les animaux. Certains des manifestants ont lancé des pierres, faisant exploser des pare-brise et obligeant les fonctionnaires à repartir sans avoir tué un seul porc.

"Si maintenant on nous prend nos porcs sans compensation, comment sommes-nous censés vivre?", s'est indigné ailleurs dans la capitale Gergis Faris, éleveur de 46 ans, qui ramassait des ordures pour nourrir ses bêtes.

Quelque 250 porcs ont en revanche été battus et enterrés dans une banlieue nord du Caire mercredi, et les autorités régionales ont versé un millier de livres égyptiennes (environ 180 dollars) par bête aux éleveurs.

Le ministre de l'Agriculture Amin Abaza a répondu aux demandes de compensation que les éleveurs seraient autorisés à vendre la viande de porcs pour se renflouer.

Considéré comme impur, le porc est totalement interdit dans certains pays musulmans comme l'Arabie saoudite, le Barheïn, le Koweït, le Qatar, les Emirats arabes unis et la Libye. Dans de nombreux pays musulmans, des minorités religieuses élèvent des porcs. Un site Web islamiste voulait voir mercredi dans la grippe porcine une punition visant les "infidèles".

En Egypte, la plupart ( tous NDR) des porcs sont élevés par des chrétiens, qui représentent selon certaines estimations 10% de la population. AP

 

http://www.lepost.fr/article/2009/04/29/1515651_abattage-...

 

COMMENTAIRE: du point de vue sanitaire l'abattage de tous les porcs est un non sens,  du point de vue coranique une punition pour les infideles. L' islam est bien la sublimation de l'abrutissement de l'humanite'!

26/04/2009

Bouteflika entre corruption et islamisme

Voir la video:

http://www.youtube.com/watch?v=DDLhpst-F6E&feature=dir

 

17/04/2009

Giustizia coranica nella Repubblica islamica d'Iran

 

Dragazze--180x140.jpgelara Darabi (a sinistra nella foto) è una iraniana di 23 anni con la passione per la pittura. Fra tre giorni sarà impiccata: nel 2003 aiutò il fidanzato in una rapina, Delara si dichiarò poi colpevole per difenderlo. Anche Roxana Saberi (a destra nella foto) è in carcere: giornalista americana-iraniana, è accusata di spionaggio. «Sai cosa significa essere prigioniero dei colori? Significa me. La mia vita dai 4 anni in poi è stata fatta di colori. Compiuti i 17 anni, li ho persi... Ora la sola immagine che appare ogni giorno davanti ai miei occhi è quella di un muro. Io Delara Darabi, incarcerata per omicidio, condannata a morte... mi sono difesa con i colori, le forme e le espressioni».

Delara Darabi è una ragazza iraniana di 23 anni, con la passione per la pittura. Ha scritto queste parole due anni fa. Fra tre giorni, il 20 aprile, sarà impiccata, ha detto il suo avvocato al quotidiano iraniano Etemad. Delara è nata a Rasht, una cittadina sul Mar Caspio. Nel 2003, a 17 anni, si introdusse insieme al fidanzato Amir Hossain in casa di una cugina del padre, per derubarla. La cugina, Mahin, 58 anni, fu pugnalata a morte. Delara si dichiarò colpevole. Più tardi rivelò che l’omicidio era stato commesso dal fidanzato 19enne: le aveva detto di assumersi la colpa, perché essendo minorenne non sarebbe stata condannata a morte. Ma l’Iran, pur avendo ratificato la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia, punisce come adulti i bambini a partire dai 15 anni e le bambine dai 9. Sia Delara sia Amir Hossein sono stati puniti con 3 anni di carcere e 50 frustate per tentata rapina, più 20 frustate per la loro «relazione illecita». Lei è stata condannata a morte per omicidio nel 2005, verdetto confermato dalla Corte Suprema nel 2007. Fu il padre a consegnarla alla polizia. «Pensavo di farlo nell’interesse della giustizia», ha detto in lacrime, in un recente documentario.

Quella fredda notte del 28 dicembre 2003, era nel suo negozio di materiale edile quando gli dissero che sua figlia aveva ucciso la cugina. Non volle parlarle. Fu portata nella prigione di Rasht, dove secondo i familiari non c’è nemmeno un ventilatore contro il caldo umido, c’è un bagno per 100 persone, visite limitatissime. Delara si è tagliata le vene nel 2007. L’hanno salvata. Un mese fa è stata trasferita in un altro carcere di Rasht. Intanto, ha continuato a dipingere. «Non penso che sarebbe sopravvissuta un solo giorno altrimenti », ha detto una ex compagna di cella. Lily Mazahery, attivista iraniana, le invia l’occorrente dagli Usa. Le opere sono state esibite a Teheran e a Stoccolma. L’avvocato Abdolsamad Khorramshahi ha cercato di difenderla puntando sull’autopsia, che dimostra che a pugnalare Mahin fu un destrorso, mentre Delara è mancina.

Ma i giudici non hanno accettato le prove. «Il sistema giudiziario iraniano non è basato sulle prove. I giudici possono condannare qualcuno sulla sola base della propria cosiddetta intuizione», dice al Corriere Mahmood Amiry- Moghaddam, un medico iraniano che vive a Oslo, portavoce della rete di attivisti Iran Human Rights. Ma in ogni caso, le associazioni per i diritti umani sottolineano che la condanna a morte di una minorenne in sé viola le leggi internazionali. Ci sono 150 bambini iraniani nel braccio della morte. L’anno scorso è stato l’unico Paese a mandare a morte dei minorenni: almeno 8; quest’anno un ragazzo 17enne. La pena capitale può essere revocata se i parenti della vittima accettano del denaro in cambio della vita del condannato: nel caso di Delara si tratta della sua famiglia allargata, ma hanno rifiutato. «Ma i veri responsabili sono le autorità dice Amiry-Moghaddam. L’Iran è il secondo Paese dopo la Cina per numero di esecuzioni: il regime le usa per diffondere la paura. Penso sia importante che l’Italia, che ha legami economici con Teheran, li usi per impedirlo». Per un periodo, a Delara sono stati sequestrati pennelli e colori. Lei ha continuato a disegnare usando le dita delle mani e il carboncino. «Spero che i colori— ha scritto—mi restituiscano alla vita».

Viviana Mazza
17 aprile 2009

www.corriere.it

 

16/04/2009

Les islamistes s'attaquent ...aux pharmacies!

Une association maghrébine parisienne, Paris-Beurs-Cités, a adressé il y a une dizaine de jours une lettre à la mairie de Paris afin de demander que soient « progressivement supprimées des devantures des pharmacies les enseignes en forme de croix ». La conseillère technique du Cabinet de Bertrand Delanoë en charge des cultes, Ilda Vrospinos, lui a officiellement répondu que sa demande allait être « examinée avec la plus extrême attention ».

L'association, qui se présente pourtant comme « non confessionnelle » et entend «regrouper les jeunes Français issus de l'immigration maghrébine afin de les aider à trouver leur place dans une société encore largement discriminatoire » explique sa démarche par le fait que « ce symbole religieux ostentatoire, vestige d'une époque révolue où la religion catholique était omniprésente dans notre pays » est susceptible de « heurter la susceptibilité des croyants non chrétiens mais aussi des personnes non ou antireligieuses » et « contrevient gravement au principe républicain de laïcité ». « Alors que la crise économique accroît les risques  d'affrontements intercommunautaires, ces enseignes à forte connotation religieuse pourraient être ressenties par certains comme une forme de discrimination, voire comme une provocation », poursuit Paris-Beurs-Cités.
 
La demande pourrait bien aboutir si l'on en croit la réponse officielle de Mme Vrospinos, qui affirme dans la lettre qu'elle a adressée à l'association « comprendre pleinement [ses] préoccupations ». La conseillère technique indique qu'elle va « soumettre [sa] demande à Bertrand Delanoë qui, n'en doutez pas, va l'examiner avec la plus extrême attention ». Elle précise également que le maire de Paris « qui a fait du "vivre ensemble"  l'un des fondements de son engagement », « est très attentif à la bonne entente entre communautés » et qu'il est « pleinement conscient du caractère néfaste de certains anachronismes ». Une dernière phrase lourde de menaces.

 
 02/04/2009 - 08h00
 PARIS (NOVOpress)

 

13/04/2009

Pericoloso ripudiare il marito musulmano!

0KI1FMHA--180x140.jpgGENOVA - Si erano sposati due anni fa. Lui, 23 anni, tunisino. Lei, 22, italiana. Ma l'idillio è durato poco. Lui forse era troppo geloso. Lei forse troppo bella. Liti e scenate e alla fine lei decide di andarsene. Ma quando torna a casa per riprendere alcuni effetti personali, Lisa Molino trova il marito fuori di sé e la lite finisce in tragedia: Walid Hamami l'ha uccisa, con nove coltellate al collo. Il dramma si è consumato in un appartamento al quinto piano di un palazzo di via De Vincenzi, a Molassana, quartiere periferico di Genova.

LA RICOSTRUZIONE - Erano circa le 22 quando i vicini hanno sentito urlare nelle scale. Walid stava scendendo e urlava «Ho ucciso mia moglie». Subito è stato chiamato il 113 e sul posto sono giunte le volanti. Walid era sul portone, il collo insanguinato (gli inquirenti accerteranno poi che si è ferito da solo). Nell'appartamento sangue un po' dappertutto. In una stanza, supino sul letto, il corpo senza vita di Lisa. Nove ferite al collo, una, forse quella mortale, alla giugulare. Sulle pareti, in salotto, ancora i segni dell'unione felice: la foto del matrimonio, e un piatto in terracotta di artigianato tunisino con sopra incisa la data del matrimonio, luglio 2007. Nell'appartamento i poliziotti hanno poi sequestrato due coltelli da cucina insanguinati. Nell'appartamento di Via De Vincenzi la coppia si era trasferita cinque mesi fa e i vicini hanno raccontato di aver incontrato i due soltanto quando rincasavano o uscivano. Sul posto, in serata, sono giunti il medico legale e il sostituto procuratore Francesco Pinto. Walid Hamami è stato portato al pronto soccorso dell'ospedale San Martino e successivamente, su disposizione del magistrato, trasferito al reparto detenuti del nosocomio dov'è tuttora ricoverato in prognosi riservata e piantonato.

www.corriere.it

 

PS: Neanche un mese fa una giovane trevigiana era stata sgozzata dal marito marocchino insieme alla figlia per le stesse ragioni...

01/04/2009

Morire per l'Afganistan?

 

donne--180x140.jpgKABUL - Mentre all'Aja la comunità internazionale discute del futuro dell'Afghanistan, scoppia la polemica, a Kabul e non solo, per una legge recentemente approvata dal parlamento afghano che, secondo l'interpretazione di fonti delle Nazioni Unite e di diverse associazioni per i diritti delle donne, obbliga le mogli ad avere rapporti sessuali con il marito e vieta loro di cercare lavoro, istruirsi o farsi visitare da un medico, senza aver prima il permesso del consorte. «I diritti delle donne in Afghanistan sono un motivo di «assoluta preoccupazione» per gli Stati Uniti, ha detto il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, in un incontro stampa all'Aja. «Non si può sviluppare un paese se metà della sua popolazione viene oppresso», ha aggiunto la Clinton, senza citare la legge al centro delle polemiche.

IL NO DELL'ITALIA- La legge ha causato una levata di scudi anche in Italia: «Non possiamo girare lo sguardo dall'altra parte ed essere indifferenti a quanto sta accadendo in Afghanistan, un Paese che, anche se lontano, ha di fatto legalizzato la barbarie nei confronti delle donne»: ha detto il ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna. «Siamo sdegnati» ha aggiunto la parlamentare del Pdl, Souad Sbai. Il governo afghano deve «smentire o chiarire» la questione della legge sulle donne che, secondo fonti di stampa britanniche, sarebbe stata recentemente firmata dal presidente Hamid Karzai, ha osservato il ministro degli Esteri, Franco Frattini.

POLEMICHE - Il provvedimento, bollato dalla parlamentare afghana Humairi Namati come «peggiore di quelli dei talebani», è stato votato alla fine del mese di marzo, ed è stato reso noto dalGuardian. Duro il commento del «Fondo di Sviluppo delle Nazioni Unite per le Donne», che mette in guardia da questa legge, non ancora pubblicata ufficialmente, ma confermata dal ministro dell'interno afghano, che affida al padre e, in seconda battuta al nonno, la custodia dei figli in caso di separazione dei consorti. Un altro aspetto fortemente criticato da chi si oppone al provvedimento è la velocità con la quale si è giunti all'approvazione, limitando al minimo la discussione in parlamento. Shinkai Zahine Karokhail, un'altra parlamentare che si è opposta al provvedimento, non ha esitato a denunciare che il presidente Hamid Karzai ha approvato questa legge per garantirsi il sostegno della minoranza hazara (sciiti), che rappresenta circa il 10 per cento della popolazione, in previsione delle elezioni presidenziali che si terranno ad agosto. La costituzione afghana, infatti, riconosce agli sciiti concessioni in materia di diritto di famiglia molto simili a quelle che sono state adottate dal Parlamamento.

IL CONSENSO DEGLI SCIITI - Grande soddisfazione è emersa tra i politici di etnia hazara alla notizia dell'approvazione della legge. «Gli uomini e le donne hanno gli stessi diritti in base all'Islam (falso! NDR), ma ci sono differenze nel modo in cui sono stati creati», ha affermato il leader del partito politico hazara, Ustad Mohammad Akbar, il quale ha poi aggiunto che la donna può rifiutare di avere rapporti sessuali con il marito se è indisposta o ha un'altra ragionevole "scusa". Secondo quanto scrive il quotidiano inglese, Karzai è diventato assai impopolare tra la popolazione afghana e starebbe cercando di riguadagnare il consenso degli sciiti in vista della scadenza elettorale che si preannuncia molto combattuta. Gli hazara, infatti, sono considerati dagli analisti politici l'ago della bilancia nella corsa alla Presidenza. Il portavoce di Karzai, interrogato in merito al nuovo provvedimento, non ha voluto rilasciare dichiarazioni.

 

www.corriere.it

30/03/2009

Les nouveaux maitres de la France

Ecoutez bien l'argumentaire, il n'est pas islamophobe, il est tout simpement islamiquement correct.

Vous ne pourrez plus dire que vous ne saviez pas...

 

http://www.dailymotion.com/video/x8tbfp_la-mosquee-notred...

 

Merci encore une fois a Joaquim Veliocas pour cette information