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30/09/2019

La voix de la verité

....Par contre messieurs (et mesdames) qui n’aimez pas la France, imaginez un seul instant qu’il y ait la même proportion d’européens qui vivent sur votre sol d’origine et affirmez nous que vous seriez aussi patients et aussi gentils que nous, les peuples européens.

Et ne comparez pas à un envahissement, le petit million d’européens qui étaient sur le sol algérien pendant la colonisation. Et ces petits européens « occupants » – maltais – français – siciliens – portugais – occupaient de nobles emplois laborieux : – petits électriciens – petits plombiers, petits commerçants – petits fonctionnaires. Les vrais colons EUX étaient éloignés des villes parce que grands propriétaires terriens vivant proches de leur lieu de production. Et les politiques français , dans leurs hauteurs, ne côtoyaient pas ces » petits laborieux ».

Connaissez-vous un « envahisseur » qui fait progresser la natalité d’un pays « colonisé » en créant des dispensaires de protection maternelle infantile? Mes yeux d’enfants ont vu un dispensaire à côté de chez nous, accueillir chaque semaine un nombre incalculable de mamans algériennes. Et les petites françaises étaient minoritaires dans notre école.

Demandez donc aux indiens d’Amérique du Nord, s’ils ont été aussi protégés lors de la conquête de l’Ouest.

Ca se passait comment pour vous sous l’empire Ottoman??? Combien de vos ancêtres ont été embarqués sur des bateaux pour participer aux pillages qui faisaient la richesse des sultans, et y ont laissé leur vie.

Ils partageaient vraiment les « trésors » de ces pillages avec les populations, ces Ottomans??? Ils créaient des écoles, ils instruisaient les petites filles?

Par ce penchant à la plainte, à la négativité qui vous caractérise vous vous empêcherez toujours de voir ce qui fut positif pendant la colonisation. Vous ne verrez toujours que le côté négatif des choses et ce penchant doit probablement être dû à une oppression qui ne vient ni de la colonisation, ni de votre installation en France mais d’une éducation plaintive, réservoir de lamentations, due à une empreinte religieuse très oppressive.

Heureusement que les européens n’ont pas cette attitude, sinon nous ne nous serions jamais relevés des guerres des puissants qui ont occasionné 60 millions de morts en Europe,du 19 ème siècle au 20 ème siècle.

Et nous n’aurions jamais construit l’Europe si nous avions fait durer notre haine de l’Allemagne.

Vous n’aimez pas la France.

On ne vous oblige pas à nous aimer malgré tout ce à quoi, financièrement, nous contribuons pour que vous ayez une vie correcte.

Mais vous ne vous apercevrez de ce que nous sommes et de ce que nous faisons pour vous que lorsque vous retournerez pour une longue période dans vos pays respectifs. Et vous constaterez alors que malgré la culture oppressive qui est LA VOTRE , la France a su insuffler en vous un » souffle de liberté » dont vous ne pourrez pas vous passer et qui vous poussera à vouloir revenir.

On vous souhaite de sortir de votre négativité, car vos enfants ne pourront pas se payer le « luxe » d’une guerre ethnique avec toutes ses horreurs dans le futur , à cause de la haine à laquelle beaucoup d’entre vous les aurez nourris......

 

SOURCE

https://lesobservateurs.ch/2019/09/10/si-la-france-est-en-guerre-demain-sur-son-sol-vous-faites-quoi-je-retourne-au-bled/

20/08/2019

Quando il cancro maomettano colpisce l' America Latina

Negli ultimi trent’anni l’America latina è divenuta un campo di battaglia georeligiosa fra le principali potenze del globo, che stanno utilizzando la fede come un instrumentum regni con il quale espandersi nel cortile di casa degli Stati Uniti. La graduale ritirata del Vaticano da quel che era conosciuto come il “continente cattolicissimo” fino al secolo scorso non è stata sfruttata soltanto dall’internazionale evangelica con sede a Washington, ma anche dai protagonisti del mondo islamico, in primis Turchia, Iran e Arabia Saudita.

Da Città del Messico a Buenos Aires è ormai comune vedere moschee, edifici con la mezzaluna e stella islamica, e uomini e donne di origine latinoamericana, ispanoparlanti, vestiti in abiti tradizionali della cultura musulmana. Il Messico è uno dei casi studio più interessanti per ciò che riguarda i frutti della predicazione dei missionari giunti dall’estero per convertire gli autoctoni alla versione dell’islam seguita nei paesi di riferimento, anche perché si è scoperto permeabile alle infiltrazioni jihadiste.

L’arrivo dell’islam nel Chiapas

L’1 gennaio 1994 un’organizzazione paramilitare nota come l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), guidata dal subcomandante Marcos, lanciò un’insurrezione su larga scala nello stato del Chiapas per protestare contro l’entrata in vigore del North American Free Trade Agreement (NAFTA), un accordo di libero scambio siglato fra Messico, Stati Uniti e Canada, la cui implementazione aveva creato notevole opposizione nel paese.

Gli zapatisti sostenevano che l’accordo avrebbe reso la già debole economia nazionale ulteriormente succube e dipendente dai rapporti con il Nord America, favorendo gli interessi di piccoli gruppi di potere legati alla grande produzione e al latifondo a detrimento delle classi meno agiate e, in particolare, degli indigeni.

I diversi tentativi, sia militari che diplomatici, di riportare lo stato sotto il controllo del governo centrale sono falliti, consentendo all’EZLN di esercitare de facto una parziale sovranità su di esso e realizzare un sistema sociale ed economico di tipo comunistico, basato sulla condivisione, sulla proprietà comune, sul solidarismo comunitarista e sulla produzione per autoconsumo.

Nel 1995 una piccola missione di predicatori islamici guidata dallo spagnolo Muhammad Nafia si fermò sulle montagne della Sierra Madre, nella città di san Cristobal de las Casas. L’obiettivo di Nafia, al secolo Aureliano Pérez Yruela, era di sfruttare il clima di fermento culturale prodotto dall’insurrezione zapatista per creare una piccola comunità islamica.

Gli zapatisti promossero il ritorno dei chiapanechi ai culti precolombiani, scoraggiando invece la pratica del cristianesimo in quanto ritenuto un’esportazione ideologica con cui gli spagnoli avevano sottomesso il subcontinente, e diedero a Nafia il permesso di fondare una missione nella città. La versione dell’islam veicolata dai predicatori venuti da oltreoceano era considerata, infatti, il possibile corollario spirituale della causa zapatista, in quanto antioccidentale, anticapitalistica ed indigenista, perciò possibilmente utile ad arruolare nuovi adepti e soldati.

Il proselitismo di Nafia si è concentrato sulle comunità etniche maya, in particolar modo sugli tzotzil, con ottimi risultati. Sono più di 700 gli tzotzil che hanno deciso di recitare la shahada, e in molti casi la conversione è seguita dall’arruolamento nell’esercito zapatista. La tendenza si è consolidata nel tempo e, oggi, gli tzotzil sono il gruppo etnico che registra il più alto tasso di conversioni all’islam.

Le ombre dell’emiro

Nafia non è un predicatore indipendente e il Chiapas non è stato scelto per caso. L’insurrezione zapatista era stata seguita sin dall’inizio dal Movimento Mondiale Murabitun (MMM) e, dopo un’attenta valutazione, era stata ritenuta l’occasione ideale per creare un focolare islamico in quanto l’astio verso l’accordo di libero scambio era il probabile riflesso dell’insofferenza verso l’influenza maligna dell’imperialismo nordamericano nel subcontinente.

Non appena giunto a san Cristobal de las Casas, Nafia scrisse una lettera al subcomandante Marcos, presentando il MMM come un movimento di liberazione dalla tirannide capitalistica impegnato a difendere popoli oppressi nei teatri più caldi all’epoca aperti, fra cui Cecenia e Paesi Baschi. Ciò che il predicatore propose, ed ottenne, era un patto di collaborazione militare-religiosa: gli zapatisti avrebbero permesso a lui e all’organizzazione di operare nello stato, e gli indigeni sarebbero stati convertiti e quindi convinti ad arruolarsi.

In realtà, il MMM non segue alcuna agenda anti-imperialistica, ma è un’organizzazione a vocazione religiosa regolarmente registrata a Granada, in Spagna, i cui obiettivi sono la reinstaurazione del califfato nella penisola iberica (al-Andalus) e l’islamizzazione dell’Europa. La principale attività dell’organizzazione è proprio il proselitismo verso i non-musulmani, che viene sostanzialmente effettuato attraverso iniziative culturali, lezioni di religione aperte a tutti, e missioni di predicazione in paesi ritenuti culturalmente pronti a ricevere il messaggio islamico – come il Chiapas degli anni ’90.

Il MMM predica una versione fondamentalista dell’islam, per certi versi simile al wahhabismo nella sua natura intrinsecamente antimoderna, antioccidentale e alla perenne ricerca di un ritorno all’epoca d’oro islamica. Ai seguaci viene richiesta l’adozione di uno stile di vita estremamente austero e ideologizzato, poiché l’obiettivo esistenziale è l’imitazione dei puri antenati.

Il fondatore dell’organizzazione è Abdalqadir as-Sufi, nato Ian Dallas, celebre per le sue prese di posizione discutibili sul terrorismo islamico e sulla decadenza della civiltà occidentale e, soprattutto, per aver lanciato una fatwa contro Benedetto XVI in seguito alla controversia di Ratisbona.

All’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001 la comunità islamica del Chiapas iniziò a ricevere maggiore attenzione sia dalle autorità messicane che da quelle statunitensi, perché presumibilmente vicina ad organizzazioni terroristiche internazionali come Al Qaida e focolaio di radicalizzazione religiosa. Nel 2005 fu lo stesso presidente Vicente Fox a denunciare la possibile presenza di elementi qaedisti fra i musulmani chiapanechi. Altre piste investigative hanno tentato di stabilire se esistessero legami anche con il celebre gruppo terroristico basco Eskadi Ta Askatasuna e con cellule jihadiste con base in Spagna, per via di un continuo e sospetto movimento andirivieni.

Negli anni, Nafia ha acquisito grande prestigio presso la comunità islamica chiapaneca, dalla quale è venerato come massima guida spirituale e da essa è stato ribattezzato “l’emiro“, ma le indagini dei servizi segreti e le denunce degli ex adepti hanno scalfito la sua immagine e contribuito a dipingere uno scenario che potrebbe rivelarsi pericoloso per la sicurezza nazionale.

Il Centro Culturale Islamico del Messico, che opera nella capitale, dopo aver ricevuto denunce da parte di musulmani chiapanechi, ha inviato alcuni esponenti nello stato per discutere di religione con gli imam e i fedeli e presiedere ai sermoni settimanali. Ciò che è emerso è che nella piccola enclave dell’emiro di San Cristobal de las Casas vengono predicate dottrine pericolose per la convivenza pacifica fra culture e religioni, che alienano, traviano e radicalizzano i fedeli, i quali vengono costretti a rompere ogni legame con conoscenti e parenti non-musulmani, a non ricevere alcun aiuto governativo, e a non mandare i figli nelle scuole pubbliche.

Il monitoraggio delle autorità messicane ha appurato che la missione di Nafia è supportata da finanziatori con base in Malesia, Indonesia ed Emirati Arabi Uniti, e negli anni si è tentato di ridurre le capacità di proselitismo – che si sono estese all’intera America Latina – ricorrendo all’espulsione dei predicatori stranieri, spagnoli nella maggior parte dei casi.

Secondo quanto dichiarato da Ibrahim Chechev, ex collaboratore dell’emiro e oggi alla guida di un’altra comune, nel corso degli anni Nafia avrebbe iniziato a ricevere denaro da organizzazioni islamiche delle petromonarchie del golfo persico. A quel punto, gli insegnamenti, e lo stesso comportamento del predicatore, sarebbero cambiati radicalmente, convincendo Chechev ed altri fedeli ad allontanarsi.

La situazione oggi

La comunità islamica chiapaneca continua a crescere, e l’enclave dell’emiro Nafia è stata affiancata da nuove realtà, che sono il prodotto delle predicazioni di nuovi missionari e di scissioni interne avvenute nell’originale comune dell’emiro. A San Cristobal de las Casas, ciascun gruppo, fra cui uno wahhabita, ha le proprie moschee – che oggi sono 4, luoghi di ritrovo, scuole coraniche e di lingua araba, ristoranti, panifici e altri punti di aggregazione dedicati all’intrattenimento; la missione di Nafia ha anche una biblioteca.

Inoltre, i leader delle comunità si occupano anche di organizzare i pellegrinaggi a La Mecca e viaggi formativi all’estero per lo studio della lingua araba e dell’islam.

Sia Chechev che Esteban Lopez Moreno, il segretario della missione di Nafia, concordano nel vedere un futuro roseo e prospero per l’islam chiapaneco: l’influenza zapatista sta lentamente scemando e gli abitanti son sempre più insofferenti verso l’ordine di Marcos, mentre le conversioni all’islam aumentano.

Le autorità continuano a monitorare con attenzione ciò che avviene nella comunità islamica chiapaneca, come palesato dall’arresto nei giorni scorsi di Mohammed Azharuddin Chhipa, un cittadino statunitense sul quale l’Interpol aveva posto un avviso blu. Chhipa era ricercato dalla Fbi perché molto attivo nella pubblicazione di materiale jihadista in rete ed è stato arrestato a Huehuetan, al confine con il Guatemala, e trasferito negli Stati Uniti con il primo volo disponibile.

Saranno le indagini ad appurare i motivi che hanno condotto il sospetto terrorista nel Chiapas, ma già il semplice fatto che si trovasse lì, in uno stato sotto osservazione per infiltrazioni jihadiste e in cui operano predicatori radicali legati alle petromonarchie del golfo, non può che alimentare legittimi dubbi su quale sia l’attuale situazione nell’area e se l’autoproclamato Stato Islamico sia riuscito a penetrare in essa.

 

FONTE https://it.insideover.com/religioni/lenclave-dellislam-radicale-nel-cuore-del-messico.html

10/04/2019

La belle réligion de Muhammad

VIDEO YOUTUBE 

https://www.youtube.com/watch?v=mOTXPuAd0Ow&feature=y...

02/04/2019

La vita secondo Muhammad

Al seguito del recente efferato crimine perpetrato a Torino da un marocchino, promosso italiano dai progressisti, in cui un innocente é stato sgozzato per la sola ragione di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, si impongono alcune brevi considerazioni relative a questa ideologia criminale mascherata sotto le spoglie di una pseudo religione

Infatti, il sacrificio di Stefano Leo, "bianco e italiano' , non servirebbe a nulla se non si coglie l'essenza dei meccanismi mentali che conducono questi "credenti" seguaci del modello del pedofilo della Mecca a compiere tali atti

Il primo errore sarebbe quello di credere che si tratta di fatti sporadici, frutto di menti psichiatriche (il che è parzialmente vero, essendo l'islam un'idéologia schizofrenica).

Se riprendiamo i fatti salienti successi intorno a noi nel corso degli ultimi 2 anni, oltre al caso torinese, troviamo la strage del Batclan, lo sgozzamento delle due diciottenni della stazione di Marsiglia, lo sgozzamento delle altre due giovani donne scandinave nell'Atlas marocchino, lo sgozzamento del prete di Rouen, la strage del mercato di Natale di Strasburgo,la strage di Berlino, il massacro di Nizza, l'attacco alla scuola ebrea di Tolosa, la strage del treno olandese,....ecc

Secondo voi, eccezion fatta dell'impregnazione massiccia dell'ideologia criminale maomettana, quali sono gli elementi costituenti che hanno trasformato queste povere vittime in agnelli sacrificali dei combattenti maomettani?

Si tratta di donne occidentali socialmente emancipate

Si tratta di persone di varia età che desiderano festeggiare nella pace e nella serenità

Si tratta di rappresentanti di culti considerati miscredenti

Si tratta di giovani occidentali che amano la vita, la musica ed i sani piaceri della vita

Ebbene tutto cio',e molto altro, è riprovevole nel modello coranico maomettano

Conseguentemente è giusto punirli, che dico punirli....sacrificarli!

Si sacrificarli perché se in altri culti non musulmani l'espiazione dei peccati si fa con la preghiera, per i cristiani con la confessione, nella setta di Allah il perdono di Dio si conquista altrimenti, si riscatta!

Lo si acquisisce rendendo onore ad Allah nella persona del suo "messaggero" Mohammed

In primis lo si ottiene con il sacrificio degli infedeli, poco importa se innocenti, ma comunque infedeli!

E questa è la via coranica del paradiso, non quella dell'inferno, come nelle altre culture mondiali

L'inversione della scala del bene e del male opera nell'islam un ribaltamento perfetto

La nostra cultura occidentale ci impone di tutelare la vita, foss'anche quella di un assassino

La cultura maomettana non si cura della vita in se, l'individuo non ha valore, conta solo la Oumma, la comunità dei "credenti"

Ed è cosi che sopprimere la vita di chi espone su se stesso un modo di essere e di pensare diametralmente opposto alla visione maomettana.....diventa il cammino dell'espiazione, la via verso il paradiso delle vergini

In conclusione, fintanto che non si capirà chiaramente che per evitare i crimini di domani occorre arginare e impedire in tutti i modi leciti il diffondersi della predicazione musulmana, con la quale ineluttabilmente si creeranno le premesse del modello balcanico di domani, che non sarà la Croazia, la Serbia e la Bosnia, ma l'Europa intera

Eccezion fatta, forse, dei Paesi "islamolucidi": Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca....

La parola d'ordine è una sola:resistenza, mobilizzazione civile, politica, culturale!

04/10/2017

Islam terrorista: l'ipocrisia dei Media

Dunque riepiloghiamo: la Cia aveva avvertito i servizi spagnoli sul rischio di un attentato proprio alla Rambla. L’Isis già in febbraio aveva minacciato azioni terroristiche nelle aree frequentate dai turisti e il rischio era così elevato che, come ha sottolineato ieri Germano Dottori durante lo speciale su Rai3, alcuni tour operator hanno reclutato in segreto più di 100 ex membri delle truppe speciali britanniche, affinché controllassero siti sensibili, come le spiagge di Ibiza.

Sulla strage di Barcellona è già stato detto quasi tutto, mi limito a due osservazioni.

La prima. Considerato l’altissimo livello di allarme era così difficile blindare le Ramblas con delle protezioni anti intrusione, come avviene in molte piazze europee? Purtroppo siamo di fronte, come già avvenuto a Parigi e a Nizza, a un clamoroso fallimento dei servizi di intelligence, in questo caso spagnoli.

La seconda. E’ giunto il momento di smascherare l’ossimoro dietro a cui si trincerano le autorità dopo fatti come questi. Il refrain è sempre lo stesso: orrore per gli attentati, ma noi siamo migliori, noi non dobbiamo aver paura; dunque dobbiamo continuare a mantenere le frontiere aperte e ad accogliere gli immigrati islamici. Paradossalmente fino ad oggi questo approccio è stato vincente, ma razionalmente non sta in piedi.

Anche l’ultimo attentato in Finlandia è avvenuto al grido di Allah Akbar.

E questo perbenismo porta a inaccettabili forme di autocensura. Guardate queste immagini:

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Vi ricordano qualcosa? La prima la conoscete tutti. I media non si sono fatti scrupoli nel mostrare l’immagine del piccolo Aylan, perché serviva a giustificare moralmente l’immigrazione, ma la seconda immagine, segnalata su twitter, non diventerà una hit mondiale. La maggior parte del pubblico non la vedrà mai, eppure mostra un altro bambino di tre anni ucciso assieme alla madre dei terroristi islamici sulla Rambla. Viene censurata. Perché se venisse diffusa susciterebbe un’altra ondata emotiva ma nel senso contrario a quello desiderato dal mainstream multiculturale e globalizzante. E’ un’ipocrisia, ma rivelatrice. Così si gestisce l’opinione pubblica.

Sia chiaro: sebbene le cause del terrorismo non possano essere banalizzate e ha ragione chi sostiene che a destabilizzare il Medio Oriente siamo stati noi occidentali, in primis gli americani in Irak, Afghanistan, Libia e Siria, è innegabile che l’immigrazione incontrollata a cui stiamo assistendo da mesi e che riguarda principalmente l’Italia, sia fonte di destabilizzazione sociale, per la mancata integrazione di masse enormi di migranti a cui è impossibile garantire un lavoro e una normale accoglienza, e dunque di fenomeni estremi, come l’aumento della violenza, della criminalità, dell’estremismo religioso e, infine, del terrorismo.

Ecco perché ha ragione chi manifesta gridando “io non ho paura”. Ma quel grido andrebbe accompagnato con l’urlo: “Enough is enough” come dicono gli inglesi. Ovvero l’immigrazione incontrollata, soprattutto quella islamica, non è più accettabile. Ovvero, in italiano, abbiamo sopportato abbastanza.

FONTE http://blog.ilgiornale.it/foa/2017/08/18/immigrati-islamici-e-terrorismo-questa-foto-smaschera-lipocrisia-dei-media/

Islamisme : Le dénis continue

LE FIGARO. - Un attentat a eu lieu, dimanche, à la gare Saint-Charles à Marseille. Deux femmes ont été tuées…

Jeannette BOUGRAB. - L'horreur à l'état brut! Viser les femmes par égorgement et éventration, comme dans les montagnes de Blida, en Algérie, dans les années 1990, n'est pas anodin. Cela a une signification politique. Selon Ali Harb, un philosophe libanais, la violence dans l'islam est démultipliée parce que sa doxa religieuse se structure autour de deux notions: la pureté et la souillure. Dans l'islam, les femmes sont considérées comme impures. S'attaquer aux femmes, c'est répondre à une lecture littérale du Coran. Lorsque la communauté internationale s'est indignée des viols commis par l'État islamique, leurs dirigeants ont objecté qu'ils répondaient à une prescription: «Chacun doit se rappeler que réduire en esclavage les familles kuffars et prendre leurs femmes comme concubines est un aspect fermement établi par la charia. Et qu'en le niant ou le moquant, on nierait ou on moquerait les versets du Coran.» Même une femme musulmane n'existe pas seule. Mariée, on la soupçonne d'exciter les instincts masculins. Aussi doit-elle se cacher sous des voiles plus ou moins intégraux. Quant à l'égalité à laquelle le droit français nous a habitués, elle n'existe pas dans les pays musulmans. La femme est par nature inférieure. Le plus inouï, c'est qu'il y a des féministes françaises pour le justifier. Comment leur prose peut-elle être publiée dans des journaux qui hissent la cause des femmes comme étendard?

On mesure le degré de civilisation d'un pays à son respect des femmes. Or, on assiste en France à une escalade: des femmes sont chassées des rues et des cafés et désormais égorgées et éventrées. Ce qui me glace le sang au lendemain de cette boucherie de Marseille, c'est le tournant symbolique très important que cela amorce. On pensait que cette barbarie s'arrêterait aux frontières de l'Algérie, de l'Irak ou de la Syrie. Aujourd'hui, elle touche la France. Demain d'autres femmes se feront assassiner dans des conditions atroces. Il faudrait descendre dans la rue pour crier que meurtrir les femmes, c'est meurtrier le corps même de la France.

«Ce qui me glace le sang au lendemain de cette boucherie de Marseille, c'est le tournant symbolique très important que cela amorce»

Jeannette Bougrab

Depuis 2015, on ne compte plus ce type d'attentats. Assiste-t-on à une banalisation? Une résignation?

Il suffisait de regarder dimanche les chaînes d'information: cette barbarie inouïe était reléguée au second plan par rapport à la Catalogne. Plus que de la résignation ou de la banalisation, il faut parler de déni.

On n'ose pas nommer le mal de peur d'être accusé de racisme ou d'«islamophobie». L'égorgement et l'éventration de ces femmes me rappelle le début des violences du FIS en Algérie à la fin des années 1980 et le discours de François Mitterrand qui expliquait ces violences par l'absence de processus démocratique dans ce pays. À l'époque, les élites françaises n'ont pas voulu voir la réalité dans sa monstruosité. Cela s'est soldé par 300.000 morts en 10 ans. De même, après les émeutes de banlieue en 2005, on expliquait qu'à Marseille, il y avait un modèle d'intégration qui fonctionnait, un vouloir vivre ensemble à travers l'identité marseillaise. Et on se rend compte aujourd'hui qu'aucune partie du territoire national n'est protégée de la barbarie islamiste.

Dans votre nouveau livre, vous faites un parallèle avec la guerre d'Algérie. Pourquoi?

La guerre d'Algérie a représenté un tournant car la terreur a été semée délibérément dans la population civile. Les combattants du FLN s'attaquaient aussi bien aux soldats qu'aux enfants et même aux femmes enceintes. Le terrorisme contemporain puise pour partie ses origines dans la guerre d'Algérie, plus précisément dans la dimension religieuse de la lutte pour l'indépendance - dimension longtemps occultée au profit de la seule dimension nationaliste à laquelle elle ne se réduisait pourtant pas. En 2016, dans un livre courageux, Jean Birnbaum, homme de gauche, a critiqué sa propre famille politique pour ce qu'il appelle son «silence religieux». À ses yeux, la gauche refuse d'admettre le fondement religieux des attentats frappant la France de peur de susciter un amalgame entre islam et terrorisme qui pourrait faire le jeu du Front national. Selon lui, ce réflexe quasi pavlovien trouve son explication dans les non-dits de la guerre d'Algérie dont, en particulier, l'occultation de la nature réelle du FLN, à savoir l'enracinement de ce mouvement dans la foi islamique. «La révolution algérienne est fondée et bâtie sur le respect des principes de l'islam», proclamait à l'époque le FLN. Ce mouvement imposait à ses combattants un rigorisme religieux: interdiction du tabac, de l'alcool, des jeux d'argent et nez coupé à ceux qui étaient surpris en train de fumer pendant le ramadan! De crainte de disqualifier ce mouvement politico-militaire indépendantiste, la gauche a préféré taire la dimension religieuse du nationalisme algérien. Pourtant une violence qui s'exerce au nom de Dieu n'est pas n'importe quelle violence. Elle est loin d'être anodine. Nous sommes les héritiers de ce non-dit.

Que faire alors pour éviter que l'histoire ne se répète?

Il y a des choses très concrètes à faire au-delà des incantations. Comment se fait-il qu'un jeune délinquant, qui a tenté à plusieurs reprises d'aller en Syrie, soit remis en liberté avec un bracelet électronique et qu'il puisse, sans être inquiété, aller égorger le père Hamel dans une église? Que faisait sur le territoire le Tunisien qui a assassiné ces deux jeunes femmes à Marseille? Non seulement il était en situation irrégulière, mais également connu des services de police! Ce genre de cas ne devrait pas exister. Il faut, au nom du principe de précaution, pouvoir priver de liberté toute personne liée de près ou de loin à une organisation terroriste. Nous devons réduire le pouvoir d'appréciation des juges qui sont susceptibles de remettre en liberté des individus radicalisés. Cela demande un changement de mentalité de la part des magistrats. Par ailleurs, comme le juge Trévidic lui-même le dit très bien, les textes juridiques ne sont plus adaptés à la situation. Et ce qui est dramatique en France, c'est qu'il y a toujours une explication pour justifier et dédouaner les auteurs d'attentats ou les islamistes qui nourrissent le terrorisme. Lorsque Danièle Obono, députée de Paris (Les Insoumis), explique qu'un chauffeur RATP qui refuse de conduire un bus après une femme n'est pas nécessairement radicalisé, mais peut être simplement «sexiste», elle se fait l'idiote utile, pour ne pas dire la complice, des islamistes. De même que les dix-neuf intellectuels supposés qui, dans Le Monde, ont mené la charge contre Kamel Daoud, coupable d'avoir dénoncé la misère sexuelle du monde musulman - intellectuels qui excusaient les auteurs des agressions sexuelles de Cologne. Depuis Sartre, cette «complicité» est propre à l'intellectuel de gauche de Saint-Germain-des-Prés ou d'ailleurs. Jadis, Alain Badiou a salué l'arrivée des Khmers rouges à Phnom Penh, qui ont causé la mort de deux millions de personnes. Aujourd'hui, les intellectuels français devraient s'instruire auprès des intellectuels de culture musulmane qui ont subi l'horreur de la guerre civile en Algérie: Kamel Daoud, mais aussi Boualem Sansal, qui malgré les menaces sur sa vie ne se laisse impressionner ni par les imams qui appellent au meurtre, ni par les meneurs d'une certaine gauche française qui a corrompu le mouvement antiraciste pour en faire un outil d'oppression.

* Vient de publier «Lettre d'exil: la barbarie et nous» (Editions du Cerf, 2017, 224 p., 18 €).

SOURCE http://premium.lefigaro.fr/vox/societe/2017/10/02/31003-20171002ARTFIG00267-jeannette-bougrab-malgre-l-attentat-islamiste-de-marseille-le-deni-continue.php

La strategie islamo totalitaire en version officielle 2000

Edition 2000

Validée à Doha (Quatar)

Tout y est, nécessité de non intégration réélle dans les sociétés occidentales, revendications, apartheid.....

Aucune réaction officielle de la part de nos "élites" politiques et intellectuelles

A télécharger et lire avec attention

C'était avant les Twins towers, les vignettes, Charlie et tout le Bataclan

Après on parlera d'islam de France, d'Europe ou d'autres tromperies de ce genre...

 

TELECHARGEMENT   StratégieExtVFLR1.pdf

03/10/2017

Mauranne , Laura, .....

Uccise da un'idéologia misogina, sessista, razzista, violenta, totalitaria, intollerante, idiota, ritardata mentale, INCOMPATIBILE  con la nostra cultura occidentale

Uccise dalla stupidità di chi tollera l'intollerabile, di chi lascia fare, di chi non osa dire, di chi rinnega secoli di lotte contro chi soffoca la nostra liberta' di pensiero e d'azione

Uccise da chi soffoca nel sangue la gioia solare di vivere di queste nostre ragazze et ci impone donne vestite comme sacchi di immondizia nera (come in alto a sinistra)

Uccise da bestie schizofreniche che invece di ragionare...recitano ed odiano tutto cio' che non é maomettano

Un sacrificio inutile, evitabile, che ne preannuncia altri, ogni giorno ed ovunque nel mondo

Dobbiamo continuare la lotta per loro, per noi, per le generazioni future!

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02/10/2017

Les ennemis de la France se nourrissent de sa tolérance

Inutile de répéter ce qu’ont très clairement et très justement écrit Barbara Lefebvre dans Le Figaro et Jean-Paul Brighelli ici-même, même si à mon avis, cher Jean-Paul, vouloir combattre l’islamisation par la mixité sociale revient à essayer d’enrayer une épidémie en dispersant des malades contagieux dans la population saine.

Le combat contre l’islam politique est avant tout culturel. On peut même dire qu’il n’est que culturel, et que la volonté de défendre notre culture et nos vies y compris par l’emploi de la force légale n’est qu’un aspect, peut-être même un sous-produit, de ce combat culturel. Il est inutile de disposer d’un arsenal sécuritaire, qu’il soit policier, militaire ou juridique, si l’on n’a pas la force morale de s’en servir, ou si l’on s’interdit la lucidité de voir le réel tel qu’il est pour utiliser cet arsenal à bon escient.

L’islamisation et la délinquance des banlieues ne doivent surtout pas être confondues, malgré les liens qu’elles entretiennent. Les idéologues d’Arabie saoudite et du Qatar ne sont pas connus pour avoir grandi dans des ghettos urbains, non plus que Hani et Tariq Ramadan, ou Alija Izetbegović. Cependant, islamisation et délinquance des « quartiers difficiles » ont en commun la faiblesse coupable de la réponse que l’État leur apporte, et son ahurissante inefficacité. Nous allons y revenir.

L’un des ouvrages les plus utiles et les plus stimulants pour qui veut comprendre ce à quoi nous sommes confrontés, est un court mais magistral essai intitulé Fascination du djihad. Fureurs islamistes et défaite de la paix. Nous le devons au médiéviste Gabriel Martinez-Gros, spécialiste d’Al-Andalus et d’Ibn Khaldoun. Historien, il a parfaitement compris ce qui continue d’échapper à beaucoup de journalistes, diplomates, criminologues, ministre de l’Intérieur se prenant pour un psychiatre et autres élus complaisants, ou prétendus experts en déradicalisation.

Voici, entre autres, ce qu’écrit Gabriel Martinez-Gros : « Le désarmement idéologique des États renforce partout la dissidence armée ». Nous sommes face à « des formes de refus et de violence d’autant plus radicales qu’elles sont plus efficaces face à des populations majoritaires de plus en plus désarmées matériellement et psychologiquement », en raison de « la domination sans partage du discours non violent. Il n’est pas de recours à la force, si légitime qu’en semble la cause, qui ne suscite réticence. Il n’est pas de guerre qu’on ne déclare absurde, ou dont on accepte d’examiner les raisons. » Or, « le djihadisme rompt avec la morale des masses, et se revendique en élite de guerriers. »

Sans la rejeter a priori, il disqualifie après examen la thèse de « l’islamisation de la radicalité. » « La première préoccupation de ceux qui la soutiennent est en effet de disculper l’Islam, et surtout la religion musulmane, de toute implication dans la violence du djihadisme – ou plutôt du terrorisme, selon les mots que la réserve médiatique et politique impose le plus souvent. Ces événements, disent-ils, pourraient survenir n’importe où. C’est évidemment faux. […] Ce choix de l’Islam, effectué par des millions de militants dans le monde, n’est ni fortuit, ni superficiel. Tout étudiant en sciences humaines sait – ou devrait savoir – qu’il est impossible d’analyser un phénomène – ethnologique, sociologique, historique – hors des mots dans lesquels il se donne. Imagine-t-on d’analyser le nazisme comme on prétend aujourd’hui analyser le djihadisme, en détachant sa « base sociale » de son « propos idéologique » ? On en conclurait que les nazis furent des ouvriers malchanceux, des petits commerçants ruinés par la crise, des intellectuels au chômage, des ratés du système capitaliste… La guerre mondiale, la hiérarchie des races, l’extermination des juifs ? Simple habillage infantile d’une violence de déshérités… »

Et il dénonce l’aveuglement de « la gauche en particulier, qui ne veut voir que problèmes sociaux là où éclate l’évidence d’un choix politique. Le paradoxe veut que ce même consensus, et cette même gauche, s’alarment d’une extrême droite populiste, dont le programme ne comporte pourtant aucune des condamnations radicales des fondements de l’Occident – en particulier la souveraineté du peuple, l’abolition de l’esclavage et de la polygamie, ou l’égalité des sexes – que les djihadistes proclament très ouvertement. »

Hélas, les Etats « ne permettent en revanche à personne d’imaginer que les « barbares » de leurs banlieues sont autre chose que des civilisés potentiels, malheureux d’être privés des bénéfices de la civilisation. Un délinquant, surtout s’il est jeune, a dû manquer d’affection, d’école, de soin, de théâtre, d’art, de salle de sport…, de mille autres choses sans doute à condition qu’on les fasse précéder du verbe « manquer ». »

Le jeune délinquant, tout comme le djihadiste, sont ainsi avant tout considérés comme des victimes de la société. Leurs victimes à eux, en revanche, n’ayant pas choisi de faire sécession par rapport au reste du corps social, ne sont pas perçues comme des individus à part entière, mais comme « la société » elle-même, frappée uniquement en réponse à ses torts. Puisqu’elles respectent les règles communes, c’est qu’elles les acceptent, donc qu’elles font partie de la société, donc qu’elles portent une part de sa culpabilité collective, donc qu’il est légitime de s’en prendre à elles.

Dans un mélange écœurant de concurrence victimaire, de déterminisme social, de négation du libre-arbitre, et de mépris envers toutes les personnes qui réussissent malgré des origines ethniques, culturelles, géographiques ou sociales dites « défavorisées », cette attitude déresponsabilise les coupables, et désarme ceux qui voudraient les combattre.

Comme le montre très bien Fatiha Boudjahlat, l’odieuse campagne contre Leïla Slimani, par exemple, n’est qu’une tête supplémentaire de cette hydre.

L’Education nationale est coupable de la situation, mais elle n’est pas seule. Les établissements scolaires devraient être des sanctuaires, des havres de sécurité, de paix et de savoir, mais il est illusoire d’espérer que les élèves oublient lorsqu’ils s’y trouvent les leçons qu’ils apprennent en dehors.

Or, pour certains, l’impunité est l’une des plus importantes de ces leçons. Pire encore, quelle que soit la bonne volonté des enseignants, les élèves savent bien que la loi des juges est une autorité supérieure à celle de l’Educ’nat. Et bien qu’ils ne la respectent pas, les plus problématiques d’entre eux savent parfaitement l’utiliser à leur profit. Ils dédaignent leurs devoirs, mais connaissent très bien leurs droits.

Cette attitude destructrice, hélas, est encouragée par la justice des mineurs. Parfois involontairement, parfois de manière calculée, idéologique et militante, notamment par le Syndicat de la magistrature et ses affidés. Dans tous les cas, le constat est similaire : les rappels à la loi et autres mesures dites « éducatives » se succèdent sans être pris au sérieux par les jeunes délinquants. Ils les confortent même dans leur idée que l’autorité officielle n’a aucune crédibilité, ni pour les sanctionner, ni pour les protéger.

Celui qui voudrait vivre normalement, inséré dans la société, découvre bien vite que plus il la respectera, moins la loi le défendra. Mieux vaut donc qu’il se débrouille par lui-même et selon ses propres règles ! De son côté, celui qui fait le choix de la prédation au détriment d’autrui, constate sans cesse qu’il est très facile de violer la loi, et que les leçons de morale ne s’accompagnent que rarement de la volonté d’agir.

Une société qui refuse de se défendre, qui refuse de protéger ses propres membres et qui leur interdit de se protéger eux-mêmes, peut difficilement susciter l’envie d’adhésion !

A ce sujet, demandons-nous aussi quel message véhicule le dédain affiché par beaucoup de politiques, de journalistes et de magistrats envers les forces de l’ordre et les militaires, qui pourtant risquent leur vie pour les protéger…

Ajoutons qu’en les victimisant, la justice infantilise les jeunes délinquants, à tel point que le premier emprisonnement est souvent vécu comme un moment festif, le signe du passage à l’âge adulte. Il est d’ailleurs intéressant de constater que des groupes qui pourtant méprisent notre société continuent à rechercher ainsi sa confirmation que, enfin, quelqu’un est « un homme, un vrai ». Mais comment s’étonner qu’un adolescent que les juges traitent comme un enfant irresponsable préfère se tourner vers le recruteur djihadiste qui lui offre de rejoindre la cour des grands ?

Au passage, on voit l’importance d’un discours comme celui de Charlie Hebdo. Il y a le « même pas peur » infantile de l’après-Barcelone, qui en évitant de nommer l’ennemi pour ne froisser personne montre justement sa peur, et suscite dans les rangs djihadistes un mélange d’incrédulité et de dédain. Mais Charlie est tout autre. Ce qu’il dit à nos ennemis c’est : la violence ne vous rendra pas respectables. Nous prendrons au sérieux la menace que vous incarnez, mais nous ne vous prendrons pas au sérieux en tant qu’hommes. Discours évidemment insupportable pour les islamistes, et ô combien salutaire.

Charlie le dit à travers la Lettre aux escrocs de l’islamophobie qui font le jeu des racistes de Charb, Détruire le fascisme islamique de Zineb, ou tout simplement sa récente couverture « L’islam, religion de paix… éternelle » et le remarquable éditorial de Riss qui l’accompagne. « Le confort, c’est l’obsession de nos sociétés consuméristes » écrit Riss, confort aussi bien matériel qu’intellectuel. Il y a un peu plus de six siècles, Ibn Khaldoun ne décrivait pas autrement ceux qui sont condamnés à être la proie des marges violentes

Lâcheté ou compromission, les refus répétés de permettre les représentations de la pièce de théâtre issue de la Lettre aux escrocs de l’islamophobie  sont eux aussi délétères, et contribuent à donner de notre société une image terrible et méprisable. Voici un homme qui est mort pour avoir mené jusqu’au bout son combat pour nos valeurs, et nous n’avons même pas le courage de faire entendre son message posthume ! L’État islamique, au moins, ne traite pas ainsi ses martyrs…

Nous mobilisons bien des escadrons de gendarmes mobiles et des CRS pour sécuriser les déplacements de ministres, alors qu’ils n’ont pas une once du courage ni de la lucidité de Charb, et qu’ils délivrent des discours creux et des promesses auxquelles personne ne croit, alors que son propos, lui, est nécessaire. Nous pourrions bien mobiliser une fraction de nos forces de l’ordre pour sécuriser quelques théâtres… Je connais même des gendarmes et des policiers qui seraient fiers de le faire bénévolement ! Mais je digresse.

Réformer la justice des mineurs ne suffira pas à combattre l’islamisation de toute une frange de la jeunesse. Il faut aussi, entre autres, rendre possible la fierté d’appartenir à la communauté nationale et à la République, en cessant d’enseigner le mépris de la France et de l’Occident. Lutter intellectuellement contre les dogmes religieux et les influences politiques qui voudraient empêcher la critique des textes prônant le jihad, et donc de fait y préparent. Cesser de condamner aveuglément « la violence » sans jamais interroger ses buts, et offrir des débouchés positifs et valorisés à la soif d’action et d’héroïsme. Savoir que l’on n’affronte pas quelqu’un parce qu’il est « méchant », mais parce qu’il est dangereux. Accepter que l’on ne peut pas sauver les gens contre leur gré, que certains ici ou ailleurs choisissent librement d’être nos ennemis, et que nous devrons les combattre sans haine mais sans faiblesse. Oser affirmer, enfin, qu’il y a des principes sur lesquels nous ne transigerons pas, et des projets de société que nous n’accepterons pas, peu importe qu’ils tentent de s’imposer par la violence ou par des moyens légaux.

Comme l’écrit Karl Popper : « Si nous étendons la tolérance illimitée même à ceux qui sont intolérants, si nous ne sommes pas disposés à défendre une société tolérante contre l’impact de l’intolérant, alors le tolérant sera détruit, et la tolérance avec lui. »

Une justice des mineurs qui comprendrait enfin que la sanction fait partie intégrante de l’éducation ne saurait être une réponse suffisante. Mais elle est une part nécessaire de la réponse.

Elle est indispensable pour montrer à notre jeunesse, et je dis bien notre, quelles que soient ses origines, que la France est crédible, et que nous saurons protéger ceux qui nous rejoignent, parce que nous aurons la détermination de combattre ceux qui nous menacent.

 

SOURCE www.causeur.fr

20/09/2017

Apartheid volontario islamico

Roma, 19 settembre 2017

Oggi in Italia non esiste un profilo standard dell’immigrato, ma il comportamento dei musulmani è fortemente condizionato dall’età.

Si dividono, infatti, in due macro gruppi: gli over 54 sono oltranzisti, conservatori e non hanno intenzione di integrarsi. Nei più giovani, invece, la spinta verso l’Italia è un po’ diversa: circa la metà si sente integrata (45%) e l’altra metà si divide tra chi vuole integrarsi (ma non ci riesce) e chi proprio non vuole.

Due universi di riferimento complementari, decisioni generazionali: i giovani non sono apertissimi verso la cultura occidentale, ma risultano più incuriositi.

Col crescere dell’età c’è una vera chiusura verso l’occidente.

Sei immigrati musulmani su dieci si dichiarano non integrati (58%), ma il dato critico è che il 31% (un terzo del totale) non vuole integrarsi, mentre un ulteriore 28 per cento vorrebbe, ma non ci riesce.

I motivi di queste difficoltà e ritrosie sono legati al lavoro e alla lingua, due temi spinosi per gli stranieri in Italia.

Il processo di inserimento nella nostra società è condizionato dall’età: i più giovani ci provano, i meno giovani no. Le porte dell’Italia verso altri immigrati sono chiuse da parte degli islamici: solo il 43% sostiene che l’Italia dovrebbe accogliere altri profughi, mentre il 33% è convinto che serve un freno. Quasi a confermare che gli immigrati percepiscono la loro posizione di difficoltà: «Se arrivano altri stranieri, per noi che già facciamo fatica è un problema ulteriore». Nel Centro Italia vive gran parte della popolazione musulmana, lì si trova anche lo zoccolo più conservatore.

La spiegazione? Si tratta di una zona vista come un paradiso ‘politico’ per gli immigrati, il Centro storicamente era il territorio più tollerante verso i nuovi arrivati. I più adulti comunque hanno un dna oltranzista e restano ancorati alla propria ideologia: si concentra, infatti, una sacca di musulmani ‘chiusi’.

Il luogo comune secondo cui gli immigrati nel Belpaese sono di passaggio viene abbattuto: chi è qui, vuole rimanere. Circa la metà pensa di restare per sempre (43%) e fra questi prevale la quota degli over 54, gli ‘ortodossi’ (80%).

Solamente il 13% degli immigrati dichiara di essere di passaggio (andarsene entro 3 anni). Circa la metà dei musulmani è nel nostro Paese da più di 5 anni: se non si è già integrato, è difficile che possa farlo in futuro. Dall’altro lato, il giudizio sull’Italia è positivo: il 62% afferma di trovarsi bene nel nostro Paese. I più positivi risiedono al Sud, mentre al Centro molti (il 41%) dicono di trovarsi male. Un’altra criticità è il lavoro, vero problema dell’immigrazione, che genera difficoltà a integrarsi: chi non lavora, fa più fatica e ha meno voglia di essere parte di un progetto, di una cerchia sociale.

Solo il 27% dei musulmani ha un lavoro stabile e il 24% dice di non lavorare (!!!!!!!!): la disoccupazione in Italia è circa all’11%, all’interno del popolo degli immigrati raddoppia. Se a questi si aggiunge il 33% che sostiene di non avere un lavoro stabile, la forbice di immigrati che non riesce a mantenersi con il proprio lavoro si allarga al 50-60%. E’ importante l’area di residenza, perché la professione degli immigrati rispecchia le problematiche dell’Italia: chi non ha un posto di lavoro stabile risiedemaggiormente al Sud (57%,), al Nord prevale la quota di chi ha un lavoro stabile (42%). Indicatore indiretto della volontà di integrazione è anche l’amicizia: uno su due (55%) dice di avere amici italiani ed è molto forte la risposta in relazione all’età.

Tra i giovani l’amicizia con italiani sale al 61%, mentre tra gli anziani arriva solo al 19%, a conferma di una sorta di chiusura di degli over 54. Anche il fatto di avere amici italiani prevale per immigrati al Sud, rispetto al Centro. IL 64% degli immigrati svolge la propria vita sociale nella comunità islamica: il 92% degli over 54 dice di avere relazioni solo nel proprio clan, quota che scende al 73% tra i 35-54enni e cala a chi ha fino a 34 anni. I più giovani cercano relazioni fuori dalla comunità, i più adulti sono bloccati. Rispetto alla lingua italiana, altra importante criticità, uno su due afferma di conoscerla bene (47%): gli anziani sono ancora indietro nella classifica (23%). Il 38% sostiene che un suo figlio dovrebbe sposare solo una persona musulmana, quota non maggioritaria ma importante. Significa che quattro su 10 sono chiusi verso altre religioni: si trovano più al Nord (40%) che al Sud (12%).

FONTE : http://www.quotidiano.net/politica/musulmani-in-italia-1.3406983