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20/08/2006

Avete detto Fascisti? No, Nazisti islamici!!

Continua il dibattito sui fascisti islamici. Oggi abbiamo intervistato Federico Punzi, titolare del blog Jim Momo. La discussione è aperta.

Io partirei dalle parole di Bush della settimana scorsa. Come le valuti?
Credo che nessun capo di Stato europeo avrebbe mai parlato con tale chiarezza. Sì, un elemento di chiarezza estraneo alla cultura politica europea di oggi. Bush ha utilizzato un termine appropriato per definire la minaccia terroristica, riempiendola del contenuto ideologico che porta con sé. Il paragone con il fascismo – anche se a mio avviso (e forse anche secondo De Felice) sarebbe più corretto parlare di nazismo – è molto evocativo e la politica deve servirsene per aumentare nelle opinioni pubbliche la consapevolezza del pericolo. Dietro la guerra asimmetrica c’è un’ideologia totalitaria che rischia di diffondersi in Medio Oriente e divenire un fenomeno di massa. L’Europa non è più quella di Schumann, Adenauer e De Gasperi. A parte Blair non ci sono leader che esprimono delle visioni politiche lungimiranti. Non è un problema d’identità e radici, come molti credono, ma di leadership, di assenza di progettualità politica e di modelli economico-sociali che non reggono più e soffocano il rinnovamento e l’affermarsi di nuove idee in ogni campo. I leader europei di oggi gestiscono il declino, accontentandosi di arrivare a fine giornata compiacendosi dei piccoli sgambetti reciproci, ma non scommettono sul futuro. Fa sorridere che da noi, a sentire l’espressione «fascisti islamici», qualcuno sia caduto dalle nuvole. Di fascismo-islamico si legge, si parla, si dibatte ormai da anni, tranne che in Italia, almeno non nei cosiddetti mainstream media che raggiungono la gran parte dell’opinione pubblica. In Italia le idee e le informazioni non circolano ed è un problema di democrazia. Il sistema mediatico è autoreferenziale, ridotto a una chat interna all’oligarchia partitocratrica. Detto questo, Bush pronuncia spesso discorsi molto convincenti: sul Nuovo Medio Oriente, sulla diffusione della libertà e della democrazia nel mondo come pilastro della nostra stessa sicurezza. Eccellente retorica pro-democracy, ma pochi risultati concreti e una politica, nel suo secondo mandato, di cui è difficile rintracciare il filo conduttore. Errori, contraddizioni, fallimenti d’immagine e l’inclinazione a prediligere o la forza delle armi, o la diplomazia tradizionale. La verità è che Bush non ha ancora scelto la politica del regime change nel paese dove più servirebbe per gli equilibri del Medio Oriente: in Iran. Per questo si fatica a scorgere il disegno complessivo della sua politica estera.
Il termine «fascisti islamici» annovera nel proprio copyright numerosi intellettuali di sinistra, alfieri dell’internazionalismo democratico wilsoniano. In Italia queste persone vengono dipinte come servi di Bush, e molto spesso mai prese in considerazione.
Vale il discorso di prima sull’informazione. In Italia si preferisce parlare, o, meglio, chiacchierare, piuttosto che studiare e pensare. Non sorprende che anche i temi più drammatici siano trattati superficialmente. Spesso vengono ridotti a carne da macello per le risse televisive. E’ un riflesso antropologico quello di snobbare i prodotti intellettuali, culturali, politici del mondo anglosassone. Un complesso di superiorità che nasconde una forma di provincialismo.
In Italia, mai ci sarà a sinistra un intellettuale come Christopher Hitchens. Il conformismo anti-americano ne impedirebbe la nascita. Concordi con me?
No, non sarei così drastico. Direi, piuttosto, che la sua voce non riuscirebbe a raggiungere l’opinione pubblica. E questo è un grave problema di assenza di democrazia.
Perché la sinistra italiana, se si escludono i Radicali e Gianni Vernetti, è così sorda alla tematica dell’espansione della democrazia?
I motivi sono molti. Ne citerò uno. In Italia non c’è una sinistra liberale, o liberalsocialista, blairiana per intenderci, se non in piccole sacche di resistenza. La sinistra in Italia è dominata dall’asse catto-comunista: ex-Dc, ex-Pci e sinistra orgogliosamente comunista. La terza componente ancora oggi rifiuta la democrazia liberale. Le altre due componenti non hanno ancora fatto pace con il liberalismo, il vero vincitore del XX secolo. Hanno una concezione etica dello Stato, la chiamerei clerico-solidarista. Gli ex Pci, in particolare, continuano a guardare alla politica estera con le lenti dell’anticapitalismo e del terzomondismo. Ai loro occhi l’espansione della democrazia equivale ancora all’imperialismo americano. E non si scordano di essere stati anti-imperialisti, anche se pronti a chiudere un occhio nel caso in cui l’imperialismo fosse quello russo. Inoltre, la logica di potere dei Ds è rimasta intatta: esercitare il potere con realismo, ma alimentare la propria base di consenso con i miti e i pregiudizi di sempre, rinunciando, in questi sedici anni trascorsi dalla caduta del Muro, alla sfida culturale che avrebbe reso moderna, democratica e liberale, anche la nostra sinistra.
Dall’analisi di Bush è chiaro che il terrorismo è un mezzo, dietro il quale si muove un’ideologia totalitaria e feroce. Se non si considera questo aspetto, assieme all’islamizzazione delle masse, sarà impossibile vincere il terrore. La strategia giusta per battere il terrore è prosciugare la palude della tirannia, che alimenta il jihadismo. Io la penso ancora così, dico che bisogna andare avanti su questa via con più coraggio.
Non dimentichiamoci che la guerra al terrorismo, alla fine, sarà vinta solo se prevarremo sul piano politico-ideologico. E’ essenziale che i popoli del Medio Oriente vedano il sistema di vita democratico come il più conveniente, capace di garantire al tempo stesso benessere, progresso e libertà. Hard power e soft power. Non m’illudo: anche il soft power suscita la reazione violenta dei fondamentalisti, che va battuta con le armi, ma è lo strumento più efficace per conquistare i cuori e le menti delle masse musulmane. Il confronto è ideologico. Dunque, non si gioca solo sui campi di battaglia o nelle operazioni di intelligence, ma anche nelle «Arab Street», con l’informazione, l’industria culturale, il processo di secolarizzazione dell’Islam, la creazione di una classe media, il sostegno aperto, pubblico, alle opposizioni democratiche. Insomma, dobbiamo utilizzare il nostro potente arsenale di armi di attrazione di massa, quello che alla fine permise al mondo libero di trionfare sul nazifascismo e sul comunismo. Mi pare che nulla in questo senso sia stato fatto dall’Europa e poco, ancora troppo poco, anche dall’amministrazione Bush, che mostra una preoccupante mancanza di sensibilità per queste politiche di “ingerenza”.
Come fermare l’atomica dell’Hitler di Teheran? Se l’America non prende l’iniziativa, con la tattica dello stop-and-go, Ahmadinejad raggiungerà il suo scopo in poco tempo.
Sull’atomica iraniana la penso come Ledeen, Kagan e Ottolenghi: c'è qualcosa che gli ayatollah temono ancor più dell'uso della forza. Il timore che il mondo libero eserciti tutta la sua forza d'attrazione di libertà e democrazia. Teheran si serve di agenti sobillatori e dei gruppi sciiti più radicali e violenti per far fallire il processo democratico iracheno, ma più che la guerra in sé, o la presenza di truppe occidentali, teme di ritrovarsi un paese confinante, di milioni di sciiti, retto da istituzioni democratiche, che possa esercitare un'attrazione irresistibile verso gli stessi iraniani. I paesi democratici dovrebbero cominciare a rivolgersi direttamente al popolo iraniano, a sostenere l'opposizione al regime, perché, come spiega Ottolenghi, la questione iraniana non è il nucleare in sé, ma la rivoluzione democratica, il rovesciamento della mullahcrazia: «Ci sono due conti alla rovescia in corso a Teheran: uno, molto veloce, è quello della bomba; l'altro, molto lento, è quello della rivoluzione democratica. Il dilemma è semplice: quali politiche adottare per rallentare il primo e accelerare il secondo, di modo che l'Iran arrivi al rovesciamento del suo regime, prima che il regime arrivi a produrre la bomba?». Robert Kagan è dello stesso avviso: «La nostra giustificata fissazione di impedire all'Iran di dotarsi della bomba ci ha in qualche modo impedito di perseguire un più fondamentale obiettivo: il cambiamento politico in Iran... Dobbiamo cominciare a sostenere il cambiamento democratico e liberale per il popolo iraniano». Nessuno vuole un Iran con la bomba, ma dipende anche da chi è al potere. Non ci spaventano Francia e Gran Bretagna, India o Israele, perché siamo portati a fidarci di governi democratici. Se l'Iran fosse guidato anche da «un imperfetto governo democratico» saremmo molto meno preoccupati. Potrebbe decidere di smantellare i programmi volontariamente, come Ucraina o Sud Africa, ma anche se non volesse, sarebbe «meno paranoico per la sua sicurezza». Per quanti è davvero intollerabile un Iran nucleare, ma al contempo vogliono fare di tutto per evitare un'altra guerra, non resta che investire tutte le energie, le diplomazie, l'intelligence e le risorse economiche, nella rivoluzione democratica. Strategia che ha il vantaggio di essere compatibile con gli sforzi diplomatici per rallentare i piani nucleari.
Chiudiamo con l’Onu. Dopo la risoluzione pasticcio 1701, abbiamo l’ennesima prova dell’inadempienza di questa organizzazione. Perché non trasformarla in una Lega delle democrazie, come disse a suo tempo in un suo libro Christian Rocca?
L’idea della Comunità delle democrazie, istituzione moribonda ma già esistente, fu di Bill Clinton. Da subito, in Italia, furono i radicali a crederci. Poi ci fu l’11 settembre. Pannella lanciò l’idea, rimasta tuttavia vaga, degli Stati Uniti d’Europa e d’America, per porre la democrazia, da promuovere all’estero e da monitorare a casa nostra, al centro delle politiche dei due continenti. Ma la proposta più convincente, di cui però non si sente parlare da un bel po’, rimane a mio avviso quella – avanzata da James M. Lindsay e Ivo H. Daalder, entrambi esponenti di punta della Brookings Institution, think tank di area democratica clintoniana – di una Alleanza delle Democrazie, una vera e propria alleanza, politica e militare, destinata a sostituire sia l’Onu sia la Nato. Dopo i primi segnali di interesse da parte dell’amministrazione Usa per una Lega delle Democrazie, il silenzio. Nessuno sviluppo, neanche per un altro progetto, che doveva camminare in parallelo, quello dei Caucus democratici all’interno dell’Onu. L’Europa in maniera cronica, ma anche gli Stati Uniti, sembrano disarmati di politiche.

 

I nazislamici dell'Ucoii spendono i petrodollari per seminare l'odio maomettano

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Se un gruppo di estrema destra o estrema sinistra avesse chiesto una pagina di un giornale per lanciare un messaggio farneticante che recita «Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane», certamente si sarebbe scontrato con un netto rifiuto. Agli estremisti islamici dell'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) è andata diversamente.
Perché gli estremisti islamici dell'Ucoii sono pienamente legittimati dalle istituzioni e dallo Stato, il loro presidente Nour Dachan siede in seno alla Consulta per l'islam italiano istituita dal ministero dell'Interno, affermano di controllare l'85% delle moschee e ritengono di essere i veri rappresentanti dell'insieme dei musulmani in Italia.

Non importa se è un'organizzazione che nega il diritto di Israele all'esistenza e ne predica la distruzione, che legittima il terrorismo palestinese e gli attentati in Iraq e Afghanistan contro le forze multinazionali, che mira a monopolizzare il potere tra i musulmani nostrani e a concorrere alla nascita della Umma, la nazione islamica ovunque nel mondo, in sintonia con la strategia eversiva e talvolta violenta dei Fratelli Musulmani.

Non importa se nell'inserto pubblicato a pagamento dal Quotidiano Nazionale l'Ucoii mira a consolidare agli occhi degli italiani un'immagine demonizzante e sanguinaria di Israele elaborando l'equivalenza «Marzabotto = Gaza = Fosse Ardeatine = Libano».

Non importa se in un comunicato del primo agosto scorso, commentando la strage di Cana, l'Ucoii afferma che «è il segno di un'ulteriore escalation criminale di uno Stato nato nella pulizia etnica, cresciuto e consolidato nella violenza e nell'ingiustizia e che, Iddio non voglia, finirà per essere la tragedia definitiva del suo stesso popolo».

Non importa se il presidente Dachan, contraddicendo i comunicati ufficiali dell'Ucoii emessi l'11 marzo 2004 e il 7 luglio 2005, ha sostenuto (articolo di Jenner Meletti su Repubblica del 18 agosto scorso) che gli attentati di Madrid e Londra sarebbero opera dei «servizi segreti che forniscono le armi e dettano gli orari». Così come sarebbe «una grande falsità» il piano per far esplodere simultaneamente una decina di aerei in partenza da Londra: «Volevano distogliere l'attenzione da ciò che sta succedendo in Libano e hanno inventato tutto, così i musulmani diventano il pericolo. (...) Negli aeroporti si fanno controlli pesanti e si dà fastidio ai passeggeri così imparano a odiare i musulmani».

Non importa se il portavoce dell'Ucoii, Hamza Roberto Piccardo, ha avuto l'ardire di scrivere al ministro dell'Interno Amato, il 12 agosto scorso, all'indomani dell'annuncio del fermo di una quarantina di islamici, che «non è così che si fa antiterrorismo, l'operazione è stata presentata dal ministero come di contrasto al terrorismo e l'aggettivo "islamico" si è sprecato per indicare l'ambiente in cui cercare i terroristi»; ammonendo Amato a dire «a chiare lettere che noi musulmani stranieri e italiani siamo risultati estranei, una volta di più, a ogni attività suscettibile di mettere in pericolo la sicurezza collettiva e l'ordine pubblico».

Per verificare la realtà dell'ideologia dell'odio, della violenza e della morte che anima l'Ucoii, al pari di Hamas e dei Fratelli Musulmani, basta dare in queste ore uno sguardo al sito gestito da Piccardo www.islam-online.it. Vi si può leggere il messaggio del 24 luglio della Associazione Islamica «Imam Mahdi», in cui si invitano «tutti gli uomini di buona volontà (...) ad adoperarsi per contribuire anch'essi a porre fine una volta per tutte al sedicente "Stato d'Israele", a questo incubo orrendo, a questo mostro immondo che si nutre di sangue innocente». O il messaggio dal titolo «La premiata impresa di pulizie israeliana», di Carlo Bertani, del 30 luglio 2006, ripreso da www.disinformazione.it, che inizia così: «Mentre in Italia ci trastulliamo fra un voto di fiducia e uno sciopero dei farmacisti, la premiata ditta Tsahal Mossad ha dato inizio alla pulizia etnica del Libano meridionale».

A noi non resta che prendere atto che oggi in Italia predicare e aizzare le masse a distruggere Israele è assolutamente lecito, che la stampa nazionale gratuitamente o a pagamento diffonde dei messaggi inequivocabilmente ostili al diritto all'esistenza di Israele. E che tutto ciò viene considerato libertà di espressione. Nonostante si tratti in realtà del fulcro dell'ideologia del terrore di cui tutti noi siamo testimoni e vittime
Magdi Allam
20 agosto 2006

 

COMMENTO: DISSOLUZIONE IMMEDIATA DELLA SEDICENTE CONSULTA ISLAMICA, QUINTA COLONNA DELL'ATTACCO MAOMETTANO ALLE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI!!!!!

ISLAM=NAZISMO=BOLSCEVISMO=DANGER

18/08/2006

L'arroganza islamica secondo l'Ucooii

Dunque l'Ucooii s'è offesa perché nell'opera urgente e necessaria di prevenzione del terrorismo sono state fermate delle persone di religione musulmana.
Chiedo: noi cattolici ci siamo mai offesi, qualche autorità della Chiesa ha mai protestato perché in Italia come in Irlanda venivano fermate o arrestate persone - tutte battezzate dalla Chiesa Cattolica - accusate di appartenere alle Brigate Rosse o all'Ira e di avere sotto le insegne di quelle organizzazioni compiuto reati?
No, da cattolici abbiamo con grande dolore riconosciuto che quelle persone avevano violato leggi dello Stato ed erano perciò dei cattivi cittadini e dei pessimi cattolici.
Evidentemente, secondo l'Ucooii non possono esistere cattivi musulmani; evidentemente gli islamici sono autoreferenziali e al di sopra del bene e del male.
I rappresentanti dell'Ucooii sembrano proprio afflitti da quel pericoloso complesso di superiorità che caratterizza lo spregevole razzismo.
Non fa meraviglia che una parte del mondo islamico abbia guardato con simpatia ad Hitler e alla sua nefasta ideologia.

www.ilgiornale.it

L'esercito fantoccio di Siniora

BEIRUT — Ma chi lo dice che Israele ha perso? «Semplicemente non ha voluto vincere e ha lasciato credere al mondo arabo che l’Hezbollah è in grado di tenere testa al più forte esercito del Medio Oriente». Non ha paura di andare controcorrente il generale in pensione Wahebi Katisha. Maronita, 62 anni, ai vertici dello stato maggiore libanese sino al 1999, il generale Katisha parla da cristiano schierato che ha vissuto sui campi di battaglia tutto il periodo della guerra civile contro i palestinesi prima e contro le milizie sciite dopo. Ma il suo giudizio è anche quello di un ufficiale esperto, che si è fatto 10 anni di scuola militare in Francia e ha una profonda conoscenza delle tattiche militari Nato.
Generale come giudica la forza combattente dell’Hezbollah?
«Li conosco bene. Dal 1983 al 1989 ci siamo sparati contro nella regione di Beirut. Sono molto più disciplinati dei palestinesi e degli sciiti di Amal. Mi ricordo che erano l’unica milizia musulmana in Libano che fosse in grado di rispettare i cessate il fuoco. La loro motivazione religiosa li rende determinati, pericolosi. Ma attenzione, restano una piccola forza di guerriglieri, assolutamente incapace di condurre una vera guerra contro un esercito convenzionale».
Però sembra che siano riusciti a fermare Israele.
«Stupidaggini. Siamo tutti vittime della propaganda araba e della stampa occidentale, che si lascia sedurre dall’immagine dei guerriglieri-partigiani armati di mitra contro i Merkava di Golia. La verità è che, contrariamente a quello che si dice nel mondo arabo, Israele non aveva assolutamente alcuna intenzione di invadere il Libano. Ha provato a distruggere l’Hezbollah dall’aria, limitando al massimo l’impiego delle forze di terra. E non c’è riuscito, perché loro si nascondono tra i civili, si fanno scudo con i villaggi, gli ospedali, le ambulanze. Non hanno posizioni fisse, usano armi leggere. Sparano e scappano. Bastano due uomini per tirare qualche Katiuscia. Non hanno mai lanciato un’offensiva, non ne hanno i mezzi. Israele in due giorni avrebbe potuto arrivare a Tripoli. Semplicemente non ha voluto».
E ora, sarà in grado l’esercito libanese di controllare il Sud?
«Certo, nonostante la mancanza di elicotteri e di mezzi veloci per gli spostamenti. Abbiamo carri armati russi della Seconda Guerra Mondiale che si muovono a malapena. Ma tutto dipende dall’accordo politico a Beirut. Se il governo approva la missione all’unanimità, andrà tutto bene. Ma se l’Hezbollah decide di rompere la tregua e lanciare blitz contro Israele, allora il nostro esercito non è assolutamente in grado di fermarlo».
Si dice che il 60 per cento degli effettivi sia sciita, più fedele a Nasrallah che al governo Siniora.
«È vero e ciò costituisce un problema. È sempre stato un problema quello delle divisioni etniche (diciamo piuttosto RELIGIOSE), tanto che dallo scoppio della guerra civile nel 1975 proprio gli elementi più gravi del conflitto sono nati dal fatto che i nostri soldati obbedivano ai dirigenti nei campi opposti. Ricordo il 1976 come un anno terribile, quando i soldati cristiani si allearono alle Forze Libanesi dirette dai maroniti e invece drusi, sunniti e sciiti passarono al fronte palestinese. Lo stesso avvenne dopo l’invasione israeliana nel 1982».
Dunque anche oggi c’è il rischio che più della metà dei soldati si allei all’Hezbollah?
«Certo. C’è il rischio che la prossima guerra civile libanese inizi proprio dallo scontro tra i soldati nel momento in cui dovesse arrivare l’ordine di disarmare l’Hezbollah. Questa volta cristiani, drusi e sunniti potrebbero stare con il governo e gli sciiti con l’Hezbollah».
E gli ufficiali non contano nulla?
«In linea di massima seguirebbero le alleanze etniche e religiose interne. Oltretutto i nostri ufficiali più giovani, quelli che sono sotto le armi da dopo l’avvio dell’egemonia siriana nel 1990, sono stati educati alle scuole di guerra siriane, che si rifanno alla dottrinamilitare russa. Un sistema molto gerarchico, che premia l’obbedienza e la passività. La mia generazione si era formata negli anni Sessanta e Settanta sulla dottrina Nato, che esalta invece il giudizio individuale e la capacità di reazione dei singoli comandanti sul campo. Oggi non vedo la possibilità che i nostri ufficiali nel sud del Libano siano in grado di bloccare da soli il pericolo dell’anarchia e delle divisioni tra i soldati ».
Lorenzo Cremonesi
18 agosto 2006
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17/08/2006

Hina, uccisa dall'insegnamento islamico

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In ricordo di Hina, giovane e brava ragazza Pakistana, morta a causa dell'ideologia criminale coranica, come migliaia di sue coetanee uccise ogni anno in virtu' degli insegnamenti di un falso profeta, assassino, ladro e predone, analfabeta e pedofilo.

In archivio, vi é un articolo sui massacri misogini coranici in Pakistan, messo in linea qualche settimana fa...(02/05/06)un triste presagio!

http://valeursoccidentales.hautetfort.com/archive/2006/05...

 MA NON E' TUTTO! LEGGETEVI BENE QUESTO:

Centinaia tra donne e ragazze, così come un gran numero di uomini, sono state uccise, sembra per aver disonorato i propri parenti maschi. Anche una semplice asserzione è stata sufficiente per condurre al delitto d’onore. Il comportamento femminile considerato come disonorevole comprendeva relazioni extraconiugali presunte o reali, la scelta di un marito contro il volere dei genitori, la richiesta di divorzio. Alcune donne hanno dato disonore alla loro comunità perché erano state violentate. Attiviste per i diritti delle donne sono state in certi casi attaccate per il loro lavoro.
Jameela Mandokhel, una sedicenne mentalmente ritardata, è stata stuprata in marzo. Al suo ritorno presso la comunità di Kurran un consiglio tribale ha decretato che la ragazza aveva macchiato l’onore della tribù e le ha sparato, uccidendola. Il governo non ha intrapreso alcun provvedimento.
In aprile, Samia Sarwar, una ventinovenne che intendeva divorziare dopo anni di violenza domestica, è stata uccisa nell’ufficio della sua avvocata a Lahore da un dipendente della famiglia. Il tentativo della donna era stato considerato oltraggioso per la famiglia. In seguito la legale è stata accusata assieme all’omicida e pubblicamente minacciata di morte per aver ‘fuorviato’ Samia Sarwar.”

(...) Nel villaggio chiamato Meerwala, il dodicenne Shakoor viene sorpreso da alcuni notabili in flagrante delitto di “frequentazione abusiva”: ha osato intrattenersi con una ragazza di casta superiore. Nell’area tribale di cui abbiamo detto, vige la gerarchia delle caste, di matrice indù, ma viene, in genere, praticato l’islam dal quale deriva la famosa sharia che sarebbe, poi, il corpus legislativo costruito nei secoli dai vari califfi per rafforzare il proprio potere. In teoria la sharia deriva dalla Sunna e dagli hadith cioè la tradizione coranica e quel che ha detto e fatto il Profeta Maometto. In teoria, poiché spesso, per non dir sempre, si assiste al trionfo della manipolazione.
Breve: il ragazzino viene fermato dai notabili, affidato agli anziani del villaggio che stabiliscono che egli venga punito: con la sodomizzazione. Tanta orribile punizione non basta a sanare il resto sicché gli anziani del panchayat (il tribunale), sei giudici, decidono che tocca altresì a Mukhtiar riparare.
Mukhtiar ha diciotto anni, è una brava ragazza timorata di Dio, ottima insegnante coranica ma ha il torto di essere la sorella dello “sfacciato Shakoor”. La trascinano in piazza, le strappano la veste, la stuprano coram populo: quattro energumeni designati alla bisogna dal tribunale tribale. Lacerata e umiliata, Mukhtiar dovrà attraversare, nuda e sanguinante, tutto il villaggio prima di raggiungere la sua misera abitazione colma del pianto disperato della madre. (...)

Secondo gli ultimi dati della Commissione pakistana per la difesa dei diritti umani, in Pakistan ogni due ore viene violata una donna: nel Punjab la media sarebbe di quattro stupri ogni 24 ore mentre ogni quattro giorni si avrebbe una violenza di gruppo. Paradossalmente, nel 2001 la polizia ha ricevuto appena 320 denunce di altrettanti “reati sessuali”.

Non ricordo di aver sentito i direttori dei nostri giornali bellicisti, nè i nostri politici che hanno tanto a cuore libertà, diritti e democrazia, dopo l’adesione del Pakistan alla coalizione che ha attaccato l’Afghanistan, parlare di tutto ciò. Evidentemente gli oppositori politici Pakistani trovano celle più comode di quelle Irakene, oppure i Talebani avevano tecniche di stupro peggiori di quelle Pakistane.

http://italy.indymedia.org/news/2003/05/277629.php  (il colmo é che si tratta di un sito di mentecatti no-global, ma l'articolo emana da Amnesty International!)

Copto egiziano rifiuta di convertirsi all'islam: torturato ed ucciso

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Hani Sarofim Nasrala Issak, a soldier in the Egyptian army, was tortured and killed last week after refusing to convert to Islam.
Hani's family issued a statement about the incident. In translation, the statement says:
Our son, the soldier Hani Sarofim Nasrala, from the village of Rahmaneya Kebly in the city of Nag Hamadi of the Qena governorate, was a soldier in the southern sector of the city of Aswan. His unit number was 2152C33. We found him drowned in the Nile near the city of Nag Hamadi. Marks of torture covered the entirety of his body. Earlier, Hani had told his family that there were problems between him and the direct leader of his unit because Hani was a Christian. He also told his family that his leader used to molest and torture him in front of his peer soldiers. When his leader asked him blatantly to reject Chrisitianity and convert to Islam, Hani refused and told him he would notify the military intelligence. The leader threatened him saying "Ok Hani, I will settle things with you!" The leader subsequently arranged to kill Hani by sending him to a station near his village, at Nag Al-Ghaliz of the city of Nag Hamadi, in order to eliminate any suspicions about the plan. At that time, Hani was supposed to be on an official vacation of eight days, which would end on July 30th 2006. He also had two permissions for one other vacation, which would have finished on August 13th 2006, in case one of the two permissions got lost. An official report was filled at the Nag Hamadi police station under the number 5251 year of 2006.
http://lanternix.blogspot.com/

16/08/2006

"Baffetto", ovvero come i bolscevichi si identificano nel nazislamismo

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ROMA - La comunità ebraica italiana, prima con un portavoce e poco dopo con il suo presidente Paserman, attacca il ministro degli Esteri Massimo D'Alema accusandolo di essere andato a Beirut e al Cairo «per sostenere le ragioni di Hezbollah, nemici della pace».
LA CRITICA - «D’Alema è il primo ministro di un Paese europeo, se si eccettua la Francia, ad aver appoggiato Hezbollah e che si è sempre mostrato vicino e amico con dei ministri di un movimento che non riconosce lo Stato di Israele e anzi persegue direttamente la sua distruzione». Il presidente della Comunità ebraica di Roma, Leone Paserman, commenta così con un'agenzia di stampa le cdritiche espresse poco prima dal portavoce Riccardo Pacifici al ministro degli Esteri che ieri, in visita a Beirut, si è fatto vedere a braccetto con Hussein Haji Hassan, deputato di Hezbollah. «Credo che D’Alema volutamente ignori la realtà dei fatti - ha detto Paserman - perché se Israele deve essere, come ha detto il ministro della Farnesina, amico di paesi come l’Iran e di altri Stati che rifiutano qualunque tipo di negoziato, allora meglio non avere amici».

PARLA IL PORTAVOCE - Le immagini del ministro degli Esteri a braccetto con Hussein Haji Hassan, deputato di Hezbollah, hanno dato parecchio fastidio al portavoce e vicepresidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che mostra tutto il suo disappunto. «Eravamo sorpresi e perplessi sull’equivicinanza espressa da D’Alema già prima del conflitto - afferma Pacifici - ci domandiamo se con la visita a Beirut e al Cairo continui a mostrare la sua equivicinanza tra Israele e Libano o peggio ancora a sostenere le ragioni di Hezbollah, nemici della pace». L’irritazione del portavoce della Comunità ebraica si spinge oltre, sulle mancate parole di condanna da parte dell’inquilino della Farnesina verso Hezbollah. «Non abbiamo sentito nessuna parola di condanna verso chi è l’autore dell’inizio di questo conflitto - sottolinea Pacifici - e cioè Hezbollah che, violando i confini regolarmente riconosciuti da Israele, hanno ucciso 5 soldati in terra israeliana e rapiti altri due. Così come non abbiamo sentito da D’Alema alcun rimprovero verso Hezbollah che hanno messo in atto una orrenda guerra; nessuna parola di comprensione - continua Pacifici - per uno Stato circondato da un manipolo di terroristi che si fanno scudo di civili, facendo partire i missili diretti al nord della Galilea da edifici abitati da donne e bambini». Arriva dunque l’interrogativo di Pacifici: «Ci domandiamo dove sia l’equivicinanza tra Israele e chi invece scatena odio e terrore».
MISSIONE ITALIANA - Il duro attacco al ministro degli Esteri prosegue. «Ho visto ieri le immagini commoventi di soldati israeliani che rientravano dal fronte cantando le parole di "Sia la pace fra noi". D’Alema - rimarca il portavoce ebraico - ha sentito lo stesso dai combattenti Hezbollah? D’Alema ha mai visto i film in cui Hezbollah inneggiano odio verso israeliani? D’Alema ha mai visto i proclami di stampo nazista con cui si ispira la loro ideologia?». «In tal senso - si domanda Pacifici - non esiste forse una contraddizione in termini? Israele si è ritirata da Gaza e ha avuto la guerra, si è ritirata dal sud del Libano. Dov’era D’Alema in tutto questo periodo e come fa a non comprendere che Israele sta compiendo una giusta guerra per il diritto alla vita?» In tal senso, Pacifici esprime «profonda preoccupazione» che «un Paese come l’Italia, storicamente amico di Israele, possa trovarsi ai confini tra Libano e Israele con una missione confusa».

CAPEZZONE ATTACCA - «Il ministro D'Alema aveva aperto questa fase politica usando l'espressione 'equivicinanzá (e giá appariva assai discutibile definirsi equivicini o equidistanti tra la democrazia israeliana da una parte e le organizzazioni terroristiche che avevano aperto il conflitto dall'altra). Ora, sembra proprio che di quell»equivicinanzá sia rimasta solo la 'vicinanzá (ad Hezbollah). Per questo, mi paiono giustificate le critiche e le perplessitá che vengono dalla Comunitá ebraica«. Lo afferma Daniele Capezzone, segretario di Radicali italiani.
COMMENTO: il viscido "baffetto", l'ex segretario della figci oggi ministro in doppiopetto e cravatta, il marxista trombato dalla caduta dell'impero sovietico, la nullità rifiutata all'ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, lo scaldasedie che non ha mai lavorato un solo giorno nella sua vita e che possiede uno yacht di piu' di 10 metri con equipaggio, il verme che pretende rappresentare la politica estera italiana grazie a 25.000 voti di scarto...una faccia da culo che peggio non si puo'!

15/08/2006

Bestialità in terra d'islam

Jenin (Cisgiordania). La cultura dell'odio e della morte che l'integralismo islamico diffonde a piene mani in Palestina è all'origine di un nuovo episodio di violenza, disumanità e orrore. Bassim Al-Mallah - un ragazzo palestinese di 21 anni che viveva nel villaggio di Faqo, non lontano da Jenin e lavorava in Israele - è stato giustiziato sulla pubblica piazza perché sospettato di collaborare con lo stato di Israele (nella foto, un momento del linciaggio). Sei miliziani palestinesi, dopo averlo ammanettato e bendato, l'hanno freddato sparandogli alcuni colpi al petto da distanza ravvicinata. Mentre il ragazzo agonizzava, la folla si è avventata su di lui. Molti ragazzi hanno preso a calci e calpestato il suo corpo martoriato; altri scattavano foto con i telefonini per conservare un macabro souvenir di quella morte. Diversi bambini assistevano alla scena eccitati dal sangue. Bassim avrebbe dovuto sposarsi fra qualche giorno. Le brigate dei martiri di Al Aqsa hanno dichiarato con ortgoglio alla Reuters di aver preso parte all'esecuzione, al fianco della brigate Al Quds. Secondo alcune fonti il giovane, sottoposto a pestaggi e torture, avrebbe confessato di aver fornito al nemico informazioni utili all'eliminazione di due dirigenti delle brigate Al Quda: Mohammed Ateeq e Usamah Al-Ateily. Si ricorda che episodi di linciaggio con accanimento sui cadaveri sono pratiche cui il popolo palestinese partecipa non di rado e che riguardano, oltre che i sospetti di spionaggio, i dissidenti, le donne indiziate di immoralità, gli omosessuali e chiunque si trovi a incorrere nelle puniziuoni previste da un'applicazione sadica e spietata della legge islamica. R.M.

Una folla esaltata si abbandona a una festa dell'orrore, straziando il corpo del giovane morente e fotografando le scene più cruente di quello scempio. Linciaggi e violenze sui condannati agonizzanti sono purtroppo episodi che riguardano spesso anche i dissidenti, le donne accusate di licenziosità, gli omosessuali e chi incorre nella sharia.

 

 

Palestinesi massacra...

COMMENTO: queste immagini orribili ricordano la realtà quotidiana delle banlieues francesi dove la dottrina del pedofilo sanguinario fa scuola.

22/07/2006

Hezbollah, terrorismo, traffico di droga, contrabbando..nel nome di allah il misericordioso

Gli Hezbollah, da buoni libanesi, hanno il senso del commercio. E con l'obiettivo di aiutare la «resistenza armata» trafficano in tutto. Partite di cocaina in Sudamerica, gemme in Africa, sigarette negli Stati Uniti, false griffe in Europa. Ma il prodotto che non ti aspetteresti è il Viagra: pillole taroccate, probabilmente pericolose per chi le assume. La storia del Viagra non è una bugia per «sporcare» l'immagine dura e pura del partito di Dio libanese. E' vera ed è emersa nei mesi scorsi durante una indagine federale negli Usa. Un gruppo di libanesi, da tempo residenti tra Carolina del Nord e Michigan, avevano messo in piedi una redditizia attività di contrabbando destinata — in parte — ad alimentare il budget dell'Hezbollah. Fonti diplomatiche stimano in 250 milioni di dollari il bilancio ufficiale del movimento, un tesoro garantito da cospicui finanziamenti iraniani. Almeno 10 milioni di dollari al mese. In realtà c'è il sospetto che il giro d'affari abbia dimensioni planetarie. Un piccolo impero economico su cui non tramonta mai il sole.
Il primo pilastro dell'apparato è nella famosa Triplice frontiera, la zona racchiusa dai confini di Paraguay, Brasile e Argentina. Nella cittadina paraguayana di Ciudad del Este, l'Hezbollah gestisce scuole, centri islamici e commerci. Un finanziere d'assalto brasiliano di origini libanesi ha inviato almeno 50 milioni di dollari alla guerriglia ottenendo una lettera di ringraziamento da parte del segretario Hassan Nasrallah. A Ciudad vendono smerciati prodotti contraffatti — borse, profumi, elettronica, cd musicali —, riciclano denaro, raccolgono soldi nella folta comunità araba (almeno 20 mila persone). I negozi dai nomi arabi diventano una buona copertura e una base per militanti in trasferta. Esiste — secondo gli 007 argentini — un sistema di comunicazione via Internet che lega la colonia paraguayana al quartier generale in Libano. Un accogliente santuario dove sciiti e sunniti vanno d'accordo in nome del guadagno. Infatti elementi pro-iraniani convivono con estremisti egiziani della Jamaa e della palestinese Hamas, anche loro impegnati nella raccolta della zakat (l'offerta).
Il modello ha funzionato e l'Hezbollah lo ha riprodotto. Attivisti libanesi hanno aperto imprese di import/export all'Isola Margaritas in Venezuela, in Cile, in Ecuador, a Panama, in Guayana. I luoghi preferiti sono le cittadine a cavallo delle frontiere, dove poliziotti distratti e un intenso passaggio favoriscono gli imbrogli. Nei paesi della droga emissari Hezbollah trattano droga con i cartelli locali. La polizia ecuadoriana ha smantellato di recente una organizzazione che guadagnava un milione di dollari a spedizione e destinava il 70% ai militanti. Oltre il Rio Grande, negli stati centrali degli Usa, l'Hezbollah è più discreto. Oltre al Viagra, traffica in latte in polvere e sigarette, quest'ultime comprate in una riserva indiana. Una rete che operava tra Detroit e Charlotte ha frodato il fisco per 20 milioni di dollari. Quanti ne sono finiti all'Hezbollah? L'Fbi non ha una risposta, però ha accertato un legame operativo con Imad Mugnyeh, a lungo responsabile dell'apparato clandestino e oggi numero tre nella lista dei super-ricercati. Le cellule americane, oltre a commerciare, hanno il compito di acquistare materiale paramilitare: visori notturni, apparati radio, abbigliamento, telefoni satellitari, sistemi Gps. I mediatori legati all'Hezbollah si sono fatti un nome in altri due settori.
Il recupero crediti e le pietre preziose. Una grande società del tabacco britannica avrebbe chiesto aiuto ai militanti per recuperare un grosso credito in Iran. Operazione pagata con un ricco assegno per la intermediazione. Non meno aggressiva l'attività in Africa. Alcuni tra i più spregiudicati mercanti di gemme sono di origine libanese e appartengono alla comunità sciita. C'è il fondato sospetto che promuovono la raccolta di «tasse rivoluzionarie» in favore dell'Hezbollah e versino loro stessi un obolo alla causa. I libanesi finiti sotto accusa si difendono sostenendo che si tratta di normali attività economiche, perfettamente legali. E altri aggiungono che i fondi inviati a Beirut sono spesi nel vasto apparato sociale composto da asili, mense, scuole, ambulatori gestito dall'Hezbollah. Provare che i dollari finiscono all'ala combattente non sempre è facile. Ma il sospetto è legittimo.
Guido Olimpio
22 luglio 2006

21/07/2006

Diritti a geometria variabile

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Al di là delle differenti opinioni sulla nuova crisi in Medio Oriente, emerge che per gran parte del mondo il diritto di Israele all’esistenza è una variabile dipendente, non un principio inviolabile delle relazioni internazionali. Anche il nostro Occidente legittima pienamente non soltanto degli Stati che non hanno relazioni diplomatiche con Israele, ma si dicono pronti ad averle qualora sorgesse uno Stato palestinese, ma legittima anche quegli Stati e gruppi che hanno scatenato una guerra del terrore e predicano l’annientamento di Israele.
È una riflessione che s’impone quando da parte dei governi, dei parlamenti nazionali e dell’Unione Europea si deplora l’uso «eccessivo» della forza o la reazione «sproporzionata » di Israele, limitandosi a mettere a confronto un certo numero di israeliani uccisi contro un numero maggiore di vittime palestinesi e libanesi, l’impiego di aerei e lanciamissili contro kamikaze e razzi. Senza contestualizzare gli eventi bellici, citando en passant la volontà di distruggere Israele quasi si trattasse di uno dei tanti elementi della crisi. Finendo per mettere sullo stesso piano l’attentato terroristico sferrato da chi disconosce il diritto di Israele all’esistenza e la rappresaglia militare di chi difende il proprio diritto alla vita. E nella condanna indistinta della violenza e nell’appello generico alla pace, si finisce di fatto per legittimare il terrorismo. Occultandone la natura aggressiva, giustificandolo come «reazione» ai bombardamenti, nobilitandolo come «resistenza » all’occupazione. In questo clima saturo di disinformazione la realtà viene mistificata, i pregiudizi religiosi e ideologici nei confronti di Israele riesplodono con modalità e graduazioni diverse.
Ebbene, una corretta informazione fa emergere come l’inizio della crisi sia stato l’attentato terroristico compiuto il 25 giugno scorso da un commando di Hamas, partito da Gaza non più occupata, che ha ucciso due soldati israeliani e rapito un terzo. Un’iniziativa che ha voluto sabotare la speranza della ripresa del negoziato, riaffiorata dopo il vertice tra il presidente palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Olmert a Petra il 22 giugno, sotto gli auspici del re giordano Abdallah II. Un copione già visto quando nell’ottobre del 1993 Hamas scatenò per la prima volta i suoi kamikaze sugli autobus a Gerusalemme e Tel Aviv per sabotare il nascente processo di pace siglato il 13 settembre 1993 a Camp David tra Arafat e Rabin. Successivamente alla rappresaglia militare israeliana a Gaza, è scattata la seconda fase della crisi. L’8 luglio i terroristi dell’Hezbollah sono penetrati in territorio israeliano, partendo dal Libano meridionale che non è più occupato dal 2000, uccidendo otto soldati e sequestrandone due. In questo caso si è trattato di un terrorismo su procura per scatenare un conflitto in Libano al fine di alleggerire la pressione della comunità internazionale nei confronti dell’Iran sulla questione del nucleare. Un copione simile a quello di Saddam, quando il 3 giugno 1982 commissionò a Abu Nidal l’uccisione dell’ambasciatore israeliano a Londra, Shlomo Argov, determinando la decisione israeliana di invadere il Libano il 6 giugno, al fine di distogliere l’attenzione dal massacro, con i gas chimici, di migliaia di soldati iraniani a un passo dalla presa di Bassora.
La legittimazione di Hamas, Hezbollah, Assad e Ahmadinejad viene accreditata sulla base del fatto che sono stati liberamente eletti dai rispettivi popoli. Ebbene, oggi è l’Occidente per primo, dal momento che è impegnato nella diffusione della democrazia nel mondo, a dover rispondere a un quesito fondamentale: può essere considerato democratico chi nega il diritto all’esistenza di Israele e pratica il terrorismo per distruggerlo? Ed è l’Occidente per primo, a circa 60 anni dall’Olocausto degli ebrei frutto del regime nazista andato anch’esso al potere democraticamente, a doversi pronunciare in modo inequivocabile sulla legittimità delle forze islamiche «democratiche» che stanno promuovendo una guerra volta a cancellare la patria degli ebrei dalla carta geografica. Ecco perché dovrebbe essere proprio l’Occidente a prendere l’iniziativa di accreditare sul piano del diritto internazionale che il diritto di Israele all’esistenza è un principio inalienabile e un valore incontrovertibile che sostanzia la democrazia. Che, pertanto, predicare e operare per la distruzione di Israele è un crimine contro l’umanità e una negazione della democrazia, che non può prescindere dal riconoscimento del diritto alla vita e alla libertà di tutti.
Magdi Allam
19 luglio 2006