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09/12/2010

Cuffia islamica all'ora di musica

REGGELLO (FIRENZE) — Da oltre un anno, una quindicenne segue le lezioni di musica con i tappi alle orecchie. Così ha voluto suo padre, Omar, marocchino di fede islamica che considera la musica impura, una «roba da infedeli». Succede alla scuola media statale di Reggello, dove il padre della ragazzina e gli insegnanti hanno escogitato questa originale strategia per permetterle di rimanere in classe durante le lezioni di educazione musicale. E così, mentre i suoi compagni di terza media suonano, cantano o solfeggiano, lei si estranea con un paio di cuffie isolanti. Osserva i compagni col flauto, ma non li sente. Vede muovere le loro dita, ma è totalmente sorda ai suoni che emettono gli strumenti. E invece che esercitarsi con la pratica, studia la teoria musicale su un libro. Accade tutte le settimane, non appena la campanella annuncia la lezione di musica. Ormai il meccanismo è collaudato, ma fino all’anno scorso, tra la famiglia marocchina e la dirigenza scolastica erano scintille. Quando c’erano le esercitazioni musicali, la ragazza non andava a scuola, spesso perdendo intere giornate di lezione. E a causa delle troppe assenze, la studentessa venne bocciata. La preside segnalò il caso al sindaco e ai carabinieri.

Partì una denuncia e si aprì un processo, tutt’ora in corso, nei confronti del padre, colpevole per aver costretto la figlia a rinunciare, almeno in parte, alla scuola dell’obbligo. Nonostante la denuncia, i genitori furono irremovibili: «Niente musica per nostra figlia. Altrimenti, niente scuola». Così si arrivò alla soluzione concordata, quella attuale. Un lieto fine, almeno per genitori e insegnanti, ma chissà se è così anche per la ragazza. Su questo il padre non ha dubbi: «Mia figlia è felice di seguire le regole del Corano. La nostra religione ci obbliga a non studiare la musica, è scritto nei testi sacri. Non mi sento un fanatico, ma un fedele alle credenze musulmane. Credo di essere il primo in Italia ad aver sollevato questo problema, ma sono contento e lo rifarei». Il protagonista della vicenda, Omar R. è uno dei rappresentanti della comunità islamica di Reggello. Il caso da lui sollevato ha suscitato critiche e perplessità in tutto il paese. «Rispettiamo le tradizioni religiose di tutti i nostri cittadini — ha commentato il vicesindaco e assessore all’istruzione Cristiano Benucci— ma ritengo che si debba fare tutto il possibile affinché ogni materia scolastica venga insegnata agli studenti. Tra queste, anche la musica, che a Reggello ha una grande tradizione storica e dovrebbe essere appresa da tutti i bambini. È difficile capire le motivazioni che spingono un genitore a negare l’ascolto della musica alla propria figlia». Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore alle politiche sociali Daniele Bruschetini: «La nostra scuola accoglie tutti, ma gli islamici dovrebbero adeguarsi alla cultura del Paese che li ospita».

Più moderata la preside dell’istituto scolastico, Vilma Natali: «È stata trovata una soluzione condivisa, che accontenta sia gli insegnanti che i genitori. La vicenda non va enfatizzata». In ogni caso, precisa la dirigente scolastica, «credo che la ragazzina, attraverso questo metodo educativo, non otterrà grandi risultati». Scelta comprensibile, invece, secondo l’imam di Firenze Izzedin Elzir: «Il mondo islamico interpreta la musica in due modi. Può essere qualcosa di illecito e immorale, oppure uno strumento artistico positivo». Elzir, pur condividendo quest’ultima interpretazione, ritiene che «tutto deve essere correlato alla scelta educativa della singola famiglia». Inoltre, aggiunge l’imam, «è necessario lavorare alla coesione della nostra società rispettando (l'islam "rispetta" come ciascuno sa....NDR) le credenze di ognuno ed evitando di creare allarmismi mediatici».

Jacopo Storni
09 dicembre 2010
www.corriere.it

18/11/2010

Effetti dell'Eurabia senza frontiere

PORTO RECANATI - Trentaquattro etnie diverse in 480 appartamenti. Un edificio di diciassette piani abitato da duemila persone che durante la stagione estiva diventano quattromila: è l’Hotel House o meglio, «il mondo in un palazzo». Sulla statale Adriatica, appena superata Civitanova Marche in direzione Ancona, una mole di cemento spacca in due la brulla campagna. Se domandate ai Maceratesi cosa sia, vi risponderanno storcendo il naso: «È la nostra piccola Scampia». Non è del tutto vero naturalmente, nel palazzo ci abitano famiglie di onesti lavoratori, con figli che giocano nei cortili interni, persone perbene insomma, ma in questo luogo appena scende la notte tutto cambia. All’imbrunire, quando i lavoratori stranieri rincasano, questo gigantesco condominio- paese diventa una piazza di spaccio secondo il migliore stile Scampia. Almeno dieci persone prendono il controllo della situazione. Vendono tutti i tipi di droghe presenti sul mercato e se il malcapitato non è un loro cliente, rischia come minimo botte. Gli abitanti, ogni sera, assistono impotenti a scene di violenza con tanto di coltellate e feriti. Sono loro i primi ostaggi degli spacciatori, abbassano le tapparelle e alzano il volume delle televisioni, e se qualcuno di loro chiama la polizia, il giorno dopo si ritrova con la macchina distrutta. Accade d’inverno ma ancora di più lungo l’estate. Da tutta l’Italia arrivano centinaia di venditori ambulanti nord africani. Quelli che camminano per chilometri di spiaggia vendendo dalle collanine alle borse, dai tappeti ai dvd, tutta merce taroccata. A rifornire l’Hotel House di droga e merci contraffatte sono i clan della camorra. Nel parcheggio appena fuori dal cancello d’ingresso, arrivano i camion dalla Campania carichi di T-shirt, borsette, Dvd ed eroina. Ogni tanto ci scappa il morto. L’estate scorsa, Paolo Persici un uomo di trentanove anni, è deceduto dopo essersi fatto un buco di eroina tagliata. L’uomo, un neolaureato in medicina, è stato trovato nel parcheggio ancora con la siringa infilata nel braccio. Come accade nelle periferie, la cocaina e l’eroina sono tagliate con calcinaccio o altro.

 

 Una donna di origine sudanese stufa del clima violento, ci spiega che gran parte dei clienti che ogni notte accorrono all’Hotel House, sono italiani, commercianti della zona, volti noti insomma. Ma come si vive all’interno di questa periferia delle periferie? La vita tra le diverse comunità è armoniosa. Al piano terra c’è la moschea, dove i musulmani pregano in silenzio e nello scantinato, nella rumorosa chiesa pentecostale del pastore Austin, si prega per i tossici e le prostitute. I circa cinquecento ragazzi dell’Hotel House riempiono gli istituti scolastici di Porto Recanati, senza di loro le scuole avrebbero chiuso o sarebbero semivuote. Ci troviamo nella città con il più alto tasso di extracomunitari d’Italia, ci spiega Rosalba Ubaldi, sindaco in quota Udc. Nato negli anni settanta come lussuoso residence per le famiglie benestanti delle Marche, l’Hotel House, con il passare degli anni, è stato assalito dal degrado, e con la decadenza sono arrivati i malavitosi. Oggi, le cinquecento famiglie di extracomunitari, che in questo posto ci vivono tutto l’anno, chiedono maggiore sicurezza. I controlli da parte dello stato, sono quasi inesistenti, e come ci racconta il pakistano proprietario dell’unico internet point di questa specie di cittadina, mostrandoci una mazza, “qui siamo stati lasciati da soli, e da soli dobbiamo difenderci”. Un appello alla sicurezza, quello degli extracomunitari dell’Hotel House, insolito. Se si pensa a tutti quegli italiani che non vedono e non sentono quando un taxista viene picchiato a morte a Milano o alle uccisioni di mafia al sud, in cui non si trova mai un testimone e regna l’omertà.

Ruben H. Oliva
18 novembre 2010
www.corriere.it

06/10/2010

Racisme anti-blondes

Mercredi après-midi, à proximité de la station de métro Balma-Gramont, dans l'agglomération de Toulouse, dans la Haute-Garonne, une adolescente de 16 ans a été prise à partie par trois collégiennes, âgées de 14 et 15 ans, selon La Dépêche. Lire la suite l'article

L'adolescente a été agressée verbalement par le trio, rapporte La Dépêche.

Puis les trois ados se sont dirigées vers une autre lycéenne, âgée également de 16 ans.

L'une des jeunes filles du trio lui lance alors :

"Sale blondasse ! J'aime pas les blondes."

Puis l'une de ses copines éteint sa cigarette sur le poignet de la lycéenne.

La scène est filmée par la troisième comparse avec son téléphone portable.

La jeune victime tente d'échapper aux griffes de ses agresseuses. Elle est rattrapée rapidement.

Après avoir été tirée par les cheveux, elle est brûlée, une nouvelle fois, à l'avant-bras avec une cigarette.

Des témoins de la scène donnent l'alerte.

Les trois collégiennes ont été interpellées par les policiers de la sûreté départementale.

Jeudi, deux de ces collégiennes ont été présentées devant un juge des mineurs, indique La Dépêche.

La troisième doit être convoquée au tribunal, dans les prochains jours, par le procureur de la République.

Contacté par Le Post, le procureur de Toulouse n'était pas disponible pour l'instant.

 

PS: aucune précision sur l'identité des agresseuses, le MRAP et la HALDE se taisent

Formatés par Mohammad, prêts au massacre!

Titulaires de passeports occidentaux, ces jeunes issus de l'immigration défient les services de renseignement.

 Depuis 1998, date à laquelle Oussama Ben Laden avait déclaré, depuis l'Afghanistan, les hostilités «aux Juifs et aux croisés», les combattants islamistes internationalistes n'ont cessé d'améliorer les armes de leur «guerre sainte» à l'Occident. La totalité des terroristes musulmans du 11 septembre 2001 avaient des passeports arabes (saoudiens, yéménites, égyptiens), sur lesquels les consulats américains avaient, faute de coordination avec la CIA, apposé des visas en bonne et due forme. La nouveauté est que les mouvements terroristes islamistes internationalistes recrutent désormais, en priorité, dans les milieux de l'immigration, des musulmans détenteurs de passeports européens.

Lundi 4 octobre, huit islamistes, dont cinq porteurs de passeports allemands, ont ainsi été tués par l'explosion de deux roquettes tirées d'un drone de la CIA sur une mosquée de la ville de Mir Ali, au Waziristan du Nord. L'une des 7 Zones tribales autonomes pakistanaises, le Nord-Waziristan, bastion montagneux aux accès difficiles, est devenu le sanctuaire de tous les mouvements islamistes agissant dans la région, que ce soit au Cachemire, au Pendjab, en Inde, en Afghanistan ou en Ouzbékistan.

Les services de sécurité américains et européens tentent de repérer les jeunes Occidentaux qui entreprennent des voyages au Pakistan ou dans d'autres pays connus pour abriter des militants islamistes, afin d'y recevoir un entraînement d'al-Qaida ou de ses alliés. Une étude de chercheurs américains et suédois, publiée vendredi dernier, estime que la connaissance qu'ont les services de renseignement occidentaux sur la menace représentée par les musulmans vivant en Europe et candidats au djihad international, pourrait se limiter «à la partie émergée d'un problème bien plus vaste, non détecté et sur lequel il n'existe aucune donnée».

Les militants islamistes disposant de passeports de pays occidentaux et dont le casier judiciaire est vierge peuvent en effet se déplacer tranquillement sans attirer l'attention des autorités, qu'elles soient françaises, allemandes, anglaises, pakistanaises, indiennes ou afghanes. «La connaissance que ces combattants ont des cibles qu'ils visent fait que leur capacité à causer des dégâts est encore plus grande», indique le rapport de l'Institut pour la politique de sécurité intérieure de l'Université George-Washington.

 Parti de Hambourg

 Les services de renseignement occidentaux ont mis tout récemment au jour des projets d'attentats liés à al-Qaida au Royaume-Uni, en France et en Allemagne, sur le modèle des attaques de Bombay (décembre 2008), lesquels ont provoqué de spectaculaires «mesures de précaution», comme l'évacuation de la tour Eiffel. Les premiers renseignements concernant ce complot provenaient d'Ahmad Siddiqui, un ressortissant allemand détenu depuis le mois de juillet dans la base américaine de Bagram, en Afghanistan. Ce citoyen allemand d'origine afghane était parti de Hambourg en mars 2009, pour faire le djihad, emmenant avec lui dix autres apprentis terroristes. Le groupe - aidé dans ses pérégrinations par un islamiste d'origine algérienne titulaire d'un passeport français - fut accueilli par le MIU (Mouvement islamique d'Ouzbékistan) à son arrivée dans les Zones tribales pakistanaises. Curieusement, c'est aussi de Hambourg que Mohammed Atta, le chef des commandos des attentats du 11 Septembre, prépara son coup. Égyptien boursier en architecture du gouvernement allemand, Atta avait obtenu de son université l'ouverture d'une «salle de prière». Cette dernière était équipée d'une liaison Internet, à l'aide de laquelle Atta put correspondre, à travers le monde, avec toutes les autres parties au complot.

Sur les 200 musulmans titulaires de passeports allemands ou de cartes de séjour de longue durée en Allemagne, qui ont fait, depuis les attentats du 11 septembre 2001, le voyage du Pakistan, afin d'y recevoir un entraînement militaire de la part des groupes islamistes agissant dans les Zones tribales, 65 auraient effectivement réussi à obtenir la formation militaire (notamment dans la fabrication des explosifs) de leurs rêves.

Obsédés par le principe de précaution, les gouvernements occidentaux ont-ils surréagi à l'information venue du prisonnier allemand de Bagram? Quoi qu'il en soit, pour ces islamistes - qui n'ont aucune chance concrète de rétablir un jour le grand califat de leurs rêves, mais qui vivent de la peur qu'ils inspirent -, avoir réussi à faire évacuer le monument touristique le plus célèbre du monde représente déjà un succès inespéré.

www.figaro.fr

21/09/2010

ARTE plie sous les menaces

 

 

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Civilisation nordafricaine censurée!

(dessin extrait de Charlie Hebdo)

 

Voici l'islam tel qu'il est!

Pour avoir rompu le jeûne du Ramadan, deux chrétiens algériens sont jugés mardi. Le procureur a requis, à l'issue de son réquisitoire, une peine de trois mois de prison ferme.

Le tribunal d'Aïn-el-Hammam (Kabylie, 150 km à l'est d'Alger) abrite, mardi, un procès bien singulier : celui des «dé-jeûneurs» du Ramadan. Hocine Hocini et Salem Fellak, ouvriers dans le bâtiment, ont été interpellés par la police le 12 août, deuxième jour du Ramadan, lors de la pause déjeuner, à l'intérieur d'une maison en construction. Arrêtés en «flagrant délit de consommation de denrées alimentaires», et présentés au parquet, ils ont été mis en examen pour «atteinte et offense aux préceptes de l'islam». Lorsque Hocine Hocini décline sa foi chrétienne et invoque la Constitution qui «garantit la liberté de conscience», la procureure, en colère, lui aurait conseillé de «quitter ce pays, qui est une terre d'Islam»…Mardi, trois mois de prison ferme ont été requis contre eux. Verdict le 5 octobre.

Cette opération n'est pas isolée. A Ighzer Amokrane, en Petite Kabylie, la police a donné l'assaut à un local commercial fermé, pour interpeller une dizaine de jeunes, coupables d'avoir consommé de l'eau et du café ; leur procès est prévu pour le 8 novembre prochain.

Toujours en Kabylie, quatre chrétiens comparaîtront, le 26 septembre, devant les juges de Larbâa-Nath-Irathen pour «pratique d'un culte non musulman sans autorisation».

La dernière provocation contre la communauté chrétienne remonte à quelques jours, lorsque l'église protestante de Tizi-Ouzou a été sommée par la wilaya (préfecture) de démolir des travaux, effectués à l'intérieur du mur d'enceinte pour sécuriser l'édifice. Le motif, qui invoque le «défaut de permis de construire», contraste avec l'anarchie architecturale qui a fait la réputation du quartier. Mustapha Krim, président de l'Église protestante d'Algérie, est amer : «Cette attitude discriminatoire n'est motivée que par un seul argument : notre foi chrétienne. Nous lançons un appel solennel aux autorités supérieures de l'État pour mettre un terme à ces dérives, et faire respecter le principe d'égalité des citoyens devant la loi.»

Cette escalade dans la répression pour «délit de culte» était prévisible. A la veille du Ramadan, le Collectif SOS libertés dénonçait le «détournement des institutions au service d'une idéologie intolérante et liberticide», avant de revendiquer l'ouverture de cafés et de restaurants pour les non-jeûneurs. Créé lors de la campagne antichrétienne du printemps 2008, le collectif, composé d'artistes et d'intellectuels, milite pour «la liberté de conscience, synonyme du droit de chacun de pratiquer la religion de son choix, ou de ne pas pratiquer».

En agitant le chiffon rouge des «évangélistes et des mécréants», notamment en Kabylie, le pouvoir tente d'endiguer les conversions au christianisme. Mais aussi de casser l'islam traditionnel jugé trop «tiède avec les apostats», pour y incruster une pratique plus rigoriste. Des «brigades vertes», ouvertement financées par l'Arabie saoudite via des associations religieuses, ont été recrutées dans plusieurs localités, avec la complicité de l'administration. A Aghribs (40 km au nord de Tizi-Ouzou), ces néomissionnaires se sont heurtés à la résistance de la population. Fidèles à leur mosquée traditionnelle, où l'on prêche la tolérance et le respect d'autrui, les villageois ont bloqué la construction d'une mosquée intégriste, en brûlant les matériaux, que des inconnus ont déposés, la nuit, sur la place du village.

Cette «guerre de religions» est, en fait, une manœuvre politique pour conforter l'alliance entre nationalistes et islamistes. Alors que la loi sur la «réconciliation nationale», adoptée par référendum en septembre 2005, accordait un délai de six mois aux «égarés des maquis» pour déposer les armes et échapper aux rigueurs de la justice, ce délai est prolongé dans les faits, au nom des «intérêts supérieurs de la nation». Loin de neutraliser les poches de «terrorisme résiduel», cette complaisance a eu des effets pervers. Comme ces dizaines de jeunes désœuvrés qui prennent encore le maquis, le temps de se constituer une cagnotte par le racket, avant de se rendre pour bénéficier des avantages sociaux offerts par l'État pour la réinsertion des «repentis».

Dans la recomposition en cours, les fatwas de Hassan Hattab sont relayées par la presse «national-islamiste» et les radios publiques comme une nouvelle stratégie de lutte antiterroriste ! Avec des éléments «repentis» du GIA, l'ex-émir fondateur du GSPC (ancêtre d'Aqmi) vient de lancer un «appel aux ulémas du monde musulman» leur demandant d'appuyer la «réconciliation nationale», pour assurer «la victoire de l'islam contre les croisés coloniaux et l'ennemi intérieur». Pied de nez à la justice qui, sans rire, l'a déclaré «en fuite», avant de le condamner par contumace à la prison à perpétuité, Hassan Hattab est protégé par les autorités, après sa reddition annoncée officiellement en septembre 2007.

WWW.FIGARO.FR

05/09/2010

Cronache dall'islam

MILANO - Sono ore febbrili per la sorte di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio. Il figlio Sajjad Ghaderzadeh (secondo cui la condanna a morte potrebbe essere eseguita oggi) ha fatto un appello al Papa e al governo italiano perché intervengano per fermare l'esecuzione: «Mi appello a tutti gli italiani, ma soprattutto al loro governo e al premier Silvio Berlusconi». Poi si rivolge al Pontefice: «Esorto il capo della Chiesa, papa Benedetto XVI, a intervenire per salvare la vita di mia madre», per fermare le «atrocità ingiustificate» cui è sottoposta. Per Sajjad, l'unica speranza di fermare il boia è la mobilitazione internazionale, le voci come quella della première dame di Francia Carla Bruni, o di Francesco Totti, che ha aderito alla campagna "Fiori e non pietre" contro la lapidazione di Sakineh, producendo una grande eco in Iran.

VATICANO - Immediata la risposta della Santa Sede. Autorevoli fonti vaticane riferiscono che «da giorni si segue con molta attenzione quanto sta avvenendo in Iran a proposito del caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani». «La Santa Sede - aggiungono le fonti - è sempre contraria alla pena di morte, anche in questo caso». Nei sacri palazzi si sta valutando se intervenire in modo ancora più esplicito sulla questione. Ma il tempo a disposizione è poco. Javid Houtan Kian, avvocato della donna, conferma che per l'esecuzione potrebbe essere «questione di ore»: «Il mio ricorso alla Corte Suprema non è stato ancora formalmente accolto e per questo l'autorità giudiziaria ha il potere di rendere esecutiva in ogni istante la condanna a morte per lapidazione. Temiamo che questo possa avvenire a breve». L'avvocato precisa che non gli è permesso di incontrare la sua assistita «da più di due settimane, da quando è stata costretta a rilasciare un'intervista in tv» in cui ammetteva i reati che le vengono attribuiti. Fin da subito il legale e la famiglia di Sakineh avevano denunciato che l'intervista le era stata estorta con le minacce e le torture.

FRUSTATE - Secondo Sajjad la condanna a 99 frustate a carico della madre è già stata eseguita: «In seguito alla pubblicazione sul Times di Londra della foto di una donna senza velo erroneamente attribuita a lei, è stata condannata da un giudice speciale di Tabriz (la città in cui è detenuta, ndr) a 99 frustate. Secondo le nostre fonti, la sentenza è stata eseguita, mia madre è stata frustata pochi giorni fa». «Questo è un fatto insopportabile, che mi indigna veramente» dice Sajjad, che cambia quasi quotidianamente la scheda del suo cellulare per paura di essere intercettato e punito dalle autorità del suo Paese. «Ho paura per me, ma soprattutto per mia sorella» ammette. Il giovane non conosce le condizioni di salute della madre, perché non gli è permesso incontrarla da più di due settimane: «Sono molto preoccupato, spero di poterla incontrare giovedì, ma non sono sicuro che mi daranno l'autorizzazione». L'avvenuta esecuzione delle 99 frustate nei giorni scorsi - pena che Sakineh ha subito anche quattro anni fa, all'inizio della sua vicenda giudiziaria - è confermata dall'avvocato della donna, Javid Houtan Kian: «Secondo la testimonianza di due detenute scarcerate venerdì dalla prigione di Tabriz, Sakineh ha subito in carcere un processo per direttissima in cui è stata riconosciuta colpevole di corruzione morale per aver autorizzato la pubblicare di una sua foto senza velo - spiega il legale -. Dopo la condanna è stata subito frustata per 99 volte».

«GRAZIE TOTTI» - L'avvocato ha poi ringraziato Francesco Totti per il suo impegno a favore di Sakineh: «È molto importante, gliene sono grato». L'attaccante della Roma e Rosella Sensi hanno deposto mazzi di fiori sotto una gigantografia di Sakineh esposta sulla facciata del Campidoglio. Il gesto ha prodotto una grande eco in Iran, dove Totti e la sua squadra di calcio sono molto seguiti. L'agenzia di stampa governativa Irna ha annunciato che boicotterà per almeno un mese la squadra, evitando di pubblicare notizie sul suo conto. «È stato un gesto importante - dice Houtan Kian -, per questo esprimo a Totti il mio affetto, anche in qualità di tifoso della Roma. Speriamo nell'aiuto che ci arriva dall'estero - prosegue - perché in Iran, tranne alcuni attivisti per i diritti umani, ci hanno lasciato tutti soli. È importante che la comunità internazionale, oltre a sostenere Sakineh, sostenga anche la sua famiglia e me perché siamo tutti sotto pressione: io ho subito minacce e sono sotto il controllo degli agenti dell'intelligence, che pochi giorni fa hanno fatto irruzione nel mio ufficio, sequestrando decine di fascicoli di miei clienti condannati a morte. Spero che si mobilitino le istituzioni internazionali, che il Parlamento europeo si pronunci» conclude. Una risoluzione degli eurodeputati sul caso è attesa per la prossima settimana.

150 DONNE - Secondo il legale «l'accanimento contro Sakineh è motivato dalla volontà dell'autorità giudiziaria di dare il via a un nuovo ciclo di lapidazioni di donne condannate a morte». «Secondo le ultime stime in Iran ci sono circa 150 donne in attesa di essere lapidate - spiega -. Con Sakineh, la Repubblica Islamica vuole esaminare la reazione della comunità internazionale nei confronti del ricorso a una pratica primitiva come questa. Se dovesse ritenere che l'impatto delle campagne internazionali non è poi così forte, allora procederebbe senza indugi alla lapidazione di tutte queste donne». Ufficialmente, in Iran tale pratica non viene messa in atto da diversi anni.

 

www.corriere.it

Redazione online

31/08/2010

Sectarisme musulman: en avant toute!!

Jacques-Edouard Charret doit se préparer à recevoir du courrier. En annonçant ce mardi que quatorze nouveaux restaurants Quick proposeront exclusivement de la viande halal à partir du 1er septembre 2010, le patron de la chaîne de restauration rapide s'est attiré les foudres des maires des communes concernées. Plusieurs d'entre eux ont déjà commencé à rédiger une lettre pour solliciter un rendez-vous avec le patron du groupe.

Ce ne sera pas une première pour Jacques-Edouard Charret. En expérimentant son offre de viande exclusivement halal dans huit des restaurants de la chaîne en fin d'année 2009, il avait déjà créé la polémique. Les édiles de Bry-sur-Marne et Roubaix avaient même décidé de porter plainte pour discrimination contre l'enseigne. «Dans les deux cas l'affaire a été classée sans suite », explique Jacques-Edouard Charret, qui précise que la décision du juge était motivée et reconnaissait qu'il n'y avait qu'une volonté de s'adapter au marché sans aucune malveillance et en toute transparence vis-à-vis des consommateurs.

Blanchi et fort de résultats économiques encourageants - le chiffre d'affaires des restaurants-tests ont doublé et l'enseigne affirme avoir créer 25 emplois par site en moyenne - Quick a donc décidé de poursuivre l'expérience dans 14 autres restaurants, portant à 22 le nombre total de Quick proposant de la viande exclusivement halal. La liste a été dévoilée mardi, et les maires informés par courriers dans la journée… avec des réactions plus où moins virulentes.

« La décision de Quick ne me pose pas de problème», affirme Adeline Hazan. La maire (PS) de Reims estime en effet qu'il «n'y a pas discrimination puisque tout le monde peut aller dans le restaurant». Son confrère de Chelles en Seine-et-Marne, Jean-paul Planchou (PS), se refuse quant à lui à tout commentaire concernant les produits proposés par un commerçant. Mais d'autres se montre en revanche moins compréhensifs.

«Communautarisation»

A Strasbourg, Roland Ries (PS) dénonce une décision «inopportune» qui conduit à la «communautarisation». Quant à Michel Humbert, le maire (PCF) de Fleury Mérogis, s'il n'est pas défavorable à la proposition de nourriture halal, il se dit très attaché à ce que tout ne soit pas halal. «Je vais écrire à la direction de Quick pour lui rappeler l'importance de la mixité dans l'alimentation. Je pense aussi écrire à l'Etat pour qu'il fasse respecter le principe républicain de la diversité qu'il impose dans les cantines scolaires», affirme-t-il. Quant aux arguments techniques opposés par Jacques-Edouard Charret pour justifier l'impossibilité de proposer conjointement viandes halal et «classique» (deux cuisines séparées, traçabilité…), Jacqueline Rouillon les balaie. «Dans les restaurants scolaires, on y parvient bien ! », tranche la maire de Saint-Ouen (93), qui compte bien se fendre d'un courrier à l'attention du Pdg du groupe.

Saura-t-elle mieux convaincre le patron de Quick que Claude Capillon ? Après des fuites dans la presse au mois de juillet, le maire (UMP) de Rosny-sous-Bois a tenté à plusieurs reprises de prendre contact avec la chaîne de restauration pour discuter des conditions de changement dans l'offre de nourriture. Sans succès. «Ma réaction est aujourd'hui une grande déception», affirme Claude Capillon. «C'est une décision économique que je comprends, et je suis tout à fait d'accord pour que Quick propose de la viande halal, mais cette offre exclusive ne correspond pas à l'idée que je me fais du vivre ensemble et je regrette le manque de concertation», poursuit le maire de Rosny qui s'incline cependant devant le choix libre d'une société privée.
Pour Jacques-Edouard Charret, il n'y avait pas lieu de discuter avant que la décision soit prise avec les gérants des restaurants concernés. Mais s'il veut bien désormais écouter les doléances, le patron laisse clairement entendre que le groupe ne fera pas marche arrière. Ultime argument qui a eu raison des réticences du maire de Roubaix, René Vandierendonck : les 22 restaurants concernés proposent à coté des hamburgers, une gamme de produits non-halal, dont bientôt un sandwich à la viande «classique», réchauffé mais non cuisiné sur place.

www.figaro.fr

Carla Bruni:per l'islam reale, una "prostituta che merita la morte"!

MILANO - Prima l'accusa di essere una «prostituta», per avere preso le difese di una donna condannata alla lapidazione sulla base della legge islamica. Ma non bastava. Adesso Carla Bruni «merita la morte». Lo scrive oggi il quotidiano ultraconservatore iraniano Kayhan, lo stesso che aveva accusato di meretricio la moglie del presidente francese Nicolas Sarkozy.

«PROSTITUTA ITALIANA» - Il nuovo attacco alla Bruni parte dall'idea che la vita privata della Bruni, definita ancora una volta «prostituta italiana», sia «immorale». «L'analisi del passato di Carla Bruni - si legge sul quotidiano filo-governativo - mostra chiaramente perché questa donna immorale abbia sostenuto una donna iraniana condannata a morte per adulterio e per avere partecipato all'omicidio del marito. E infatti lei stessa merita la morte».

LA PROTESTA UFFICIALE - Per Parigi le offese sulla stampa iraniana contro Carla Bruni-Sarkozy, premiere dame di Francia, sono «inaccettabili» e un messaggio in proposito è stato inviato ufficialmente alle autorità iraniane. «La Repubblica islamica - è stata la replica di Teheran - non approva l'insulto contro i responsabili di iltri Paesi - ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Ramin Mehmanparast -. Spero che tutti i media facciano più attenzione. Si può criticare la politica ostile di certe nazioni o il comportamento delle autorità di altri Paesi e possiamo esprimere la nostra protesta, ma non bisogna utilizzare parole insultanti. Questo non è corretto». Ma se la gran parte della stampa iraniana si è ben guardata dall'andare appresso a Kayhan nella sua campagna anti-Bruni, il sito web del gruppo editoriale governativo Iran, www.inn.ir, ha rilanciato la questione scrivendo che i media occidentali, «documentando i numerosi casi di immemoralità precedenti, hanno implicitamente confermato che Carla Bruni meritava quel titolo».

IL CASO ASHTIANI - Carla Bruni Sarkozy aveva preso posizione il 23 agosto contro l'annunciata lapidazione di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, madre di famiglia di 43 anni condannata a morte per lapidazione per adulterio e per avere, secondo l'accusa, avere avuto un ruolo anche nell'omicidio del marito. Teheran aveva annunciato a luglio la sospensione della sentenza proprio per le reazioni che, Carla Bruni a parte, la vicenda aveva sollevato in Europa e in tutto il mondo occidentale. La presa di posizione della première dame di Francia non era però piaciuta a Kayhan, che in passato aveva utilizzato insulti ed epiteti anche nei confronti di personalità iraniane, tra cui la premio Nobel per la pace Shirine Ebadi o il capo di gabinetto di Ahmadinejad, Rahim Machaie. Un altro sito internet conservatore, Asriran, aveva criticato l'atteggiamento di Kayhan spiegando che «i media che si richiamano alla cultura islamica devono mostrarsi cortesi nei loro commenti, anche se riguardano dei nemici. Gli eccessi di un giornalista o di un giornale non rappresentano l'opinione del governo né del popolo iraniano».

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Cultura islamica in Italia

TORINO -  I carabinieri del comando provinciale di Torino hanno arrestato un uomo di nazionalità marocchina, accusato di aver sfregiato giovedì scorso a Torino, con un getto di acido muriatico, la giovane Hasna Beniliha, sua connazionale di 19 anni, «colpevole» di averlo respinto. La ragazza, colpita in testa e nella parte superiore del corpo, è tuttora ricoverata e rischia di perdere un occhio. L'uomo arrestato è Abderrahim Soufi, marocchino di 23 anni, pluripregiudicato e senza fissa dimora. L'uomo, rintracciato grazie alla testimonianza della vittima e di alcuni conoscenti e alle intercettazioni telefoniche, stava per lasciare la città per dirigersi nel sud Italia. È stato rintracciato alla stazione di Asti, mentre stava salendo su un treno diretto a Napoli insieme a un connazionale, Marhroum Salah, 24 anni, che è stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento. Una volta fermato, l'aggressore avrebbe ammesso parzialmente le sue responsabilità. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, da tempo corteggiava la ragazza in modo insistente, venendo però sempre respinto. Fino a giovedì sera quando, dopo averla minacciata telefonicamente di aggredirla con un coltello, l'ha raggiunta alla fermata del bus e l'ha seguita fino davanti a un bar, dove l'ha investita col getto d'acido che ha ferito, in modo meno grave, altre tre persone.

MILANO - Percossa e accoltellata dal fidanzato marocchino, al punto da farle perdere il bimbo che aveva in grembo. Gli uomini della questura di Bergamo stanno indagando su un episodio di violenza avvenuto sabato scorso in città ai danni di una giovane donna bergamasca di 25 anni, incinta di tre mesi. È stata la stessa vittima, subito dopo l'aggressione, a indicare alle forze dell'ordine il suo fidanzato, quarantenne, come responsabile della violenza.

Sulla vicenda, riferita questa mattina dal quotidiano «L'Eco di Bergamo», le forze dell'ordine mantengono al momento il più stretto riserbo, limitandosi a confermare che sull'episodio è stata aperta un'indagine. La polizia sta cercando il marocchino da due giorni, ma l'uomo si è reso irreperibile. Secondo quanto è stato ricostruito finora, sabato sera i due giovani si trovavano nell'abitazione di lui, a Bergamo, quando tra i due è nata una lite. A un certo punto il magrebino ha iniziato a picchiare la sua fidanzata, colpendola con calci e pugni, poi ha afferrato il coltello e l'ha ferita all'addome. Il marocchino ha tentato di trattenere la vittima nell'appartamento, ma la ragazza è riuscita ad aprire la porta e a scappare per strada, dov'è stata soccorsa. La 25enne è ora ricoverata in gravi condizioni agli Ospedali Riuniti di Bergamo. Sottoposta a un'operazione chirurgica, non è più in pericolo di vita, ma le ferite riportate hanno causato la perdita del bimbo.

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