Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

22/11/2006

Italia in ostaggio in Libano

medium_Pope6.jpgL'uccisione a Beirut del ministro Pierre Gemayel, nipote del presidente della Repubblica Bechir Gemayel, ucciso da un simile attentato il 23 settembre 1982 era annunciata.
E' la logica conseguenza della decisione di Hezbollah di mettere in crisi il governo Siniora, riturando i suoi cinque ministri e dell'annuncio di Nasrallah di essere pronto a mobilitare un milione di persone per imporne le dimissioni.
In Libano, le crisi di governo seguono dal 1975 in poi questo stesso copione: le forze politiche filosiriane annunciano una crisi di governo e poi mettono a segno un attentato contro uno dei leader avversari per infiammare il clima, arrivare sull'orlo della guerra civile -spesso innescarla- e poi permettere a Damasco -mandante immancabile dell'attentato- di proporsi come mediatrice della crisi stessa, rafforzando la presa sul paese dei suoi alleati libanesi, in questo caso Hezbollah, Amal e il cristiano Aoun.
Questa è la Siria con cui tante anime belle in Italia, Europa e negli stessi Usa propongono di trattare.
I prossimi giorni ci diranno quali saranno gli esiti di questa spirale di violenza innescata a freddo e con feroce determinazione da damasco e dalle forze libanesi filosiriane. Sicuramente il ''fronte del 14 marzo'' che unisce tutti i democratici e gli antisiriani non si trova in una situazione facile ed è prevedibile il peggio.
Nel 1982, l'uccisione di Bechir Gemayel innescò la strage di Sabra e Chatila da parte delle milizie cristiane, fece saltare l'equilibrio politico aoppena raggiunto faticosamente è aprì la fase più sanguinaria della guerra civile da cui la Siria emerse come vera e propria nazione colonizzatrice del Libano.
Oggi, quello che è certo è che è crollata rovinosamente l'impostazione politica seguita da Prodi e da D'Alema per inviare il nostro contingente militare in Libano. Lo schema perseguito dal governo italiano, infatti era tutto e solo incentrato sul rapporto col governo Siniora, unico garante dell'accordo con un Hezbollah che si è sempre rifiutato di accettare direttamente la risoluzione 1791 dell'Onu.
Dopo questo attentato seguito alle dimissioni di Hezbollah, di fatto, il governo Siniora non esiste più, non governa più, non garantisce nulla.
I nostri soldati si ritrovano a fare il palo al riarmo di Hezbollah nel sud del Libano e dovrebbero fare riferimento a un esercito libanese che di per sé non ha alcuna forza militare e che da oggi si ritrova anche senza guida politica.
Un vuoto spaventoso, che mette il nostro paese, e tutta l'operazione Unifil in un cul de sac.
Urge un'iniziativa politica italiana e europea.
Ma non se ne vede traccia.

www.carlopanella.it

19/09/2006

Cristianismo ed islam: il dialogo teologico impossibile

Il chiasso seguito alla lezione di Regensburg spero che confermi ancor più Benedetto XVI nel suo atteggiamento di capo della Chiesa e di teologo. Il pontefice romano ha due compiti, simboleggiati dalle due chiavi, bianca e gialla: governare la Chiesa e guidare i fedeli a una retta interpretazione della fede. Questo secondo compito (all'attuale pontefice, credo, più gradito del primo) gli spetta in quanto vescovo: vescovo di Roma, il più importante di tutti, ma pur sempre vescovo, che ha il compito di insegnare. Prototipo di questo tipo di vescovo fu Sant'Agostino, in polemica molte volte violenta contro altri vescovi (Donato, Pelagio, Massimino). Agostino non era papa, e poteva permettersi prese di posizione che al capo della Chiesa sono sconsigliate dalla sua funzione politica. Perciò a Regensburg Benedetto XVI ha parlato con moderazione (negata da chi è in cattiva fede); ma ha parlato da teologo, non da papa. Ciò è bastato a scatenare l'ira congiunta di fondamentalisti e di laicisti. La politica della Chiesa - ad esempio, a proposito dei luoghi santi - può e deve intraprendere con i musulmani un «dialogo», in sostanza pragmatico: cerchiamo di convivere.
Ma la ricerca teologica della verità (che la Chiesa svolge in funzione del dogma ma, augurabilmente, in modo non dogmatico) non deve cercare un dialogo inteso in quel senso. Quando si crede di poterlo fare, ci si accorge che è un «dialogo tra sordi». Questa espressione si trova nell'opera di un laico sensibilissimo ai problemi religiosi, Alain Besançon, uscita nel 1996: Tre tentazioni della Chiesa, dove (guarda caso) si trova lo stesso esempio portato da Ratzinger: la controversia dell'erede al trono di Bisanzio, Emanuele II Paleologo, con un dotto musulmano, di cui il principe era temporaneamente ospite ad Ankara, in qualità di ostaggio (1390-91). La «tentazione dell'Islam», in cui cadde il Paleologo e, a volte, di nuovo la Chiesa, è il collocare le «tre religioni del libro» su uno stesso piano omogeneo, sul quale discutere. Questo piano non esiste, secondo Besançon, perché l'islamismo non conosce il concetto ebraico dell'Alleanza; e non esiste, secondo Ratzinger perché l'islamismo non riconosce l'esistenza di una «ragione naturale», capace di cercare la verità indipendentemente dalla Rivelazione. Questa posizione, tipica di Tommaso d'Aquino (che fu detto, perciò, «il primo liberale della storia»), era già esposta nella più bella enciclica di Giovanni Paolo II: «Fede e ragione».
Con i musulmani coerenti non è possibile dialogare perché non ammettono, né una ragione naturale, né una libertà dell'uomo, sia pure intrinsecamente finite. Se l'Islam è preso sul serio la libertà dell'uomo non c'è, perché tutto ciò che l'uomo sembra fare è fatto direttamente da Dio, come Dio vuole. E non c'è ragione naturale perché quelle regolarità che osserviamo di fatto nella natura sono regolarità del volere di Dio, che potrebbe benissimo non seguirle (e, infatti, spesso non le segue).
Con i musulmani si potrebbe, al più, dialogare ad hominem. Ad esempio: «Voi dite che Dio è grande quando cadono le torri gemelle ed è vero; ma Dio è grande anche quando l'armata turca è sconfitta a Lepanto», e così via. Si potrebbe dialogare così: ma sarebbe fatica sprecata.

Vittorio Mathieu

www.ilgiornale.it

 

18/09/2006

Violenza: il male intrinseco dell'islam

medium_Abou.jpgCon una perfetta replica della mobilitazione violenta contro le vignette di Maometto del febbraio scorso, tutti i principali leader musulmani fondamentalisti, sciiti come sunniti, stanno eccitando la umma a rispondere ''con collera pacifica'', come dice l'ammiratore dei terroristi Yusuf al Qaradawi, alle parole di Benedetto XVI sull'Islam. Altri vanno oltre, uccidono una suora in Somalia o assaltano chiese come in Cisgiordania.
Nessuno, naturalmente dà prova di avere letto la lectio magistralis pontificia, o comunque di averla compresa (ad eccezione del re del Marocco Mohammed VI, che infatti pacatamente risponde nel merito, sostenendo che anche nell'Islam fede e ragione convivono in pieno e non chiede nessuna abiura). L'iraniano sciita ayatollah Khamenei, il sunnita al Qaradawi, il leader dei Fratelli musulmani Habib e tanti altri, invece, chiedono e pretendono non solo le scuse, ma anche l'umiliazione del pontefice. Lanciano il segnale inequivocabile che l'Islam non si può discutere, né criticare, neanche con un pacato ragionamento teologico che peraltro comporta anche una straordinaria apertura di dialogo con l'Islam, come quello sviluppato da Benedetto XVI a Ratisbona. Il tutto pazzescamente avvallato da un delirante editoriale del New York Times di sabato scorso che si fa megafono delle stesse, identiche, posizioni. Riprova dell'affermazione di un laicismo fondamentalista che nulla ha da invidiare al più becero estremismo musulmano.
Mentre al Qaida -che denuncia il complotto crociato di Bush, con parole straordinariamente simili a quelle di Khamenei- minaccia di ''conquistare Roma come fu conquistata Costantinopoli'', la più alta autorità religiosa saudita dà -senza volerlo naturalmente- piena ragione a Benedetto XVI, difendendo a spada tratta la concezione più cruenta del jihad. Abdulaziz Sheikh, gran muftì saudita, che ha dato al pontefice dell'''ignorante e bugiardo'' infatti ha dichiarato che la guerra santa, il jihad violento è assolutamente attuale: ''Dio ha autorizzato i fedeli a difendersi e a combattere coloro che li combattevano, il che equivale a un diritto legittimato da Dio. L'ordine di combattere non risale al Profeta Maometto. Altri profeti combatterono i loro nemici, compresi i profeti degli Israeliti, come Mosè e David''.
Prova provata che una larga parte dell'Islam oggi ripropone la logica delle società umane di duemila anni fa, che rifiuta di cogliere ogni minimo segno della modernità, che ritiene la violenza e la guerra parte costitutiva della fede. Esattamente quanto sosteneva Michele II Paleologo, tanto oportunamente citato dal pontefice e Ratisbona.

www.carlopanella.it

Les "versets sataniques" de Benoït XVI

medium_arton969.gifVoici l'extrait du discours de Benoït XVI qui a inflammé les sanguinaires mahométains:

 

..."Tout cela m’est revenu à l’esprit lorsque récemment j’ai lu une partie du dialogue publié par le professeur Khoury (de Münster) entre l’empereur byzantin lettré Manuel II Paléologue et un savant persan dans le camp d’hiver d’Ankara en 1391, sur le christianisme et l’islam, et sur leur vérité respective. L’empereur a sans doute mis par écrit le dialogue pendant le siège de Constantinople entre 1394 et 1402. On peut comprendre ainsi que ses propres exposés soient restitués de façon bien plus explicite que les réponses du lettré persan. Le dialogue s’étend à tout le domaine de ce qui est écrit dans la Bible et dans le Coran au sujet de la foi ; il s’intéresse en particulier à l’image de Dieu et de l’homme, mais aussi au rapport nécessaire entre les « trois Lois » : Ancien Testament – Nouveau Testament – Coran. Dans mon exposé, je ne voudrais traiter que d’un seul aspect – au demeurant marginal dans la rédaction du dialogue –, un aspect en lien avec le thème foi et raison qui m’a fasciné et me sert d’introduction à mes réflexions sur ce thème.

Dans le 7e dialogue édité par le professeur Khoury (‘dialexis’, «controverse»), l’empereur en arrive parler du thème du ‘djihâd’ (guerre sainte). L’empereur savait certainement que dans la sourate 2, 256, il est écrit : «Pas de contrainte en matière de foi» – c’est l’une des sourates primitives datant de l’époque où Mohammed lui-même était privé de pouvoir et se trouvait menacé.

Mais l’empereur connaissait naturellement aussi les dispositions inscrites dans le Coran – d’une époque plus tardive – au sujet de la guerre sainte. Sans s’arrêter aux particularités, comme la différence de traitement entre « gens du Livre » et « incroyants », il s’adresse à son interlocuteur d’une manière étonnamment abrupte au sujet de la question centrale du rapport entre religion et contrainte. Il déclare : « Montre-moi donc ce que Mohammed a apporté de neuf, et alors tu ne trouveras sans doute rien que de mauvais et d’inhumain, par exemple le fait qu’il a prescrit que la foi qu’il prêchait, il fallait la répandre par le glaive. »

L’empereur intervient alors pour justifier pourquoi il est absurde de répandre la foi par la contrainte. Celle-ci est en contradiction avec la nature de Dieu et la nature de l’âme. « Dieu ne prend pas plaisir au sang, et ne pas agir raisonnablement (‘sunlogô’) est contraire à la nature de Dieu. La foi est un fruit de l’âme, non du corps. Donc si l’on veut amener quelqu’un à la foi, on doit user de la faculté de bien parler et de penser correctement, non de la contrainte et de la menace. Pour convaincre une âme raisonnable, on n’a besoin ni de son bras, ni d’un fouet pour frapper, ni d’aucun autre moyen avec lequel menacer quelqu’un de mort.»

La principale phrase dans cette argumentation contre la conversion par contrainte s’énonce donc ainsi : Ne pas agir selon la raison contredit la nature de Dieu. Le professeur Théodore Khoury, commente ainsi : pour l’empereur, «un Byzantin, nourri de la philosophie grecque, ce principe est évident. Pour la doctrine musulmane , Dieu est absolument transcendant, sa volonté n’est liée par aucune de nos catégories, fût-elle celle du raisonnable». Khoury cite à l’appui une étude du célèbre islamologue français R. Arnaldez, affirmant qu’«Ibn Hasm ira jusqu’à soutenir que Dieu n’est pas tenu par sa propre parole, et que rien ne l’oblige à nous révéler la vérité : s’Il le voulait, l’homme être idolâtre» (1).

Ici s’effectue une bifurcation dans la compréhension de Dieu et dans la réalisation de la religion, qui nous interpelle directement aujourd’hui. Est-ce seulement grec, de penser qu’agir contre la raison est en contradiction avec la nature de Dieu, ou est-ce une vérité de toujours et en soi ? Je pense qu’en cet endroit devient visible l’accord profond entre ce qui est grec, au meilleur sens du terme, et la foi en Dieu fondée sur la Bible.

En référence au premier verset de la Genèse, Jean a ouvert le prologue de son Évangile avec la parole : ‘Au commencement était le Logos.’ C’est exactement le terme qu’emploie l’empereur : Dieu agit avec logos. Logos désigne à la fois la raison et la Parole – une raison qui est créatrice et peut se donner en participation, mais précisément comme raison. Jean nous a ainsi fait don de la parole ultime du concept biblique de Dieu, parole dans laquelle aboutissent tous les chemins, souvent difficiles et tortueux, de la foi biblique, et trouvent leur synthèse. Au commencement était le Logos, et le Logos est Dieu, nous dit l’évangéliste. La rencontre du message biblique et de la pensée grecque n’est pas un hasard. La vision de saint Paul à qui se fermèrent les chemins vers l’Asie et qui vit en songe au cours de la nuit un Macédonien et l’entendit l’appeler : ‘Viens à notre aide’ (Actes 16, 6-10) – cette vision peut être interprétée comme un condensé de la nécessaire rencontre interne entre foi biblique et questions grecques.

Cette rencontre était depuis longtemps en marche. Déjà le nom de Dieu très mystérieux émanant du buisson ardent, qui sépare ce Dieu de tous les dieux aux noms multiples et le nomme simplement l’Être, est une contestation du mythe, qui n’est pas sans analogie interne avec la tentative de Socrate de dépasser et de surmonter le mythe. Le processus commencé au buisson ardent parvient à une nouvelle maturité à l’intérieur de l’Ancien Testament durant l’Exil, où le Dieu d’Israël, alors privé de pays et de culte, se proclame comme le Dieu du ciel et de la terre et se présente avec une simple formule, dans la continuation de la parole du buisson ardent « Je le suis ». Avec cette nouvelle confession de Dieu s’opère de proche en proche une clarification qui s’exprime efficacement dans le mépris des idoles, lesquelles ne sont que des ouvrages fabriqués par les hommes (cf. Ps 115).

C’est ainsi que la foi biblique à l’époque helléniste, s’étant opposée avec une extrême vigueur aux autorités hellénistes qui voulaient faire adopter par la contrainte les manières de vivre des Grecs et le culte de leurs divinités, alla de l’intérieur à la rencontre de la pensée grecque en ce qu’elle avait de meilleur pour un apaisement réciproque, telle qu’elle s’est en particulier réalisée plus tard dans la littérature sapientielle. Aujourd’hui, nous savons que la traduction de l’Ancien Testament de l’hébreu en grec réalisée à Alexandrie – la Septante – est plus qu’une simple traduction du texte hébreu (appréciée peut-être de façon pas très positive) ; à vrai dire, il s’agit d’un témoin textuel indépendant et d’un pas spécifique important de l’histoire de la Révélation, par lequel s’est réalisée cette rencontre d’une manière qui acquit une signification décisive pour la naissance et l’expansion du christianisme. En profondeur, il y va, dans la rencontre entre foi et raison, des lumières et de la religion authentiques. A partir de l’essence de la foi chrétienne et en même temps à partir de l’essence de l’hellénisme, qui s’était fondu avec la foi, Manuel II a pu effectivement déclarer : Ne pas agir « avec le Logos » est en contradiction avec la nature de Dieu."...

Benoït XVI, Université de Ratisbonne

A l'attaque des médias libres occidentaux!!

medium_Donne5.2.jpgRYAD (Reuters) - Les investisseurs musulmans devraient entrer dans le capital d'influents médias occidentaux afin d'améliorer l'image de leurs coreligionnaires aux yeux du monde, a proposé l'Organisation de la conférence islamique (OCI).

Des ministres de l'Information et d'autres responsables sont réunis à Djeddah, en Arabie saoudite, sous l'égide de l'OCI, qui compte 57 membres.

Ils jugent que les musulmans ont été victimes d'une diabolisation dans les médias après les attentats du 11 septembre 2001 contre les Etats-Unis, où 19 Arabes ont tué près de 3.000 personnes.

"Les investisseurs musulmans doivent investir dans les grands médias internationaux, qui génèrent souvent d'importants bénéfices, afin de pouvoir influer sur leur politique par le biais de leurs conseils d'administration", a déclaré le président de l'OCI, Ekmeleddin Ihsanoglu.

"Cela servirait à corriger l'image de l'islam dans le monde entier", a-t-il ajouté, appelant les pays musulmans à créer davantage de chaînes télévisées dans des langues parlées dans les pays occidentaux.

"UN NOUVEAU MESSAGE ISLAMIQUE"

Les hommes d'affaires musulmans sont peu représentés dans les médias occidentaux.

Un milliardaire saoudien, le prince Alwalid bin Talal, possède 5,46% de News Corp, le groupe de Rupert Murdoch qui contrôle notamment la chaîne Fox News, plutôt marquée à droite et en aucun cas favorable aux intérêts arabo-musulmans.

La réaction de Washington au 11-Septembre, l'invasion de l'Afghanistan et de l'Irak et l'impact de la "guerre contre le terrorisme" sur les libertés civiques aux Etats-Unis ont suscité un sentiment de persécution dans le monde musulman.

La publication très controversée dans la presse danoise de caricatures représentant le prophète Mahomet a accentué cette impression en début d'année.

"La violente attaque contre l'islam perpétrée dans les cinq années qui ont suivi les attentats du 11-Septembre nous a contraints à adopter une position défensive en ce qui concerne notre religion", a déclaré le ministre égyptien de l'Information, Anas el Feki.

"Maintenant plus que jamais il nous faut un nouveau message islamique dans les médias, qui atteigne le monde entier", a-t-il ajouté, citant le récent conflit entre Israël et le Hezbollah libanais comme un exemple du type d'événements autour desquels les musulmans devraient être en mesure de faire connaître leurs vues".(Fin de citation).

COMMENTAIRE: il s'agit d'une nouvelle de gravité inouïe, car la strategie est de prendre possession des médias occidentaux pour s'en servir comme moyen de propagande nazislamique, et mieux encore, pour étouffer toute information objective sur les fidèles mahométains.

Après avoir acheté nos hommes politiques, ils veulent acheter les journaux, la radio, la télévision....!!

17/09/2006

Le loup et l'agneau

medium_arton10217.2.jpg

La raison du plus fort est toujours la meilleure :
Nous l'allons montrer tout à l'heure.
Un Agneau se désaltérait
Dans le courant d'une onde pure.
Un Loup survient à jeun qui cherchait aventure,
Et que la faim en ces lieux attirait.
Qui te rend si hardi de troubler mon breuvage ?
Dit cet animal plein de rage :
Tu seras châtié de ta témérité.
- Sire, répond l'Agneau, que votre Majesté
Ne se mette pas en colère ;
Mais plutôt qu'elle considère
Que je me vas désaltérant
Dans le courant,
Plus de vingt pas au-dessous d'Elle,
Et que par conséquent, en aucune façon,
Je ne puis troubler sa boisson.
- Tu la troubles, reprit cette bête cruelle,
Et je sais que de moi tu médis l'an passé.
- Comment l'aurais-je fait si je n'étais pas né ?
Reprit l'Agneau, je tette encor ma mère.
- Si ce n'est toi, c'est donc ton frère.
- Je n'en ai point. - C'est donc quelqu'un des tiens :
Car vous ne m'épargnez guère,
Vous, vos bergers, et vos chiens.
On me l'a dit : il faut que je me venge.
Là-dessus, au fond des forêts
Le Loup l'emporte, et puis le mange,
Sans autre forme de procès.

Jean De La Fontaine

PS: la photo en haut est la couverture d'un best-seller turque qui fait l'apologie du meurtre du Pape. Vérification?

http://www.yucelkaya.com/papa.htm

La messe est dite!

medium_arton10230.jpgLe monde entier attendait la déclaration du pape ce dimanche, à 10 heures GMT, soit midi à l'horloge de l'Europe de l'Ouest. Le mécréant que je suis croyait que l'angélus était une prière de l'après-midi chez les catholiques et pas celle de l'apéro, mais peu importe.

France 2 et les autres chaînes de télévision et de radio françaises s'empressent de parler des « regrets » de Benoît XVI, voire d'« excuses ». Mais quelle bande de « takieurs » !

En italien, Benoît XVI a dit ce dimanche depuis le balcon de Castel Gandolfo : « In questo momento desidero solo aggiungere che sono vivamente rammaricato per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso all'Università di Ratisbona, ritenuto offensivo per la sensibilità dei credenti musulmani mentre si trattava di una citazione di un testo medioevale che non esprime in nessun modo il mio pensiero personale (…) »

« Vivamente rammaricato », que le Vatican traduit officiellement par « Je suis vivement attristé par les réactions suscitées par un bref passage de mon discours (...) ». On cherchera en vain une quelconque « désolation », tant dans la version française qu'italienne.

Mais nous constatons la même takia sémantique des « journalistes » français à propos de la mise au point officielle de Federico Lombardi, porte-parole du Saint-Siège, le 14 septembre.

Là encore, France 2 n'hésite pas à dire que le pape « présente ses excuses » aux musulmans, et la plupart des médias titrent que Benoît XVI est « vivement désolé », voire « absolument désolé » d'avoir « offensé » les adeptes de l'islam.

Nos médias se basaient sur une seule phrase du communiqué, qui disait, selon leur traduction, que le pape était « vivement désolé », et même « absolument désolé » par les réactions et les interprétations musulmanes (et non par ce qu'il a dit !)

Or quelle était la phrase dans le communiqué officiel en italien ? « "Benedetto XVI è vivamente dispiaciuto che alcuni passi del suo discorso abbiano potuto suonare come offensivi della sensibilità dei credenti musulmani che siano stati interpretati in modo del tutto non corrispondente alle sue intenzioni. »

Ainsi, nos journalistes traduisent comme un seul homme « vivamente dispiaciuto » par « vivement désolé », « désolé » et même « absolument désolé » !

Le pape n'a jamais évoqué le fait qu'il « offense » les musulmans, mais il parle du fait que des parties de son discours ont été considérés comme « offensants » par des musulmans. Pour prendre une comparaison, ce n'est pas parce que je constate que Mouloud Aounit traite France-Echos de « raciste » que je pense que ce site est « raciste ». C'est même le contraire ! Prêter à Benoît XVI un quelconque aveu de délit d'« offense » est donc un premier mensonge médiatique, mais c'est loin d'être le seul.

Aucun traducteur n'oserait confondre « vivamente », qui se traduit en français « vivement » avec les mêmes acceptions, en « absolument », ce qu'on fait pourtant de nombreux médias. Cet adverbe « absolument » sort donc de l'imagination de « journaliste », tout comme les « regrets » ou les « excuses ».

Quant au qualificatif « dispiaciuto », ces mêmes copistes qui se prétendent journalistes l'ont quasiment tous traduit par « désolé », ce qui leur permettait de prêter au pape l'intention de « regrets », voire d'« excuses », alors que pas un mot du communiqué officielle du Vatican ne donnait le moindre synonyme de ces mots.

« Dispiaciuto », littéralement, ça veut dire « déplu », du verbe italien « dispiaciere », dont l'équivalent français « déplaire » a la même étymologie et les mêmes acceptions sémantiques. Le communiqué dit donc, mot à mot, que le pape a été « vivement déplu » qu'un quelconque passage de son discours soit ressenti comme une offense contre les musulmans. Mais la forme transitive « être déplu » n'existe pas en français, contrairement à l'italien : on déplait à quelqu'un, on ne déplaît pas quelqu'un.

Comme cette forme transitive du verbe « déplaire » n'existe pas dans notre langue et que par conséquent sa forme passive est impossible dans la langue de Molière, il eût fallu que nos journalistes qui semblent maîtriser la sémantique française et italienne aussi bien qu'une vache espagnole ou qu'un président du Mrap, rétablissent la forme active dans leurs traductions, ce qui aurait donné : « Le fait qu'un quelconque passage de son discours a pu être considéré comme offensant (…) a vivement déplu à Benoît XVI ».

Et le fait de trouver quelque chose « déplaisant » ne veut aucunement dire qu'on soit « désolé » (et le Vatican aurait dit tout simplement « desolato » au lieu de « dispiaciuto »), et encore moins que le pape « regrette » ou présente des « excuses ». Si on veut conserver la forme passive de « dispiaciuto » (« déplu »), il fallait en français utiliser des synonymes, et dire que le pape était « ennuyé » (et une agence de presse a traduit ainsi), « contrarié », « gêné », ou plus prosaïquement « emmerdé » par l'interprétation inexacte que les réactions musulmanes prêtent aux propos papaux.

On voit donc que par deux fois, les médias français (et italiens ndr) font dire au pape ou à son porte-parole ce qu'ils n'ont absolument pas dit.

Je pourrais faire l'analyse sémantique du reste du communiqué de Federico Lombardi ou de l'homélie dominicale de Benoît XVI, mais en retenant les seuls mots improprement traduits, « rammaricato » et « dispiaciuto » qui ont servi aux porte-calames de la presse française pour clamer haut et fort que le pape était « désolé » ou présenterait des « regrets » et des « excuses » parfaitement imaginaires, on voit la manipulation sémantique opérée volontairement ou non par ces agents de l'« islamiquement correct ».

Benoît XVI n'est pas « absolument désolé », et n'est absolument pas « désolé » de quoi que ce soit. Il ne présente ni regrets ni excuses, et ne dément ni n'infirme ni ne corrige un seul iota de ses déclarations de mardi sur le Coran, sur Mahomet et sur l'islam. Tout au contraire, il se montre surpris et « attristé » par les réactions et les interprétations mahométanes à ce qu'il a dit, à savoir que l'islam n'obéit aucunement à la raison et que Mahomet a apporté la violence dans son Coran.

www.france-echos.com

 

Le Pape attaqué pour avoir dit la verité

medium_arton10208.jpg
AVANT de se recueillir sur la tombe de ses parents, Benoît XVI est redevenu le professeur Ratzinger. Après une plongée, lundi, dans la Bavière de son enfance, au sanctuaire marial d'Altötting, le Pape a célébré la dernière grande messe de son voyage en Bavière à Ratisbonne, où il a autrefois enseigné. S'il n'avait fait aucun commentaire personnel pour le cinquième anniversaire des attentats du 11 Septembre, hier il a pour la première fois livré une réflexion sur l'islam.
Il a surtout mis en garde l'Occident contre un choc de civilisations qui pourrait lui être fatal.
Devant les «pathologies et les maladies mortelles de la religion et de la raison» qui détruisent l'image de Dieu «à cause de la haine et du fanatisme», il a ainsi demandé à 260 000 fidèles de dire «en quel Dieu ils croient» et de professer «le visage d'un Dieu humain». C'est, selon lui, le seul moyen de se libérer de «l'athéisme moderne». Mais c'est aussi dans ce diagnostic que réside la différence fondamentale entre le christianisme et le monde musulman.
Une vision différente de Dieu
C'est dans l'après-midi et dans l'atmosphère familière du grand amphithéâtre de l'université de Ratisbonne, que le Pape a livré sa démonstration devant un aréopage d'universitaires. Il a conduit sa réflexion sur le rapport entre religion, raison et science, en partant de l'Islam. Filant la métaphore à partir d'une controverse qui a bien eu lieu au XIVe siècle entre un empereur byzantin prêt à céder aux assauts de l'Islam ottoman et un lettré musulman, le Pape a rappelé que «la violence est contraire à la nature de Dieu» et à la raison, à laquelle est liée «la compréhension de Dieu et donc la réalisation concrète de la religion». Si ceci est évident pour un chrétien, en revanche la conception musulmane de Dieu «n'est liée à aucune de nos catégories, fusse-t-elle celle de la raison».
Pour Benoît XVI, chrétiens et musulmans ne partagent donc ni la même philosophie et surtout pas la même vision de Dieu. Le christianisme héritier du monde grec antique est, lui, lié à la raison. C'est cette rencontre entre chrétienté et philosophie antique qui «demeure le fondement de ce que l'on peut appeler avec raison l'Europe», a ainsi déclaré le Pape, qui doit se rendre en Turquie à la fin du mois de novembre.

Ainsi, si le monde occidental qui «domine largement la pensée» veut conserver sa suprématie, il ne doit pas croire que «Dieu est superflu» et opposer science et foi chrétienne. En effet, «les cultures profondément religieuses du monde voient dans l'exclusion du divin une attaque contre leur conviction les plus intimes». L'Occident chrétien «repoussant la religion dans le champ de la sous-culture» serait incapable «de s'insérer dans le dialogue des cultures». Le Pape en concluant sa journée par une rencontre avec des représentants orthodoxes et protestants dans la cathédrale de Ratisbonne, leur a ainsi demandé de constituer une sorte de front commun, «d'être les témoins d'un mode de vie» dans «un monde plein de confusion».

www.lefigaro.fr

Ciao Oriana!

medium_arton10205.jpgOriana ci ha lasciati giovedi notte, dopo un'intera vita spesa a difendere il valore universale della libertà e del coraggio nella lotta contro i tre totalitarismi

La sua testimonianza non é stata vana. Ciascuno di noi nel suo piccolo continuerà a portare avanti la sua lotta.

Ciao Oriana, grazie di tutto cio' che hai fatto per noi ed i nostri figli!

Qui sotto un suo articolo, forse l'ultimo, scritto per il Giornale:

 

 

DEMOCRAZIE PAUROSE

 

Be': un premio intitolato a una donna che saltò sopra le Cascate del Niagara, e sopravvisse, è mille volte più prezioso e prestigioso ed etico di un Oscar o di un Nobel: fino a ieri gloriose onorificenze rese a persone di valore e oggi squallide parcelle concesse a devoti antiamericani e antioccidentali quindi filoislamici.

Insomma a coloro che recitando la parte dei guru illuminati che definiscono Bush un assassino, Sharon un criminale–di-guerra, Castro un filantropo, e gli Stati Uniti «la potenza–più-feroce, più-barbara, più–spaventosa–che–il-mondo–abbia-mai conosciuto».

Infatti se mi assegnassero simili parcelle (graziaddio un'eventualità più remota del più remoto Buco Nero dell'Universo), querelerei subito le giurie per calunnia e diffamazione. Al contrario, accetto questo «Annie Taylor» con gratitudine e orgoglio. E pazienza se sopravvaluta troppo le mie virtù.
Sì: specialmente come corrispondente di guerra, di salti ne ho fatti parecchi. In Vietnam, ad esempio, sono saltata spesso nelle trincee per evitare mitragliate e mortai. Altrettanto spesso sono saltata dagli elicotteri americani per raggiungere le zone di combattimento. In Bangladesh, anche da un elicottero russo per infilarmi dentro la battaglia di Dacca. Durante le mie interviste coi mascalzoni della Terra (i Khomeini, gli Arafat, i Gheddafi eccetera) non meno spesso sono saltata in donchisciotteschi litigi rischiando seriamente la mia incolumità. E una volta, nell'America Latina, mi sono buttata giù da una finestra per sfuggire agli sbirri che volevano arrestarmi. Però mai, mai, sono saltata sopra le Cascate del Niagara. Né mai lo farei. Troppo rischioso, troppo pericoloso. Ancor più pericoloso che scrivere la verità.
Crediamo di vivere in vere democrazie, democrazie sincere e vivaci nonché governate dalla libertà di pensiero e di opinione. Invece viviamo in democrazie deboli e pigre, quindi dominate dal dispotismo e dalla paura. Paura di pensare e, pensando, di raggiungere conclusioni che non corrispondono a quelle dei lacchè al potere. Paura di parlare e, parlando, di dare un giudizio diverso dal giudizio subdolamente imposto da loro. Paura di non essere sufficientemente allineati, obbedienti, servili, e venire scomunicati attraverso l'esilio morale con cui le democrazie deboli e pigre ricattano il cittadino. Paura di essere liberi, insomma. Di prendere rischi, di avere coraggio.
Nei regimi assolutisti o dittatoriali, scrive Tocqueville, il dispotismo colpisce il corpo. Lo colpisce mettendolo in catene o torturandolo o sopprimendolo in vari modi. Decapitazioni, impiccagioni, lapidazioni, fucilazioni, Inquisizioni eccetera. E così facendo risparmia l'anima che intatta si leva dalla carne straziata e trasforma la vittima in eroe. Nelle democrazie inanimate, invece, nei regimi inertemente democratici, il dispotismo risparmia il corpo e colpisce l'anima. Perché è l'anima che vuole mettere in catene. Torturare, sopprimere. Così alle sue vittime non dice mai ciò che dice nei regimi assolutisti o dittatoriali: «O la pensi come me o muori». Dice: «Scegli. Sei libero di non pensare o di pensare come la penso io. Se non la pensi come la penso io, non ti sopprimerò. Non toccherò il tuo corpo. Non confischerò le tue proprietà. Non violerò i tuoi diritti politici. Ti permetterò addirittura di votare. Ma non sarai mai votato. Non sarai mai eletto. Non sarai mai seguito e rispettato. Perché ricorrendo alle mie leggi sulla libertà di pensiero e di opinione, io sosterrò che sei impuro. Che sei bugiardo, dissoluto, peccatore, miserabile, malato di mente. E farò di te un fuorilegge, un criminale. Ti condannerò alla Morte Civile, e la gente non ti ascolterà più. Peggio. Per non essere a sua volta puniti, quelli che la pensano come te ti diserteranno».
La piaga si propaga anche attraverso i giornali, la Tv, la radio. Attraverso i media che per convenienza o viltà o stupidità sono in gran maggioranza islamofili e antioccidentali e antiamericani quanto i maestri, i professori, gli accademici che non dimenticano mai di attaccare Israele, leccare i piedi all'Islam. Si propaga anche attraverso le canzoni e le chitarre e i concerti rock e i film, quella piaga. Attraverso uno show-business dove, come i vostri ottusi e presuntuosi e ultra-miliardari giullari di Hollywood, i nostri giullari sostengono il ruolo di buonisti sempre pronti a piangere per gli assassini. Mai per le loro vittime. Si propaga anche attraverso un sistema giudiziario che ha perduto ogni senso della Giustizia, ogni rispetto della giurisdizione. Voglio dire attraverso i tribunali dove, come i vostri magistrati, i nostri magistrati assolvono i terroristi con la stessa facilità con cui assolvono i pedofili. (O li condannano a pene irrisorie).
E finalmente si propaga attraverso l'intimidazione della buona gente in buona fede. Voglio dire la gente che per ignoranza o paura subisce quel dispotismo e non comprende che col suo silenzio o la sua sottomissione aiuta il risorto nazi-fascismo a fiorire. Non a caso, quando denuncio queste cose, mi sento davvero come una Cassandra che parla al vento. O come uno dei dimenticati antifascisti che 70 e 80 anni fa mettevano i ciechi e i sordi in guardia contro una coppia chiamata Mussolini e Hitler. Ma i ciechi restavano ciechi, i sordi restavano sordi, ed entrambi finirono col portar sulla fronte ciò che ne L'Apocalisse chiamo il Marchio della Vergogna.
Di conseguenza le mie vere medaglie sono gli insulti, le denigrazioni, gli abusi che ricevo dall'odierno maccartismo. Dall'odierna Caccia alle Streghe, dall'odierna Inquisizione. I miei trofei, i processi che in Europa subisco per reato di opinione. Un reato ormai travestito coi termini «vilipendio dell'Islam, razzismo o razzismo religioso, xenofobia, istigazione all'odio eccetera». Parentesi: può un codice penale processarmi per odio?
Sì, io odio i Bin Laden. Odio gli Zarkawi. Odio i kamikaze e le bestie che ci tagliano la testa e ci fanno saltare in aria e martirizzano le loro donne. Odio i bastardi che insozzano le facciate delle chiese. Odio gli Ward Churchill, i Noam Chomsky, i Louis Farrakhan, i Michael Moore, i complici, i collaborazionisti, i traditori, che ci vendono al nemico. Li odio come odiavo Mussolini e Hitler e Stalin and Company. Li odio come ho sempre odiato ogni assalto alla Libertà, ogni martirio della Libertà. È un mio sacrosanto diritto. E se sbaglio, ditemi perché coloro che odiano me più di quanto io odi loro non sono processati col medesimo atto d'accusa. Voglio dire: ditemi perché questa faccenda dell'Istigazione all'Odio non tocca mai i professionisti dell'odio, i musulmani che sul concetto dell'odio hanno costruito la loro ideologia. La loro filosofia. La loro teologia. Ditemi perché questa faccenda non tocca mai i loro complici occidentali. Sono un'atea, sì. Un'atea-cristiana, come sempre chiarisco, ma un'atea. E Papa Ratzinger lo sa molto bene. Ne La Forza della Ragione uso un intero capitolo per spiegare l'apparente paradosso di tale autodefinizione. Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice: «Ok. (L'ok è mio, ovvio). Allora velut si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse». Parole da cui desumo che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più acute che in quella laica alla quale appartengo. Talmente aperte ed acute che non tentano nemmeno, non si sognano nemmeno, di salvarmi l'anima cioè di convertirmi. Uno dei motivi per cui sostengo che, vendendosi al teocratico Islam, il laicismo ha perso il treno. È mancato all'appuntamento più importante offertogli dalla storia e così facendo ha aperto un vuoto, una voragine che soltanto la spiritualità può riempire. Uno dei motivi, inoltre, per cui nella Chiesa d'oggi vedo un inatteso partner, un imprevisto alleato. In Ratzinger, e in chiunque accetti la mia per loro inquietante indipendenza di pensiero e di comportamento, un compagnon-de-route. Ammenoché anche la Chiesa manchi al suo appuntamento con la storia. Cosa che tuttavia non prevedo. Perché, forse per reazione alle ideologie materialistiche che hanno caratterizzato lo scorso secolo, il secolo dinanzi a noi mi sembra marcato da una inevitabile nostalgia anzi da un inevitabile bisogno di religiosità. E, come la religione, la religiosità finisce sempre col rivelarsi il veicolo più semplice (se non il più facile) per arrivare alla spiritualità.
A rischio di sconfessare l'illimitato rispetto che gli americani vantano nei riguardi di tutte le religioni, devo anche chiarire ciò che segue. Come mai in un Paese dove l'85 per cento dei cittadini dicono di essere cristiani, così pochi si ribellano all'assurda offensiva che sta avvenendo contro il Natale? Come mai così pochi si oppongono alla demagogia dei radicals che vorrebbero abolire le vacanze di Natale, gli alberi di Natale, le canzoni di Natale, e le stesse espressioni Merry Christmas e Happy Christmas, Buon Natale, eccetera?!? Come mai così pochi protestano quando quei radicals gioiscono come talebani perché in nome del laicismo un severo monumento a gloria dei Dieci Comandamenti viene rimosso da una piazza di Birmingham? E come mai anche qui pullulano le iniziative a favore della religione islamica? Come mai, per esempio, a Detroit (la Detroit ultra polacca e ultra cattolica dove le ordinanze municipali contro i rumori proibiscono il suono delle campane) la minoranza islamica ha ottenuto che i muezzin locali possano assordare il prossimo coi loro Allah-akbar dalle 6 del mattino alle 10 di sera? Come mai il nefando professor Ward Churchill non è stato licenziato dall'Università del Colorado per i suoi elogi a Bin Laden e all'11 Settembre, ma il conduttore della Washington radio Michael Graham è stato licenziato per aver detto che dietro il terrorismo islamico v'è la religione islamica?

 

Oriana Fallaci

 

08/09/2006

Epurazione etnica in Sudan e razzismo musulmano

La decisione del governo sudanese di non consentire alle truppe della Nazioni Unite di lanciare l’operazione di pace in Darfur sta dando i suoi frutti: violenza, disperazione e morte. Gli attacchi dei miliziani arabi (i famosi janjaweed, i “diavoli cavallo“ che terrorizzano le popolazioni civili di origine africana bruciando i villaggi, violentando le donne, uccidendo gli uomini e rapendo i bambini) si sono moltiplicati. Ormai queste bande di irregolari sostenuti dal governo di Khartoum sanno di poter contare sull’immunità e si sono riorganizzati. Così i massacri sono ripresi.

Non si sa bene se i settemila soldati dell’Unione Africana resteranno nella travagliata regione del Sudan Occidentale dove ora, pur essendo pochi e mal organizzati, fungono, almeno un po’, da deterrente. Le autorità sudansi in un primo tempo avevano intimato di levare le tende a fine settembre poi, poiché è apparsa una richiesta troppo sfacciata, ci hanno ripensato e hanno fatto sapere che le truppe dell’Ua potevano restare, ma non si sa bene fino a quando e con che mandato.

In fuga dal Darfur incendiato dalle incursioni dei janjaweed, le popolazioni nere si stanno ammassando ai confini con il Ciad. Centinaia di profughi sono in arrivo nei campi allestiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) che ospitano già 220 mila persone. “La stagione delle piogge ha in parte fermato l’attività delle milizie filo governative – spiega un funzionario delle Nazioni Unite – ma a fine settembre quando i temporali saranno finiti, c’è il rischio che la situazione si aggravi. Ormai senza testimoni, i diavoli, che non si muovono più a dorso di cavallo e di cammello, ma ora usano nuove 4 per 4 fornite dal governo, possono fare qual che vogliono e hanno avuto mano libera per il genocidio contro le popolazioni del Derfur di origine africana”.

Il nostro interlocutore, che ha voluto parlare lontano dal suo ufficio, nel bar di un albergo, chiede di restare anonimo: “La situazione è assai sensibile; le agenzie dell’Onu hanno difficoltà a operare in Darfur – commenta - . Rischiamo tutti di essere espulsi da lì e siamo l’unica salvezza per queste popolazioni che corrono il pericolo di essere sterminate. Da qui il nostro linguaggio ufficiale prudente. In realtà la situazione è gravissima”. “Sì, è vero, il nostro aiuto è limitato; facciamo qual che possiamo e ci rendiamo conto che non è tanto. Abbiamo difficoltà a muoverci e a operare, specie nelle aere più remote. Il governo sudanese pone ogni giorno nuovi ostacoli”, conclude.

Qualche giorno fa un giornalista del Chicago Tribune, Paul Salopek, (due volte premio Pulitzer) è entrato clandestinamente in Sudan dal Ciad, è stato arrestato e attualmente è in prigione a El Fasher, la capitale del Darfur settentrionale, incriminato di spionaggio. Sarà giudicato nei prossimi giorni. L’imputazione è ridicola, ma il governo di Khartoum ha colto l’occasione per accusare anche l’Unhcr, che aveva aiutato il reporter a visitare i campi profughi in Ciad, di interferenze e comportamento scorretto.

Dopo essere stato rifornito per mesi con armi provenienti dalla Russia (Mosca sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza che prevedeva l’invio di caschi blu si è astenuta, come per altro la Cina), il 28 agosto l’esercito di Khartoum ha lanciato un’offensiva ufficialmente contro i ribelli darfuriani del Jem (Justice and Equality Movement) e delle varie fazioni dell’Sla (Sudan Liberation Army) ma in realtà, grazie anche all’aiuto di un gruppetto dell’SLA guidato da Minni Minnawi, che ora si sono alleato ai Janjaweed, contro le popolazioni civili. Si parla di bombardamenti indiscriminati: “Non solo - aggiunge Esam Elhag, portavoce di un gruppo Sla che ha abbandonato Minnawi accusandolo di tradimento -. Il governo sudanese ha reclutato fondamentalisti che sono arrivati da tutto il mondo islamico, Afghanistan e Iran compresi. Il loro campo è stato piazzato a Saraf Omra, vicino a Kabkabia nel Darfur Settentrionale. Gli integralisti stranieri hanno partecipato agli ultimi attacchi contro i villaggi africani”.

Curioso il comportamento di Pechino che vanta ottimi rapporti con Khartoum per avere effettuato enormi investimenti nei campi petroliferi del sud. Una settimana fa il suo ambasciatore all’Onu, Wang Guangya, ha rilasciato un comunicato in cui, dopo aver affermato che il suo Paese intende essere trattato come un “interlocutore internazionale responsabile” dichiarava che la Cina era favorevole all’invio di una forza di pace in Darfur. “Ottima idea e opzione realistica”, aveva aggiunto. Subito dopo aveva dovuto commentare la sua astensione e quindi il blocco dell’iniziativa “perché il Sudan non è pronto ad accettare il contingente per la ragione che non c’è stata sufficiente pressione internazionale per convincerlo”. Bizzarra poi la stessa posizione del governo che considera la forza di pace in Darfur come una violazione della sua sovranità. Non spiega però come mai nel sud del Paese, dopo gli accordi di pace con i ribelli dell’SPLA, accetti un contingente di caschi blu di 20 mila uomini. L’atteggiamento, secondo alcuni osservatori e diplomatici qui a N’Djamena, è chiaro: procedere con il genocidio in modo da spazzar via tutti gli oppositori. “D’altronde - sosteneva un anno fa, parlando con il Corriere a Nyala, la capitale del sud Darfur, Kalil, professore d’inglese – noi sudanesi africani, pur essendo musulmani siamo considerati esseri inferiori, discendenti dagli schiavi. Dunque per gli arabi possiamo essere ammazzati come animali”.

Che la pressione dei fondamentalisti in Sudan stia crescendo è evidente dal rapimento, messo a segno da un gruppo di uomini armati lunedì, e successivo assassinio di Mohamed Taha, direttore di Al Wifaq, quotidiano in lingua araba accusato di blasfemia per aver scritto cose non ortodosse sull’ islam e sul suo profeta. Il suo corpo è stato trovato decapitato in vicolo malfamato. Il giornale di Taha (per altro membro della setta islamica dei Fratelli Musulmani) era anticonformista: fondamentalmente filogovernativo, assumeva spesso posizioni provocatorie come l’inchiesta sulla genealogia di Maometto, secondo cui il fratello del profeta avrebbe avuto un nome legato agli idoli preislamici. Qualche tempo fa, quando ancora l’operazione dei caschi blu in Darfur era data solo come una possibilità da discutere in Consiglio di sicurezza, il leader di Al Qaeda, Osama Bin Laden, che era stato ospite del governo di Khartoum fino alla fine degli anni ’90, e il suo braccio destro, Ayman al-Zawahiri, avevano minacciato di organizzare una forza di miliziani per combattere le forze dell’Onu. Forse il califfo del terrore ha anticipato le mosse del Palazzo di Vetro: le sue truppe sono già pronte sul terreno.
Massimo A. Alberizzi

malberizzi@corriere.it
08 settembre 2006