31/08/2006
La consulta islamica: inutile, anzi pericolosa!
Le polemiche finalmente scoppiate dopo l'incauta decisione dell'Ucoii di diffondere un annuncio sui giornali in cui paragonava Israele al nazismo evidenziano l'impossibilità di gestire la Consulta dell'Islam, organismo non solo inutile, ma intrinsecamente dannoso. L'Ucoii, come si sa, è una organizzazione musulmana che si muove nell'ambito della tradizione religiosa dei Fratelli Musulmani. Una volta presa la decisione di percorrere la strada intrapresa dalla Francia e di istituire una Consulta dell'Islam presso il ministero degli Interni, è stato giocoforza nominarvi un suo rappresentante, come ha fatto il ministro Pisanu. Questi, Dachan, il presdiente Ucoii, ha avuto così spazio per sviluppare la sua vocazione: usare della Consulta per ampliare al massimo il suo messaggio politico. L'Ucoii infatti non è solo un'organizzazione religiosa, è anche -caratteristica tipica dell'Islam, soprattutto quello fondamentalista- un vero e proprio partito politico che dice la sua su tutti i temi, inclusa la politica estera dell'Italia (in particolare sulla nostra presenza militare in Iraq). Il ministero degli Interni ha così offerto al islamismo fondamentalista uno strordinario megafono politico propagandistico e una eccellente occasione per aumentare il suo peso. L'errore compiuto a suo tempo dal ministro Pisanu è stato ampliato sino al parossisimo dal ministro Amato, che ha addirittura accettato, quale presidente della riunione, che nel giugno scorso di discutesse all'interno della Consulta di modifiche alla legge sulla cittadinanza degli stranieri. Gli extracomunitari musulmani,in quella occasione, hanno goduto di un privilegio assoluto -paradosso tipico della cultura politically correct- di discutere col ministro dei loro diritti civili e sociali e di avanzare le proprie richieste in una sede istituzionale di cui loro e solo loro possono disporre. Gli extracomunitari cristiani, o animisti, o atei, infatti, non hanno naturalmente diritto a nessuna istanza di questo tipo, che peraltro garantisce anche un enorme impatto mediatico. Una struttura che doveva trattare solo e unicamente di istanze religiose, si è così trasformata in una sede politico-istituzionale assolutamente impropria. Prigioniero di questo vizio d'origine, il ministro Amato ora ha riproposto in sede di Consulta un documento che dovrebbe vincolare i partecipanti al rispetto dei valori costituzionali, pena il loro allontanamento dalla Consulta. Si può stare certi che l'Ucoii lo firmerà e la farsa continuerà.
Il fatto è che quella della Consulta è una strada sbagliata e che va al più presto chiusa. Per una ragione di principio, perché -soprattutto per le caratteristiche politiche dell'Islam diventa per forza di cose una istanza politica e non solo religiosa- e poi perché nei fatti non funziona, non produce. Lo dimostra proprio l'esperienza francese. Iniziato sotto il governo socialista di Jospin, che la inventò -caso unico al mondo- il cammino della Consulta francese è stato accidentato e ora, dopo le prime elezioni dei suoi rappresentanti nelle moschee, è diventato caotico. I vari blocchi nazionali -che ovviamente sono anche politici- si neutralizzano a vicenda in una confusione e in polemiche tanto roventi, quanto sterili. Nel frattempo, a fronte dell'emergenza delle banlieues in fiamme, la Consulta francese non è servita a nulla, non ha saputo svolgere alcun ruolo, come d'altronde era ovvio.
L'unica soluzione seria è dunque che il ministro Amato ripensi dalle fondamenta la legittimità e l'utilità stessa della Consulta, prima che diventi sede di dibattiti politici infuocati circa il riconoscimento del matrimonio poligamico o altre amenità della sharia che l'Ucoii chiede che vengano permesse per legge per i musulmani italiani. La spinta maggiore in questo senso proviene da un dato di fatto di cui alla fine è indispensabile rendersi conto: l'Islam fondamentalista non solo è antisemita, ma propaganda anche principi contrari alla nostra Costituzione, là dove sostiene che la donna deve essere sottoposta alla autorità tutoria dell'uomo (dimezzamento dei suoi diritti civili, non religiosi) e che è proibito lasciare la comunità musulmana (ossessione dell'apostasia). Basta leggere l'infame commento al Corano di Hamza Piccardo a cura dell'Ucoii per rendersene conto (strano che né Pisanu, né Amato lo abbiano fatto: è aghiacciante). Lo stesso problema della cittadinanza degli extracomunitari islamici riporta a questo nodo: come è possibile pensare di aumentare la presenza nella nostra comunità nazionale di chi professa una religione che contrasta la nostra Costituzione?
Una volta abbandonato il percorso sterile e pericoloso della Consulta, si può e si deve iniziare l'unica strada praticabile, già indicata da Khaled Fuad Allam, deputato della Margherita: istituire una scuola per Imam e permettere che le moschee in Italia vengano rette solo da Imam autorizzati da questa struttura. Questo è esattamente quanto avviene in tutti i paesi musulmani, sia quelli democratici in pieno come la Turchia [bah!Democrazia formale non sostanziale! NDR], sia in quelli a democrazia nascente, come l'Indonesia, la Malesia e il Marocco, sia infine quelli a regime non democratico, Tunisia, Egitto ecc... Queste strutture sono composte da rappresentanti delle principali scuole coraniche, ma hanno un responsabile politico nominato dal governo.
Non si capisce perché in Italia chiunque possa autonominarsi Imam, mentre in tutto il mondo musulmano deve essere autorizzato da queste strutture a ricoprire questa carica e a gestire una moschea.
Solo da questo processo, dalla definizione di un Islam italiano regolamentato così come lo è peraltro in tutti i paesi muslmani, pluralista e democratico, può nascere una rappresentanza serie, funzionale e democratica dei musulmani.
Non c'è altra strada.
COMMENTO: sempre ottimo Carlo Panella, un po' ottimista sull'"islam italiano", uno specchietto per allodole.
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30/08/2006
I promotori dell'ideologia coranica fondata sull'odio xenofobo
L'«affaire» Ucoii non si è risolto, nonostante la riunione straordinaria della Consulta per l'Islam in Italia, convocata lunedì sera dal ministro dell'Interno Giuliano Amato. Anzi, il caso nato dall'inserzione, con cui l'organizzazione musulmana paragonava le uccisioni compiute dall'esercito israeliano in Libano ai crimini nazisti, si è ulteriormente complicato. La Consulta si è conclusa senza una posizione unanime. Le opinioni, dopo due ore e mezza di serrata discussione, si sono confermate ferocemente distanti.
L'Ucoii (Unione delle comunità ed organizzazione islamiche in Italia) parla di «errore di comunicazione» ma non ha accettato di rinnegare il proprio gesto, nonostante le pressioni degli altri membri che, come recita un comunicato del Viminale, hanno espresso «un giudizio fortemente negativo sul comunicato dell'Ucoii». La posizione della più grande associazione islamica italiana ha, ovviamente, scontentato Amato che si è visto costretto a prendere atto del rifiuto, ribadendo la sua «ferma condanna».
L'espulsione dell'Ucoii dalla Consulta però non c'è stata e nemmeno l'adesione del suo presidente al «documento etico» che il ministro aveva proposto come panacea ad ogni deriva antiebraica. Una situazione che ha destato la preoccupazione degli ebrei italiani, ma non solo. Anche nelle associazioni islamiche c'è chi come Dacia Valent, della Islamic Anti-defamation league ha manifestato disappunto: «Quello che non uccide rafforza. Mi sembra che l'Ucoii sia uscita viva da questa riunione». Una valutazione che parrebbe condivisa dagli stessi dirigenti Ucoii che, ieri, sono passati al contrattacco. Secondo il portavoce Hamza Piccardo «nella pagina da noi pubblicata, ci siamo limitati a criticare lo Stato di Israele non la comunità ebraica... Sarebbe come se noi musulmani ce la prendessimo con chi accusa le autorità tunisine di torturare gli oppositori». Sempre secondo Piccardo sarebbe una forzatura asserire l'unicità dell'Olocausto e inserire un riferimento del genere nella «Carta dei valori» su cui sta lavorando la consulta. Anche i ripetuti appelli ad Amato da parte dei partiti della Cdl, affinché si proceda all'espulsione dalla consulta, non sembrano preoccupare la dirigenza dell'associazione musulmana. Fabrizio Cicchitto, vice coordinatore di Forza Italia ha chiesto, infatti, ad Amato di «trarre le conseguenze e dichiarare l'incompatibilità dell'Ucoii con la Consulta». Maurizio Gasparri (An), ribadendo la richiesta di allontanamento, ha insistito sulla necessità di sottoporre a «controllo e bonifica» tutte le attività dell'associazione. La risposta del portavoce Piccardo non si è fatta attendere: «Siamo noi i musulmani d'Italia, solo noi siamo rappresentativi, abbiamo 160 luoghi di culto».
Intanto però la procura di Roma ha aperto un fascicolo sull'inserzione. L'inchiesta, che ha preso il via da una denuncia presentata dai senatori di Forza Italia Lucio Malan e Giorgio Stracquadanio, è per ora contro ignoti. Il procuratore aggiunto Maria Cordova, sta raccogliendo materiale per valutare se ci siano gli estremi per il reato di istigazione all'odio razziale. Se ci fossero, si passerebbe dalle mediazioni politiche al penale.
Matteo Sacchi
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Lo Stato tollera il totalitarismo nazislamico
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29/08/2006
Il cavallo di Troia del Jihad in Eurabia
Era ipotetico il tono ma perentorio il senso del rapporto del Congresso degli Stati Uniti: «Sarebbe un terremoto scoprire che il governo di Bill Clinton ha commesso l'errore di far installare in Europa iraniani e altri estremisti» (16 gennaio 1997). Quasi dieci anni dopo, l'errore è stato scoperto, in Bosnia fra il 1992 e il 1995, in Kosovo e in Macedonia subito dopo e non solo dal 1999, quando la guerriglia islamista dell'Uck venne promossa da terrorismo a patriottismo dalla «comunità internazionale». Però il terremoto non c'è stato e fra due anni alla Casa Bianca potrebbe governare Clinton: Hillary, non Bill, ma anche per lei sarebbe Madeleine Albright a dirigere l'orchestra balcanica. Infatti il Congresso non ha tratto le conseguenze dal rapporto del 1997. Dopo di esso, infatti, Clinton ha sì rischiato l'impeachment, ma per la Lewinsky, non per «aver fatto installare iraniani e altri estremisti in Europa». La stampa, che lo martoriò per aver mentito su una leggerezza, in compenso continua a risparmiargli ben più gravi accuse per il degrado politico a Sarajevo e Pristina. E oggi, quando quasi nessuno sa quel che accade là, è fondamentale il libro di Jürgen Elsässer, Wie der Dschihad nach Europa kam (NP Verlag), apparso anche in francese col titolo Comment le Djihad est arrivé en Europe (Editions Xenia, pp. 302, euro 19, www.xeditions.com).
Bosnia, Kosovo: passato prossimo che par remoto... Sarajevo risorgeva dalle macerie proprio quando in macerie finiva Pristina. Ma oggi del capoluogo bosniaco colpisce meno il ri-costruito che il costruito per la prima volta. Per dimensione e quantità stupiscono le moschee, le più grandi d'Europa, finanziate dall'Asia islamica e sunnita: Arabia, Emirati, Pakistan e Malesia soprattutto; sciita, l'Iran s'è occupato di fornire armi e formare uno dei due servizi segreti della Bosnia (all'altro hanno pensato gli Stati Uniti). Alla rinnovata edilizia sacra, sorta indirettamente grazie a chi impedì ai serbi di soffocare il germe integralista nel cuore d'Europa, corrisponde un ritorno di devozione: le bosniache ora hanno il velo, cui madri, nonne e bisnonne - musulmane come loro - avevano rinunciato senza drammi.
Il problema è proprio questo: l'integralismo islamico - che ne origina uno cristiano, apologeta dello scontro di civiltà - in Bosnia appare ormai una scelta più che un'imposizione. In questo senso il (non la) jihad - la guerra santa - ha già fatto pacifiche conquiste. Idem in Kosovo, dove la procedura anti-serba e implicitamente filo-islamista è stata la stessa.
Le religioni, si sa, non si fermano ai confini di Stato. Grazie al turgore dell'Islam reimportato e superarmato anche da compagnie di ventura statunitensi, la contigua Albania vuol diventare Grande Albania, con l'aggiunta del Kosovo e di mezza Macedonia, quella largamente albanofona. Così, accanto al neoindipendente Montenegro, davanti alla Puglia si sta combinando una miscela mediterranea di Colombia, per criminalità organizzata; di Pakistan, per virulenza teocratica; di Indonesia per dinamismo demografico; di Palestina, per risentimento storico. Che cosa unisce Sarajevo a Karachi, per esempio, oltre la presenza di emissari dei servizi segreti pakistani, burattinai di tanta sovversione nel segno della mezzaluna? Per esempio il risentimento per un vicino d'altra fede che è stato anche un padrone severo (Serbia qui, India là). Oltre al dilagante chador del presente, che cosa unisce bosniache e indonesiane? Il passato laico: mezzo secolo fa, i loro Paesi (la Bosnia era allora parte della felix Jugoslavia) guidavano il laicissimo movimento dei non-allineati.
Sì, allora la politica - non la religione - pareva riscattare i popoli. La democrazia plebiscitaria dei partiti unici o quasi aveva ancora davanti a sé bei giorni, intensi come quelli del novembre 1956, quando gli Stati Uniti puntavano su un altro laicissimo non-allineato come l'Egitto per finirla col colonialismo anglo-francese e per aprire il Mediterraneo alla loro flotta, ma anche alle nostre merci e al petrolio che ci serviva per fabbricarle. Altri tempi, quando a uno scià che partiva, subentrava, caso mai, un Mossadeq e non un Khomeini.
Tout se tient, in un'area geopolitica ben più vasta di quella mediterranea Ma qui premono le faglie dei monoteismi e degli imperialismi che li manovrano. S'è ormai capito - ma è tardi - che coi senza-dio del Baath o di Fatah si può far politica, oltre che affari; con chi un Dio l'ha e lo crede unico, come Hamas o Hezbollah, si fanno solo affari o guerra.
Al crepuscolo del non-allineamento e del terzomondismo, coi quali si potevano far affari e politica, ha corrisposto l'aurora del finto allineamento, alla maniera saudita e pakistana, e dell'integralismo, coi quali si possono solo far affari in attesa di combattere. Ma come l'integralismo ha prevalso? Perché dei preti islamici hanno umiliato re e colonnelli? Prima di gettarsi in avventure militari in Libano, andrebbero capite cause, concause, contesto dello scontro, che non è di civiltà [* parere che non condivido], ma è comunque serio.
Nel Libano di oggi, difficile ripetere i miracoli che nel Libano di ieri compì il colonnello Giovannone dei servizi segreti, grazie al quale le caserme americane e francesi di Beirut saltavano, ma quelle italiane no, senza neppure che qualcuno lo impallinasse, come il povero Calipari. Ora si hanno davanti ben altri guerriglieri per armamento e motivazione, visto che a loro interessa meno la propria terra che la propria (e altrui) morte. Gente pronta a immolarsi, ma che comunque sopravvive abbastanza per avere esperienza militare. Elsässer constata per esempio che gli attentati di New York (11 settembre 2001), Madrid (11 marzo 2004) e Londra (7 luglio 2005) sono stati tutti eseguiti da veterani della guerra di Bosnia, la stessa dove l'egiziano attentatore nel 1981 del presidente Sadat, Al Zawahiri, ora considerato numero 2 di Al Qaida, fu gran fornitore, per i mujahiddin, d'armi che venivano da ogni parte.
A proposito di questi veterani e di come si sono meritati questa qualifica, Elsässer cita Richard A. Clarke, capo dell'antiterrorismo americano sotto quattro presidenti. I mujahiddin in Bosnia - scrive Clarke - «hanno torturato e massacrato in un modo che supera ogni descrizione». Elsässer ricorda anche che da 1.500 a 3.000 serbi, rimasti a Sarajevo nel maggio-giugno 1992, furono assassinati (causando il lungo assedio serbo). Il riferimento è al fatto che «i guerrieri di Dio, afghani e sauditi soprattutto» decapitarono molti nemici serbi catturati (c'è un filmato dell'epoca che li mostra giocare a calcio con teste mozzate). Lo stesso destino cui andrà incontro l'americano Nicholas Berg nella Bagdad 2004.
Non solo: le stragi al mercato di Sarajevo, attribuite ai serbi da una stampa che aveva bisogno di un cattivo, erano invece - Elsässer lo conferma, prove alla mano - opera degli integralisti musulmani per dare un pretesto all'intervento della Nato, usando i propri civili come strumento per far passare per criminali i militari nemici, anche questo un metodo che avrebbe avuto recentissimi séguiti. Eppure non sarebbero mancati intellettuali interventisti e umanitari, giunti a Sarajevo in cerca di una causa, oltre che di un'ispirazione per il prossimo romanzo, per avallare queste provocazioni. Salvo scoprire, come un tempo Churchill, «d'avere ammazzato il porco sbagliato».
Maurizio Cabona
21:55 | Lien permanent | Commentaires (0)
Les massacres mahométains se poursuivent au Darfour
Le président soudanais Omar al-Béchir a réitéré mardi son opposition à un déploiement d'une force de l'Onu, au Darfour une région en proie à la guerre civile, à l'issue de sa rencontre avec un émissaire américain.
"Le président a réitéré la position du gouvernement soudanais qui refuse le remplacement de la force de l'Union Africaine (UA) par une force de l'Onu", a affirmé à l'AFP le porte-parole présidentiel Mahjoub Fadl Badri, à l'issue de la rencontre avec la secrétaire d'Etat adjointe américaine aux Affaires africaines, Jendayi Frazer.
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Après avoir invoqué dans un premier temps "un emploi du temps chargé", le chef de l'Etat avait accepté de la recevoir mardi.
Selon M. Badri, le message de M. Bush à son homologue soudanais sur la question du déploiement de l'Onu au Darfour, comporte aussi une invitation du président américain au président Béchir pour le rencontrer à New York en marge de l'Assemblée générale de l'Onu, en septembre.
Concernant l'affaire du journaliste américain Paul Salopek arrêté et inculpé par un tribunal d'Al-Facher (dans le Darfour du nord) d'espionnage, de diffusion de fausses informations et d'entrée au Soudan sans visa, M. Béchir à promis à Mme Frazer d'examiner la question d'"un point de vue humanitaire", selon M. Badri.
Les Etats-Unis exercent depuis des mois des pressions sur Khartoum pour qu'il accepte le déploiement de casques bleus au Darfour, en remplacement de la force de l'UA. Ils ont même présenté avec la Grande-Bretagne un projet de résolution à l'Onu à ce sujet, rejeté par Khartoum.
Les forces gouvernementales et les milices qui leur sont alliées au Darfour, les djandjawids, sont accusées d'exactions à l'encontre des populations du Darfour, où les rebelles demandent un partage plus équitable des richesses. Depuis février 2003, le conflit a fait entre 180.000 et 300.000 morts et au moins 2,4 millions de déplacés.
COMMENTAIRES:
En effet de quoi s'agit-il?
Tous simplement du massacre des populations nomades noires (en bonne partie non musulmanes) par les milices arabo-musulmanes commandées par le fuhrer arabo-sudanais Omar al-Béchir.
Alors pendant que nos islamo-nazi-gauchistes-faux-pacifistes s'apitoient sur le sort des hezbollah au Liban, un nombre infiniment plus grand de personnes crèvent de famine et de torture a 3H d'avion du continent européen.
Avez-vous entendu parler d'une collecte de fond en faveur de ces pauvres malheureux?
Avez-vous entendu un seul responsable d'Etat Eurabique proposer l'envoi de casques bleus?
21:25 | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : MPF, islamisation
28/08/2006
Le Liban, un Pays pris en otage
En réalité, si Tsahal n’a pas encore pu en finir avec le Hezbollah, c’est parce que celui-ci n’est pas une armée classique mais agit comme une guérilla révolutionnaire dissimulée au sein de la population civile prise en otage, véritable première victime de la folle stratégie de la Milice chiite islamiste. Les civils n’en finissent pas de payer le prix fort de cette guerre asymétrique du « fou au fort » voulue par les miliciens du Hezbollah aux ordres de l’Iran. Téhéran a en effet décidé d’embraser la région et d’y instaurer le chaos total tant que la communauté internationale refusera que Téhéran se dote de l’arme atomique. Le deal en cours de négociation est clair : vous laissez l’Iran se doter de l’arme atomique, et Téhéran deviendra une force de pacification. Sinon, le régime chiite iranien transformera, grâce au Hezbollah, au Hamas et au Jihad islamique, le Proche Orient en un véritable brasier. N’oublions pas en effet que l’offensive du Hezbollah contre Israël a été déclenchée au moment même où le Conseil de sécurité de l’ONU adoptait une résolution exigeant que « l’Iran suspende toute activité d’enrichissement et de retraitement, y compris la recherche et le développement, ce qui doit être vérifié par l’AIEA ». Rappelons également l’avertissement explicite du ministre iranien des Affaires étrangères, expliquant, lors de sa rencontre à Beyrouth, avec le Premier ministre libanais, que l’adoption du texte de la résolution de l’ONU sanctionnant l’Iran sur le dossier de l’enrichissement de l’atome risquerait d’« aggraver la crise dans la région »... Le leader druze libanais Walid Jumblat reconnaissait il y a peu que «l’enlèvement de deux soldats israéliens a été secrètement préparé à Damas deux jours avant la réunion du G8, de façon à détourner l’attention de l’Iran. L’envoyé iranien lui-même, Larijani, a transmis le code pour mettre en œuvre le plan d’enlèvement afin de déclencher une effervescence internationale susceptible de détourner l’attention du monde de la crise nucléaire iranienne ». Quant au leader libanais sunnite Saad Hariri, fils du Premier ministre assassiné par Damas, il n’a pas hésité à pointer du doigt « l’appareil de sécurité du Président syrien » qui aurait « incité Nasrallah à embraser le Liban… », devenu le « terrain de bataille d’autres pays qui nous appellent frères, mais qui se fichent de notre destin ».
En réalité, et conformément à un document écrit retrouvé dans un local du Hezbollah, la milice pro-iranienne attendait l’intervention israélienne depuis longtemps et a tout fait pour la précipiter dans une logique de chaos qui échappe à la rationalité étatique mais qui est la marque du totalitarisme islamiste révolutionnaire d’essence mortifère et nihiliste. Nul doute qu’avec l’incursion en territoire israélien du Hezbollah le 12 juillet dernier, puis l’assassinat de sept soldats et le kidnapping de deux autres couplés avec des tirs de roquettes sur le Nord d’Israël, le Hezbollah a tout fait pour provoquer ce conflit non pas en tant que mouvement de « résistance » libanaise mais en tant que force terroriste de « collaboration » avec l’Axe irano-syrien anti-occidental. L’escalade a donc bel et bien été décidée par l’Iran via la choura karar, la plus haute instance de décision du Hezbollah dotée de sept membres, dont deux Iraniens attachés à l’ambassade d’Iran à Beyrouth et liés aux services de renseignements de Téhéran.
Le Hezbollah : une force syro-iranienne d’occupation et non une force de « résistance »…
L’armée iranienne est directement présente au Liban. Près de 150 Gardiens de la révolution iranienne (Pasdarans) appuient le Hezbollah dans sa « Résistance » contre Israël. Grâce à la capture ces derniers jours par Tsahal de membres du Hezbollah et à la diffusion par Tsahal lundi 7 juillet.de l’interrogatoire d’un de ses membres, Hussein Ali Suleyman, les informations dont on dispose sur le Hezbollah sont de plus en plus précises. La milice apparaît en effet comme une véritable armée extérieure de l’Iran, équipée comme un Etat, à certains égards bien mieux préparée que l’armée libanaise. Les Pasdarans ont assuré la formation des combattants hezbollahis. Ils leur ont appris le maniement des roquettes dans les camps iraniens ou de la Bekaa, à concevoir des « explosifs improvisés » - utilisés avec des effets dévastateurs contre les blindés américains en Irak – et même à manier des drones et des C-802, missile sol-mer. Le Hezbollah est abondamment équipé de gilets pare-balles, de lunettes de vision de nuit, de très bons systèmes de communications, de stocks stupéfiants de missiles syriens et iraniens, de roquettes chargées de roulements à bille anti-personnel, de systèmes de communications par satellite et d’armes d’infanterie parmi les meilleures, y compris d’antitank russes et d’explosifs Semtex, lesquels ont permis au Hezbollah, grâce au maniement habile des guidage laser ou radio et des ogives explosives doubles, d’occasionner des pertes aux forces de Tsahal. Les missiles anti-tanks russes conçus pour pénétrer au travers du blindage ont endommagé et détruit des véhicules israéliens, notamment les Merkava.
Du point de vue tactique, le Hezbollah utilise des tunnels d’où ses hommes peuvent aisément et rapidement sortir, tirer des missiles antitank portés sur l’épaule et disparaître derechef, à l’instar des rebelles Tchétchènes lorsqu’ils utilisaient les égouts de Grozny pour attaquer les blindés russes. Le Hezbollah utilise aussi des missiles anti-tanks, dont les Sagger plus anciens, pour mettre le feu dans les abris des troupes israéliennes. Cette véritable armée, forte d’environ 2000 hommes, est alimentée par nombre de combattants occasionnels chargés notamment de la logistique et de cacher les armes dans des bâtiments à usage civil ou dans les reliefs vallonnés du Sud. Il faut ajouter à cet arsenal des drones (iraniens) comme celui envoyé au sud d’Israël le long de la côte, le 7 juillet, et que l’armée de l’air israélienne a détruit en vol au large de Haïfa, ou encore celui abattu à 10 km de la côte méditerranéenne par un avion de combat israélien F-16 et que le Hezbollah avait envoyé au dessus du territoire libanais. Il s’agissait là de la troisième tentative d’infiltration de l’espace aérien israélien à partir du Liban par un drone au cours des deux dernières années.
Les jeunes Israéliens comme leurs dirigeants acceptent les conséquences des nouvelles offensives qui impliquent des pertes humaines importantes. D’après eux, cette guerre est existentielle non seulement pour Israël mais pour l’Occident dans son ensemble, dont le mode de vie et la Liberté sont menacées dans leur fondement par le fanatisme et l’obscurantisme représenté autant par les Islamistes chiites au pouvoir à Téhéran que par leurs concurrents salafistes sunnites d’Al Qaïda ou du Hamas. Il suffit pour s’en convaincre d’écouter les dernières déclarations des deux faces de Janus du Fascisme vert : l’Ayatollah chiite iranien Ali Khamenei, véritable homme fort de Téhéran et patron du Hezbollah, qui a appelé ’’l’ensemble des communautés de l’Islam à se joindre à la lutte que mène le Hezbollah contre Israël’’ et déclaré que ’’les Etats-Unis et les Sionistes, de concert avec des pays européens, tentent d’effacer l’islam de la région’’. Tout comme son homologue-concurrent sunnite Ayman al Zawahiri, numéro deux d’Al Qaïda, dont le dernier communiqué revendique pêle-mêle le retour de l’Andalousie espagnole et d’Israël (Palestine) à l’Islam, puis rappelle que la lutte contre Israël est indissociable de celle contre les « Croisés » (Chrétiens, Salibiyoun)…
Plutôt que de fustiger Israël, avant-poste de l’Occident et de la Démocratie au Proche-Orient, les Européens devraient plutôt songer aux conséquences désastreuses d’un nouveau Munich. Car c’est bien l’accession de l’Iran au rang des puissances atomiques qui est en jeu et pour laquelle se bat le Hezbollah. Et à ceux qui fustigent les « massacres » perpétrés par Tsahal dans sa guerre contre le Hezbollah, il convient de poser la question suivante : pourquoi les morts (certes à déplorer) de Cana ou de Gaza pèsent toujours plus lourd que ceux de Tel Aviv, Haïfa, mais aussi Bagdad, Nadjaf, New Dehli, Bombay, Casablanca, etc ?
Alexandre del Valle, est l’auteur du Totalitarisme islamiste à l’assaut des démocraties et du Dilemme turc (Les Syrtes). Co-fondateur de l’Institut géopolitique de la Méditerranée (Nicosie), il collabore à plusieurs publications (Politique Internationale, Outre Terre, Valeurs Actuelles, Spectacle du Monde, France Soir, etc).
23:30 | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : mpf, Israël, Liban, Hezbollah
Nazismo/Islam: le affinità elettive
George W. Bush ha sicuramente sbagliato nel definire “islamo fascisti” i terroristi e i fondamentalisti musulmani. A rigor di storia avrebbe dovuto infatti definirli “islamo nazisti”, ma è solo un errore veniale. E’ indubbio infatti che non tra l’Islam in genere, ma che tra l’Islam fondamentalista nelle sue varie componenti (khomeinista, wahabita e fondamentalista palestinese) e il nazismo, vi sono stati e vi sono soprattutto oggi molti punti di contatto proprio sul terreno dell’ideologia; sovrapposizioni fondamentali che naturalmente non permettono una identificazione meccanica, ma che legittimano in pieno la similitudine che peraltro spiega perfettamente come la reazione di Israele oggi e nel recente passato sia stata perfettamente “proporzionata” al pericolo incombente. Naturalmente questa, come tutte le similitudini, soprattutto quando vengono usate in politica, non deve essere intesa in modo meccanico e assoluto. Sono evidenti a occhio nudo le diversità tra la vita in una società come quella iraniana di oggi e la vita a Berlino alla fine degli anni trenta. Meno evidenti sono le differenze con la vita nella società governata dai Talebani e da Osama Bin Laden in Afghanistan prima di Enduring Freedom, resa con straordinaria efficacia letteraria dall’ottimo romanzo“Il cacciatore di aquiloni”. Questo perché, l’islamo nazismo contemporaneo, è caratterizzato da una flessibilità, da una modernità, che ne fanno un sistema di riferimento duttile, non ingessato da schemi rigidi, capace non solo di basarsi sul consenso di massa, ma anche di recepire le tensioni sociali di società moderne, di assorbirle, di sterilizzarle, di governarle, come ben dimostra la successione tra la fase realpolitiker di Rafsanjani, seguita da quella riformista di Khatami e infine da quella post-nazista di Ahmadinejad..
Sul piano generale, delle dottrine politiche perché di questo si parla, i due sistemi ideologici sono accomunati innanzitutto da una visione similare dello Stato Etico, il cui fine è forgiare, indirizzare e guidare l’affermazione di un “uomo nuovo”, di un progetto di società e di umanità finalizzato. La Legge islamica fondamentalista, la norma, la sharia non sono dunque finalizzati a regolare i rapporti tra cittadini e tra questi e lo Stato, ma tendeno innanzitutto a sviluppare un progetto finalistico e salvifico, da imporre armi alla mano a tutta l’umanità, che cambi il senso della Storia. Vi è qui, una differenza fondamentale, che però non cambia il segno di un percorso parallelo e che semmai aggrava ancora di più la presa del fondamentalismo islamista. Là dove infatti il nazismo e il fascismo svilupparono una concezione pienamente laica dello Stato e della sua religione e etica (con evidenti, fortissime connotazioni anticristiane di cui solo l’ottimo direttore di Liberazione Sansonetti pare oggi non rendersi conto), l’islamismo fondamentalista e terrorista a cui si rifanno tra gli altri gli Hezbollah rappresenta l’unica ideologia rivoluzionaria, con ampio seguito di massa nata nell’alveo di una religione storica. Solo Gilles Kepel, che da anni incredibilmente predice il fallimento già maturato del jihadismo per motivi che solo lui conosce, può definirlo “dalle poche centinaia di aderenti”. Nella realtà, la connotazione religiosa del totalitarismo islamico, la sua filiazione da una delle “Religioni del Libro”, il riferimento a una liturgia e a una Tradizione più che millenarie, sono la base delle incredibili simpatia e empatia che esso riscuote in tutto il mondo musulmano, ben al di là dell’avversione comune allo Stato degli ebrei.
Il “sistema di valori” dell’islamismo fondamentalista, inoltre, presenta un’altra differenza –ma non di essenza, di forza- rispetto al nazifascismo: non si è imposto grazie all’azione violenta di settori marginali della società, come fecero il nazismo e il fascismo (che seppero costruire consenso alla propria dittatura solo dopo la presa del potere), ma ha saputo imporsi con una rivoluzione popolare, la più popolare tra le rivoluzioni del ventesimo secolo che trionfò in Iran nel 1979. Questa essenza rivoluzionaria, di massa, del fondamentalismo, contraddistingue anche i suoi dirigenti, che alla testa di enormi mobilitazioni di popolo hanno saputo conquistare e poi difendere il potere. Ma questa dinamica rivoluzionaria e non di regime, non giacobina, è tanto potente quanto assolutamente ignorata da un Occidente che ha perso le sue ideologie e che non sa neanche più riconoscere e allarmarsi per le ideologie degli altri, anche quelle che lo minacciano di morte. I velleitarismi delle cancellerie europee e le fumisterie della sinistra planetaria –in primis quella italiana- a fronte dell’Iran, come di Hezbollah e di Hamas, nascono proprio da questa incapacità di “leggere” un movimento rivoluzionario in movimento che viene esorcizzato sino a pensare che possa essere imbrigliato in normali “accordi politici”, come si trattasse di imbrigliare movimenti nazionalisti come tanti altri. Thimothy Garton Ash, proprio sulla base di questo errore, arriva oggi a paragonare Hezbollah all’Ira irlandese e a ipotizzare quindi una sua evoluzione positiva grazie a un graduale patteggiamento sulle sue istanze nazionaliste. Ma Hezbollah, come Hamas, come Ahmadinejad e Khamenei, non ha nessun problema nazionale, ma subordina gli stessi interessi delle nazioni in cui vive, semplicemente, al Giudizio Universale. Quando i Soloni politicamente corretti –tutti antiamericani quanto antisraeliani- saranno in grado di spiegare come si possa patteggiare e trattare su diverse concezioni del Giudizio Universale, il problema sarà risolto. Ma, a oggi, l’impresa ci pare difficilina.
Pure, sia Ahamadinejad, che Hezbollah, che Hamas, che Ahmadinejad (e peraltro anche Osama Bin Laden e Ayman al Zuwahiri), con straordinaria chiarezza –inascoltati- ci dicono da un trentennio che il punto focale che li porta “a combattere l’Occidente e i cristiani e i crociati e i falsi musulmani” è proprio il Giudizio Universale. Khomeini lo spiegò già con estrema chiarezza nelle prime righe della sua Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran, documento fondamentale per tracciare le infinite similitudini (e le poche differenze) tra nazismo e fondamentalismo islamico (inutilmente avversato dagli ayatollah moderati, spazzati via dall’Imam):
“La Repubblica Islamica è un sistema che si basa sulla fede in:
1 – Un Dio Unico (La Ilaha Ilallah), nella sua sovranità esclusiva, nei suoi comandamenti e nella
necessità di sottomettersi al suo ordine.
2 – La Rivelazione Divina e il suo ruolo fondamentale nella formazione delle leggi.
3 – Il Giorno del Giudizio Finale e nel suo ruolo costruttivo nell’evoluzione perfettibile degli
uomini verso Dio.
4 – La Giustizia di Dio nella Creazione e nei comandamenti.
5 - L’imamato, la sua direzione permanente e il suo ruolo fondamentale nello sviluppo continuo
della Rivoluzione Islamica.
6 – La dignità e il valore supremo dell’uomo e della sua libertà, così come della sua responsabilità
verso Dio.”
Come si vede, il combinato disposto della sovranità esclusiva di Allah e dell’Imamato del suo esercizio vicario ad opera di un Giureconsulto, segnano una affinità straordinaria, dal punto di vista concettuale, con l’elemento cardine del nazismo: il Fürherprinzip. Il potere, tutto il potere, in Iran è concentrato nelle mani del Rahbar, della guida della Rivoluzione, vicario di Dio, incarnazione dello Stato Etico, che dispone di tutto il potere monocratico nella di politica estera, nella politica giudiziaria, nella politica militare e che ha pieni e totali poteri sovraordinati a un esecutivo apparentemente elettivo, in realtà espressione solo e unicamente della umma musulmana. Hezbollah libanese, è ugualmente e volontariamente sottoposto a questo Fürherprinzip e si propone come proiezione internazionale della rivoluzione islamica iraniana, agli ordini dell’ayatollah Khamenei, di cui Sayyed Nasrallah è solo il “rappresentante in Libano”
Umberto Eco, ci aiuta poi a focalizzare un altro fondamentale punto di contatto tra islamismo fondamentalista e nazismo: “C’è una componente dalla quale è possibile riconoscere il fascismo allo stato puro, dovunque si manifesti, sapendo con assoluta certezza che da quelle premesse non potrà venire che “il fascismo”, ed è il culto della morte”. Questo culto naturalmente si presentava in forma laico-nihilista nel nazifascismo, mentre vive come riproposizione gnostica nello scisma martirologio khomeinista. L’ideologia dello shahid esalta infatti la “bella morte”, non come esaltazione del delirio di onnipotenza dell’individuo superiore e quindi eroico, ma all’interno di un perfetto schema neoplatonico: uccidendo e negando la propria materia umana con la dinamite, il martire, compie un completo percorso di conoscenza del divino e diventa pura luce, proprio perché distrugge la polarità diabolica della materia di sé stesso e contemporaneamente delle sue vittime infedeli, siano essi cattivi musulmani, cristiani e –soprattutto- ebrei.
Naturalmente, questa “religione della morte” è, nel nazismo come nel fondamentalismo, strettamente intrecciata con la “religione della guerra”, la considerazione ideologica del conflitto armato come bene in sé, la scelta di purificare la società e l’individuo non nella vita civile, ma impegnandolo, con tutta la società, in una guerra permanente con gli “infedeli”, in una dimensione che il nazismo esaltava col “ruolo salvifico della guerra” e che il fondamentalismo esalta col suo crescente jihadismo. Nell’uno e nell’altro caso si ha la fine della politica –sia sul piano interno che siu quello estero- e il predominio dei rapporti di forza violenti e di deflagrazioni belliche devastanti, intervallate mai dalla pace, ma solo da tregue. Una mistica della guerra come “bene supremo” che enfatizza –altro punto in comune tra le due ideologia- il miraggio dell’”arma finale”. Il senso della politica atomica iraniana, ben più e ben prima del possesso effettivo della bomba A, è tutto nell’”effetto annuncio” dell’arma finale. E’ l’anticipazione dello strumento per scatenare il Giudizio Universale, la molla che fa scattare un jihad che –come si è visto in Libano- non è tanto ingenuo –come stranamente pensa Bernard Lewis- da puntare le sue carte su una banale deterrenza o su un impiego effettivo della bomba. L’effetto annuncio serve a motivare lo scatenamento di una serie di azioni militari del tutto tradizionali (esattamente come fece l’Urss negli anni settanta e ottanta in Africa e Asia, sotto copertura atomica), in una logica non più di guerra tradizionale nasseriana ma di guerriglia da bunker e di attentati, magistralmente messa in atto dagli iraniani nel Libano del Sud, con lo scopo non di ottenere lo Stato dei Palestinesi (che i fondamentalisti dall’epoca del Gran Muftì rifiutano) ma di distruggere lo Stato degli ebrei..
L’antisemitismo nel fondamentalismo islamico è infatti strutturale, portante, esattamente come lo era nel nazismo. Identica è la concezione dell’ebreo nelle due ideologie, perché il giudeo è nemico della umma come della Deutsche Gemeinschaft in quanto portatore di complotto, secondo una interpretazione dell’archetipo politico maomettano che ha le sue radici nei presupposti complotti ebraici che il Profeta combattè alla Medina e che lo spinsero a ordinare la strage degli ebrei Banu Quraizah, sgozzati in 650 nel 627 D.C. con una liturgia che i terroristi iracheni ci hanno riproposto via al Jazeera, tagliando la gola ad un giovane ebreo americano. Vi sono mille e mille prove storiche della radicalità di un radicato antisemitismo musulmano, ma tra queste la più importante –ma la più trascurata da quanti si aspettano una evoluzione positiva di Hamas- è il definitivo legame tra Giudizio Universale e sterminio di tutti gli ebrei. Pure, questo rapporto salvifico tra l’Avvento del Regno di Allah, vittoria universale dell’Islam e sterminio hitleriano di tutti gli ebrei, questa invocazione di una nuova Shoa apocalittica è riportato con chiarezza e con enfasi nello Statuto di Hamas, a dimostrazione di come il problema sia ben più radicale che non il mancato riconoscimento dello Stato di Israele: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l’albero diranno: “O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me- vieni e uccidilo ; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei.(Hadith riferito da al-Bukhari e da Muslim).”
Là dove l’indiscutibile antisemitismo storico cristiano è sempre stato vincolato a San Paolo e Sant’Agostino che legavano l’Ultimo Giorno alla conversione dell’ultimo ebreo, Hamas e i Fratelli Musulmani disegnano invece un finalismo, un senso teologico della Storia che ha nell’uccisione dell’ultimo ebreo il suo estremo sigillo.
Che ci si spieghi come sia possibile una trattativa politica con chi ha questa visione del mondo e dell’umanità e ci accoderemo alle critiche al governo di Gerusalemme per la “sproporzione” delle sue risposte..
Di nuovo, nozze piene tra nazismo e fondamentalismo –ma qui anche col cosiddetto “Islam moderato”- quanto a diritti delle donne. Solo i “dialogatori cattolici postconciliari” sono riusciti a non accorgersene, ma in tutto l’Islam contemporaneo, salvo fazioni minoritarie, la donna gode di pieni diritti solo quanto ad anima. Per il resto, quanto al suo corpo, nella pòlis, quale cittadina, essa è sottoposta a un dimidiamento dei diritti che è insanabile, perché discende da un principio indiscutibile: l’autorità tutoria dell’uomo. Concetto così sviluppato dal fondamentalista italiano Hamza Piccardo nel suo commento al Corano a cura dell’Ucoii (130,000 copie vendute): “Oltre alla complementarietà tra uomo e donna, c’è un problema di guida, nella famiglia e nella società, che non significa predominio, oppressione o disconoscimento della prevalenza femminile in una quantità di settori e circostanze. Allah affida questo ruolo dirigente al maschio. E’ un compito gravoso e difficile, di cui l’uomo farebbe volentieri a meno e di cui è tenuto a rispondere davanti ad Allah”.
E’ qui, in questo “ruolo dirigente del maschio”, il nodo teologico-giuridico, da cui discende tutta la legislazione repressiva nei confronti della donna. Sempre Hamza Piccardo, che ha fama –immeritata, di essere un “moderato”- da prova del paradosso del suo riformismo fondamentalista là dove indica che la donna non è solo esposta al ripudio dell’uomo, ma che, in fondo, anche essa può scegliere il divorzio. Naturalmente, però, a differenza dell’’uomo, essa deve “pagare” questa sua scelta, essendo una mezza cittadina, “offrendo una compensazione economica”. Poligamia, divieto di nozze con ebrei o cristiani, valore dimezzato delle testimonianze in tribunale, necessità del permesso del tutore maschio per le nozze, quote ereditarie dimidiate rispetto ai coeredi, e la stessa imposizione del velo, derivano da questa “autorità tutoria” dell’uomo (la femmina deve coprire le sue zone erogene perché, a differenza del maschio, non è capace di gestirne l’impatto sociale).
Infine, ma non per ultimo, l’ossessione dell’apostasia costituisce un ulteriore legame tra il “progetto di Stato” islamico e quello nazista. In quasi tutto l’Islam contemporaneo, infatti, il divieto di proselitismo da parte dei cristiani, consegue alla proibizione assoluta per il musulmano di abbandonare la umma. Un divieto che deriva dalla inscindibile unità tra patto sociale e patto con Allah: il cittadino che abbandona la fede, viola per ciò stesso il patto di cittadinanza della pòlis e quindi va punito. Divergono solo le pene per questo reato che ovviamente nega qualsiasi liceità della pratica del libero pensiero: in Iran, Pakistan, Yemen, Sudan e negli Stati islamici della Nigeria la pena è la morte, nella “laica” Algeria una legge del 2006 punisce con 2 anni di carcere e 10.000 euro di multa ogni atto di proselitismo, altrove le pene variano (l’Ucoii italiana, al riguardo, pare essere moderata, anche se permane il divieto di pratica del libero pensiero). E’ questa, dunque, la riproposizione di uno Stato governato da una Santa Inquisizione, in cui il tradimento dell’ideologia del regime equivale al tradimento della Patria, con conseguente punizione del reo.
E’ la riproposizione di uno Stato concentrazionario.
Tanto basta, più che a dare piena ragione a George W. Bush, a definire una “chiave interpretativa” del fenomeno fondamentalista e terrorista islamico che spiega come e qualmente le strade della politica, della trattativa, del compromesso, non riescano mai ad imporsi nei conflitti tra Islam e occidente e illustra anche le ragioni per cui –come urlò Jibril Rajub a Yasser Arafat nel 2003- quello palestinese è assolutamente l’unico movimento di liberazione nazionale del ‘900 che non sia riuscito a conseguire il suo obbiettivo.
22:25 | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : MPF
27/08/2006
Obsession (islamic war against west)
La guerre que les disciples de mahomet nous ont declaré:
Film à voir en cliquant ci-dessous:
19:45 | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : islam, israel, MPF
Basta con l'ipocrisia!
18:45 | Lien permanent | Commentaires (0)
La TV che semina l'odio nazislamico
C'è una richiesta israeliana cui il governo italiano si oppone, e che molti giornalisti sono riluttanti ad appoggiare perché giustamente attaccati ai sacri principi della libertà di espressione: chiudere la televisione Al-Manar, che trasmette dal Libano la propaganda di Hezbollah a tutto il mondo arabo e raggiunge l'Inghilterra, la Francia e la Germania (per ora, per fortuna, solo pochi riescono a vederla in Italia). I tecnici dei servizi israeliani sono riusciti a inserirsi sul segnale di Al-Manar trasmettendo brevi messaggi che annunciano la loro determinazione nel continuare a inseguire il leader di Hezbollah, Nasrallah, fino a catturarlo o a ucciderlo, ma si tratta di prodezze tecniche che non cambiano la sostanza del problema.
Al-Manar è una televisione antisemita che continua a sostenere l'antica calunnia secondo cui gli ebrei uccidono ritualmente bambini di altre religioni e mescolano il loro sangue alle azzime di Pasqua. Lo fa attraverso sceneggiati televisivi e trasmissioni «culturali». Sostiene pure - ed è un altro tema ricorrente della sua programmazione - che l'attentato dell'11 settembre è stato organizzato dal Mossad israeliano d'intesa con la Cia per permettere a Bush di invadere l'Afghanistan e l'Irak. Naturalmente, anche in Occidente - particolarmente in Francia, ma talora anche in Italia - esistono scrittori e giornalisti farneticanti che sostengono le stesse aberranti tesi e che, con slalom degni dell'Alberto Tomba dei bei tempi, riescono a sfuggire alle leggi contro l'odio razziale e l'antisemitismo. Ma per Al-Manar il problema è diverso.
Infatti, ogni trasmissione antisemita di Al-Manar è immediatamente seguita da appelli a colpire gli ebrei e i loro sostenitori dovunque si trovino, e dall'esaltazione sistematica degli attentati terroristici non solo degli Hezbollah ma anche di Hamas e di altri gruppi. Inoltre, a differenza degli antisemiti patologici francesi o italiani, Al-Manar ha milioni di telespettatori. Come ha concluso Avi Jorisch nel suo studio su Al-Manar La fabbrica dell'odio, la televisione degli Hezbollah è una macchina per fabbricare non antisemiti «culturali» ma terroristi pronti a passare all'azione. Se in Italia vi fosse una televisione capace di raggiungere anche i Paesi vicini gestita da quanto rimane delle Brigate rosse, e questa incitasse quotidianamente i telespettatori a prendere le armi e assassinare gli uomini di governo anticomunisti e i «padroni», si invocherebbe la libertà di espressione per permetterle di continuare a trasmettere?
Il problema Al-Manar non è affatto secondario nello scenario libanese. Se ci sarà una missione italiana in Libano, e se per qualunque ragione gli hezbollah - nonostante l'amicizia con D'Alema e Diliberto - cambieranno idea sulla sua utilità per loro, è da Al-Manar che partiranno gli appelli a uccidere i nostri soldati. Inoltre, la versione di Al-Manar - per quanto talora falsa in modo addirittura ridicolo - degli avvenimenti mediorientali è ripresa da molte televisioni arabe e persuade chi non ha molti altri mezzi di informazione. Peggio, i suoi filmati - di cui pure è stata dimostrata la frequente manipolazione - sono talora utilizzati anche da televisioni occidentali.
Chiudere Al-Manar è allora essenziale per la sicurezza del Libano, ma anche di chi andrà ad aiutarlo a vivere in pace e democrazia. La libertà di espressione è invocata a sproposito. Non ci deve essere libertà di predicare l'odio e organizzare per via televisiva il terrorismo
Massimo Introvigne
www.ilgiornale.it
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