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09/05/2016

Marsiglia, la piu' francese delle città arabo musulmane

http://www.corriere.it/video-articoli/2016/04/20/marsigli...

18/04/2016

Chi sostiene il business dello Stato Islamico ?

Lo Stato Islamico ha perso il 30% dei profitti derivanti dalla vendita di petrolio rispetto allo scorso anno. È quanto emerge da uno studio dell’IHS Conflict Monitor, il think tank statunitense specializzato nell’analisi di conflitti.

“A metà del 2015 le entrate mensili complessive dello Stato Islamico erano di circa 80 milioni di dollari” – scrive Ludovico Carlino, analista del gruppo di ricerca IHS – “A partire dal marzo 2016, invece, le entrate mensili dello Stato Islamico sono scese a 56 milioni di dollari”. E il merito sarebbe dei bombardamenti russi e della coalizione internazionale sui pozzi petroliferi controllati dai fondamentalisti. Il che ha portato anche alla perdita del 22% del territorio controllato da Isis.

Una perdita consistente quella subita dallo Stato Islamico, che avrebbe ridotto la produzione quotidiana di petrolio da 33 a 21 mila barili, considerando che – secondo gli analisti – il 43% delle entrate dell’Isis proviene dall’estrazione e dalla vendita di “oro nero”. E per recuperare la ricchezza perduta, lo Stato Islamico ha deciso di imporre ulteriori tributi. A chi? Ai camionisti, ad esempio, che devono pagare ingenti pedaggi per attraversare le strade controllate dai fondamentalisti. Ma le tasse sono aumentate anche per coloro che devono installare nuove apparecchiature tecnologiche, come le antenne. Per non parlare di chi non conosce bene (secondo i dettami wahhabiti) il Corano: per lo Stato Islamico questi soggetti devono pagare multe salate,  in caso contrario a loro toccheranno punizioni corporali.

Certo, lo Stato Islamico sta perdendo capacità economica interna. E lo dimostra uno studio del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, diretto dal sottosegretario David Cohen, secondo il quale nel 2014 la prima fonte di guadagno di Isis era la vendita di petrolio, commercializzato sottobanco attraverso la Turchia, il Kurdistan e la Giordania. Lo studio dimostrò,  inoltre, che all’epoca il Califfato controllava 350 raffinerie in Iraq e il 60% dei pozzi petroliferi della Siria. Oggi non è più così. Ma non si è riusciti ancora a fare del tutto chiarezza  riguardo i finanziamenti che da altri Paesi arrivano al Califfato. Su tutti i Paesi del Golfo, i quali continuerebbero a sostenere al-Baghdadi soprattutto attraverso le sadaqat, ingenti donazioni di individui od organizzazioni religiose indirizzate al Califfato.

Infatti nel 2014 il Washington Institute for Near East Policy riuscì a tracciare alcuni dei movimenti di denaro che dal Golfo finivano a Raqqa. E da quello studio emerse che Arabia Saudita, Qatar e Kuwait fossero i primi tre Paesi per finanziamenti al Califfato. E sempre secondo il Dipartimento di Stato americano tra il 2012 e il 2014 queste donazioni hanno rimpinguato le casse dello Stato Islamico per circa 40 milioni di dollari.

E il fatto che l’Arabia Saudita sia il primo sostenitore di Isis non sorprende. Tra Riad e Raqqa c’è una profonda intesa religiosa che ha origine nel XVIII secolo. Non bisogna dimenticarsi, infatti, che l’autorità politica di casa Sa’ud in Arabia si basa sull’accordo (non scritto) stipulato nel 1744 tra l’emiro  ‘Abd al-‘Aziz ibn Muhammad ibn Sa’ud ed  Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb, fondatore del wahhabismo, secondo il quale la comunità di fedeli wahhabiti avrebbe sostenuto l’ascesa al potere dei Sa’ud, solo nel caso in cui questi avessero diffuso e difeso la dottrina wahhabita.

 

FONTE  www.occhidellaguerra.it

11/04/2016

Une Femme qui connait et nomme les "choses"

https://youtu.be/6y_zB5Qmt2E

"Ne pas nommer les choses c'est ajouter au malheur du monde" Albert CAMUS

Nos respects et remerciements Madame, vous faites partie d'une minorité invisible et opprimée!!

 

06/04/2016

Perché i sunniti odiano Assad?

Perché la Siria è sotto attacco e tanti musulmani odiano Assad e gli alawiti?

Gli alawiti hanno dato vita a quella che alcuni studiosi definiscono una setta, gli imam tradizionalisti non considerano neppure islam e in realtà risulta una religione iniziatica, dai risvolti e riti segreti, noti solo agli iniziati – non dissimile dal culto praticato dai Drusi, stanziati nel Golan e in Libano.

Il conflitto in Siria scoppia nel 2011 con una serie di dimostrazioni popolari, un conflitto interno, apparentemente una guerra civile, fra il governo del Partito Ba’ath e le forze di opposizione. I dimostranti, o almeno una parte di essi, chiedevano che il presidente Bashar Assad presentasse le sue dimissioni. Il padre, Afez Assad, leader del Ba’ath, fu eletto presidente nel 1971. Buona parte dei sostenitori del presidente Assad è sciita mentre la maggioranza dei suoi oppositori è sunnita.

Nell’aprile del 2011 l’Esercito Siriano ricevette l’ordine di sparare sui dimostranti, con tutta probabilità già infiltrati da potenze straniere. Da qui iniziarono una serie di battaglie che erano il prologo di una aperta ribellione.

Le forze di opposizione sono costituite parzialmente da militari che hanno lasciato l’Esercito Siriano. Nel novembre entra in gioco il fronte islamico di Al Nusra, seguito nel 2013 da Hezbollah che si schiera con Assad e l’Esercito regolare. Russia e Iran supportano militarmente il governo di Assad. Iniziano battaglie fra sciiti e sunniti. Nel 2014 ISIS sostiene il conflitto con una forza militare imponente, USA e Francia iniziano dei bombardamenti inconcludenti e supportano militarmente l’opposizione. Nel tardo 2015 la Russia entra in forze nel conflitto e spazza il territorio governato da Isis portando le truppe di Assad a riconquistare una parte della nazione.

Il Qatar e l’Arabia saudita, però, sostengono i ribelli, l’Iran sostiene Assad.
I due Paesi arabi, però, sono Sunniti, e Salafiti, mentre l’Iran è sciita. Ma gli Assad sono alawiti, e questo rende le cose molto, molto complicate.

Il termine Alawi è quello usato dagli alawiti per definire se stessi, ma fino al 1920 erano conosciuti come Nusayri o Ansari. Il cambio di nome fu imposto dalla Francia al tempo del suo mandato, a seguito degli accordi Sykes-Picot sulla spartizione dell’Impero Ottomano, e ha una sua ragione precisa: mentre Nusayri accentua fortemente le differenze con l’Islam, il termine Alawi sottolinea invece la vicinanza religiosa con Alì, il genero del profeta Maometto, enfatizzando così le similitudini dell’alawismo con l’islam, in una chiara manovra propagandistica tesa a mantenere per quanto possibile un pacifico equilibrio fra le sette musulmane presenti nella Siria governata dai francesi che non cercavano certo di crearsi problemi etnici.

Gli Alawiti attualmente sono all’incirca un milione e trecentomila fedeli, dei quali un milione in Siria, dove rappresentano il 12% della popolazione. tre quarti degli Alawiti siriani vivono nella regione di Latakia, nel nord ovest della Siria, al confine con la Turchia.
La dottrina Alawi risale al nono secolo D.C. e deriva dai Duodecimani, un filone sciita che rigetta la dottrina tradizionale dell’islam, e pertanto vengono considerati non autentici musulmani dagli altri credenti, in special modo dai sunniti.
Alcune dottrine Alawi si ritengono addirittura derivare dal paganesimo fenicio, dalle teorie di Mazdak, riformatore persiano del 500 D.C., e dal manicheismo. L’attinenza più forte e se vogliamo, sconvolgente, vi è col cristianesimo. Le cerimonie religiose alawi vedono l’uso del pane e del vino, infatti bere vino ha un ruolo sacro nella fede Alawi in quanto esso rappresenta Dio, e così la comunione con lui dei fedeli. Questa religione vede in Alì, il Quarto Califfo, l’incarnazione della divinità, esattamente come nel cristianesimo Gesù.

Anche nella religione Alawita vi è una trinità, rappresentata da Maometto, Alì e Salman Al Farsi, schiavo persiano liberato dal profeta, illuminato seguace già cristiano dello stesso. Ancora più curioso è il fatto che gli Alawiti celebrino molte delle festività cristiane, come il Natale di Gesù, l’anno nuovo, l’Epifania, la Pasqua, la Pentecoste e la Domenica delle Palme.
Addirittura onorano molti santi cristiani: Santa Caterina, Santa Barbara, San Giorgio, San Giovanni il Battista, San Giovanni Crisostomo e Santa Maria Maddalena.

I corrispondenti nomi in arabo di Gabriele, Giovanni, Matteo, Caterina ed Elena sono comunemente utilizzati. Gli Alawiti tendono ad avere atteggiamenti amichevoli più coi cristiani che coi musulmani. Alcuni studiosi, e in particolare i missionari, hanno sostenuto che essi combinano le pratiche cristiane con quelle sciite, dando luogo a una religione fortemente affine al cristianesimo.
La dottrina Alawi viene mantenuta segreta non solo ai non appartenenti alla setta, ma addirittura agli stessi Alawiti. Al contrario dll’islam che non prevede un tramite fra la divinità e il fedele, nell’alawismo è permesso solo ai maschi nati da due genitori alawiti di apprendere le dottrine religiose, mantenute scrupolosamente segreten e non hanno luoghi di culto.
Quando ritenuti affidabili, generalmente fra i sedici e i venti anni di età, vengono progressivamente iniziati a i riti segreti, la pena della morte per chi li rivela.

Le donne generalmente compiono i lavori che gli uomini ritengono impropri per un maschio, e vengono per questo ammirate. Non sono tenute a portare il velo e hanno maggior libertà di movimento rispetto alle musulmane.
I sunniti hanno dimostrato nel corso dei secoli il loro disprezzo per gli Alawiti, che sono stati più volte massacrati. Di contro gli alawiti pregano per la distruzione dei sunniti.
Essi hanno rappresentato la parte più povera e incolta della popolazione siriana, perchè sempre tenuti al margine, nelle campagne e isolati sulle aspre montagne del nord, che hanno rappresentato per loro una prigione volontaria, che se li ha protetti, li ha anche isolati dal progresso. Questo almeno fino agli anni ’40, dopo che avevano trovato nei francesi, e nel loro mandato di governo, un rifugio sicuro. Infatti fra il 1920 e io 1936 è esitito uno Stato Alawita nel nord della Siria, una soluzione che potrebbe essere tuttora proponibile per il futuro, pacificato, del Paese mediorientale.

FONTE:www.occhidellaguerra.it

31/03/2016

Erdogan: le deshonneur et les migrants

Qui ne connaît la formule de Churchill, après la signature des accords de Munich du 30 septembre 1938 : « Ils ont accepté le déshonneur pour avoir la paix. Ils auront le déshonneur et la guerre » ? Cette phrase férocement lucide peut, après la conclusion de l’accord du vendredi 18 mars 2016 sur les migrants entre l’Union européenne et la Turquie, et entré en vigueur dimanche 20 mars, être reprise, modulo une petite correction : « Ils ont accepté le déshonneur pour que les migrants les laissent en paix. Ils auront le déshonneur, les migrants et la peur des attentats en sus ».

A plusieurs titres, le déshonneur.

D’abord pour être si peu à la hauteur de nos principes, et entre autre celui du respect du droit, et en l’espèce du droit d’asile. Bien sûr, il est prévu que le Haut-commissariat pour les réfugiés (HCR) soit garant du respect de celui-ci, avec dépôts des demandes en Grèce et en Turquie, mais avec quelles assurances de moyens en Grèce, et surtout de bonne volonté et de diligence de la part de la Turquie ? Aucune. Par ailleurs, le HCR a dénoncé, en parlant d’une « ligne rouge franchie », les conditions de cet accord, et notamment la transformation des « hot spots » grecs en véritables centres de rétention fermés avant renvoi en Turquie, ainsi que l’impasse que fait ledit accord sur la situation des enfants migrants (ceux-ci représentent 40 % des gens actuellement retenus en Grèce, et 10 % de ces 40 % sont des enfants non accompagnés…).

Ensuite, pour avoir laissé l’Allemagne s’arranger pratiquement seule avec la Turquie, du moment qu’à la fin on était censés ne plus entendre parler des migrants, quels qu’ils soient. Cette Allemagne d’Angela Merkel, la « maman » de  l’Europe qui, paraît-il « sauvait l’honneur » de celle-ci en ouvrant les bras sans compter, et qui, au premier coup de semonce électoral sérieux, ne craint pas le virage à 180 degrés, quitte à ne plus sauver que, non plus l’honneur, mais les voix de ses électeurs.

Enfin et surtout pour avoir, plutôt que d’assumer nos responsabilités avec courage, lâchement cru pouvoir sous-traiter celles-ci à un régime, celui d’Ankara, qui ne respecte aucune liberté démocratique, muselle et terrorise la presse, a déclenché une guerre civile avec sa population kurde juste pour gagner les élections législatives, continue à soutenir Daech et à bombarder les seuls qui lui résistent efficacement, nos alliés, les Kurdes, toujours…

Un jeu de dupes pour gagner du temps

Bien sûr, on me répondra que tout cela n’est qu’un jeu de dupes, qu’ils ne s’agissait que de gagner du temps, que la promesse faite à Ankara de supprimer l’obligation de visa pour ses ressortissants entrant en Union européenne d’ici juin ne pourra jamais se concrétiser, car la Turquie ne risque pas de satisfaire aux 72 critères posés par l’UE pour se faire. Que celle de rouvrir les négociations d’adhésion de la Turquie sur un chapitre, celui du budget, n’engage à rien, que l’octroi de 3 milliards d’euros (dans un premier temps…) à la Turquie en échange de la « reprise » de tous les migrants dans des conditions d’accueil satisfaisantes aux normes internationales est une bonne affaire, tout comme l’échange « un Syrien contre un Syrien » qui prévoit d’accueillir un demandeur d’asile de ce pays en UE contre chaque autre refoulé à hauteur de 72 000 d’entre eux (Eh ! Ce sont des êtres humains, pas des pièces de rechange d’automobiles ! ). Que le but est de pouvoir attendre tranquille, le temps que se découragent les migrants d’entrer en Europe, que se tarissent les filières, les routes, les espoirs… en regardant ailleurs, en décidant de ne pas voir ce qui se passera pour ceux-ci en Turquie et ailleurs.

Mais ce jeu de dupes ne nous fera rien gagner, nous avons le déshonneur, et nous aurons quand même les migrants. Ceux-ci n’ont, pour beaucoup, plus rien à perdre. Nous n’avons pas encore compris cela. Cela nous dépasse encore, nous qui avons encore tellement à perdre. Les migrants continueront à arriver, parce que la guerre en Syrie d’abord, en Irak ensuite, et ailleurs (Afghanistan, Libye, Somalie, Soudan, Yémen…) ne cessera pas demain, que cet accord repose en grande partie sur la bonne intelligence et la coopération entre la Grèce et la Turquie, qui sont à couteaux tirés depuis des décennies, parce que la Grèce n’a pas les moyens de prendre en charge le défi logistique du premier accueil /enregistrement, puis du renvoi, parce que d’autres routes de migration contournant ou perçant cet accord seront inventées, que les réseaux, les passeurs et la corruption permettant de partir des plages turques ne disparaîtront pas, que l’on continuera à s’embarquer aussi depuis la Libye, et qu’il n’y a au fond aucune confiance entre la Commission européenne et le Turquie, chacun utilisant l’autre pour ses calculs, par pur cynisme. Les accords fondés sur le seul cynisme ne fonctionnent que le temps de ramasser la mise pour le plus cynique des deux contractants.

Il n’y a pas de solution facile ou simple face à la crise des migrants. Pour revenir à Churchill, il ne reste que le courage de prendre nous-mêmes nos responsabilités, et d’assumer, non pas « du sang, de la peine, des larmes et de la sueur », mais certainement « de la peine, des larmes et des sacrifices »…

Etre sévère envers le régime d’Erdogan mais…

Nous ne pouvons tous les accueillir, loin de là. Nous devons contrôler le nombre, l’origine et la nature (réfugiés de guerre ou pas, individus suspects représentant une possible menace terroriste) de ceux que nous devons accueillir au nom du droit d’asile, nous devons imposer la solidarité européenne aux Etats de l’Union qui refusent de recevoir le moindre migrant, et enfin trouver, ensemble, une solution pour tous ceux que nous ne pouvons laisser entrer. Cette solution sera imparfaite et douloureuse pour ceux-ci, elle demandera des protocoles d’accueil transitoire et de renvoi dignes, etc.

Si c’est bien à nous Européens de faire face à la crise des migrants avec courage et solidarité, en sacrifiant une part de notre indifférence au monde, de notre « paix » (toute relative, les attentats bruxellois viennent une nouvelle fois de nous le rappeler) de nantis, cela ne pourra se faire qu’avec la Turquie. On peut (et on doit, de mon point de vue) formuler les critiques les plus sévères envers le régime d’Erdogan, mais nous devons reconnaître un fait ; c’est la Turquie qui fournit l’effort d’accueil de réfugiés syriens le plus considérable, avec plus de 2,5 millions d’entre eux accueillis sur son sol, dans des camps certes sévèrement contrôlés (pour ceux qui sont dans des camps), mais offrant des standards de conditions de vie infiniment plus dignes que les jungles de Calais ou de Dunkerque. Nous devons donc parler aux autorités turques, travailler avec elles, et leur rendre justice d’une générosité dont nous sommes incapables.

Par ailleurs, la menace terroriste, comme le 22 mars à Bruxelles nous l’enfonce dans le crâne, si nous refusions encore de l’admettre, va viser durablement et cruellement l’Europe, et c’est bien à l’Europe d’y répondre, c’est-à dire de contrôler autant que possible à la source et sur les routes de transit le flux de migrants dont les réseaux djihadistes se servent déjà. Pour ce faire, il faut donc « traiter » nous-mêmes (nous Européens et si possible en collaborant tous ensemble…) les identités vraies ou fausses, les origines, les parcours des migrants, et non pas sous-traiter ce travail de renseignement à la Turquie, qui agira selon ses intérêts douteux sur ce sujet. Mais parallèlement, et lucidement, nous devons  maintenir un contact étroit et permanent avec les autorités et services de sécurité turcs, qui peuvent aussi faire leur travail. Le fait que Monsieur Erdogan puisse se payer le luxe d’annoncer en conférence de presse qu’Ibrahim el Bakraoui, l’un des kamikazes du 22 mars, avait été arrêté en Turquie en  2015 et renvoyé en Belgique, qui l’aurait remis en liberté (la Belgique a depuis démenti en parlant d’un renvoi vers le Pays-Bas), est la démonstration humiliante de cet indispensable réalisme qui nous fait défaut.

Mais ce dialogue ne peut équivaloir à donner un blanc-seing à Erdogan, à fouler au pied nos principes, à faire des promesses d’arracheur de dents à un autocrate soutenant nos ennemis, pour le seul luxe de se croire hors d’atteinte. L’honneur de l’Europe sera de reconnaître lucidement qu’elle doit faire face courageusement et solidairement à une crise à la fois migratoire et sécuritaire sans précédent dont nul ne peut l’exempter.

SOURCE www.causeur.fr

24/03/2016

Intimidazione maomettana

Non scendono in piazza contro i tagliagole dello Stato islamico che con bombe piene di chiodi e bulloni hanno sventrato decine di innocenti.

Né organizzano cortei o sit in contro i musulmani di Bruxelles, di Parigi o, più in generale, d'Europa che vogliono tutti gli europei "infedeli" morti. No, contro quei barbari non osano alzare la voce né prendere le distanze. Gli islamici che vivono a Milano se la prendono con ilGiornale. Si presentano davanti alla sede di via Negri, a Milano, per protestare e pregare rivolti verso la Mecca. Obbligano le forze dell'ordine a evacuare il direttore Alessandro Sallusti. E provano a mettere il bavaglio a un quotidiano che si rifiuta di consegnarsi nelle mani sporche di sangue di violenti che, attentato dopo attentato, stanno mettendo a ferro e fuoco l'Europa.

Si sono dati appuntamento davanti alla sede de ilGiornale alle 18.30. La chiamata alle armi arriva dal Coordinamento associazioni islamiche (Caim). "Un giorno vennero a prendere me - scrive Davide Piccardo, figlio dell'ex direttore dell'Ucoii Hamza Roberto Piccardo - e non c'era rimasto nessuno a protestare". Non ce l'ha, da italiano, con quei barbari musulmani che ammazzano gli europei perché infedeli. Ce l'ha, da musulmano, con noi de ilGiornale. A innervosirlo è stata la prima pagina del quotidiano oggi in edicola. Titola così l'editoriale di Sallusti: Cacciamo l'islam da casa nostra. Perché, come spiega il direttore, "l'islam e il suo Allah sono incompatibili con la nostra civiltà, hanno le mani sporche di sangue dei nostri figli e non sono sazi". E conclude: "Devono stare a casa loro, devono tornare a casa loro. Non è razzismo, è legittima difesa". Per queste sacrosante parole, però, Sallusti è stato evacuato dalla sede del quotidiano. Perché, quando ci sono in giro musulmani, non si sa mai come può andare a finire. In realtà si sono presentati appena una decina di fedeli.

Intorno alle 19 gli uomini hanno disteso le pagine de ilGiornale ed hanno iniziato la preghiera declamando "Allah u Akbar". Non le donne, rimaste in disparte perché "non possono assumere determinate posizioni". Sei minuti con la fronte rivolta alla Mecca e le spalle al portone della redazione. "Abbiamo pregato su quelle pagine per non sporcarci la fronte - dice Piccardo - Siamo offesi dai titoli de ilGiornale che sono una istigazione alla pulizia etnica e all'odio razziale e religioso". Quel titolo - aggiunge - "è stato un atto ignobile e vigliacco. Un atto di terrorismo mediatico". La loro preghiera, ammettono, è una provocazione. "Con le pagine de ilGiornale ci si incarta il pesce - conclude Piccardo - Avremmo potuto far cose meno eleganti con quelle pagine". Una manifestante ha poi rincarato la dose: "Scrivetelo che hanno le mani sporche di sangue". Non sono, quindi, i terroristi ad essersi macchiati del sangue di innocenti. Ma ilGiornale.

FONTE www.ilgiornale.it

ATTENZIONE: SI TRATTA DI UNA FATWA, CON CHARLIE HEBDO COMINCIO' COSI!

 

Basta!

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22/03/2016

Islamizzazione = fine della Civiltà Occidentale

Nel mio nuovo libro Islam. Siamo in guerra (da domani in edicola con Il Giornale e in libreria), evidenzio come in parallelo al Jihad, la guerra santa islamica, scatenata dal terrorismo islamico dei tagliagole, che ci sottomettono con la paura di essere decapitati, e dei taglialingue, che ci conquistano imponendoci la legittimazione dell'islam, del Corano e delle moschee, l'arma vincente della strategia di islamizzazione dell'Europa è l'invasione demografica.

Su circa 500 milioni di abitanti dei 29 Paesi membri dell'Unione Europea, solo il 16 per cento, pari a 80 milioni di abitanti, hanno meno di 30 anni. Viceversa su circa 500 milioni di abitanti della sponda orientale e meridionale del Mediterraneo, sommando le popolazioni dei 22 Stati arabofoni più quelle della Turchia e dell'Iran, ben il 70 per cento ha meno di 30 anni, pari a 350 milioni di abitanti. Quando si mettono su un piatto della bilancia 80 milioni di giovani europei, cristiani in crisi d'identità con una consistente minoranza musulmana, e sull'altro 350 milioni di giovani mediorientali, al 99 per cento musulmani, convinti che l'islam è l'unica «vera religione» che deve affermarsi ovunque nel mondo, il risultato indubbio è che gli europei sono destinati ad essere sopraffatti demograficamente e colonizzati ideologicamente dagli islamici.

A un certo punto i musulmani non avranno più bisogno di farci la guerra o ricorrere al terrorismo. Potranno sottometterci all'islam limitandosi ad osservare le regole formali della nostra democrazia, che premia il soggetto politico più organizzato e influente, in grado di condizionare e di accaparrare il consenso della maggioranza, astenendosi dall'entrare nel merito dei contenuti delle ideologie e delle religioni, soprattutto dell'islam.

Già nel 1974 il presidente algerino Boumedienne previde che l'Europa sarà conquistata con il «ventre delle nostre donne». Nel 2006 il leader libico Gheddafi disse che «50 milioni di musulmani in Europa la trasformeranno in un continente musulmano in pochi decenni».

Ebbene sconvolge che, a fronte dell'evidenza della conquista demografica da parte degli islamici che costituiscono la stragrande maggioranza dei clandestini che ci invadono a partire dalla Libia e dalla Turchia, l'Onu, l'Unione Europea, l'Italia e la Chiesa concordono sul fatto che dobbiamo spalancare incondizionatamente le nostre frontiere.

Il presidente della Commissione Europea Juncker il 9 settembre ha detto: «Gli europei devono prendersi carico di queste persone, abbracciarli e accoglierli». Papa Francesco il 14 settembre ha esaltato questa invasione: «Gli immigrati ci aiutano a tener viva la nonna Europa». Il capo dello Stato Mattarella il 16 settembre ha qualificato l'invasione come «un fenomeno epocale (…) che richiede una gestione comune dell'Unione». Emma Bonino l'8 settembre ha chiarito: «L'Europa vive un calo demografico importantissimo, per il 2050, cioè domani, avrà bisogno di 50 milioni di immigrati per sostenere il proprio sistema di welfare e pensionistico».

Di fatto stiamo subendo la strategia di genocidio eugenetico profetizzata dal conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894 - 1972), sulla cui lapide ha voluto essere tramandato come il «Pioniere degli Stati Uniti d'Europa»: «L'uomo del lontano futuro sarà un meticcio. Le razze e le caste di oggi saranno vittime del crescente superamento di spazio, tempo e pregiudizio.

La razza del futuro, negroide-eurasiatica, simile in aspetto a quella dell'Egitto antico, rimpiazzerà la molteplicità dei popoli con una molteplicità di personalità».

Ecco perché è fondamentale conoscere la verità di ciò che sta accadendo dentro e fuori di casa nostra. Soprattutto è vitale essere consapevoli che siamo in guerra, che o combattiamo per vincere o saremo sottomessi dall'islam.

FONTE: Magdi Cristiano ALLAM su ilgiornale.it

21/03/2016

Turqueries selon Erdogan

Ce brave garçon massacreur de son propre peuplenégationniste impénitent, acheteur du pétrole vendu par l’Etat islamiquemuseleur de presse et ami des femmes a compris que le XXIème siècle reformerait les empires : Deng Xiaoping l’avait saisi l’un des premiers, Poutine n’est pas en reste, et Erdogan rêve de remembrer l’ancien domaine ottoman, du Bosphore à Alger en passant par Aqaba et Damas. Les Américains, qui se croyaient maîtres du monde, restent perplexes devant cette résurrection d’entités politiques qui existaient quand les Etats-Unis n’étaient peuplés que d’Indiens et de bisons. Quant aux Européens, ils n’ont jamais été un empire — et je crois profondément que c’est le vice de naissance de l’Europe, qui a refusé d’être politique, pour ne pas contrarier les rêves de grandeur des Prussiens qui remontaient et des Français qui descendaient — les Italiens ont payé pour voir, sous Mussolini, ce que coûtaient les rêves impériaux, et les Espagnols sont hors jeu depuis les Traités de Westphalie (1648) et des Pyrénées (1659) — ça date…

Du coup, quand l’Europe négocie avec un vrai sultan, elle n’y comprend rien et se laisse rouler dans la farine. Nous cédons au chantage d’Erdogan en lui offrant six milliards (« un acte de solidarité »a dit Hollande qui n’en rate jamais une) pour qu’il gère les réfugiés syriens, tout en lui garantissant un prochain succès dans les négociations d’entrée de la Turquie dans l’Europe : si ça se fait, le rêve lointain des pachas, qui s’était brisé à Lépante en 1571 et devant Vienne à plusieurs reprises (1529 et 1683, entre autres) prendra réellement corps, et 75 millions de Turcs accéderont librement à l’UE — l’une des exigences d’Erdogan est la suppression des visas pour ses concitoyens d’ici le mois de juin. Devant une telle invasion, le « grand remplacement » cher à Zemmour nous semblera de la roupette de samsonite — pardon, de la roupie de sansonnet. Avec un peu de chance cela coïncidera avec la mort de Bouteflika, qui amènera en Algérie une instabilité comparable à celle que la mort de Tito a provoquée en ex-Yougoslavie, et un ou deux millions d’Algériens viendront goûter l’hospitalité marseillaise.

Marseille où les Kurdes (enfin, ce qu’il en reste) protestent chaque jour  contre la terreur instaurée par notre aimable pacha dans son propre pays. Sans compter que sur la question, Erdogan ne manque pas de donner à l’Europe des leçons de respect qui augurent bien de sa future présence à Bruxelles. Heureusement que quelques attentats viennent miraculeusement, à chaque fois, lui donner des motifs d’indignation. Quand je pense que les rumeurs de complot sur le 11 septembre continuent à aller bon train, et qu’il ne se trouve personne en Occident pour suggérer que les attentats d’Istanbul confortent merveilleusement l’intransigeance du calife des califes… Je sais bien que les Kurdes ne sont pas des enfants de chœur, que le PKK est classé « organisation terroriste », etc. Mais ils sont en première ligne contre l’Etat islamique, et contre son allié turc, et cela pour l’instant doit l’emporter sur toute autre considération.

L’Europe n’a rien à faire avec la Turquie d’Erdogan — sinon protéger les populations qu’il bombarde chaque jour avec obstination. Elle n’a pas à embrasser un islamiste assumé — ou bien elle devrait lui envoyer des émissaires féminines, pour voir si notre pacha fondamentaliste leur serre la main, lui. L’Europe n’a pas à payer Erdogan pour qu’il conserve quelques migrants — tout en continuant à forcer la Grèce à en accepter toujours davantage sur son sol. L’Europe doit aider ceux qui se battent contre le fascisme noir de ceux qui se rêvent califes et s’assoient sur la démocratie.

Et nous, nous ne devons pas soutenir l’Europe de Donald Tusk et de Jean-Claude Juncker — ou d’Angela Merkel et de François Hollande. Faire les « Etats-Unis d’Europe » selon le vieux rêve de Hugo, ce n’est pas baisser culotte devant le nouvel impérialisme ottoman — ce n’est jamais une bonne idée devant des empaleurs.

SOURCE JP Brighelli sur www.causeur.fr

16/03/2016

Le jihad dans l'islam

Jihad_amazon_fr.pdf

 A telecharger, lire et apprendre!

L'islam , amour, paix et progrès!