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17/07/2006

Galuzeau et la politique anti-israëlienne française

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Comme on vient de l'apprendre, Galuzeau le Bellâtre (De Villepin) va se rendre à Beyrouth sur demande de Ben Chirak, pour exprimer la "solidarité de la France au peuple libanais"

Bien dit non?

Et les civils israëliens qui reçoivent des roquettes à l'aveugle sur la tête n'ont-il pas droit à la "solidarité"?

Alors qu'une offensive nazislamique sans précedents depuis la guerre du Kippour est declenchée contre Israël, la France ne rate pas une occasion pour se ranger du coté des agresseurs.

Cette offensive a été bien planifiée, ralliant Hezbollah, Hamas, Fatah, Iran, Sirie et bien d'autres fideles de l'égorgeur de la Mecque

Bien sûr, la population civile libanaise n'a souvent (mais pas toujours) rien à voir avec ces bandits mahométains mais comment pretendre que l'on accepte de se faire tirer plusieurs centaines de roquettes par jour sur la tête sans réagir?

Que fait-il cet Etat bidon Libanais, symbole de l'échec de toute possibilité de cohabitation pacifique entre islam et christianisme, dominé par des bandes terroristes au solde des nazillons iraniens et siriens?

Et les pions du G8 qui demandent à Israël de faire preuve de retenue!

Continuons à croîre que l'islam s'affronte avec des compromis, nos enfants en ferons les frais.

Alors, soutien total à Israël dans sa lutte pour la survie, seul et contre tous (ou presque).

Quant aux médias français qui s'apitoient sur le sort des civils, qu' Israël ne vise pas et qui servent de bouclier au Hezbollah, est-ce que ils se sont apitoiés sur les sort des civils du Darfour ou sur ceux de la Somalie?

Ceux la on s'en fout, il faut pas en parler ...c'est l'islam qui domine et massacre! Normal.

Terminons avec un constat: depuis le debut de la controffensive israëlienne, pas de chiffres sur les terroristes du hezbollah tombés au combat. Normal, ils sont comptés et ils representent la quasi totalité de ceux que l'on appelle "les civils".

Voilà comment on desinforme l'occident!

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15/07/2006

Israele, diritto alla difesa

Diritto alla difesa
di
Magdi Allam
E’ guerra, guerra vera, ormai. Il Medio Oriente rischia un nuovo, grande incendio. Ieri la battaglia che è divampata nel Sud del Libano ha raggiunto Beirut e colpito anche la città israeliana di Haifa che non aveva più conosciuto attacchi dall’esterno fin dal 1991, quando erano stati i missili Scud a ferirla durante la prima guerra del Golfo. Il governo libanese prende le distanze dall’Hezbollah e un suo ministro accusa la Siria. Il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen minaccia le dimissioni in segno di protesta contro Hamas. L’allarme sale in tutto il mondo. E l’Italia? Da che parte sta? E’ difficile trovare il bandolo, nonostante gli sforzi della nostra diplomazia e gli apprezzabili tentativi di cercare una soluzione da parte del ministro degli Esteri Massimo D’Alema.
Legittimamente partono da Roma appelli alla moderazione, ma insistere sulla «reazione sproporzionata e pericolosa di Israele», come ha fatto ieri lo stesso D’Alema, rischia di nascondere un elemento centrale della crisi, e cioè il diritto di Israele a difendersi. Sono le stesse autorità arabe direttamente colpite dalla rappresaglia militare israeliana a rilevare che all’origine di questa spirale di violenza c’è un’iniziativa terroristica sponsorizzata dall’Iran e dalla Siria, sferrata da territori, Gaza e il Libano meridionale, che non erano occupati. Non possiamo dimenticarlo. Così come non possiamo far finta che non esista una guerra globalizzata del terrorismo islamico, a dispetto dell’evidenza del legame operativo tra Hamas, Hezbollah, Siria, Iran e della loro collusione ideologica con i gruppi e le cellule imparentate ad Al Qaeda in tutto il mondo, uniti dall’odio nei confronti di Israele, dell’America e della civiltà occidentale. La scelta dell’equivicinanza non potrà comunque condurci a mettere sullo stesso piano Israele e Hamas, Israele e l’Hezbollah, Stati Uniti e Iran.
Nella sua visita in Italia, Kofi Annan ha chiarito che per l’Onu la lotta al terrorismo non è una fandonia, che è assolutamente vitale che il nostro Paese mantenga le sue forze in Afghanistan e che anche il ritiro dall’Iraq dovrà avvenire «al momento opportuno, per evitare che la situazione esploda». I fans dell’Onu in seno al governo ne tengano conto: o danno ascolto ad Annan oppure sarebbe meglio che smettessero di strumentalizzare le Nazioni Unite. La guerra esplosa in Medio Oriente potrebbe rivelarsi ben più seria e di più lunga durata, coinvolgendo direttamente la Siria e l’Iran. E’ possibile che Israele decida di regolare i conti non tanto con i kamikaze o con i guerriglieri che lanciano i katiusha, bensì con i burattinai dei terroristi che pianificano la distruzione dello Stato ebraico. Trattandosi di una partita in cui non avrebbe l’opzione della rivincita, Israele è costretta a difendere la sua esistenza sino in fondo. Se l’Italia ha veramente a cuore la causa della pace in Medio Oriente, il diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente e l’interesse dei libanesi alle sovranità e dignità nazionali, deve restare a fianco di Israele e svolgere sino in fondo il suo ruolo nella guerra al terrorismo internazionale.

La guerra dei mondi si fa strada

Ricordate qualche anno fa quando tutti i politici occidentali si misero a criticare la tesi di S. Huntington sullo shock delle civiltà fra islam e mondo occidentalizzato?

Era un modo per negare l'evidenza.

La guerra ce l'hanno dichiarata dal VI° secolo, al seguito delle dottrine del pedofilo della Mecca.

L'aumento della tensione fra Israele ed i suoi vicini nazislamici, cosi' come fra l'India ed il Pakistan lo conferma.

Certo, nessuno di noi l'ha voluta né la vuole questa guerra, ma la scelta é fra subire o reagire.

Ma un segno grave del cancro ideologico che pervade l'occidente, é la chiusura progressiva dei siti di resistenza anti-islamica da parte dei governi  al soldo dei petrodollari.

Diversi mesi é stato chiuso il magnifico sito di discussione islam-danger.com

Se cercate forum dei seguaci del pedofilo dove si critica la laicità, l'occidente e si predica l'antisemitismo, ne troverete sempre di piu', in tutta impunità.

LA LIBERTA' E' IN GRAVISSIMO PERICOLO!!!

Se sapete leggere il francese, questo libro é magnifico e premonitorio:

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11/07/2006

La magistratura italiana sceglie la "collaborazione" col nemico

Insieme alla vittoria ai Mondiali, o in alternativa come premio di consolazione, presto potremmo festeggiare il ritorno in Italia di Abu Omar. Con tante scuse ufficiali e un risarcimento di 10 milioni di euro per aver arbitrariamente interrotto la sua attività di predicatore d’odio e apologeta del terrore nella moschea di viale Jenner a Milano. Subito dopo, magari affidandosi all’assistenza del suo stesso avvocato Montasser Al Zayyat, con trascorsi in galera per la sua attività eversiva in Egitto, riaccoglieremo altri due militanti di spicco della Guerra santa islamica, Bouriqi Bouchta e Abdulqadir Fadlallah Mamour, allontanati con atti amministrativi.
Nel frattempo il corso della giustizia avrà accertato la responsabilità di un numero crescente di responsabili dei Servizi segreti, del ministero dell’Interno e della Difesa, di politici della passata e della presente coalizione governativa, di magistrati «non organici» e di giornalisti che hanno «collaborato» con le «spie». Il vertice dei nostri apparati di sicurezza sarà interamente rimosso e screditato, con gravi danni all’attività di contrasto del terrorismo e un ulteriore logoramento della fiducia della gente nelle istituzioni. Riflettiamoci bene prima di proseguire in questa guerra intestina che preannuncia un suicidio collettivo. Se l’applicazione formale e rigorosa della legge vigente anziché salvaguardare compromette pesantemente la sicurezza dei cittadini, che è la condicio sine qua non per poter godere di qualsiasi libertà, significa che o la legge è inadeguata o vi è un difetto nella sua applicazione. Personalmente ritengo che siano veri entrambi i casi.
L’inadeguatezza e il difetto risiedono principalmente nel fatto che l’attuale legislazione non recepisce integralmente la realtà e la specificità del terrorismo islamico globalizzato, in particolar modo la sua dimensione ideologica, spesso sommersa, che ha già trasformato anche l’Italia in una fabbrica di terroristi e aspiranti kamikaze. Ed è inevitabile che se non si contestualizza correttamente l’evento, l’elaborazione del legislatore, la valutazione del magistrato e l’azione dell’esecutivo risulteranno inficiate da un vizio di fondo. Il risultato sarà un insieme confuso che impone una navigazione a vista, subendo e reagendo agli eventi anziché prevedendo e realizzando delle scelte.
È un dato di fatto che all’interno dei nostri apparati di sicurezza si scontrano almeno due anime: la prima considera il terrorismo islamico come la principale minaccia alla sicurezza interna e internazionale; la seconda ritiene che si tratti di un’esagerazione, peggio ancora, di una strumentalizzazione della paura collettiva per fini di potere. Ebbene è quest’ultima che sta oggi prevalendo e sembra prossima a imporre la propria linea, con il conforto del governo di centrosinistra. Sul piano internazionale la svolta rilevante è stata la decisione di accelerare il definitivo ritiro dall’Iraq, sulla base del consenso contro la «guerra ingiusta», ignorando le ragioni della lotta al terrorismo invocate dalle autorità irachene e presenti nelle risoluzioni dell’Onu 1511 e 1546. E ora, a quanto pare, ci si avvia a regolare i conti con il «partito della guerra» all’interno dell’Italia.
In quest’ambito si sta rischiando di fare dei servizi segreti la valvola di sfogo dei mali della classe politica. L’aria che tira la si può desumere persino dalle due immagini in circolazione di Abu Omar. Nella prima compare sorridente, sbarbato, snello, in giacca e cravatta mentre legge un giornale. Nella seconda si vede un faccione gonfio, sguardo severo, corpo appesantito, barba lunga e la divisa «afghana » degli estremisti islamici, camicione e pantaloni bianchi larghi e informi. Ebbene, a seconda della tendenza a voler colpevolizzare il Sismi o Abu Omar, sulla stampa compare l’una o l’altra. Significativamente, con il Sismi nella bufera, viene più gettonata la foto di Abu Omar «buono». Ha ragione Sergio Romano quando ieri sul Corriere ha ricordato che se i servizi sono sospettati «delle peggiori malefatte » non possono svolgere il loro compito istituzionale. Ma a mio avviso non peccano di «eccessiva dipendenza dall’intelligence americana».
Casomai è vero l’opposto: ci vorrebbe molta e più proficua collaborazione con gli Stati Uniti, l’Europa e il resto del mondo. C’è una guerra in atto scatenata dal terrorismo e dall’estremismo islamico globalizzato. L’Italia deve decidere da che parte stare: mi auguro che non si schieri dalla parte di Abu Omar.
Magdi Allam
08 luglio 2006

Les fidèles mahométains encore et toujours

La capitale économique indienne a été frappée par sept attentats à la bombe qui ont visé des trains de voyageurs mardi, aux heures de pointes.

Une première explosion s’est produite à mardi soir, dans un train de banlieue près de Bombay. Six autres ont suivi. Des explosions qui semblent toutes avoir visé les transports ferroviaires de la capitale économique indienne et de sa banlieue, notamment les quartiers de Matunga, Khar, Santacruz, Jogeshwari, Borivali et Bhayendar.
«L'explosion était si puissante que nous avons pensé avoir été atteints par un coup de foudre. Le marché a tremblé», a confié un témoin.
Selon la police, il y aurait au moins 100 morts et de nombreux blessés. «Il y a eu trois explosions à Khar, Santa Cruz et Mahim», a précisé un responsable au QG de la police de la ville. Un autre responsable a indiqué qu'elles avaient eu lieu à bord de trains en circulation.
Réunion de crise
Le premier ministre indien a immédiatement convoqué une réunion de crise. Le 7 mars, un triple attentat avait été perpétré à Bénarès (nord), la plus importante ville sainte hindoue, faisant 23 morts. A New Delhi, un triple attentat avait fait 66 morts le 29 octobre 2005. Le Parlement fédéral avait été attaqué en décembre 2001. Quinze personnes étaient mortes.
Pour tous ces attentats, les autorités indiennes avaient montré du doigt des groupes islamistes basés au Pakistan et actifs au Cachemire indien, en proie à une insurrection islamiste depuis 1989.
Sept attentats à la bombe se sont produites mardi dans des trains de voyageurs rentrant chez eux après le travail à Bombay et le bilan est d'au moins 100 morts, a déclaré la police indienne, citée par la chaîne de télévision
www.figaro.fr

08/07/2006

La France à la recherche de son identité

L’ivresse « multicolore » de 1998 avait bercé les Français d’illusions : huit ans plus tard, le scepticisme règne.

ON NE CONSTRUIT PAS du patriotisme sur du football. » Dans l’engouement passager, Alain Finkielkraut traque l’illusion d’une nation. « Les supporters de tous les pays se conduisent de la même manière, dit-il, alors que le patriotisme, c’est l’exaltation des spécificités culturelles. » En 1998 déjà, il doutait des vertus unificatrices du black, blanc, beur, né de la victoire en Coupe du monde. Aujourd’hui, le philosophe maintient ses réserves : « Il ne faut pas confondre l’idenfication à une équipe de foot et l’adhésion à une culture, à une langue, à des valeurs. »
Et pourtant. « En 1998, on était content d’avoir une équipe de toutes les couleurs. C’était une belle image », se souvient David, 35 ans, consultant. Aussi douce que l’euphorie qui avait saisi le pays pour son premier titre mondial. « Tout était spontané. On avait l’impression qu’il n’y aurait plus de discriminations », ajoute Fatima, secrétaire. Puis, à l’automne 2001, quelques semaines après le 11 septembre, le fameux match France-Algérie au Stade de France, où une partie du public avait sifflé La Marseillaise puis envahi le terrain alors que les Bleus menaient au score, a provoqué une déchirure. « Black Blanc Beur n’a jamais dépassé le slogan. Dans la réalité, chacun vivait de son côté », analyse Ibrahim, livreur. Pis encore. « C’est un aveu d’échec », explique le sociologue Ahmed Boubekeur, en se référant à la marche des Beurs. « En 1998 : rien n’avait changé. Les hommes politiques découvraient la France métissée. »
Depuis, la crise identitaire et sociale s’est aggravée. « On sait bien que le foot ne change rien à nos vies », reconnaît Kamel, 30 ans, animateur à Courbevoie. Néanmoins « On est content de regarder tous dans la même direction, au moins pendant une semaine. »
« Zidane,Kabyle comme nous » Au Stade Charlety, mercredi dernier, des milliers de jeunes Blacks, Blancs, Beurs ont déferlé, vêtus de maillots bleus ou enroulés dans des drapeaux tricolores. Certains brandissaient leurs cartes d’identité pour crier « Allez la France ». Tous priaient pour la victoire. Mais quelques-uns disaient n’être venus que pour « Zidane, Kabyle comme nous », comme pour se justifier, tandis que des drapeaux algériens flottaient dans le stade, dont l’un dépassait par sa taille toutes les bannières tricolores. (Zidane, un kabyle symbole d'un peuple opprimé par la majorité arabe e qui reclame la reconnaissance de son identité. Zidane qui est un exemple d'integration en occident et de refus de l'"identité musulmane". NDR)
A cette présence algérienne affichée, s’ajoutaient les bandes de jeunes Noirs, particulièrement nombreux dans le stade et sur les Champs-Élysées. « On est content d’admirer des Noirs à la télé, et qu’ils soient applaudis, avançait Sammy. Ça nous change. » Ces athlètes, et notamment Lilian Thuram, « représentent des modèles positifs », estime Marc Cheb Sun, rédacteur en chef de Respect.Un exemple nécessaire à l’heure où « l’intégration des Maghrébins est en cours tandis que se profile celle des enfants d’Africains ». Pour lui, la glorification de sportifs reste néanmoins une « mystification » : « Il suffit de regarder l’Assemblée nationale où il n’y a pas un seul Noir ». Demain, tous les supporters ne seront pas de la fête. « On va pas embrasser des Français qui nous détestent le reste de l’année », peste Abdoulaye, 18 ans, les cheveux déteints à l’eau oxygénée, des carrés scintillant à chaque oreille.
A Lyon, la mairie a fini par retirer l’écran géant mercredi dernier, craignant les dérives, après qu’une bande eut enlevé un drapeau français devant l’hôtel de ville pour le remplacer par celui de l’Algérie. Dans la nuit de la victoire contre le Portugal, des bandes ont même dévalisé les automobilistes et sauté sur des voitures. « Les mêmes scènes que pendant les émeutes de novembre », raconte, amer, un Lyonnais qui croyait qu’une victoire des Bleus pouvait tout changer.
www.figaro.fr

07/07/2006

Israël: un exemple pour le monde libre

Israël est indéfendable, forcément : ce pays contredit le bien-pensisme antiraciste, longtemps soutenu d’ailleurs par nombre d’intellectuels juifs. Aux éloges du cosmopolitisme, du déracinement et du métissage culturel, les Israéliens répondent qu’une nation, même multiethnique, doit savoir exiger de ses membres une commune identité. Ils disent qu’un État souverain est libre de choisir ses immigrés. À bon entendeur.

Ces leçons incorrectes sont une provocation pour le discours dominant qui, en France, incite à la culpabilisation, au relativisme, à l’accommodement. Elles expliquent les effarements politico-médiatiques face aux réactions de défense de l’État hébreu. Son intransigeance devant les provocations du Hamas n’est qu’un épisode de cette incompréhension.
La brutalité de la riposte à l’enlèvement, par un commando terroriste, du soldat Gilad Shalit, 19 ans, est critiquable. Arrêter des élus du Hamas est faire peu de cas de leur légitimité démocratique. Lundi, Philippe Douste-Blazy a suggéré « la retenue ». Reste qu’Israël est le seul pays au monde dont l’existence est contestée, Coran à l’appui. Où sont, là, les appels à la décence ? Les belles âmes s’agacent de voir ce peuple – « le plus surprenant de la planète », dit Ivan Levaï (Israël,mon amour, Seuil) – résister à un djihad qui a juré sa perte dès 1947. L’Europe angélique, confrontée au même obscurantisme qui gagne certains nouveaux venus, préfère apaisements et ronds de jambes. Ce faisant, l’insoumission israélienne révèle la tentation capitularde de l’Occident.
Eliad Moreh Rosenberg a été victime d’un attentat, le 31 juillet 2002 (9 morts, 90 blessés), à l’université de Jérusalem. Elle m’expliquait récemment : « Je ne trouve pas normal qu’on veuille m’assassiner et qu’il n’y ait pas de place dans l’opinion pour la souffrance israélienne. À travers nous, c’est le monde libre qui est pris pour cible par l’islamisme. Il ne faut pas chercher à le justifier. Il faut le reconnaître, le nommer, le combattre. »
Voilà ce que n’aiment pas entendre les vigiles de l’Empire du Bien, qui trouvent plus d’excuses au nazislamisme du Hamas qu’à la démocratie juive assiégée. Ils se refusent à admettre la conclusion à laquelle l’État hébreu est arrivé, d’une impossible cohabitation avec l’islam extrémiste. Là-bas, le divorce est acquis : le prix à payer pour que la plus vieille des nations puisse vivre encore. Prétention indéfendable ?
Fiertés retrouvées
En réalité, les gens n’écoutent plus les laborantins du grand brassage, leur haine des origines et du « Français de souche ». Ce sont les Français qui, en refusant l’Homme européen promis par le référendum du 29 mai 2005, ont réhabilité la Nation, après laquelle courent depuis les politiques. Ce sont les Allemands qui, à l’occasion de la Coupe du monde, ont redécouvert l’expression patriotique (un drapeau au balcon d’une maison sur dix, selon La Croix). Jamais la fierté nationale ne s’est, partout, autant exprimée que ces derniers jours.
Pas plus que les Israéliens, les peuples d’Europe n’ont envie de disparaître sous une mondialisation indifférente aux cultures d’accueil. Il suffit d’observer l’attachement que portent les régions à leurs coutumes, les pays à leurs spécificités. Et si la menace existe d’une déculturation de la France, voire d’une créolisation de sa langue, nombre de professeurs et de parents s’affolent enfin de ce désastre, rendu possible par mépris des héritages.
Les déchirements entre Palestiniens et Israéliens dépassent leurs querelles. De semblables fractures se voient ailleurs. Au Darfour, des milices arabomusulmanes massacrent par milliers. En Turquie, les chrétiens sont des cibles (encore un prêtre agressé cette semaine). En Algérie, Bouteflika ne cesse ses accusations contre la colonisation, jugée dimanche « une des formes les plus barbares de l’histoire ».Pas un mot pour les centaines de civils français tués à Oran par le djihad du FLN, le 5 juillet 1962.
Et les attentats islamistes de Londres, il y a un an, ont confirmé le fossé entre deux mondes. Selon un récent sondage britannique ICM, 40 % des musulmans vivant en Grande-Bretagne souhaiteraient l’application de la charia dans certaines parties du pays, tandis que 32 % estimeraient que les musulmans doivent s’engager pour mettre fin à la civilisation occidentale. Une possible séparation serait-elle en train de s’installer dans les esprits, en Europe aussi ?
Immigration choisie ?
Naturellement, les faussaires s’empressent de dédramatiser : l’euphorie française aux victoires black, blanc, beur illustrerait l’intégration des minorités visibles, tandis que le succès des parrainages citoyens d’enfants de sans-papiers prouverait l’adhésion à une France multiculturelle. Ces illusionnistes omettent de signaler les violences qui émaillent chaque victoire des Bleus. Ils trouvent sans objet les craintes soulevées par les repliements de communautés indifférentes à leur hôte.
Dans un sondage de l’institut YouGov réalisé en Grande- Bretagne et publié mercredi, 75 % des Britanniques interrogés estiment que trop d’immigrés viennent dans leur pays. 55 % jugent que la situation s’est aggravée car « quelque chose de la culture traditionnelle a disparu ». Ces inquiétudes sont de celles que nos pouvoirs publics feraient bien d’écouter. En attendant, le gouvernement s’apprête à régulariser « plusieurs milliers » de sans-papiers, au lieu des 2 500 annoncés. Immigration choisie, vraiment ?
IVAN RIOUFOL

06/07/2006

L'occidente é superiore all'islam

Dopo l’11 settembre è stato un susseguirsi incessante e frenetico di dissimulare la questione delle questioni: “Attenzione” si è detto “Non è uno scontro di civiltà, l’islam non è terrorismo, l’islam è una grande cultura”. Questo martellante tentativo è tipico di chi si rende conto che lì, proprio lì, sta la vera, tragica, esplosiva questione. E allora, soprattutto i “politicamente corretti” si sono affannati a negarla: si misurano i verbi, gli avverbi, gli aggettivi per non urtare, non scandalizzare. “L’occidente e l’islam sono due grandi civiltà equipollenti” dicono. Così è, se vi pare. “La cultura occidentale non è superiore a quella islamica, è una tra le tante culture del mondo.” Formidabile il relativismo culturale, lenisce le coscienze, livella il concetto di uomo, esclude la possibilità di distinguere il bene dal male: l’uomo di Parigi è come l’uomo cannibale, soltanto che utilizza modalità diverse per rispondere alle medesime esigenze, la democrazia non è migliore della teocrazia, una costituzione liberale non è migliore della sharia, una decisione parlamentare non è migliore di una sura, una organizzazione internazionale non è migliore della humma, una sentenza di un tribunale indipendente non è migliore di una fatwa. Il relativismo culturale è stato, forse, la più formidabile affermazione di superiorità della cultura occidentale. La cultura occidentale si reputa talmente superiore alle altre culture (islamica compresa) che per sedare i sensi di colpa filogenetici s’inventa il relativismo culturale e così tutti possono dormire sonni tranquilli. Avete mai visto un antropologo della Costa d’Avorio o del Sudan o dell’Arabia? Ma non sono proprio gli islamici a reclamare una presunta superiorità della loro cultura rispetto alla decadenza e ai vizi del mondo occidentale? Avete mai incontrato un “relativista” arabo, o più in generale, islamico? Chi è che si può permettere il lusso di dichiarare “relativa” la sua cultura? Evidentemente chi sa maneggiare strumenti culturali sofisticati riuscendo quindi a decentrarsi percependosi come “mondo tra i mondi”. E a quale cultura appartiene chi riesce a fare ciò? A quella occidentale! E non è questa la più formidabile affermazione di superiorità culturale? Ma in concreto, in cosa consisterebbe la superiorità della cultura e della civiltà occidentale rispetto a quella islamica? Cercare categorie storiche sarebbe tempo sprecato. Nella straordinaria potenza scientifica e tecnica? No, non è questo. Allora in quella economica, nella capacità di produrre benessere? Cosa cercano da noi i milioni di immigrati provenienti da ogni parte del mondo? Un po’ di benessere, forse? Quel benessere che non trovano a casa loro o che la loro cultura sovente osteggia? Cercano libertà? Quella libertà che sovente la loro cultura non garantisce? Cercano lavoro? Ma noi li sfruttiamo; se li facciamo lavorare 8-10 ore la giorno e li mettiamo a pulire la cucina o i cessi li sfruttiamo, se nella loro cultura lavorano il doppio e senza la minima tutela o sono costrette (le donne) a portare il burka o vengono decapitate o lapidate in piazza o ripudiate o infibulate o scambiate con i cammelli, allora questi li chiamiamo “fatti culturali”. Ciò che per noi è un crimine, trasferito da un’altra parte diventa un “fatto culturale”; ciò contro cui noi abbiamo combattuto per secoli, da un’altra parte ridiventa un “fatto culturale” e quindi come tale rispettabile, comprensibile, giustificabile. E sia, ma non a casa nostra.
E che diritto abbiamo noi di imporre a loro la nostra cultura? Sante parole. Non è forse giusto che ogni popolo, ogni cultura faccia il suo percorso senza “spintoni”? Pensiamo forse che la cultura islamica, per certi versi, sia in uno stato di arretratezza rispetto alla nostra? E allora? Che siano liberi di essere ciò che vogliono essere, di sperimentare, di sbagliare (già, ma dove? a casa di chi?). E noi come eravamo? Non abbiamo fatto anche noi tremendi errori? Non ci siamo passati anche noi? E i roghi, l’Inquisizione, gli oppressi e gli oppressori, il nazismo, l’olocausto, Stalin? Già, quindi se tutte queste affermazioni possono avere un minimo di senso, non se ne può dedurre che il tragitto fatto da qualcuno è, non tanto diverso, ma, forse, più lungo? Vogliamo negare l’evoluzione sociale, politica, economica? E allora in cosa consiste questa presunta superiorità della cultura occidentale? Sta nel non confondere il peccato con il reato; sta nella straordinaria possibilità di poter sputare nel piatto in cui si mangia; sta nella libertà di poter dire, scrivere, mettere in musica, rappresentare, urlare in piazza gli aspetti più drammatici e raccapriccianti del nostro modo di essere; sta nel fatto di poter dire sempre e ovunque:”questa società mi fa schifo, questa cultura mi fa schifo: cambiamola!” e magari dicendo questo guadagnarci pure sfruttando i mezzi che questa cultura offre. Vogliamo fare l’elenco di tutti quei filosofi, intellettuali, artisti, scrittori che, criticandola, sbeffeggiandola, demolendola hanno contribuito a fare grande la cultura occidentale? Vogliamo fare un analogo elenco in campo islamico? Ecco in cosa consiste la superiorità della cultura occidentale. Ed essa, talvolta, sfiora il masochismo. Alcuni dei nostri intellettuali non si azzarderebbero mai a dire:”Sono fiero di essere occidentale”; per carità, già lo sappiamo di essere un tantino superiori, vediamo di non ostentarlo. E invece perché non possiamo rivendicare e con orgoglio il nostro essere occidentale? Perché ciò che per gli altri è un sacrosanto diritto per noi diventa quasi un gesto di sopraffazione? Di indelicatezza nel migliore dei casi? Eppure noi siamo ciò che siamo e non vorremmo essere diversi dal nostro essere occidentali! Ah, che bestemmia!
Ma crediamo davvero noi occidentali di essere liberi dentro questa cultura globalizzata e totalizzante? Non ci accorgiamo degli spropositi e delle falsità che ci sprofondano in una realtà spesso irreale, plastificata, mercificata, anestetizzata? Ah, la cultura occidentale, così falsamente libera! E sia, ne conveniamo, schiere di artisti, poeti, letterati, filosofi, cineasti non hanno fatto altro che sbatterci in faccia questa scomoda verità, ma gradite forse la meno totalizzante islamica? Prego, ma lasciateci la nostra piccola, imperfetta, sgualcita, sorpassata, illusoria libertà: grazie! Perché nella cultura islamica forse sono più liberi? I cittadini sono più cittadini? C’è più benessere, giustizia sociale, tutela dei diritti dell’uomo? Perché allora migliaia di islamici vengono da noi? Certo non per abbracciare la nostra cultura, ma comunque per avere ciò noi abbiamo e che a loro, spesso in modo del tutto strumentale, fa comodo avere. E perché noi li lasciamo venire? Perché ci servono come forza lavoro? Sì, ma per questo ci sono tante altre nazioni non islamiche nel mondo. Perché diamo a loro le nostre stesse libertà? Perché lasciamo che costruiscano le loro moschee, i loro centri culturali, le loro scuole coraniche quando noi non possiamo fare altrettanto? Perché lasciamo che occupino interi quartieri? Perché invitiamo i loro rappresentanti ai nostri talkshow e gli diamo spazio sui nostri giornali e magari tra un po’ anche il voto, voto che magari non possono esercitare nemmeno a casa loro? Perché, fondamentalmente, riteniamo che i nostri valori culturali (libertà, democrazia, uguaglianza di diritti, giusto per citarne qualcuno) siano universalmente validi, quindi estendibili anche agli altri, a qualsiasi uomo, indipendentemente dalla cultura di provenienza e pensiamo che la nostra cultura sia talmente forte (o superiore?) da potercelo permettere. Se nel profondo di noi stessi non fossimo convinti di questo non faremmo queste cose: “Odio quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo” diceva Voltaire. Se questa sia una sopravvalutazione delle nostre forze o meno lo si vedrà. Esiste un’altra cultura capace di fare questo? Di aprirsi in tal modo anche verso chi in modo più o meno esplicito è pronto a distruggerla? Esiste una cultura che sappia produrre al suo interno voci di dissenso pronte a capire e giustificare chi vorrebbe, se ne avesse la possibilità, stravolgere il nostro modo di essere? Quanti milioni di islamici ci sono in Occidente? Qualche decina forse? Ora, immaginate di riversare nel mondo islamico qualche milione di occidentali; che so, 5-6 milioni in Arabia, 3-4 milioni in Pakistan, 1-2 milioni in Egitto e così via. Voi pensate che lo permetterebbero? Pensate che concederebbero ciò che noi concediamo a loro? Non crediamo di no. E perché non lo farebbero? Per paura, paura del confronto con la cultura occidentale, paura di essere fagocitati, sopraffatti (come accaduto al comunismo dopo la caduta del muro), perché l’aprirsi, ma a pari opportunità, sarebbe per loro una sconfitta dichiarata e attesa in quanto solo la chiusura consente loro la sopravvivenza. Le società aperte sono quelle che non temono il confronto con gli altri perché forti dei loro valori.
Alla fine ci chiediamo: ma è possibile stabilire alcuni valori fondamentali universalmente validi? Validi per l’uomo in quanto tale e non in quanto musulmano, cristiano o buddista, bianco o nero, ricco o povero? Solo un uomo ragionevole svincolato da ogni visione teologica lo può fare; e dove lo possiamo trovare quest’uomo? Quale cultura può o potrà o ha già tentato di partorirlo? Quella occidentale, sempre che, per eccesso di sicurezza non si faccia distruggere prima.


http://www.iostoconoriana.it/site/content.php?article.391

05/07/2006

La magistratura milanese vola al soccorso della Jihad islamica

In manette Marco Mancini, direttore della prima divisione del controspionaggio militare con lui in carcere un'altra persona
ROMA - Un duplice arresto e per qualcuno la fuga. E’ finito in manette Marco Mancini, direttore della prima divisione del Sismi, il controspionaggio militare, nell’ambito dell’inchiesta sul rapimento dell’Imam Abu Omar per il quale sono già sotto accusa 22 agenti della Cia. Con lui è stato arrestato una seconda persona di cui non è ancora noto il nome. Oltre ai due uomini del Sismi sarebbero state emesse misure di custodia cautelare nei confronti di altre persone, al momento latitanti. Quattro di essi sarebbero cittadini Usa. Di questi tre sarebbero appartenenti alla Cia mentre un quarto è stato a lungo in servizio con incarichi di responsabilità nella base militare americana di Aviano.
LA PROTESTA DI COSSIGA - «Con l'arresto avvenuto all'alba da parte di unitá della polizia giudiziaria della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri su mandato della magistratura milanese del capo e di alcuni elementi operativi del Controspionaggio del Sismi cui si devono alcune delle più brillanti operazioni all'interno ed all'estero del nostro servizio, tra le quali le liberazioni dei nostri ostaggi in Irak, il sostituto Spataro e l'intera Procura della Repubblica di Milano hanno dato un fondamentale contributo alla lotta internazionale contro il terrorismo», lo afferma, in una nota, il senatore a vita Francesco Cossiga. «Contributo che toccherá l'apice con il richiesto arresto di una squadra antiterrorismo della Cia. Per alcuni invece, si attende oggi un messaggio di Osama Bin Laden di vive congratulazioni e di ringraziamento per il prezioso aiuto alla Jihad islamica », conclude ironicamente Cossiga.
05 luglio 2006

 

www.corriere.it

04/07/2006

L'aggressione islamo-maoista contro gli Indu

I governi pakistani che si sono succeduti, dopo l’indipendenza e la divisione dall’India, hanno sempre avuto una politica aggressiva e nazista peggio di quella dei baathisti, rappresentati dal governo di Saddam Hussein. L’invasione del Bangladesh, dove genocidiarono milioni di persone, milioni di mussulmani come loro, assassinarono gettandoli in fosse comuni, assassinarono tutti gli intellettuali e tutti i giornalisti, in soli nove mesi, prima di subire una delle tre sconfitte, subite nelle tre guerre d’aggressione da lei iniziate contro l’India, ne è una prova certa.

Adesso Musharraf, sta permettendo la dissacrazione delle cultura e della religione della minoranza indù. L’unico tempio indù di Lahore, situato presso il Sarafa Bazaar, il Krishna Mandir è stato demolito per far posto ad un complesso commerciale, un oltraggio gravissimo, in palese violazione del patto Nerhu Liaquat, sotto le cui firme, i due paesi si impegnavano, a proteggere i luoghi di culto delle minoranze.

Il governo del Pakistan non sta solo facendo mancare la tutela dovuta, alle proprie minoranze, ma le sta addirittura angustiando, probabilmente ci saranno ripercussioni molto grandi in India, per questa oscenità, voluta anzi forse addirittura, cercata dal Pakistan, anche le trattative di pace tra i due paesi e tutti quei bei discorsi sul Kashmir ne risentiranno. 

Il Kashmir, dove l’Islam insegnato dai Sufi, non contempla in sé il concetto di odio per gli appartenenti ad altre razze o  religioni.

E' chiaro esistono ottime ragioni per sospettare che i maoisti del macellaio Prachanda, che esportano il terrorimo in India,  siano aiutati dal servizio segreto pakistano, l’Isi,  un tentativo per un califfato asiatico sotto l’egidia di Osama bin Laden, potrebbe far comodo al Pakistan che iniziando un processo di de-induizzazione, una pulizia etnica inizialmente culturale e poi fisica, così come sta facendo nel Balochistan, oltreché con il tempio di Krishna a Lahore,  potrebbe passare proprio attraverso l’inizio di episodi del genere.

Bin Laden,Perfoto2 dietro opportuni consigli, di Islamabad, potrebbe aver deciso di trasferirsi sulle montagne del Nepal, sentendo il fiato sul collo degli Usa, la strada potrebbe fargliela trovare aperta il gangster narcoterrorista Dawood Ibrahim, alla secolarizzazione, alle de-induizzazione del Nepal, 92% della popolazione è indù, ci stanno pensando i nuovi politici, rimane solo un problema gli indù, come farli divenire servi, schiavi del mondo delle tenebre, proposto da questa gente? C’ è solo un modo, corrompere i governanti dell’India, del Bangladesh e del Nepal, in Pakistan, sono già a posto: l’ India, dopo la rinuncia di Sonia Gandhi a ricoprire il ruolo che le spettava come vincitrice delle elzioni, ha un Primo Ministro Sikh e, in teoria potrebbe anche accadere, ma ultimamente durante la campagna elettorale fatta dai figli della Gandhi, Manmohan Singh, non è stato nominato una sola volta. Alla fine vedremo se madam Sonia Gandhi è una italiana degna di essere ricordata dagli storici indiani come una Madre India, o se è invece solo una strega.


F. G. Mangascià

http://israele.blog.lastampa.it/israele/2006/06/una_deind...