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15/05/2006

Mazara del Vallo:esempio concreto di "integrazione" islamica

Mazara del Vallo - Arabo e francese, Corano e disciplina. Niente italiano e soprattutto niente aperture alla comunità locale. Anzi. Gli insegnanti della scuola tunisina di Mazara del Vallo sono stati cambiati di recente. Quelli di prima erano troppo integrati, qualcuno aveva anche una moglie siciliana, i nuovi professori, invece, non parlano neanche l´italiano. E così, naturalmente, anche i loro alunni. Bambini di origine tunisina, ma con documenti italiani, che a 11-12 anni, quando finiscono le sei classi del primo ciclo del loro paese, si iscrivono alla scuola media italiana senza sapere né scrivere né leggere la lingua del paese in cui vivono e nel quale, con tutta probabilità, costruiranno il loro futuro.

Ecco Khaled, 10 anni, nato a Mazara del Vallo. La lingua che parla, oltre la sua, è il dialetto mazarese. Di mattina sui banchi della scuola tunisina, di pomeriggio su quelli di uno dei tre centri della Caritas ad imparare l´italiano con i volontari della fondazione San Vito guidata da Vincenzo Bellomo. «Non ce la facciamo più, abbiamo 160 bambini e ragazzi da seguire. Questo non è più un lavoro da volontari, questa è diventata una scuola alternativa. Abbiamo chiesto alle autorità tunisine di introdurre lo studio dell´italiano nella scuola ma fanno orecchie da mercante, non capisco perché - dice don Francesco Fiorino, direttore della Caritas diocesana - . Alla fine la scuola tunisina è un ghetto, è la negazione dell´integrazione. E´ giusto che loro vogliano far studiare ai bambini la loro lingua e la loro cultura, ma non si può ignorare quella del paese in cui vivono».

La vecchia kasbah tunisina a Mazara non esiste più. I circa tremila immigrati vivono ormai "spalmati" nel centro storico. E se quest´anno la prima campanella della scuola islamica non è ancora suonata, di ragazzini nordafricani con lo zaino in spalla per strada se ne vedono tanti. Niente velo per le ragazzine, per carità, jeans a vita bassa e minigonna hanno conquistato anche loro. E picco di iscrizioni alla scuola italiana che, ormai da cinque anni, con risultati apprezzabili, ha aperto la strada all´istruzione mista: i bambini arabi studiano l´italiano e gli italiani studiano l´arabo.

Primo circolo didattico Daniele Ajello, istituto d´avanguardia in una bella costruzione mussoliniana nel cuore del centro storico di Mazara. Dall´atrio ai corridoi, ovunque cartelloni colorati bilingue. E decine di foto delle feste di fine anno, con bambini italiani e tunisini che si tengono per mano. Da dietro la porta di una terza elementare filtrano le note di una canzone: due strofe in italiano, due strofe in arabo. «E la sanno tutti, anche i bambini che non seguono i corsi di arabo», dice compiaciuta la direttrice Mariella Corte. Appeso al muro, nel suo ufficio, il disegno di Habel. «Me lo ha fatto l´anno scorso per la festa della mamma da lui vissuta con grande emotività per motivi personali: guardi che bello, tanti cuori rossi, alberi verdi e un bel cielo azzurro, segno di un grande legame con me e con tutta la scuola». Dalla stanza della direttrice è appena uscita una coppia di coniugi tunisini: «Sono venuti a ringraziarmi per come abbiamo accolto le loro bambine che si sono iscritte quest´anno. Sono qui da cinque giorni e si sono trovate così bene che il papà e la mamma hanno sentito il bisogno di manifestarci la loro gratitudine». Qui si studia l´italiano e l´arabo in grande armonia. «E mi creda, abbiamo finito il primo quinquennio sperimentale e i ragazzi tunisini sono usciti con la stessa preparazione dei nostri». Le tensioni della scuola islamica di Milano qui sono lontane mille miglia. «Per noi sarebbe come tornare indietro di 20 anni - dice Mariella Corte - abbiamo già vissuto l´esperienza della scuola tunisina e sappiamo i guasti che ha prodotto. Il futuro è nell´integrazione ma nelle scuole italiane».

E così, tutto sommato, la pensa anche Mohamed Zitoun, ex consigliere comunale "aggiunto" a Mazara. «Quello che noi chiediamo è di istituzionalizzare la lingua e la cultura araba nelle scuole italiane. Noi siamo una minoranza etnica da tutelare.(sic!) E come a Gorizia o nelle città di confine del nord si studia il tedesco, qui si dovrebbe studiare l´arabo in tutte le scuole».

http://www.alef-fvg.it/immigrazione/info/2005/sett/22set-...

 

COMMENTO PERSONALE: notare come solo gli  islamici esigano di fare come a casa loro pur stando a casa degli altri. Nessun'altra cultura (per quanto quella islamica si possa definire "cultura") ha tali pretese.

In altri tempi si invadevano nuove terre con la spada. Si vinceva, si perdeva, perlomeno le cose erano chiare.

Oggi si arriva,si posano le valigie, si reclama una casa, si dichiara la propria ostilità alla cultura del Paese di accoglienza, si reclamano tutti i diritti e si rifiutano i doveri correlati.

Si crea un ghetto culturale e territoriale chiuso e si cerca di modificare gli usi e costumi del Paese ospitante, pur rifiutando di adattare i propri, anzi meglio ci si dichiara "minoranza etnica da tutelare"! (Notare bene l'amalgama equivoca fra, lingua, cultura, etnia e...islam)

 La volontà segregazionista farà si che quando e dove la minoranza diventerà maggioranza, ci sarà secessione in nome del diritto.....all'autodeterminazione! (vedi Cipro, Kosovo, Cachemire,...)

I figli dei filippini, dei cinesi, dei polacchi, dei romeni, si chiamano Paolo, Gino e Lorenzo, i figli dei musulmani si chiamano Mohamed, Khaled, Yussef.....chissà perché?

L'islam é insolubile, l'islam rifiuta l'integrazione, l'islam rifiuta il pluralismo, l'islam invade, reprime, sottomette.

 

 

I cattolici "illuminati" prendono coscienza del pericolo islamico

ROMA, lunedì, 8 maggio 2006 (ZENIT.org).- L’ultimo numero di “Studium” (n.1/2006) ha pubblicato un saggio che ha per titolo “La questione islamica” e che analizza temi come il terrorismo fondamentalista, l’immigrazione, l’antisemitismo, le differenze tra l’Occidente e il mondo arabo, il dialogo religioso e i possibili scenari futuri.

Il saggio è stato scritto dal padre gesuita Piersandro Vanzan, professore di teologia pastorale alla Pontificia Università Gregoriana e scrittore de “La Civiltà Cattolica”, insieme a Roberto A.M. Bertacchini, plurilaureato esperto ricercatore, nonché collaboratore di Vanzan.

Il bimestrale “Studium”, una rivista di cultura cattolica fondata a Firenze nel 1906, nata prima come organo della Federazione degli Universitari Cattolici (FUCI) e successivamente, nel 1933, del nascente Movimento Laureati di Azione Cattolica, ha visto tra i suoi collaboratori più assidui anche monsignor Giovanni Battista Montini, che fu eletto Pontefice con il nome di Paolo VI.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, i due autori del saggio sottolineano in particolare che “il confronto con l’Islam farà necessariamente esplodere le contraddizioni e i vistosi limiti del pensiero laicista, per cui si acuirà la spaccatura tra i laicisti miopi e i laici lungimiranti”.(Le contraddizioni cattoliche sulla questione islamica non sono da meno! N.D.R.).
Nel saggio pubblicato da “Studium” sostenete che il terrorismo, l'odio antioccidentale e antiebraico e l'immigrazione siano parte di un progetto globale per l’islamizzazione dell'Europa. A questo proposito avete scritto che "l'islamizzazione dell'Occidente, non è un fantasma né una paura, ma un’intenzione". Ci spiegate il perché di queste affermazioni?

Bertacchini-Vanzan: Nell’articolo da lei citato argomentiamo in lungo e in largo questo tema. In breve qui possiamo dire che l’Islam di oggi è una reazione fondamentalista all’Occidente che si sviluppa a partire dagli anni ’20, e che nel dopoguerra si aggrava per le mutate condizioni politiche palestinesi. Purtroppo l’Islam percepisce l’Occidente come una minaccia mortale, a prescindere dalle truppe americane in Iraq. Per gran parte del mondo islamico non va affatto bene che il cinema e la televisione mostrino modi di vivere e modelli ideali antitetici a quelli islamici. Non si tratta solo delle donne in minigonna, ma della presentazione di una società retta su principi opposti: per esempio di uguaglianza formale dei sessi e delle religioni, di libertà di scelta degli stati di vita, ecc. E ancor meno piace che le ragazze musulmane europee scelgano il proprio compagno senza il consenso del padre o dei fratelli, che non portino il velo, che magari scelgano la professione di medico, di giudice, di soldato, e quant’altro. Tali scelte, infatti, ricadono negativamente sui congiunti, specialmente più giovani, rimasti nei Paesi musulmani d’origine. Se non contrastate, quelle scelte finirebbero per incrinare la solidità di impianti sociali più che millenari. È per questo che gran parte dell’Islam - ovviamente le eccezioni non mancano - e in forme non ufficiali, reagisce e fomenta o quanto meno approva sia guerre regionali - dalle Filippine alla Cecenia, dalla Nigeria alla ex-Jugoslavia -, sia atti terroristici, dall’Estremo Oriente a New York: dietro ai quali c’è, necessariamente, una poderosa macchina organizzativa, finanziaria e ideologica. In questo quadro globale assume un rilievo particolare non solo la pericolosa vicenda iraniana, ma anche la prospettiva di una lotta all’ultimo sangue contro Israele. Un obiettivo non raggiungibile senza colpire o quanto meno neutralizzare il ruolo strategico dell’Europa. Donde l’importanza della sua islamizzazione.

Nel medesimo saggio affermate che esistono imam moderati, ma che l'Islam nel suo complesso soffre di una certa incompatibilità con le liberaldemocrazie a causa dell'accettazione parziale del concetto di libertà e di diritti umani. Potreste mostrarci qualche esempio?

Bertacchini-Vanzan: Un esempio di imam moderato è quello londinese, intervistato da Michele Zanzucchi e pubblicato nel libro “L’Islam che non fa paura”. Purtroppo quell’imam è morto recentemente, né conosciamo altri moderati di quel livello. Quanto alla questione della libertà, troppo ci sarebbe da dire. Per esempio le giovani cristiane tenute schiave, anche a uso sessuale, nell’alto Egitto, di cui Antonio Socci ha ben documentato l’esistenza. Fortunatamente c’è una organizzazione americana che ha lo scopo di liberarle, e qualche successo non manca, benché moltissime situazioni restino insanate. E poi ci sono le vere e proprie persecuzioni, di cui parla Samir Eid, che giungono a sconvolgere la sociologia religiosa di intere nazioni, con un’epurazione progressiva e una islamizzazione forzata dei cristiani. Il dramma nel Dafur resta emblematico! Né stanno meglio gli islamici che si permettono di derogare apertamente dalla linea ideologica fondamentalista. Magdi Allam e la Oriana Fallaci hanno ben documentato questi casi. Qualche nome? Farag Foda, assassinato in Egitto nel 1992; Mahfuz, premio Nobel, pugnalato quasi a morte nel 1994; Rashid Boudjedra, più volte incarcerato; M. Boukobza, assassinato in Algeria; Taslima Nasreen condannata a morte, e via numerando.

Ad un certo punto del vostro studio parlate della “necessità di una grande autocritica circa i rapporti con l'Islam, che finalmente esca da un ‘buonismo’ cieco e suicida”, e si propone una strategia di dialogo e di tolleranza mirata. Ci spiegate come sviluppare tale strategia?

Bertacchini-Vanzan: Su questo tema riteniamo più prudente attendere le indicazioni di Benedetto XVI. A noi conforta constatare di essere coerenti con quanto indica il Pontefice. Comunque, parlando in generale, bisogna ammettere che nel post-concilio si è dialogato non poco, ma con scarsi risultati. E insieme dobbiamo riconoscere che molti cattolici sono incappati nella retorica del dialogo a senso unico: senza reciprocità. Un caso generalmente positivo è quello dei Focolarini, che spesso sono riusciti a stabilire buoni rapporti sia con credenti di altre religioni, sia con i non credenti. I casi negativi sono invece quelli in cui i cattolici vengono semplicemente strumentalizzati, ma non ricevono contropartite significative in risposta alle loro aperture. E questo purtroppo avviene di continuo, per esempio quando si pretende di aprire grandi moschee in Europa, ma si nega di poter costruire anche una semplice cappellina in Arabia.

Nell'ultima parte del saggio si dice che “l'Islam di oggi pone all'Europa il problema del riconoscimento civile della sua identità”. Che cosa intendete dire: che l'Europa deve tornare ad essere profondamente cristiana e fautrice di quell'umanesimo culturale e spirituale che per secoli ha illuminato il mondo?

Bertacchini-Vanzan: Beh, qui occorre un po’ di realismo. Auspicare ritorni al passato è ingenuo. Invece occorre lavorare per un futuro socialmente più sereno. E il punto di fondo è che ciò non è possibile sulla base di certi atteggiamenti ingenui di certi laicisti, né sulla base di un atteggiamento rassegnato di troppi cattolici verso l’islamizzazione dell’Europa. Il concetto di Stato multietnico non coincide con quello di società interculturale. Il discorso esigerebbe un’altra intervista. Comunque, un punto è certo: le civiltà e le religioni non sono come numeri che comunque ammettono un massimo comun divisore. Infatti, alcune sono tra loro incommensurabili. L’idea di tolleranza si è sviluppata in Europa, perché si è coniugato al meglio — seppur con vari travagli — le radici (ascendenze/eredità) bibliche con i frutti della modernità. Ma questo schema non è trasponibile a piacere in qualsiasi contesto sociopolico. In breve, nell’art. di “Studium” volevamo dire che il confronto con l’Islam farà necessariamente esplodere le contraddizioni e i vistosi limiti del pensiero laicista, per cui si acuirà la spaccatura tra i laicisti miopi e i laici lungimiranti. I secondi saranno capaci di quell’autocritica che i primi neppure vogliono immaginare possibile, e arriveranno a un confronto sereno e fecondo col mondo cattolico. Ossia con la sua parte ancora tendenzialmente sana e fedele al Papa. Quod est in votis, almeno per noi!

13/05/2006

Lo schiavismo islamico

I. LE PRETESE DELL’ISLAM

Al giorno d’oggi ci sono parecchi afrocaraibici e afroamericani che si convertono all’Islam. Secondo le ricerche, questi nuovi islamici si sono convertiti primariamente perché avevano l’idea che l’Islam fosse una religione di "fratellanza" e di uguaglianza. Molti di loro credevano che l’Islam non avesse problemi razziali e che non fosse coinvolto nella tratta degli schiavi, come parecchi stati occidentali europei.

‘Abd-al-Aziz’ Abd-al-Zadir Kamal dice nel suo scritto "L’Islam e la questione razziale": "Nell’Islam, l’umanità costituisce una sola grande famiglia, creata (con) ... diversità di colori della pelle ... (perciò) ... adorando Dio tutti gli uomini sono uguali, e un arabo non ha la precedenza su un non arabo... Tutti gli esseri umani sono ... uguali ... e i matrimoni sono conclusi senza alcun riguardo del colore della pelle." Egli asserisce dunque che nell’Islam ci sia l’armonia razziale e che tutti, indipendentemente dal loro colore, abbiano "gli stessi diritti sociali ... obblighi legali ... opportunità di lavoro e ... la protezione della loro persona" (pag. 64).

Ma è vero? Queste pretese sono valide alla luce della storia? Guardiamo per esempio la questione della schiavitù nell’Islam.

II. LE FONTI ISLAMICHE CONFERMANO QUESTE PRETESE?

Sfortunatamente ci sono molte persone di pelle nera che credono che l’attacco accanito degli arabi all’Occidente collimi con la causa africana. È uno sbaglio mortale. I primi scrittori musulmani delle tradizioni islamiche (che sono state redatte abbastanza tardi, cioè fra il nono e il decimo secolo d.C.) ammettono che già al tempo di Maometto era diventato appropriato propagare le sue idee tramite conquiste militari. Il suo obiettivo principale era il controllo politico e militare; perciò non ci sorprende che secondo la tradizione abbia detto: "L’atto più meritevole ... e la migliore fonte di guadagni è la guerra" (Mishkat II, pag.340).

Quando i primi leader della conquista araba (cioè Abu Bakr, Umar e altri) invadevano i paesi, la storia dimostra che gli abitanti innocenti potevano essere dominati da loro oppure "accettare la morte tramite la spada" (Dictionary of Islam, pag.24).

Lo stesso Corano comanda ai musulmani: "...uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati..." (sura 9:5). Inoltre raccomanda ai musulmani di avere schiavi e schiave (sura 4:24-25).

Secondo la tradizione islamica il generale Abu Ubaidah, durante l’assedio di Gerusalemme, diede l'opzione agli abitanti di "accettare l’Islam oppure di prepararsi ad essere uccisi con la spada" (Rau Zatu, Volume II, pag.241).

I compilatori musulmani del tardo nono secolo ammettono francamente che Maometto fosse un condottiero militare. Mentre le prime descrizioni della vita di Maometto dicono poco della sua attività profetica, abbondano di racconti delle sue battaglie. Al-Waqidi (morto nell’820) stima che Maometto fosse coinvolto personalmente in 19 delle 26 battaglie (Al-Waqidi 1966:144). Ibn Athir dice che il numero era 35 (Ibn Athir, pag.116), mentre Ibn Hisham (morto nel 833) lo valuta a 27 (Ibn Hisham, pag.78).

Il consiglio bellico di Maometto ai suoi seguaci fu questo: "Gareggiate con me in fretta per invadere la Siria, forse avrete le figlie di Al Asfar" (Al-Waqidi 1966:144). C’è da osservare che Al Asfar era un LIBERO uomo d’affari africano con figlie bellissime, fino al punto che "la loro bellezza era diventata proverbiale" (Al-Waqidi 1966:144).

Di conseguenza, i poveri discepoli di Maometto non rimasero poveri per molto tempo. Diventarono straricchi con i bottini di guerra, e accumularono molti animali e SCHIAVI, nonché molto oro (Mishkat, Volume II, pag.251-253, 405-406).

Non c’è da meravigliarsi che Ali Ibn Abu Talib si millantava dicendo: "I nostri fiori sono la spada e il pugnale. Narcisi e mirti non sono nulla; la nostra bevanda è il sangue dei nostri nemici, il nostro calice è il loro cranio dopo averli combattuti" (Tarikh-ul Khulafa, pag.66-67).

Non sorprende che il Corano echeggia questo pensiero dicendo: "Quando (in combattimento) incontrate i miscredenti colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati,..." (sura 47:4) e "Combattete coloro che non credono in Allah ..., e quelli, tra la gente della Scrittura (cioè i giudei e i cristiani)..." (sura 9:29).

III. LA STORIA CONFERMA QUESTE PRETESE?

Il generale musulmano Amr Ibn Al‘As invase l’Egitto dal 639 al 642 (Williams 1974:147-160). L’Egitto non gli bastò e per questo cercò di colonizzare la Makuria, un regno cristiano indipendente. Il re Kalydossas però sventò le sue macchinazioni nel 643. Al‘As cercò nuovamente di soggiogare la Makuria nel 651, ma fallì e fu costretto a firmare un trattato di pace (Williams 1974:142-145).

Nel 745 il generale Omar, il nuovo governatore dell’Egitto, intensificò la persecuzione dei cristiani, ma il re Cyriacus della Makuria riuscì ad arginare questo nuovo attacco (Williams 1974:142-145). Nel 831 il re Zakaria, il nuovo monarca della Makuria, si allarmò per i cacciatori musulmani di schiavi che stavano invadendo il suo paese (l’odierno Sudan). Egli mandò una delegazione internazionale al califfo di Bagdad affinché queste violazioni del trattato di pace fossero fermate, ma non ricevette alcun aiuto (Williams 1974:142-145).

Il sultano Balbar dell’Egitto continuò a violare il trattato del 651 (vedi sura 9:1-4). Più tardi, nel 1275, i musulmani, del soggiogato Egitto, cominciarono a colonizzare e a distruggere la Alwa, la Makuria e la Nobatia, i tre regni cristiani antichi in Africa. I popoli di queste nazioni, una volta indipendenti e splendide, furono venduti come schiavi.

Mentre l’Islam e la cultura araba dilagavano in Africa, si diffondevano anche lo schiavismo e il genocidio culturale. Si cominciava a fare guerre per avere schiavi africani. Kumbi Kumbi, la capitale del Ghana, fu distrutta dagli invasori musulmani nel 1076. Il Mali aveva una "mafia" musulmana che "incoraggiava" i re africani del Mali ad abbracciare l’Islam. Questa "mafia" controllava le importantissime carovaniere e i porti commerciali dell’Africa. I musulmani riuscirono a impadronirsi dei posti più importanti nel governo e cominciarono a cambiare la storia antica del Mali in modo che gli eventi preislamici fossero cancellati. Per ragioni di sicurezza, il governo ganaense dei Mossi, che era conscio del potere dei commercianti musulmani, istituì un dipartimento governativo per controllare lo spionaggio musulmano (Davidson, Wills e Williams).

La tratta islamica degli schiavi si svolgeva anche intorno al Lago di Ciad negli stati musulmani di Bagirmi, Wadai e Darfur (O’Fahley e Trimmingham 1962:218-219). Nel Congo, i negrieri Jallaba commerciavano con i Kreish e con gli Azande, un popolo nel nord (Barth e Roome). Ugualmente frequentata era la rotta che seguiva lo spartiacque tra il Nilo e il fiume Congo, dove i negrieri arabo-musulmani (per esempio Tippu Tip del Zanzibar) arrivavano dalle zone orientali dell’Africa (Roome 1916, e Sanderson 1965).

Nell’Africa orientale, i promotori del commercio degli schiavi erano i popoli Yao, Fipa, Sangu e Bungu, che erano tutti musulmani (Trimmingham 1969 e Gray 1961). Sulla riva del Lago Nyasa (ora chiamato Lago di Malawi) fu istituito nel 1846 il sultanato musulmano di Jumbe con lo scopo preciso di favorire il commercio degli schiavi (Barth 1857 e Trimmingham 1969). Nel 1894 il governo britannico valutò che il 30 per cento della popolazione di Hausaland fosse costituito da ex schiavi. Era così anche nell’Africa occidentale francese fra il 1903 e il 1905 (Mason 1973, Madall e Bennett, e Boutillier 1968).

IV. L’ISLAM OGGI

A. SONO VALIDE QUESTE PRETESE?

Gli africani moderni hanno per troppo tempo praticato l’amnesia selettiva riguardo allo schiavismo islamico. Quelli di colore hanno messo giustamente l’enfasi sull’impatto distruttivo del colonialismo europeo e del commercio transatlantico degli schiavi, ma stranamente hanno ignorato la molto più duratura e devastante tratta arabo-musulmana degli schiavi in Africa.

Non si sente quasi mai parlare degli africani che erano costretti a migrare a causa delle incursioni dei negrieri musulmani dall’est, dall’ovest e dal nord dell’Africa dopo il settimo secolo. Gli schiavi africani, trasportati per via nave da Zanzibar, Lamu e altri porti estafricani, non erano portati in Occidente (come molti musulmani vogliono farci credere), ma finivano in Arabia, in India e in altri stati musulmani in Asia (Hunwick 1976, e Ofosu-Appiah 1973:57-63). Rapporti non ufficiali valutano che oltre 20 milioni di africani sono stati venduti come schiavi dai musulmani fra il 650 e il 1905 (Wills 1985:7)! È interessante notare che la maggioranza di questi 20 milioni di schiavi non era costituita da uomini, ma da donne e bambini che sono più vulnerabili (Wills 1976:7). È logico, visto che la posizione delle femmine nel Corano è sempre stata inferiore a quella dei maschi (sura 2:224; 4:11,34,176).

I teologi musulmani, come il famoso Ahmad Baba (1556-1527), sostenevano che "... la ragione dello schiavismo imposto ai sudanesi è il loro rifiuto di credere ... (Perciò) è legale impossessarsi di chiunque venga catturato come miscredente ... Maometto, il profeta, ridusse in schiavitù le persone perché erano Kuffar ... (È dunque) legale avere in possesso gli etiopi ..." (Baba pag.2-10).

Hamid Mohomad (alias "Tippu Tip"), che è morto nel 1905, era uno dei più affaccendati negrieri di Zanzibar. Ogni anno vendeva oltre 30.000 africani (Lewis pag.174-193 e Ofosu-Appiah 1973:8). È importante ricordarsi che la tratta degli schiavi a Zanzibar è continuata fino all’anno 1964! Infatti, nella Mauritania la tratta non è stata ufficialmente dichiarata illegale prima dell’anno 1981, mentre nel Sudan continua persino fino al giorno d’oggi secondo un rapporto dell’ONU del 1994 (vedi anche Ofosu-Appiah 1973:57-63; "The Times" del 25 agosto 1995; Darley 1935; MacMichael 1922 e Wills 1985). Tutti questi esempi riguardano uno schiavismo esclusivamente islamico.

B. BISOGNA RICONOSCERE QUESTE PRETESE?

I fatti soprannominati vengono generalmente sorvolati, ignorati o dimenticati nella letteratura di oggi, semplicemente perché non è "politicamente corretto" parlarne. Essendo io stesso africano, dico onestamente che dobbiamo rivalutare il ruolo dell’imperialismo europeo del diciannovesimo secolo riconoscendo che esso, malgrado la "stampa cattiva" che gode, è stato una delle poche forze che hanno fermato l’imperialismo arabo-musulmano nel continente africano. Gli arabo-musulmani di oggi screditano l’imperialismo occidentale del passato senza considerare o discutere l’argomento della loro propria sordida storia nel continente.

CONCLUSIONI:

Questo è stato un breve riassunto dello schiavismo islamico in Africa. I compilatori del Corano e gli scrittori islamici posteriori ammettono che la guerra e la tratta degli schiavi fossero i mezzi più efficaci per impadronirsi di nuovi ed indipendenti paesi in Africa. Questa teologia ha danneggiato gravemente non soltanto la vita familiare africana, ma anche l’antica eredità cristiana in Africa e lo sviluppo economico fino al giorno d’oggi. L’Islam ha attaccato deliberatamente prima le donne e i bambini, la parte più vulnerabile e importante della popolazione africana. Gli uomini che non sono stati venduti come schiavi sono semplicemente stati uccisi. La colonizzazione e lo schiavismo islamici sono cominciati oltre 1000 anni prima della più recente e breve tratta europea e transatlantica (Hughes 1922:49). Molte culture africane, sia pagane che cristiane, sono state distrutte. Perché?

Inoltre, perché i musulmani non protestano contro la schiavitù imposta agli africani nel Sudan odierno, e perché non la fermano? Il loro silenzio è molto eloquente! Mentre gli schiavi nei paesi occidentali sono stati liberati secoli fa, gli africani si chiedono per quanto tempo lo schiavismo durerà ancora nel continente africano.

Il Signore Gesù Cristo ha detto: "Andate e predicate l’Evangelo in tutto il mondo", inclusa l’Africa (Matteo 28:19-20). Non ci ha chiesto di fare la guerra o di ridurre i popoli in schiavitù. Al contrario, quando il Figlio di Dio ti avrà liberato sarai davvero libero. Infatti, la Bibbia condanna ogni tipo di imperialismo, sia arabo, europeo, asiatico che africano (vedi Esodo 23:4-5; Levitico 19:15; Deuteronomio 27:17; Proverbi 10:2-4, Isaia 5:20; Matteo 5:13-16; 38-48; 15:19; Giovanni 18:36-37; Romani 1:16-3:20; Ebrei 11:8-16 e Giacomo 4-5). Gesù ha anche detto: "Li riconoscerete dai loro frutti". I bianchi cristiani moravi della Germania deliberatamente vendevano loro stessi come schiavi per poter predicare l’Evangelo agli schiavi neri nelle Indie occidentali! Gli arabi musulmani hanno mai fatto qualcosa di simile per i neri? Il buon albero di Cristo porta frutti buoni. L’albero cattivo dell’Islam ha portato frutti cattivi in Africa dal 639 in poi, e continua a farlo fino al giorno d’oggi. Sta a te fare il confronto e prendere posizione.

Fratello Banda

http://debate.org.uk/gesu-corano/trattati/t12.htm

Les trois génocides de Bouteflika

Ce 7 Mai 2006, commémorant les massacres du 8 Mai 1945 dans la région de Sétif, le Ministre Algérien des anciens combattants a lu un discours prétendument écrit par Bouteflika.

Mais où est donc le tyran ? Claquemuré en son palais pour cause de... De quoi, au fait ? Son absence à Guelma fait désordre. Le Chariot d’Or serait-il avancé ?... Quelle autre raison pouvait ainsi l’empêcher de vomir lui-même son fiel à la face du pouvoir colonial assassin ? « C’est dur de mourir au printemps », chantait Brel...

À intervalle rapproché, la France est accusée d’un double génocide. Après avoir attendu 42 ans pour qualifier les massacres de Sétif, Bouteflika accélère. À l’évidence, comme nous le dit « Jean Daniel » « Rescapé d’une redoutable maladie, le président algérien a décidé de ne pas quitter la scène sans marquer historiquement le destin de son pays ». Rescapé ou plutôt en rémission ?

Première charge, urgente, lancée à « Constantine »« La colonisation a réalisé un génocide de notre identité, de notre histoire, de notre langue, de nos traditions. Nous ne savons plus si nous sommes des Amazighs, des Arabes, des Européens ou des Français ».

Trois jours plus tard il était reçu à l’hôpital militaire du Val de Grâce à Paris, déclenchant ainsi une polémique-tintamarre d’enfer de part et d’autre de la grande bleue.

Le quotidien El Watan du 22/4/06 fustigera cette incohérence en quelques mots : « Et la dignité nationale dans tout cela ? Au risque de faire le jeu des extrémistes français, l’on s’interroge sur les raisons qui ont poussé le Président, ou ses proches conseillers, à opter, en si mauvais moment, pour un séjour médical en France. La fierté algérienne veut qu’on ne demande pas le soir un comprimé de pénicilline au voisin avec qui on s’est chamaillé le matin !  ».

Mais l’Éditorial du même quotidien apportera une explication sans pour autant justifier « la faute politique » de Bouteflika : « Ce voyage est une grave faute politique. Déjà, en novembre dernier, beaucoup de voix se sont élevées pour critiquer le choix porté sur la France, probablement décidé dans la précipitation, l’urgence et l’angoisse du moment. (...) Comment est-on arrivé à ce gâchis. (...) » ;

L’éditorialiste poursuit : «  Etrange situation... À moins que le transfert du président de la République vers l’équipe médicale qui l’a soigné en décembre ne relève pas du simple « suivi médical », comme l’ont souligné, après de lourdes hésitations, les autorités algériennes... Un tout autre problème  ». Oui, à l’évidence, le Chariot d’Or est avancé. Et c’est dur de mourir au printemps. Les Kabyles en savent quelque chose. J’y reviendrai.

C’est le quotidien Algérien Liberté qui qualifiera le mieux la deuxième charge lancée par Ministre interposé, donc, ce 7 Mai 2006 : « Plus qu’une mise au point, plus qu’un sévère réquisitoire, son allocution au peuple de Guelma aura été une vraie “torpille” dans la “gueule” de la France. Une bombe !  » ;

« “La colonisation française a été brutale et génocidaire”(...)“Nous ne voulons pas d’une amitié cannibale.” Tel est le “dernier” mot de Bouteflika. Voilà. Le ton est donné. La messe est dite. Le mot est lâché. Génocide. Génocidaire  ».

Ainsi, Ulac smah ? Alors ulac traité mais aussi ulac MEDEF !!! Laissons les à leurs oignons d’hypocrites. L’un est cousu d’Or pendant que son peuple crève la dalle dans un pays en ruine tandis que ses derniers soubresauts sont pour « l’Histoire » devant les portes ouvertes du Hadès. L’autre est endetté jusqu’à la fin des temps et se contorsionne dans un énième merdier qui s’appelle « Clearstream ». Ils ont bel et bien d’autres chats à fouetter. Mine de rien ils sont copains « comme cochons » et les affaires continuent. Nous pouvons l’observer au quotidien.

L’enjeu est ailleurs, il s’appelle « grand Maghreb » et « Espace stratégique pour les Etats-Unis ». Chirac mérite le « cocufiage » qui lui est infligé de même que la raclée pour la postérité. Il se console déjà avec d’autres dictateurs que le Texan tient néanmoins à l’œil. Les prés-carrés et chasse gardée sont désormais américains ! Passons.

Le sanguinaire Bouteflika qui s’y connaît pourtant bien en matière de génocide attend l’année 2004 pour les dénoncer... Génocide culturel. Massacres de Sétif : Génocide et crime contre l’humanité. Le coupable tergiverse et en appelle aux Historiens tandis que des voix algériennes s’élèvent pour ridiculiser les trémolos de Bouteflika.

Ainsi « Sid Ahmed Ghozali » balaiera tout ça d’un revers de main sur RFI : « La relation France-Algérie a été traitée aux ras des pâquerettes des deux côtés. Il faut laisser les historiens se prononcer une fois pour toutes ! Nous sommes voisins depuis 3000 ans, nous n’avons pas échangé que des coups ». Passons...

Ainsi Mouloud Hamrouche, qui a choisi Kherrata en Kabylie, pour dire sa soif de liberté dans son discours du 8 Mai de 2006 à l’occasion du 61e anniversaire des massacres du 8 Mai 1945, écoutons le tel que nous le rapporte Liberté du 09/5/06 :

« il nous revient de glorifier notre passé et notre histoire sans nous soucier de ce que font les autres. (...) Nous avons un pays, un État et une administration, mais il nous manque l’essentiel : la liberté ! (...) Quand la mystification et le mensonge sont érigés en principes, la nation est soumise à la tyrannie et à l’injustice (...) Nous pouvons reconstruire notre pays (...) Pour cela, nous avons besoin d’un nouveau Abane Ramdane (...) ». Aïe aïe aïe ! je sens qu’il va beaucoup aimer la Kabylie très prochainement... Les bulletins de vote Kabyles sont visés...

El Watan du même jour relèvera : « Les propos qu’il (M. Hamrouche) a tenus lundi à Kherrata, à l’occasion de la commémoration des massacres du 8 Mai 45 sur le pouvoir qu’il a descendu en flammes, sont sans concessions ». Le quotidien s’étonne à peine de la verve de ce « silencieux légendaire » qui multiplie opportunément ses sorties médiatiques. Comportement révélateur d’échéances électorales rapprochées ?

Alors, le tyran se meurt ? Tout le laisse supposer. Si tel est le cas, il arrivera en enfer les mains et la face couvertes du sang des martyrs Kabyles. L’immonde régime Algérien a planifié la disparition de l’identité du peuple kabyle dès 1980  ; Bouteflika l’a mis à exécution sans état d’âme. Pour assouvir sa haine aveugle des Kabyles il n’a pas hésité à laisser son Algérie sombrer au fond du gouffre de l’islamisme aussi sanguinaire que lui et en lui faisant allégeance via « la charte » de la fausse réconciliation Nationale.

Ainsi, si Bouteflika n’a pas entièrement consommé le génocide culturel et la répression gendarmo-policière entrepris contre les Kabyles, c’est uniquement parce qu’il a failli y laisser sa peau politique. Qu’à cela ne tienne, il décidera « une mise au pas par le pourrissement ». Il s’y tient. Pourrira bien qui pourrira le dernier...

www.kabyles.com

11/05/2006

L'asse rosso-verde

Ora che sono stati accontentati i tre principali partner del centro-sinistra, piazzando dei loro esponenti alla presidenza della Camera, del Senato e della Repubblica, si attende la formazione del nuovo governo che s’ispirerà anch’esso alla distribuzione delle cariche secondo il classico manuale Cencelli tanto vituperato quanto religiosamente rispettato. A farne le spese, temo io, sarà la governabilità del Paese.
In particolare, per quanto mi concerne, mi preoccupa la politica che verrà adottata nell’ambito dell’integrazione e della cittadinanza. La mia preoccupazione è che anche qui l’Italia si distinguerà procedendo controcorrente rispetto all’orientamento prevalente nel resto d’Europa e dell’Occidente. Dove, così come emerge dalle leggi sull’immigrazione già adottate in Olanda, Gran Bretagna, Germania e quelle in discussione in Francia, si sono introdotti dei parametri restrittivi e selettivi al fine di assicurare il pieno rispetto delle leggi, la piena compatibilità con i valori fondanti della società, un processo di integrazione che si basi sulla adeguata conoscenza della lingua, conoscenza della cultura e delle religioni professate in seno alle società occidentali, condivisione dell’identità nazionale.
Viceversa, stando almeno al programma dell’Unione, si parla dell’abrogazione della Bossi-Fini, diritto di voto alle amministrative, diritto di cittadinanza automatico per chi nasce in Italia e procedure più agevolate per tutti gli altri. E per quanto riguarda i musulmani, diritto ad avere le proprie scuole islamiche e nuove moschee con contributi pubblici. Non vi è alcun riferimento a tutte le preoccupazioni che hanno indotto gli altri paesi, dopo aver preso atto del fallimento dei modelli del multiculturalismo e dell’assimilazionismo a fare marcia indietro, a essere più vigili e esigenti.
L’auspicio è che, una volta insediato il nuovo governo, si vada oltre le promesse elettorali e si adottino criteri pragmatici che facciano l’interesse nazionale dell’Italia. Ma, vi confesso, non ci spero granché.


Magdi Allam

07/05/2006

Lettera aperta al Sindaco di Colle Val d'Elsa

Spett. Sig. Paolo Brogioni

 

Anche se oramai il progetto di “centro culturale islamico” (sic!) della sua città sembra varato in modo ineluttabile, provo un bisogno incoercibile di scrivere brevemente la mia opinione, con la convinzione che rileggendola fra trent’anni io possa dire in tutta modestia: l’avevo previsto!

 

Il suo predecessore Marco Spinelli, in un turbine di sentimenti anti-liberali, anti-americani e dunque anti-israeliani, che cosi’ bene caratterizza la cultura post-marxista del ex-PCI, penso’ bene di dare l’assenso alla costruzione di un “centro culturale islamico” e relativa moschea, il cui fine trascendente era di esprimere la solidarietà dei post-marxisti verso il popolo palestinese, di cui l’imam Feras Jabareen è per l’appunto un esponente.

 

Nel prendere questa decisione il Sig.Spinelli ed in seguito Lei stesso, faceste prova di una dose di leggerezza, di incoscienza ed in fin dei conti di ignoranza di cui un giorno proverete sicuramente vergogna.

 

La prima domanda è: la “comunità musulmana” ha bisogno di un centro culturale coranico?

 

Dai dati forniti dal vostro stesso Comune, voi valutate tale comunità in circa 1300 persone ,in rapida crescita s’intende visto il tasso demografico.

 

In primo luogo, quali sono le ragioni che hanno spinto queste persone ad abbandonare la loro terra di origine?

 

La miseria? Il sottosviluppo? La violenza?

Tutti elementi distintivi dei loro paesi islamici di origine!

 

Che cosa cercano nella loro terra d’accoglienza?

 La pace? La fraternità? L'integrazione? 

Ebbene, per l'appunto questo progetto di “centro culturale islamico” non avrà come risultato quello di favorire “il dialogo e la comprensione”, come Voi dite in maniera strumentale, ma quello di approfondire ancora di piu’ il fossato che separa dei modi di vivere, lavorare, concepire la vita politica e religiosa che si affrontano senza mai incontrarsi.

Il ghetto "comunitario islamico", germe di ogni violenza

Non esiste esempio di coabitazione egalitaria fra musulmani e non musulmani da 1600 anni a questa parte.

Dal Medio Oriente all'India, dalla Bosnia all'Albania, dalla Turchia all'Armenia, dall'Indonesia alla Tailandia, passando dalla Nigeria, dal Soudan,dalle Filippine....

Mi risparmi i casi di dhimmitudine, simboli dell'umiliazione dei non musulmani in terra d'islam. 

Se aveste letto il corano, sapreste che il fine ultimo dell’islam è quello di dominare e sottomettere ogni altro credo e cultura. Senza eccezioni.

Sapreste che il termine dialogo è sconosciuto nella terminologia maomettana.

Sapreste che nell’islam non esiste clivaggio fra il religioso ed il politico.

 

Quando invocate l’”islam moderato” evocate un fantasma.

L’islam moderato è un islam che non è islam, che non applica il corano, che non crede agli hadits.

E’ un islam che non frequenta i luoghi di culto, che non ascolta le prediche degli imam, che considera che la donna è uguale all’uomo e che non deve essere repressa e battuta.

L’islam moderato è un non senso che si applica a quelle persone, per fortuna numerose, che pur essendo nate in famiglie musulmane, non ne applicano i precetti per mancanza di convinzione.

Apostati, pur non avendo il coraggio di dichiararsi tali.

 

In breve, perché se ne potrebbe scrivere un libro, il fine che vi siete proposti è completamente all’opposto di cio’ che voi fate.

La vostra ignoranza vi fa credere di conciliare l’inconciliabile, facendo in tal modo il male delle persone che voi pretendete rispettare ed aiutare, toscani ed immigrati

 

Questa gente, invece di ghettizzarsi, avrebbe bisogno di aprirsi alla grandezza culturale della terra che li ospita.

Un’opportunità unica per loro!

 

La terra degli etruschi, col suo sarcofago degli sposi, cosi’ diametralmente all’opposto della “cultura” islamica.

La terra del Rinascimento, cultura dell’assoluta libertà di pensiero e di azione dell’Individuo , intesa come valorizzazione delle facoltà intellettuali e manuali di ciascuno, nel rifiuto del potere temporale teocratico, cosi’ diametralmente all’opposto della “cultura” islamica.

 Eppure una terra di enorme spiritualità, zeppa di Pievi, Chiese, Cattedrali, in cui il culto del Bello e della sua raffigurazione è la vera religione. 

Quid dell’islam in tutto cio’: nulla di nulla.

La tesi e l’antitesi.

 

Per concludere, una sola, piccola, grande, domanda  per chiarire come voi cerchiate di mescolare l’acqua e l’olio: nella biblioteca islamica, che sarà probabilmente la biblioteca comunale (sic, sic, sic!) si potrà trovare l'Inferno di Dante Alighieri?

                             
       Vedi come storpiato è Maometto!                      
       Dinanzi a me sen va piangendo Alì,                      
       fesso nel volto dal mento al ciuffetto.                      
                                             
       E tutti li altri che tu vedi qui,                      
       seminator di scandalo e di scisma                      
       fuor vivi, e però son fessi così.
  come vede, neanche Dante la pensa come Lei                                         
  Non per nulla mori' a Ravenna, in esilio.                      
  Lui non ci sara',sarà rimpiazzato dal              
  verbo   coranico:                     
                    
SURA 47, versetti 4 e 5.

"Quando incontrerete gli infedeli,
      uccideteli sino a farne grande strage,
      e serrate i lacci dei prigionieri che avrete fatto.



In seguito li rimetterete in libertà
      o li restituirete (alle famiglie)
      previo pagamento di un riscatto,         
      dopo che la guerra sia finita"



Parola di Allah!

                   
                                       
                                             
 

03/05/2006

Izetbegovic le nazislamiste

En 2003 , à 78 ans, Alija Izetbegovic vient de décéder. Présenté par les médias occidentaux comm un "homme de paix" et un musulman modéré", il fut très tôt engagé dans l'islamisme radical allant jusqu'à collaborer avec l'Allemagne hitlérienne. Retour sur un passé honteux caché par les "bien-pensants" et intellectuels autoproclamés. La plupart des médias occidentaux ont salué « l'homme de paix » et « le musulman modéré » en taisant volontairement ce que fut Alija Izetbegovic lors de la seconde guerre mondiale. C'est l'occasion de le rappeler.

Au service de l'Ordre noir
Au printemps 1943, au plus fort de la guerre des partisans dans les Balkans, le SS-Führerhauptamt (office supérieur des SS à Berlin) d'Heinrich Himmler décide de lever une nouvelle division de Waffen-SS destinée à renforcer en Bosnie, et en Yougoslavie en général, les unités de lutte anti-partisans. Ce sera la division de montagne Handschar. A Sarajevo, ce sont les Jeunes musulmans de Bosnie, dirigés par Alija Izetbegovic, qui mènent à bien le recrutement de ces volontaires musulmans de la Waffen-SS.
A 18 ans, le jeune Alija Izetbegovic s'est déjà fait une réputation de dur de l'islam balkanique. A ce titre, en avril 1943, c'est lui qui organise dans la capitale de la Bosnie, la visite officielle du grand mufti de Jérusalem, Hadj Amine El-Husseini. Cette visite intervient dans le cadre d'un accord officiel avec Hitler. En effet, Husseini, ami personnel du Führer, doit jouer le rôle de pilier islamo-national-socialiste dans les Balkans pour appeler ses frères musulmans au Jihad. Il édicte même à cet effet une fatwa stipulant que l'enrôlement des quelque 4,5 millions de musulmans des Balkans dans les forces du Reich est une « obligation religieuse » (1).
Comme les Frères musulmans d'Egypte, Adj Hamine El-Husseini prône la guerre sainte contre les Juifs, présentée comme étant « le combat sacré sur le chemin de Dieu » (2). Aussi, Alija Izetbegovic met-il en place des bureaux (appelés Ersatzkommando der Waffen-SS) pour faire enrôler les milices musulmanes jusqu'alors soumises à l'Etat indépendant de Croatie d'Ante Pavelic. Ce qui ne va pas sans créer quelques frictions avec les Ustaci. Les miliciens de Nasid Topci, les Cadres verts du major Muhammad Hadziefendic ainsi que de nombreux éléments de la Légion islamique d'Huska Miljkovic en Bosnie orientale (3), comptent parmi les premiers volontaires pour la division Handschar. La haine antichrétienne et antijuive d'Alija Izetbegovic et de ces Jeunes musulmans n'a rien à envier à l'antisémitisme de l'extrême-droite croate. C'est lui qui organise la réception officielle à Sarajevo lors de la visite d'inspection d'Himmler à la division Handschar en avril 1944. Pourtant, Izetbegovic ne s'engagea jamais sous l'uniforme des Waffen-SS, préférant laisser le don du sang à d'autres.

Chassez le naturel...
En 1946, Alija Izetbegovic est condamné à trois ans de prison pour « nationalisme et islamisme » par le pouvoir communiste yougoslave. En 1970, il publie à Sarajevo une première version de la Déclaration islamique, brûlot destiné à jeter les bases d'une grande Bosnie musulmane et ethniquement purifiée sur les principes de la Charia. Il se rapproche alors des islamistes iraniens. Il est condamné en 1984 à 14 ans de prison (non effectuées dans leur totalité) pour « nationalisme musulman visant à faire de la Bosnie un Etat ethniquement pur ». Ce qui ne l'empêche pas de faire une deuxième édition de son ouvrage en 1990. De 1992 à 1995, il dirige la lutte armée contre les Serbes et les Croates avec l'aide des pays musulmans du Golfe persique, de l'Union européenne, des USA et de l'OTAN. Pratiquant la purification ethnique, il est alors perçu par les extrémistes islamistes comme un chef de guerre musulman à soutenir. Il devient ainsi la coqueluche des médias occidentaux politiquement corrects et des « intellectuels » autoproclamés. En 1995, après s'être momentanément allié aux ultra-nationalistes croates (Ustaci), il édifie une entité musulmane au sein de la Fédération de Bosnie-Herzégovine (FBiH) sur des bases islamistes. Il est devenu depuis le président de cette FBiH avant de se retirer à la fin des années 1990.


Notes :
(1) La correspondance entre le Grand Mufti et le SS-Führer-Haupthamt, qui est conservée aux archives yougoslaves (Sarajevo et Belgrade) et aux archives militaires allemandes, est particulièrement explicite à ce sujet : AVII (archives yougoslaves) - Na - NAV-T-120 - r.2908 - Berlin 12. Mai 1943 - An das SS-Haupthamt Z. Hd v. SS-Obersturmmbannführer Dr. Reiding - E 464782 et AVII - Na - NAV-T-120 - r.2908 - Berlin 18. Mai 1943 - An das Auswärtige Amt - Betr. Vorschläge des Grossmufti - SS-Gruppenführer G. Berger - E 464779-464780. BA/MA (archives militaires allemandes de Fribourg en Brisgau), RS 3-13/3-5 : 13. SS Division Handzar et archives de l'Oberbefehlshaber Südost, KTB (journal de marche) : BA/MA, RW 40/81.
(2) Hadj Hamine El-Husseini est né à Jérusalem dans une riche famille palestinienne. Il part étudier au Caire à l'université El-Azhar où il en ressort diplômé d'un doctorat de théologie. Cadet à l'académie militaire d'Istambul, il devient officier d'artillerie dans l'armée ottomane avant de devenir mufti après le conflit. C'est là qu'il se lie avec les Frères musulmans égyptiens avant d'être élu président du Congrès islamique mondial à La Mecque. Cheville ouvrière de l'agitation pan-arabe et anti-britannique, Adj Hamine El-Husseini est l'inspirateur des insurrections de Jaffa et Jérusalem. Mais, c'est l'échec : il s'enfuie en Syrie, gagne l'Irak, puis Téhéran. En 1937, on le retrouve aux côtés de l'Italie fasciste avant de se rapprocher du IIIème Reich pour la formation d'un islamisches zentral Institut à Berlin, puis la Ligue des volontaires arabes. Il étend alors son influence dans les Balkans à partir de 1942 grâce à l'appui de milieux derviches. Puis, c'est après une première entrevue avec Ante Pavelic à Zagreb qu'il entame une tournée en Bosnie.
(3) Il s'agit de la tristement célèbre Huskina Milicija ou Huskina Legija, formation comptant 11 bataillons et quelque 3 000 volontaires dirigés par Hussein Miljkovic à partir de novembre 1943.

Gordana Kostic

COMMENTAIRE PERSONNEL: dans un contexte de diabolisation de la nation serbe, montrée du doigt en Bosnie comme au Kosovo, il me semble essentiel de demontrer que le nationalisme serbe est la naturelle contrepartie de siecles de domination turco-ottomane.

C'est la volonté de resistence à l'islamisation forcée et à la destruction de la culture orthodoxe.

Il ne faut pas confondre les responsabilités individuelles et les crimes de Milosevic ou de Mladic, avec la légitime fierté du peuple serbe qui a le droit de se defendre!

Quant au nettoyage ethnique, qu'il faudrait appeler "nettoyage confessionnel", les premiers à pratiquer l'élimination physique systématique des non-musulmans ont été justement les escadrons nazi-islamiques d'Izetbegovic.

Le jihad a été declaré par les musulmans, en provenance du monde entier, avec les financements des pays arabes. 

Plusieurs charniers de civils serbes peuvent être repertoriés en Bosnie (1992/1995) et ceci bien avant Srebrenica (1995), qui reste évidemment un fait sordide.

Toutefois personne, je dis bien personne, n'a reclamé la tête de ce nazillon , qui a même été proclamé président d'Etat,  alors que bien des procès sont legitimement instruits contre certains militaires ou politiques serbes!


 

02/05/2006

Lo statuto della donna nell'islam

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2 Maggio 2006  
 
Pakistan: nel 2005 più di mille uccisi per delitti d’onore
di Qaiser Felix
 

La denuncia nel rapporto di una Ong di Karachi. Donne, la maggior parte delle vittime. Le cifre reali potrebbero essere ancora più alte: i media riportano solo il 10% dei casi, spesso non denunciati per paura.

 
 

Karachi (AsiaNews) – Sono oltre mille le vittime, nel 2005, della primitiva pratica del delitto d’onore in Pakistan. Un recente rapporto della Ong Madadgaar Help Line, con sede a Karachi, denuncia che l’anno scorso 1015 uomini (omosessuali? apostati?) e donne sono morti “in nome dell’onore”.

Nonostante le leggi in atto per prevenire violenze contro le donne, i casi di delitti d’onore, anche detti karo kari, sono ancora numerosi e le cifre potrebbero essere ancora più alte. Secondo il rapporto, solo il 10% dei delitti d’onore viene riportato sui media. Minacce e intimidazioni trattengono donne e parenti delle vittime a sporre denuncia.

Il “karo kari” - espressione composta da due termini che alla lettera si traducono rispettivamente con “uomo nero” e “donna nera”, uccisi con l’accusa di aver avuto relazioni illecite - è praticato soprattutto nelle campagne della provincia meridionale di Sindh. In altre parti del Paese, soprattutto le donne sono accusate di cattiva condotta sessuale e sono uccise per salvaguardare l’onore della famiglia.

Il rapporto della Madadgaar Help Line offre stime precise: più di 475 delitti d’onore si sono verificati nella sola provincia di Sindh, 337 nel Punjab, 128 in Balochistan e 76 nella North-West Frontier Province (Nwfp); tra le vittime vi sono 536 donne sposate, 75 nubili, 373 uomini e 6 bambini; 85 tra uomini e donne sono stati uccisi per aver scelto in modo libero, senza costrizioni, il partner da sposare.

In 380 di tutti questi casi i responsabili sono sconosciuti; per la maggior parte si tratta di parenti delle stesse vittime.

Secondo il rapporto, 146 donne sposate sono state uccise dai fratelli, 240 dai mariti, 60 da parenti acquisiti, 11 da sorelle, due da figliastri, una dal fratellastro, un’altra dall’ex marito, un’altra ancora dalla madre e 71 da parenti vari.

Dalle notizie apparse sulla stampa la Ong ha stimato che nei casi di donne non sposate: 49 sono state assassinate dai padri; 33 da zii paterni; 16 da fratelli; una dalla sorella.

In tutto 618 delle vittime erano accusate di zina (fornicazione) e 337 di presunte relazioni illecite

. Il rapporto denuncia che 901 delle vittime sono morte sul colpo; 5 hanno riportato gravi ferite; 91 sono rimaste uccise in omicidi intenzionali; in 17 casi le vittime sono state trovate morte, ma si è potuto stabilire le cause del decesso.

www.asianews.it

COMMENTO: la sharia é questo ed altro!

 

Massacri religiosi... come al solito musulmani!

1 Maggio 2006

New Delhi (AsiaNews) – Almeno 35 indù sono stati uccisi in due attacchi nella zona del Kashmir controllata dall’India. Il primo, con 13 morti, è avvenuto nel distretto di Udhampur. Il secondo, con 22 morti, è avvenuto nel distretto montagnoso di Doda. Notizie dei due attacchi sono emersi solo oggi, a due giorni da un incontro fra leader separatisti del Kashmir con il Primo ministro indiano Manmohan Singh.

Gli attacchi sono i più violenti dal 2003, quando India e Pakistan hanno proclamato un cessate-il-fuoco nell’area.

A Udhampur le vittime sono pastori di mucche, i cui corpi sono stati trovati ieri. A Doda alcuni militanti in divisa hanno raccolto un gruppo di abitanti dei villaggi e dopo diverse ore li hanno uccisi a sangue freddo.

Esperti della sicurezza ipotizzano che dietro gli attacchi agli indù – in minoranza nel Kashmir – vi sia la mano della Lashkar-e-Toiba (LeT, l’esercito del Puro), un gruppo islamico pro-Pakistan.

Negli ultimi 10 anni di guerriglia militante la LeT ha organizzato almeno 17 massacri, uccidendo 270 indù.

John Dayal, membro cattolico del Consiglio nazionale per l’integrazione, ha detto ad AsiaNews che “i reali motivi dietro le uccisioni sono diffondere terrore e persecuzione contro i deboli e gli innocenti” e “dividere le comunità” nelle diverse parti dell’India.

“La violenza – egli ha aggiunto – non risolve mai alcun problema…(non é cio' che dice l'illuminato della Mecca n.d.r.)  C’è bisogno di portare pace alle persone di tutte le religioni – musulmani (sic!), buddisti, indù – presenti nella valle del Kashmir”.

Dayal ricorda che anche la piccola comunità cristiana soffre violenza in Kashmir: “cristiani di origine Dalit e Pundit sono fra le vittime più comuni” nella zona indiana e pakistana; “i missionari cristiani – egli aggiunge – rischiano la morte tutti i giorni per affermare il loro diritto alla libertà di espressione e di fede”.

www.asianews.it

30/04/2006

Se doveste leggere solo un libro...

e semmai non lo aveste letto, da non mancare per nessuna ragione:

IBN WARRAQ: "Perché non sono musulmano"

Ovvero la menzogna su cui riposa la dottrina del III° totalitarismo messa a nudo in modo scientifico.

http://www.internetbookshop.it/ser/serdsp.asp?shop=3077&a...