Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

18/08/2006

L'arroganza islamica secondo l'Ucooii

Dunque l'Ucooii s'è offesa perché nell'opera urgente e necessaria di prevenzione del terrorismo sono state fermate delle persone di religione musulmana.
Chiedo: noi cattolici ci siamo mai offesi, qualche autorità della Chiesa ha mai protestato perché in Italia come in Irlanda venivano fermate o arrestate persone - tutte battezzate dalla Chiesa Cattolica - accusate di appartenere alle Brigate Rosse o all'Ira e di avere sotto le insegne di quelle organizzazioni compiuto reati?
No, da cattolici abbiamo con grande dolore riconosciuto che quelle persone avevano violato leggi dello Stato ed erano perciò dei cattivi cittadini e dei pessimi cattolici.
Evidentemente, secondo l'Ucooii non possono esistere cattivi musulmani; evidentemente gli islamici sono autoreferenziali e al di sopra del bene e del male.
I rappresentanti dell'Ucooii sembrano proprio afflitti da quel pericoloso complesso di superiorità che caratterizza lo spregevole razzismo.
Non fa meraviglia che una parte del mondo islamico abbia guardato con simpatia ad Hitler e alla sua nefasta ideologia.

www.ilgiornale.it

L'esercito fantoccio di Siniora

BEIRUT — Ma chi lo dice che Israele ha perso? «Semplicemente non ha voluto vincere e ha lasciato credere al mondo arabo che l’Hezbollah è in grado di tenere testa al più forte esercito del Medio Oriente». Non ha paura di andare controcorrente il generale in pensione Wahebi Katisha. Maronita, 62 anni, ai vertici dello stato maggiore libanese sino al 1999, il generale Katisha parla da cristiano schierato che ha vissuto sui campi di battaglia tutto il periodo della guerra civile contro i palestinesi prima e contro le milizie sciite dopo. Ma il suo giudizio è anche quello di un ufficiale esperto, che si è fatto 10 anni di scuola militare in Francia e ha una profonda conoscenza delle tattiche militari Nato.
Generale come giudica la forza combattente dell’Hezbollah?
«Li conosco bene. Dal 1983 al 1989 ci siamo sparati contro nella regione di Beirut. Sono molto più disciplinati dei palestinesi e degli sciiti di Amal. Mi ricordo che erano l’unica milizia musulmana in Libano che fosse in grado di rispettare i cessate il fuoco. La loro motivazione religiosa li rende determinati, pericolosi. Ma attenzione, restano una piccola forza di guerriglieri, assolutamente incapace di condurre una vera guerra contro un esercito convenzionale».
Però sembra che siano riusciti a fermare Israele.
«Stupidaggini. Siamo tutti vittime della propaganda araba e della stampa occidentale, che si lascia sedurre dall’immagine dei guerriglieri-partigiani armati di mitra contro i Merkava di Golia. La verità è che, contrariamente a quello che si dice nel mondo arabo, Israele non aveva assolutamente alcuna intenzione di invadere il Libano. Ha provato a distruggere l’Hezbollah dall’aria, limitando al massimo l’impiego delle forze di terra. E non c’è riuscito, perché loro si nascondono tra i civili, si fanno scudo con i villaggi, gli ospedali, le ambulanze. Non hanno posizioni fisse, usano armi leggere. Sparano e scappano. Bastano due uomini per tirare qualche Katiuscia. Non hanno mai lanciato un’offensiva, non ne hanno i mezzi. Israele in due giorni avrebbe potuto arrivare a Tripoli. Semplicemente non ha voluto».
E ora, sarà in grado l’esercito libanese di controllare il Sud?
«Certo, nonostante la mancanza di elicotteri e di mezzi veloci per gli spostamenti. Abbiamo carri armati russi della Seconda Guerra Mondiale che si muovono a malapena. Ma tutto dipende dall’accordo politico a Beirut. Se il governo approva la missione all’unanimità, andrà tutto bene. Ma se l’Hezbollah decide di rompere la tregua e lanciare blitz contro Israele, allora il nostro esercito non è assolutamente in grado di fermarlo».
Si dice che il 60 per cento degli effettivi sia sciita, più fedele a Nasrallah che al governo Siniora.
«È vero e ciò costituisce un problema. È sempre stato un problema quello delle divisioni etniche (diciamo piuttosto RELIGIOSE), tanto che dallo scoppio della guerra civile nel 1975 proprio gli elementi più gravi del conflitto sono nati dal fatto che i nostri soldati obbedivano ai dirigenti nei campi opposti. Ricordo il 1976 come un anno terribile, quando i soldati cristiani si allearono alle Forze Libanesi dirette dai maroniti e invece drusi, sunniti e sciiti passarono al fronte palestinese. Lo stesso avvenne dopo l’invasione israeliana nel 1982».
Dunque anche oggi c’è il rischio che più della metà dei soldati si allei all’Hezbollah?
«Certo. C’è il rischio che la prossima guerra civile libanese inizi proprio dallo scontro tra i soldati nel momento in cui dovesse arrivare l’ordine di disarmare l’Hezbollah. Questa volta cristiani, drusi e sunniti potrebbero stare con il governo e gli sciiti con l’Hezbollah».
E gli ufficiali non contano nulla?
«In linea di massima seguirebbero le alleanze etniche e religiose interne. Oltretutto i nostri ufficiali più giovani, quelli che sono sotto le armi da dopo l’avvio dell’egemonia siriana nel 1990, sono stati educati alle scuole di guerra siriane, che si rifanno alla dottrinamilitare russa. Un sistema molto gerarchico, che premia l’obbedienza e la passività. La mia generazione si era formata negli anni Sessanta e Settanta sulla dottrina Nato, che esalta invece il giudizio individuale e la capacità di reazione dei singoli comandanti sul campo. Oggi non vedo la possibilità che i nostri ufficiali nel sud del Libano siano in grado di bloccare da soli il pericolo dell’anarchia e delle divisioni tra i soldati ».
Lorenzo Cremonesi
18 agosto 2006
medium_nazi_jihad.jpg

17/08/2006

Hina, uccisa dall'insegnamento islamico

medium_hina2.jpg

 

In ricordo di Hina, giovane e brava ragazza Pakistana, morta a causa dell'ideologia criminale coranica, come migliaia di sue coetanee uccise ogni anno in virtu' degli insegnamenti di un falso profeta, assassino, ladro e predone, analfabeta e pedofilo.

In archivio, vi é un articolo sui massacri misogini coranici in Pakistan, messo in linea qualche settimana fa...(02/05/06)un triste presagio!

http://valeursoccidentales.hautetfort.com/archive/2006/05...

 MA NON E' TUTTO! LEGGETEVI BENE QUESTO:

Centinaia tra donne e ragazze, così come un gran numero di uomini, sono state uccise, sembra per aver disonorato i propri parenti maschi. Anche una semplice asserzione è stata sufficiente per condurre al delitto d’onore. Il comportamento femminile considerato come disonorevole comprendeva relazioni extraconiugali presunte o reali, la scelta di un marito contro il volere dei genitori, la richiesta di divorzio. Alcune donne hanno dato disonore alla loro comunità perché erano state violentate. Attiviste per i diritti delle donne sono state in certi casi attaccate per il loro lavoro.
Jameela Mandokhel, una sedicenne mentalmente ritardata, è stata stuprata in marzo. Al suo ritorno presso la comunità di Kurran un consiglio tribale ha decretato che la ragazza aveva macchiato l’onore della tribù e le ha sparato, uccidendola. Il governo non ha intrapreso alcun provvedimento.
In aprile, Samia Sarwar, una ventinovenne che intendeva divorziare dopo anni di violenza domestica, è stata uccisa nell’ufficio della sua avvocata a Lahore da un dipendente della famiglia. Il tentativo della donna era stato considerato oltraggioso per la famiglia. In seguito la legale è stata accusata assieme all’omicida e pubblicamente minacciata di morte per aver ‘fuorviato’ Samia Sarwar.”

(...) Nel villaggio chiamato Meerwala, il dodicenne Shakoor viene sorpreso da alcuni notabili in flagrante delitto di “frequentazione abusiva”: ha osato intrattenersi con una ragazza di casta superiore. Nell’area tribale di cui abbiamo detto, vige la gerarchia delle caste, di matrice indù, ma viene, in genere, praticato l’islam dal quale deriva la famosa sharia che sarebbe, poi, il corpus legislativo costruito nei secoli dai vari califfi per rafforzare il proprio potere. In teoria la sharia deriva dalla Sunna e dagli hadith cioè la tradizione coranica e quel che ha detto e fatto il Profeta Maometto. In teoria, poiché spesso, per non dir sempre, si assiste al trionfo della manipolazione.
Breve: il ragazzino viene fermato dai notabili, affidato agli anziani del villaggio che stabiliscono che egli venga punito: con la sodomizzazione. Tanta orribile punizione non basta a sanare il resto sicché gli anziani del panchayat (il tribunale), sei giudici, decidono che tocca altresì a Mukhtiar riparare.
Mukhtiar ha diciotto anni, è una brava ragazza timorata di Dio, ottima insegnante coranica ma ha il torto di essere la sorella dello “sfacciato Shakoor”. La trascinano in piazza, le strappano la veste, la stuprano coram populo: quattro energumeni designati alla bisogna dal tribunale tribale. Lacerata e umiliata, Mukhtiar dovrà attraversare, nuda e sanguinante, tutto il villaggio prima di raggiungere la sua misera abitazione colma del pianto disperato della madre. (...)

Secondo gli ultimi dati della Commissione pakistana per la difesa dei diritti umani, in Pakistan ogni due ore viene violata una donna: nel Punjab la media sarebbe di quattro stupri ogni 24 ore mentre ogni quattro giorni si avrebbe una violenza di gruppo. Paradossalmente, nel 2001 la polizia ha ricevuto appena 320 denunce di altrettanti “reati sessuali”.

Non ricordo di aver sentito i direttori dei nostri giornali bellicisti, nè i nostri politici che hanno tanto a cuore libertà, diritti e democrazia, dopo l’adesione del Pakistan alla coalizione che ha attaccato l’Afghanistan, parlare di tutto ciò. Evidentemente gli oppositori politici Pakistani trovano celle più comode di quelle Irakene, oppure i Talebani avevano tecniche di stupro peggiori di quelle Pakistane.

http://italy.indymedia.org/news/2003/05/277629.php  (il colmo é che si tratta di un sito di mentecatti no-global, ma l'articolo emana da Amnesty International!)

Copto egiziano rifiuta di convertirsi all'islam: torturato ed ucciso

medium_arton9907.jpg
Hani Sarofim Nasrala Issak, a soldier in the Egyptian army, was tortured and killed last week after refusing to convert to Islam.
Hani's family issued a statement about the incident. In translation, the statement says:
Our son, the soldier Hani Sarofim Nasrala, from the village of Rahmaneya Kebly in the city of Nag Hamadi of the Qena governorate, was a soldier in the southern sector of the city of Aswan. His unit number was 2152C33. We found him drowned in the Nile near the city of Nag Hamadi. Marks of torture covered the entirety of his body. Earlier, Hani had told his family that there were problems between him and the direct leader of his unit because Hani was a Christian. He also told his family that his leader used to molest and torture him in front of his peer soldiers. When his leader asked him blatantly to reject Chrisitianity and convert to Islam, Hani refused and told him he would notify the military intelligence. The leader threatened him saying "Ok Hani, I will settle things with you!" The leader subsequently arranged to kill Hani by sending him to a station near his village, at Nag Al-Ghaliz of the city of Nag Hamadi, in order to eliminate any suspicions about the plan. At that time, Hani was supposed to be on an official vacation of eight days, which would end on July 30th 2006. He also had two permissions for one other vacation, which would have finished on August 13th 2006, in case one of the two permissions got lost. An official report was filled at the Nag Hamadi police station under the number 5251 year of 2006.
http://lanternix.blogspot.com/

16/08/2006

"Baffetto", ovvero come i bolscevichi si identificano nel nazislamismo

medium_FORATTINI.jpg
ROMA - La comunità ebraica italiana, prima con un portavoce e poco dopo con il suo presidente Paserman, attacca il ministro degli Esteri Massimo D'Alema accusandolo di essere andato a Beirut e al Cairo «per sostenere le ragioni di Hezbollah, nemici della pace».
LA CRITICA - «D’Alema è il primo ministro di un Paese europeo, se si eccettua la Francia, ad aver appoggiato Hezbollah e che si è sempre mostrato vicino e amico con dei ministri di un movimento che non riconosce lo Stato di Israele e anzi persegue direttamente la sua distruzione». Il presidente della Comunità ebraica di Roma, Leone Paserman, commenta così con un'agenzia di stampa le cdritiche espresse poco prima dal portavoce Riccardo Pacifici al ministro degli Esteri che ieri, in visita a Beirut, si è fatto vedere a braccetto con Hussein Haji Hassan, deputato di Hezbollah. «Credo che D’Alema volutamente ignori la realtà dei fatti - ha detto Paserman - perché se Israele deve essere, come ha detto il ministro della Farnesina, amico di paesi come l’Iran e di altri Stati che rifiutano qualunque tipo di negoziato, allora meglio non avere amici».

PARLA IL PORTAVOCE - Le immagini del ministro degli Esteri a braccetto con Hussein Haji Hassan, deputato di Hezbollah, hanno dato parecchio fastidio al portavoce e vicepresidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che mostra tutto il suo disappunto. «Eravamo sorpresi e perplessi sull’equivicinanza espressa da D’Alema già prima del conflitto - afferma Pacifici - ci domandiamo se con la visita a Beirut e al Cairo continui a mostrare la sua equivicinanza tra Israele e Libano o peggio ancora a sostenere le ragioni di Hezbollah, nemici della pace». L’irritazione del portavoce della Comunità ebraica si spinge oltre, sulle mancate parole di condanna da parte dell’inquilino della Farnesina verso Hezbollah. «Non abbiamo sentito nessuna parola di condanna verso chi è l’autore dell’inizio di questo conflitto - sottolinea Pacifici - e cioè Hezbollah che, violando i confini regolarmente riconosciuti da Israele, hanno ucciso 5 soldati in terra israeliana e rapiti altri due. Così come non abbiamo sentito da D’Alema alcun rimprovero verso Hezbollah che hanno messo in atto una orrenda guerra; nessuna parola di comprensione - continua Pacifici - per uno Stato circondato da un manipolo di terroristi che si fanno scudo di civili, facendo partire i missili diretti al nord della Galilea da edifici abitati da donne e bambini». Arriva dunque l’interrogativo di Pacifici: «Ci domandiamo dove sia l’equivicinanza tra Israele e chi invece scatena odio e terrore».
MISSIONE ITALIANA - Il duro attacco al ministro degli Esteri prosegue. «Ho visto ieri le immagini commoventi di soldati israeliani che rientravano dal fronte cantando le parole di "Sia la pace fra noi". D’Alema - rimarca il portavoce ebraico - ha sentito lo stesso dai combattenti Hezbollah? D’Alema ha mai visto i film in cui Hezbollah inneggiano odio verso israeliani? D’Alema ha mai visto i proclami di stampo nazista con cui si ispira la loro ideologia?». «In tal senso - si domanda Pacifici - non esiste forse una contraddizione in termini? Israele si è ritirata da Gaza e ha avuto la guerra, si è ritirata dal sud del Libano. Dov’era D’Alema in tutto questo periodo e come fa a non comprendere che Israele sta compiendo una giusta guerra per il diritto alla vita?» In tal senso, Pacifici esprime «profonda preoccupazione» che «un Paese come l’Italia, storicamente amico di Israele, possa trovarsi ai confini tra Libano e Israele con una missione confusa».

CAPEZZONE ATTACCA - «Il ministro D'Alema aveva aperto questa fase politica usando l'espressione 'equivicinanzá (e giá appariva assai discutibile definirsi equivicini o equidistanti tra la democrazia israeliana da una parte e le organizzazioni terroristiche che avevano aperto il conflitto dall'altra). Ora, sembra proprio che di quell»equivicinanzá sia rimasta solo la 'vicinanzá (ad Hezbollah). Per questo, mi paiono giustificate le critiche e le perplessitá che vengono dalla Comunitá ebraica«. Lo afferma Daniele Capezzone, segretario di Radicali italiani.
COMMENTO: il viscido "baffetto", l'ex segretario della figci oggi ministro in doppiopetto e cravatta, il marxista trombato dalla caduta dell'impero sovietico, la nullità rifiutata all'ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, lo scaldasedie che non ha mai lavorato un solo giorno nella sua vita e che possiede uno yacht di piu' di 10 metri con equipaggio, il verme che pretende rappresentare la politica estera italiana grazie a 25.000 voti di scarto...una faccia da culo che peggio non si puo'!

15/08/2006

Bestialità in terra d'islam

Jenin (Cisgiordania). La cultura dell'odio e della morte che l'integralismo islamico diffonde a piene mani in Palestina è all'origine di un nuovo episodio di violenza, disumanità e orrore. Bassim Al-Mallah - un ragazzo palestinese di 21 anni che viveva nel villaggio di Faqo, non lontano da Jenin e lavorava in Israele - è stato giustiziato sulla pubblica piazza perché sospettato di collaborare con lo stato di Israele (nella foto, un momento del linciaggio). Sei miliziani palestinesi, dopo averlo ammanettato e bendato, l'hanno freddato sparandogli alcuni colpi al petto da distanza ravvicinata. Mentre il ragazzo agonizzava, la folla si è avventata su di lui. Molti ragazzi hanno preso a calci e calpestato il suo corpo martoriato; altri scattavano foto con i telefonini per conservare un macabro souvenir di quella morte. Diversi bambini assistevano alla scena eccitati dal sangue. Bassim avrebbe dovuto sposarsi fra qualche giorno. Le brigate dei martiri di Al Aqsa hanno dichiarato con ortgoglio alla Reuters di aver preso parte all'esecuzione, al fianco della brigate Al Quds. Secondo alcune fonti il giovane, sottoposto a pestaggi e torture, avrebbe confessato di aver fornito al nemico informazioni utili all'eliminazione di due dirigenti delle brigate Al Quda: Mohammed Ateeq e Usamah Al-Ateily. Si ricorda che episodi di linciaggio con accanimento sui cadaveri sono pratiche cui il popolo palestinese partecipa non di rado e che riguardano, oltre che i sospetti di spionaggio, i dissidenti, le donne indiziate di immoralità, gli omosessuali e chiunque si trovi a incorrere nelle puniziuoni previste da un'applicazione sadica e spietata della legge islamica. R.M.

Una folla esaltata si abbandona a una festa dell'orrore, straziando il corpo del giovane morente e fotografando le scene più cruente di quello scempio. Linciaggi e violenze sui condannati agonizzanti sono purtroppo episodi che riguardano spesso anche i dissidenti, le donne accusate di licenziosità, gli omosessuali e chi incorre nella sharia.

 

 

Palestinesi massacra...

COMMENTO: queste immagini orribili ricordano la realtà quotidiana delle banlieues francesi dove la dottrina del pedofilo sanguinario fa scuola.

22/07/2006

Hezbollah, terrorismo, traffico di droga, contrabbando..nel nome di allah il misericordioso

Gli Hezbollah, da buoni libanesi, hanno il senso del commercio. E con l'obiettivo di aiutare la «resistenza armata» trafficano in tutto. Partite di cocaina in Sudamerica, gemme in Africa, sigarette negli Stati Uniti, false griffe in Europa. Ma il prodotto che non ti aspetteresti è il Viagra: pillole taroccate, probabilmente pericolose per chi le assume. La storia del Viagra non è una bugia per «sporcare» l'immagine dura e pura del partito di Dio libanese. E' vera ed è emersa nei mesi scorsi durante una indagine federale negli Usa. Un gruppo di libanesi, da tempo residenti tra Carolina del Nord e Michigan, avevano messo in piedi una redditizia attività di contrabbando destinata — in parte — ad alimentare il budget dell'Hezbollah. Fonti diplomatiche stimano in 250 milioni di dollari il bilancio ufficiale del movimento, un tesoro garantito da cospicui finanziamenti iraniani. Almeno 10 milioni di dollari al mese. In realtà c'è il sospetto che il giro d'affari abbia dimensioni planetarie. Un piccolo impero economico su cui non tramonta mai il sole.
Il primo pilastro dell'apparato è nella famosa Triplice frontiera, la zona racchiusa dai confini di Paraguay, Brasile e Argentina. Nella cittadina paraguayana di Ciudad del Este, l'Hezbollah gestisce scuole, centri islamici e commerci. Un finanziere d'assalto brasiliano di origini libanesi ha inviato almeno 50 milioni di dollari alla guerriglia ottenendo una lettera di ringraziamento da parte del segretario Hassan Nasrallah. A Ciudad vendono smerciati prodotti contraffatti — borse, profumi, elettronica, cd musicali —, riciclano denaro, raccolgono soldi nella folta comunità araba (almeno 20 mila persone). I negozi dai nomi arabi diventano una buona copertura e una base per militanti in trasferta. Esiste — secondo gli 007 argentini — un sistema di comunicazione via Internet che lega la colonia paraguayana al quartier generale in Libano. Un accogliente santuario dove sciiti e sunniti vanno d'accordo in nome del guadagno. Infatti elementi pro-iraniani convivono con estremisti egiziani della Jamaa e della palestinese Hamas, anche loro impegnati nella raccolta della zakat (l'offerta).
Il modello ha funzionato e l'Hezbollah lo ha riprodotto. Attivisti libanesi hanno aperto imprese di import/export all'Isola Margaritas in Venezuela, in Cile, in Ecuador, a Panama, in Guayana. I luoghi preferiti sono le cittadine a cavallo delle frontiere, dove poliziotti distratti e un intenso passaggio favoriscono gli imbrogli. Nei paesi della droga emissari Hezbollah trattano droga con i cartelli locali. La polizia ecuadoriana ha smantellato di recente una organizzazione che guadagnava un milione di dollari a spedizione e destinava il 70% ai militanti. Oltre il Rio Grande, negli stati centrali degli Usa, l'Hezbollah è più discreto. Oltre al Viagra, traffica in latte in polvere e sigarette, quest'ultime comprate in una riserva indiana. Una rete che operava tra Detroit e Charlotte ha frodato il fisco per 20 milioni di dollari. Quanti ne sono finiti all'Hezbollah? L'Fbi non ha una risposta, però ha accertato un legame operativo con Imad Mugnyeh, a lungo responsabile dell'apparato clandestino e oggi numero tre nella lista dei super-ricercati. Le cellule americane, oltre a commerciare, hanno il compito di acquistare materiale paramilitare: visori notturni, apparati radio, abbigliamento, telefoni satellitari, sistemi Gps. I mediatori legati all'Hezbollah si sono fatti un nome in altri due settori.
Il recupero crediti e le pietre preziose. Una grande società del tabacco britannica avrebbe chiesto aiuto ai militanti per recuperare un grosso credito in Iran. Operazione pagata con un ricco assegno per la intermediazione. Non meno aggressiva l'attività in Africa. Alcuni tra i più spregiudicati mercanti di gemme sono di origine libanese e appartengono alla comunità sciita. C'è il fondato sospetto che promuovono la raccolta di «tasse rivoluzionarie» in favore dell'Hezbollah e versino loro stessi un obolo alla causa. I libanesi finiti sotto accusa si difendono sostenendo che si tratta di normali attività economiche, perfettamente legali. E altri aggiungono che i fondi inviati a Beirut sono spesi nel vasto apparato sociale composto da asili, mense, scuole, ambulatori gestito dall'Hezbollah. Provare che i dollari finiscono all'ala combattente non sempre è facile. Ma il sospetto è legittimo.
Guido Olimpio
22 luglio 2006

21/07/2006

Diritti a geometria variabile

medium_Annan.2.jpg
Al di là delle differenti opinioni sulla nuova crisi in Medio Oriente, emerge che per gran parte del mondo il diritto di Israele all’esistenza è una variabile dipendente, non un principio inviolabile delle relazioni internazionali. Anche il nostro Occidente legittima pienamente non soltanto degli Stati che non hanno relazioni diplomatiche con Israele, ma si dicono pronti ad averle qualora sorgesse uno Stato palestinese, ma legittima anche quegli Stati e gruppi che hanno scatenato una guerra del terrore e predicano l’annientamento di Israele.
È una riflessione che s’impone quando da parte dei governi, dei parlamenti nazionali e dell’Unione Europea si deplora l’uso «eccessivo» della forza o la reazione «sproporzionata » di Israele, limitandosi a mettere a confronto un certo numero di israeliani uccisi contro un numero maggiore di vittime palestinesi e libanesi, l’impiego di aerei e lanciamissili contro kamikaze e razzi. Senza contestualizzare gli eventi bellici, citando en passant la volontà di distruggere Israele quasi si trattasse di uno dei tanti elementi della crisi. Finendo per mettere sullo stesso piano l’attentato terroristico sferrato da chi disconosce il diritto di Israele all’esistenza e la rappresaglia militare di chi difende il proprio diritto alla vita. E nella condanna indistinta della violenza e nell’appello generico alla pace, si finisce di fatto per legittimare il terrorismo. Occultandone la natura aggressiva, giustificandolo come «reazione» ai bombardamenti, nobilitandolo come «resistenza » all’occupazione. In questo clima saturo di disinformazione la realtà viene mistificata, i pregiudizi religiosi e ideologici nei confronti di Israele riesplodono con modalità e graduazioni diverse.
Ebbene, una corretta informazione fa emergere come l’inizio della crisi sia stato l’attentato terroristico compiuto il 25 giugno scorso da un commando di Hamas, partito da Gaza non più occupata, che ha ucciso due soldati israeliani e rapito un terzo. Un’iniziativa che ha voluto sabotare la speranza della ripresa del negoziato, riaffiorata dopo il vertice tra il presidente palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Olmert a Petra il 22 giugno, sotto gli auspici del re giordano Abdallah II. Un copione già visto quando nell’ottobre del 1993 Hamas scatenò per la prima volta i suoi kamikaze sugli autobus a Gerusalemme e Tel Aviv per sabotare il nascente processo di pace siglato il 13 settembre 1993 a Camp David tra Arafat e Rabin. Successivamente alla rappresaglia militare israeliana a Gaza, è scattata la seconda fase della crisi. L’8 luglio i terroristi dell’Hezbollah sono penetrati in territorio israeliano, partendo dal Libano meridionale che non è più occupato dal 2000, uccidendo otto soldati e sequestrandone due. In questo caso si è trattato di un terrorismo su procura per scatenare un conflitto in Libano al fine di alleggerire la pressione della comunità internazionale nei confronti dell’Iran sulla questione del nucleare. Un copione simile a quello di Saddam, quando il 3 giugno 1982 commissionò a Abu Nidal l’uccisione dell’ambasciatore israeliano a Londra, Shlomo Argov, determinando la decisione israeliana di invadere il Libano il 6 giugno, al fine di distogliere l’attenzione dal massacro, con i gas chimici, di migliaia di soldati iraniani a un passo dalla presa di Bassora.
La legittimazione di Hamas, Hezbollah, Assad e Ahmadinejad viene accreditata sulla base del fatto che sono stati liberamente eletti dai rispettivi popoli. Ebbene, oggi è l’Occidente per primo, dal momento che è impegnato nella diffusione della democrazia nel mondo, a dover rispondere a un quesito fondamentale: può essere considerato democratico chi nega il diritto all’esistenza di Israele e pratica il terrorismo per distruggerlo? Ed è l’Occidente per primo, a circa 60 anni dall’Olocausto degli ebrei frutto del regime nazista andato anch’esso al potere democraticamente, a doversi pronunciare in modo inequivocabile sulla legittimità delle forze islamiche «democratiche» che stanno promuovendo una guerra volta a cancellare la patria degli ebrei dalla carta geografica. Ecco perché dovrebbe essere proprio l’Occidente a prendere l’iniziativa di accreditare sul piano del diritto internazionale che il diritto di Israele all’esistenza è un principio inalienabile e un valore incontrovertibile che sostanzia la democrazia. Che, pertanto, predicare e operare per la distruzione di Israele è un crimine contro l’umanità e una negazione della democrazia, che non può prescindere dal riconoscimento del diritto alla vita e alla libertà di tutti.
Magdi Allam
19 luglio 2006

20/07/2006

La France arme les islamiques

PARIS (Reuters) - L'Arabie saoudite est sur le point de commander 76 canons Caesar à Giat Industries, un contrat qui représenterait "plusieurs centaines millions d'euros", lit-on sur le site internet du quotidien Les Echos.

L'annonce pourrait intervenir à la suite d'un déjeuner ce jeudi ce moment entre Jacques Chirac et le prince Sultan bin Abdulaziz al Saoud, vice-Premier ministre et ministre saoudien de la Défense.

Si le contrat est effectivement signé, il s'agira du troisième décroché pour ce canon de 155 mm autotracté, après les 77 achetés par l'armée françaises et les six commandés par la Thaïlande.

REUTERS 20/07/06

14:10 | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : mpf

La peur doit changer de camp

medium_img43de0cc8bfd832.jpg
Le déclenchement de la sixième guerre israélo-arabe (après celles de 1948, 1956, 1967, 1973 et 1982) donne lieu à des prises de parti émotionnelles qui dégagent davantage de chaleur que de lumière. Nous voudrions ici donner une série d'analyses, toutes à l'exception de deux d'entre elles, provenant de sources écrites et connues, afin de favoriser un jugement qui restera libre, mais informé. C'est au début des années 1980 que le Hezbollah, bras armé du nouveau pouvoir islamiste iranien, invente l'attentat-suicide, puis la guérilla de harcèlement, face aux occupants français et américains à Beyrouth, puis face à l'armée israélienne.
Le retrait unilatéral des Israéliens du Liban en 2000 dans le cadre de la négociation que l'on espérait globale et finale avec l'Autorité palestinienne, est interprété par les forces islamistes de la région comme une défaite israélienne. Ce modèle du Hezbollah est discuté dans les rangs palestiniens à la veille de la négociation de Camp David de l'été 2000, et elle aboutit à la décision de Yasser Arafat de se retirer des négociations de paix avec Israël et d'y substituer la stratégie du harcèlement chère au Hezbollah. Ce tournant s'accompagne de la marginalisation des «colombes» palestiniennes au profit d'une nouvelle organisation clandestine du Fatah, le Tanzim, et de son bras armé, les brigades al-Aqsa. La nouvelle orientation s'accompagne d'une pleine réconciliation avec le Hamas qui dispose d'un double soutien saoudien et irano-syrien.
L'affaire du cargo Karin B nous renseigne sur la coalition que l'intifada des mosquées avait mise en place : ce bateau affrété par les services secrets iraniens devait livrer des armes au Hamas et aux brigades al-Aqsa à Gaza, puis finir sa distribution au Liban, au profit du Hezbollah. Le point le plus étonnant de l'affaire concernait l'Égypte : le cargo devait débarquer sa cargaison dans le canal de Suez et la confier à de petites embarcations qui tenteraient de forcer la surveillance israélienne. Une telle opération, avortée par l'interception du cargo par des commandos israéliens, impliquait l'Autorité palestinienne et l'État iranien, sous la bienveillante complicité des services secrets égyptiens. Peut-on transférer ce modèle sur la situation présente ? Deux facteurs ont changé : l'Égypte, qui craint comme la peste la contagion des élections palestiniennes favorables aux islamistes dans sa propre vie politique, a tenté de remettre en selle les modérés palestiniens d'Abou Mazen et de provoquer une réorientation modérée du gouvernement du Hamas.
Au moment où cette manoeuvre allait réussir, les extrémistes du Hamas ont organisé l'attaque contre Israël de manière à faire rebondir la crise. Seconde différence, moins évidente mais plus fondamentale encore dans l'équation : dans le débat interne qui traverse les élites iraniennes, les modérés du président Khatami, alliés ici au pragmatisme de l'ancien président Rafsandajani, avaient encore le dessus, à telle enseigne qu'ils demandèrent une commission d'enquêtes parlementaires au Majlis de Téhéran pour désavouer ceux qui avaient monté le coup du Karin B. Aujourd'hui, les ultras ont repris le dessus et avouent le soutien qu'ils apportent à la tendance militaire du Hamas. Les déclarations antisémites du président Ahmadinejad lui ont d'ailleurs valu les félicitations du chef égyptien de la confrérie des Frères musulmans. C'est l'orientation imposée par Ahmadinejad qui a imposé un renversement à 180 degrés de la politique iranienne : voici un an, le chef du Hezbollah, Hassan Nas rallah, saluait le gouvernement Jaafari à Bagdad, protégé par les Américains, refusait à l'aile dure de l'armée syrienne le concours de ses milices pour se maintenir au Liban ; mieux même, il acceptait de participer au gouvernement d'unité nationale que Rafic Hariri était en train de mettre en place.
Avec le tournant iranien, le Hezbollah change d'approche : il revient à la lutte armée sous forme de harcèlement d'Israël, il coordonne son offensive à celle du Hamas commandé depuis Damas par Khaled Meshaal (chef du Hamas en Syrie) en étroite corrélation avec cette même aile dure du régime syrien, à laquelle Nasrallah avait, voici un an, claqué la porte. Tirons donc les conclusions de cette première phase de la guerre : la main de Téhéran est partout dans cette crise qui est donc indissociable du double débat qui traverse la haute hiérarchie chiite, passage en force vers le nucléaire ou solidarité accrue avec les chiites d'Irak au risque d'une entente tacite avec Washington.

La résolution d'Ahmadinejad ne démontre pas à ce jour sa maîtrise de la stratégie ultime de Téhéran. Mais un échec militaire du Hezbollah signifierait non seulement la première défaite stratégique de ce mouvement depuis l'évacuation du Liban-Sud en l'an 2000, mais aussi un sérieux renfort pour l'axe pragmatique et modéré qui passe par le gouvernement national libanais, les réformateurs syriens groupés autour du président Bachar el-Assad et, enfin, de tous les opposants intérieurs iraniens. Ajoutons enfin qu'à Moscou, ceux qui souhaitent réimplanter l'influence russe dans la région ont partie liée à Bachar el-Assad et à Rafsandjani, ce qui explique la nouvelle mansuétude de Poutine à l'égard d'Israël. La peur serait-elle en train de changer de camp ?

Alexandre Adler